Rieti Perché non ci vediamo oggi?
Pina Franceschini racconta l’esperienza del lavoro
del gruppo di incontro nella Scuola Media B. Sisti di Rieti.
“L’invito è partito così naturalmente, è passato di
bocca in bocca nei corridoi tra gli schiamazzi dell’intervallo, ha superato
perfino lo sbarramento dei bidelli che, severissimi, impediscono ai ragazzi di
transitare da un piano all’altro della nostra scuola.
Sta per arrivare il gruppo di ragazzi e professori
francesi e saranno nostri ospiti per una settimana. Questo evento è una
tradizione, ha però sempre coinvolto solo le classi sperimentali anche se molti
ragazzi hanno guardato con invidia il gruppo privilegiato che fa lo scambio
culturale e che poi andrà in Francia.
Si è accesa la curiosità “come saranno belle le
ragazze francesi!” Gli alunni delle classi di Inglese cercano di imparare alla
svelta qualche frase per abbordare le francesine.
L’invito “vediamoci oggi a scuola” cade in questo
clima e viene raccolto (mentre esco sento che si danno appuntamento alle 17 in
piazzetta).
I ragazzi ci sono e quando arriviamo, tre
insegnanti, ci accerchiano chiedendo “Che facciamo?”.
Sono una cinquantina di ragazzi... ci consultiamo
rapidamente e spariamo là “Tutta la scuola accoglie i francesi”. E’ partita
questa esperienza che ci ha visti insieme per una settimana tra cartelloni,
addobbi, colle, bandierine, pannelli strategici, vernice per ridipingere una
parete indecente, piante spostate sotto lo sguardo inorridito dei bidelli che ci
minacciano “se non lasciate pulito come avete trovato!...”.
La settimana è passata rapidamente e ci ha lasciato
stanchi e gioiosi ma è rimasta la voglia di stare insieme perché insieme è
bello, fare insieme è bello. Ci siamo dunque organizzati per un rientro
settimanale, abbiamo diversificato i gruppi per attività, ci siamo impegnati a
“durare” per tutto l’anno scolastico. Altri insegnanti hanno aderito
all’iniziativa ed il preside torna a scuola al pomeriggio per rassicurarci: ci è
vicino nello scompiglio.
I ragazzi sono di classi diverse, il docente di
matematica fa l’allenatore e prepara il gruppo sportivo, religione fa il gruppo
con lettere, mancano insomma i soliti riferimenti e presto diventiamo “quelli
dei gruppi”.
Nei gruppi ci siamo conosciuti, abbiamo lavorato,
abbiamo parlato, ci siamo raccontati, ci siamo specchiati gli uni negli altri,
abbiamo anche riso dei nostri difetti, tirato fuori le nostre paure, abbiamo
chiesto aiuto, abbiamo imparato ad offrire il nostro aiuto.
Presto abbiamo la sensazione di aver imboccato una
strada, di esserci mesi in cammino, noi che ci chiamiamo per nome (in una scuola
di 500 ragazzi) che con un cenno comunichiamo, che ci incontriamo, senza avvisi
né circolare, ogni venerdì alle 17 in piazzetta e poi a scuola, quella stessa
scuola da cui siamo usciti alle 13.30. Loro, i ragazzi, a valanga, noi, i
professori, dignitosamente, tutti comunque desiderosi di libertà.
Proseguiamo con la soddisfazione dei risultati
visibili: esce il primo numero del giornale “La fontanella”, la cassetta della
posta è stata costruita e installata nell’androne, la squadra del prof. di
matematica compra le magliette e affronta le prime partite con le squadre dei
vari quartieri, il gruppo di recitazione coinvolge un poeta reatino e si prepara
alla festa di fine anno, il gruppo religione-lettere incontra un gruppo di
adulti che tornano dall’Uganda... ma verso la fine dell’anno ci proponiamo un
obiettivo ambizioso: “Ci rivediamo prima della riapertura della scuola per
preparare l’Accoglienza dei ragazzini che entreranno in prima media”.
Ci siamo visti ai primi di settembre ed eravamo
quasi tutti; dopo gli immancabili scambi di affettuosità (espressi anche in
maniera poco ortodossa... spintarelle, pacche robuste, complimenti sperticati
alle tre compagne che sono diventate vere signorine...) ci siamo riuniti per
ripensare e rivivere il primo giorno di scuola alle Medie.
Tutti hanno da dire, da raccontare, da ripensare e
vengono fuori le paure vissute, i comportamenti che ciascuno ha messo in atto
per superare l’ansia, la preoccupazione di non farcela e di essere presi di mira
dai più grandi.
La riunione sembra un grosso lavatoio dove tutti
hanno messo qualcosa a risciacquare... “facevo lo spaccone ma avevo tanta
paura...” “non parlavo con nessuno perché ero il più basso di tutti...” “i
compagni mi stavano antipatici perché non li conoscevo...” “ero il più bravo
alle elementari e volevo che tutti se ne accorgessero...” “ho odiato mamma
perché mi ha accompagnato facendomi sentire un bambino piccolo...”.
Si rischiava di non finire più e quindi abbiamo
stabilito alcuni punti:
i ragazzi della terza si sostituiscono ai professori
nella prima ora di scuola e accolgono i ragazzini nuovi; ci saranno sette prime
classi con mediamente 25 alunni per classe. La riunione si aggiorna per fare le
prove, per chiarirci quali responsabilità ci assumiamo, per esporre al preside
il programma, per organizzare nei dettagli la mattinata del 21 settembre.
Il 21 tutti gli alunni entrano nelle classi mentre i
genitori e i nuovi alunni di prima vanno in Aula Magna. Lì c’è il preside, con i
ragazzi dell’accoglienza alle spalle, che dà il benvenuto ai nuovi e parla ai
genitori ma l’atmosfera è cambiata rispetto agli altri anni; è con grande
orgoglio e affettuosità che il preside parla della scuola e dei ragazzi che
volontariamente si sono preparati “ad accogliere i vostri figli. Con senso di
responsabilità spiegheranno il funzionamento della scuola, cercheranno di fare
amicizia, saranno un punto di riferimento”.
Poi chiama tutti gli alunni di ogni classe e li
affida ai ragazzi. I ragazzi dell’accoglienza in gruppi di tre o quattro si
allontanano verso le aule mentre due ragazze riprendono con la cinepresa tutti
gli spostamenti.
Le porte delle aule si chiudono... è andata!... vagoliamo con il preside per i corridoi dei vari piani e sappiamo che questa ora di attesa fuori della porta è l’ora di lezione più lunga e forse più importante della nostra vita”.
E se un gruppo fuma? Ovvero sugli stereotipi degli adulti
“Voglio raccontare la mia esperienza di docente che
tiene un gruppo di incontro presso l’I.T.C di Rieti - scrive Mirella Ciace -. Il
mio gruppo si compone di quindici ragazzi. Dieci frequentano con assiduità. Nel
gruppo vi sono due ragazze. Il gruppo ha cominciato a riunirsi lo scorso anno ma
solo adesso si è cementato ed ha cominciato a riconoscersi come tale. Il gruppo
è stato subito vivace, disposto al dialogo e propositivo: ha scelto e messo in
atto il progetto di accoglienza per gli alunni delle classi prime.
Nonostante ciò ho incontrato molte difficoltà di
rapporto con i ragazzi; rimanevo costantemente con la sensazione del “non detto”
e che il nostro parlare fosse di parole molto razionali ma superficiali che non
facevano rivelare nessuno né a se stesso né agli altri.
Tutto ciò mi demoralizzava e mi disturbava e credo
di averlo comunicato involontariamente; un ragazzo del gruppo, infatti, un
pomeriggio mi ha detto: “Non te preoccupà professorè, che il gruppo va bene!”.
Ma questa sensazione di disagio permaneva in me, nonostante le affermazioni dei
ragazzi sulla validità del nostro stare insieme.
Questa mia sensazione di disagio è stata più
profonda quando, per un’unica volta, si è parlato di spinelli. Tutti d’accordo
nel rifiutarli, tutti seri, tutti bravi; ciascuno ha detto quello che io mi
aspettavo egli dicesse. Solo che in seguito c’è stata una drastica riduzione
della frequenza al gruppo. Alcuni sono addirittura spariti.
Una sera uno dei ragazzi del gruppo che si erano
defilati mi avvicinò per dirmi una cosa del gruppo. Non poteva però dirla subito
per rispetto ai compagni, me l’avrebbe detta l’indomani insieme a tutti gli
altri.
L’indomani, nel corso della ricreazione, sono venuti
a parlarmi. Con loro anche altri ragazzi che non facevano parte né del mio né di
altri gruppi della scuola. Mi hanno confessato che nel gruppo non erano stati
sinceri e che la loro fuga dagli incontri era determinata dal loro sentirsi in
colpa. “Fumiamo tutti lo spinello, siamo in undici nel gruppo a farne uso, se
non con sistematicità, sicuramente in tutte le occasioni di feste, serate,
etc..!”.
Finalmente il rospo era venuto fuori. Mentre mi
parlavano erano commossi ed io li avrei abbracciati tutti per la loro faticosa
sincerità. Poi mi sono spaventata ed ho cominciato a riflettere. Non so ancora
dire come sia avvenuto il miracolo della comunicazione, forse dipendeva dal
fatto di aver trasmesso loro il mio disagio. Mi sono spaventata perché anche
prima i ragazzi mi avevano mandato segnali che non ho saputo cogliere per il
fatto che appiccicavo l’etichetta “spinello” ai ragazzi problematici, magari
chiusi, magari che vanno male a scuola, magari bruttini e depressi.
Invece no; i ragazzi del gruppo sono bellini, se la
cavano a scuola, sanno parlare e discutere, si pongono problemi intelligenti,
hanno soldi in tasca, si vestono bene, hanno la ragazza, ecc...
Il fenomeno spinello mi si presenta di fronte in
altri termini e su questo ho iniziato la discussione ed il lavoro con loro. Lo
spinello serve a far ridere, mi dicono, aumenta l’allegria, come se a
diciott’anni non si potesse essere allegri da soli.
Eppure hanno scelto di frequentare il gruppo, dunque cercavano la motivazione ed il contesto per parlare di questo. E’ quanto cercherò di scoprire insieme a loro. Per il momento mi consola il fatto che i gruppi funzionano e che all’interno della scuola mandano messaggi e creano comunicazione anche fuori dai loro componenti; altrimenti perché i quattro ragazzi estranei al gruppo sarebbero venuti a parlare insieme agli altri con me? Probabilmente perché il bisogno di una confessione così grande riguardava profondamente anche loro ed anche a loro è necessario dare una risposta”.