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I sentimenti dei pellegrini
Vincenzo Masini
(da Cipriani R., Giubilanti
del 2000, Angeli, Milano, 2003)
Per George Simmel, la religiosità viene prima della religione. "Non è la religione a creare la religiosità, ma la religiosità a creare la religione"[1]. La religiosità si esprime con le “profonde differenze di pensiero e di azione, di volta in volta espresse o represse, rese esplicite o implicite” che producono “riverberi sull’agire sociale del singolo” [Cipriani et alii: 1999, 141], con miscele infinitamente diversificate tra alcune componenti “base” (categorie idealtipiche) che sono l’oggetto di questo contributo di ricerca.
Queste miscele conducono ad un processo di differenziazione esponenziale; “per certi versi nel passato si registrava pure una maggiore omogeneità, almeno all’interno delle singole appartenenze. La situazione attuale consente non solo la diversificazione già sperimentata in precedenza, ma dà luogo ad altri percorsi inusitati di ibridazione” [Cipriani et alii: 1999, 143].
L’individuazione di categorie idelatipiche ha richiesto l’esercizio di uno sguardo strabico: con un occhio rivolto alle espressioni dell’umano mentre la visione dell’altro scorreva i dati, le storie di vita e le interviste della ricerca sui pellegrini con le seguenti evidenze:
1. le emozioni hanno una base comune a tutti gli uomini. Gli uomini le vivono diversamente a seconda del loro temperamento, della loro personalità;
2. il sentimento della religiosità può essere categorizzato nelle emozioni di base a cui rimanda e che ne formano il personale substrato. Dunque può essere costruita una tipologia minima di atteggiamenti religiosi. Dalle numerose miscele di questi tipi base nascono le multiformi espressioni della religiosità;
3. pur tenendo presente le tipizzazioni della sociologia della religione, il metodo utilizzato è quello della proposta di idealtipi e della loro ricognizione in questa particolare esperienza della religiosità cattolica: il pellegrinaggio. Questo fenomeno, comune a molte religioni, esprime una dinamica apicale della religiosità, che rende più marcate le differenze profonde tra persone adiacenti.
2. Le
emozioni di base
Per discutere le categorie religiose gli elementi chiave vanno fatti risalire alle disposizioni che accomunano tutti gli esseri umani e cioè alle emozioni di base rintracciabili, come espressione dei temperamenti psiconeurologici, nei movimenti elementari del sé. Tali tratti psicologici accomunano l’intera umanità[2].
Le sette emozioni di base sono sperimentate dal bambino nel primo anno di vita. Di queste emozioni è necessario cogliere il senso originario e profondo connesso al particolare momento della loro genesi, quando il processo biologico della sensazione, che a loro corrisponde, si trasforma in evento psichico. La sensazione, a sua volta, è generata dal contatto tra il soggetto ed i fenomeni del mondo (il corpo del soggetto, le cose e le persone intorno a lui).
Paura è il prodotto del dolore. La sensazione del dolore produce l’attenzione
ad evitare il ripetersi dell’esperienza. Da questa nascono tutti i meccanismi di
difesa e il processo di controllo[3]
su di sé e sulla realtà.
Rabbia scaturisce dal processo di caricamento di energie interne. È reattività
“contro”. Con essa si esprime il risentimento o la stizza per non vedere
esaudito un bisogno: il bisogno di attenzione affettiva o di nutrimento in
primis. Se nella tensione verso la soddisfazione si frappone un ostacolo, la
carica si trasforma in aggressività (se poi la rabbia è rivolta al sé, in
depressione).
Distacco è simmetrico all'attaccamento. Implica il riconoscimento della distanza
tra sé e l'altro (o tra il sé e una parte del sé, mentale o corporeo: “il bimbo
scopre il suo piede; si accorge che la mamma non c’è; ha un sussulto perché
sente sbattere una porta; si accorge che il carillon si è spento; si
accorge che il sapore che sente non è quello del latte materno;…). Il distacco
si manifesta oggettivato nelle sensazioni di trasalimento e sorpresa, oppure può
ridifferenziarsi in accettazione (e riattaccamento) o rifiuto (il disgusto,
sensazione che precede e accompagna il vomito e, cioè, il rifiuto di
“nutrimento” insano e nocivo). La sua trasposizione simbolica nello psichismo lo
trasforma in percorso di separazione, di distanziamento e di liberazione.
Piacere è da intendersi più propriamente come desiderio di piacere, tensione
verso il piacere. È intimamente connesso con la perdita di confini e la
sensazione di essere tutt’uno con l’altro. Piacere è la fusionalità assoluta nel
gioco di carezze ed effusioni con la madre. Si esprime nel sorriso endogeno del
bambino, nel sorriso sociale, nella gioia, nell’esultanza, nel giubilo.
Quiete è, in prima spiegazione, l'assenza di emozioni percepite. Essa stessa
diventa però un movimento emozionale teso a spegnere tutto ciò che disturba la
quiete.
Vergogna è connessa alla sensazione di essere “gettato nel mondo” e, dunque, alla
disposizione al percepire l’intorno con forte sensibilità. Implica un senso di
forte esposizione ai segnali del mondo da cui si sente la necessità di ritrarsi,
scomparire, fuggire per nascondere la propria esistenza[4].
Attaccamento è la base biologica sui cui si è sviluppata l’affettività; il bimbo si sente riconosciuto e amato nel momento in cui incontra il seno e sente un sapore che appartiene al mondo in cui era e percepisce l’attenzione affettiva nel connettersi della sua bocca al seno. La spinta biologica ad esistere lo conduce a succhiare e nel succhiare incontra l’altro. L’attenzione di attaccamento materno empatizzata diventa “voglia di essere oggetto di attenzione”, “bisogno di attenzione”, “bisogno di nutrimento”.
La spinta contenuta in ciascuna di queste tendenze all’azione è un moto emozionale primario, quasi mai “puro”, sempre miscelato con infinite sfumature a ciascuna delle altre tendenze. Per questo motivo la ricostruzione del processo che trasforma le emozioni in diversi sentimenti di religiosità è idealtipica. Gli idealtipi di religiosità si possono rintracciare negli studi in letteratura, nei dati empirici e nelle storie di vita, sempre che si rispetti il punto di vista ispiratore della ricerca. Nel nostro modello il punto di vista è il sottile filo logico che collega le sensazioni, diversamente vissute a seconda della psicofisiologia del temperamento[5], alle emozioni prototipiche. La sensazione è ben diversa dall’emozione poiché in quest’ultima appare la coscienza del vissuto. La differenza tra la paura in un uomo o in un cane è determinata dal fatto che, pur avendo tutti e due paura (magari l’uno dell’altro) l’uomo è cosciente di avere paura, il cane sente la paura e basta (e magari la potenzia empatizzando la paura dell’uomo). È la coscienza che consente all’uomo di modulare la sua paura, intenzionalmente, miscelandola con altre emozioni. Così come le emozioni sono prodotte dalle sensazioni attraverso l’emersione progressiva nella coscienza, i sentimenti sono costruiti sulle emozioni attraverso i valori[6].
3. Le
categorie delle religiosità
Leggere le categorie della religiosità attraverso le categorie del
pellegrinaggio può apparire riduttivo di componenti della religiosità ma le
rispondenze presenti in alcune ricerche [Canta: 1995; Canta, Cipriani, Turchini:
1999] dimostrano quanto l’esperienza del pellegrinaggio sia coessenziale
all’esperienza religiosa come apogeo di una ricerca umana del sacro e come
volontà di potenza, collettiva e individuale. Non si tratta di descrivere la
tipologia del pellegrino nei tipi del marciatore, del viaggiatore e del turista,
ma di considerare l’esperienza del pellegrinaggio come una ricerca di
religiosità totalizzante in cui “ricerca religiosa e viaggio si sommano”
[Aquaviva: 1995]. Anche il più basso livello di partecipazione interiore avviene
in un frangente, temporale e spaziale, reso particolare dal senso del viaggio:
in qualunque punto del continuum tra “religioso”, “turistico-religioso” e
“turistico” si realizza un grado di appartenenza, diversamente modulato in
ragione della tipologia di personalità del pellegrino. Il pellegrinaggio del
Giubileo del 2000 è un fatto sociale totale in cui tutte le prototipiche
categorizzazioni sociologiche della religiosità sono (quasi sicuramente)
compresenti, con diversi gradi di partecipazione. L’evento dunque è un luogo
sociologicamente significativo per l’analisi della religiosità.
Le categorie
idealtipiche della religiosità, intendendo per queste i mattoni costitutivi
degli atteggiamenti base (naturali per i soggetti la cui personalità fosse
esclusivamente centrata sulle precedenti emozioni di base), sono:
ritualista, militante, ricercatore, emozionale, convenzionale, intimista, devoto
praticante. In ciascuno dei pellegrini si può ipotizzare un diverso grado di
compresenza di tali atteggiamenti[7].
Tali categorie sono rintracciabili in letteratura attraverso un difficile
percorso di disaggregazioni ed accorpamenti di altre tipologie costruite per la
discussione dei diversi aspetti in cui si elicita la fenomenologia religiosa
(ortodossia, secolarizzazione, partecipazione, ecc.), ciascuno dei quali
misurabile come un continuum di assenza assoluta o di presenza massima di uno
specifico tratto[8].
La categorizzazione più vicina alla emozioni di base è quella di Martelli,
riportata nella Appendice 2 al volume Pellegrini del Giubileo [Martelli:
2002, 205]: rituale, dottrinale, conoscitiva, esperienziale, ecclesiale, vitale
e comunitaria (l’ordine è modificato per rispettare la categorizzazione esposta
in precedenza).
La categorizzazione più appropriata, al fine di collegare idealtipi centrati su emozioni di base con le categorie della religiosità dei pellegrini, è quella presentata, in questo stesso volume, da De Iorio. L’interdipendenza tra le codifiche sensitivity item consente a De Iorio di individuare otto dimensioni di significato «Impegno realistico e responsabile, Motivazioni al viaggio giubilare, Valore della partecipazione familiare, Educazione ed appartenenza, Preghiera dei giovani testimoni, Pratica religiosa gradita, Fede responsabile degli anziani, Valori e senso». Accorpando le due categorie centrate sull’appartenenza «Valore della partecipazione familiare, Educazione ed appartenenza» nell’unico idealtipo del devoto si possono individuare corrispondenze tra: impegno realistico e responsabile e ritualista; motivazioni al viaggio giubilare e militante; valori e senso e ricercatore; pratica religiosa gradita ed emozionale; fede responsabile degli anziani e convenzionale; preghiera dei giovani testimoni ed intimista; valore della partecipazione familiare, educazione ed appartenenza e devoto.
Lo sforzo concettuale di descrivere il diverso sentimento religioso dei pellegrini in funzione dell’atteggiamento complessivo della personalità verso la religiosità, che contempla, principalmente, lo stile di vita, la motivazione, l’orientamento morale ed i valori riconosciuti, e si elicita in gesti, abitudini, linguaggio, percezioni e relazioni preferenziali, trova un riscontro ancora più significativo nella precedente ricerca di De Iorio sulle risposte alle domande aperte del questionario ai pellegrini [De Iorio: 2002].
Focalizzando l’analisi sulle cinque domande aperte[9] De Iorio fa uso “di una strategia di categorizzazione sistematica a due stadi, il primo consente di individuare degli aggregati di primo livello con operazioni univoche replicabili e di quantificarne la rilevanza in termini di ricorrenza di lemmi, il secondo stadio si avvale dell’analisi fattoriale per inferire categorie di contenuto dalla quantificazione degli aggregati di primo livello” [De Iorio, 2002: 127]. L’analisi fattoriale ha consentito di individuare quattordici dimensioni di significato che si cercherà di spiegare in relazione alle possibili ambivalenze di ciascun idealtipo. Ciascun idealtipo di vissuto religioso può mostrarsi con sentimenti equilibrati e maturi o scivolare in eccessi di manicheismo, intolleranza, individualismo, fanatismo, chiusura, autoreferenzialità, integralismo.
Reclutare all’interno dell’analisi idealtipica il riferimento alle 14 dimensioni di significato espresse nei raggruppamenti dei lemmi apre ad un visione più problematica della religiosità nei risvolti di ambivalenza che ogni idealtipo contiene. La successiva tabella 1 pone, accanto ad ogni dimensione di significato, un idealtipo e la sua dimensione ambivalente.
Tabella 1
Dimensioni di significato |
Raggruppamenti concettuali |
Idealtipo |
Ambivalenza dell’idealtipo |
Celebrazione e festa della Chiesa |
Celebrazione – Festa – Chiesa – Cattolicità |
Ritualista |
|
Rinnovamento spirituale |
Anima – Rinnovamento – Convertirsi |
|
Ritualista verso ossessivo dottrinale |
Straordinario evento religioso e mondiale |
Religione – Evento – Troppo commerciale |
Militante |
|
Responsabilità personale del destino eterno |
Preparare – Morire- Vita Eterna |
|
Militante verso depresso |
Momento di riflessione spirituale |
Pensare – Riflettere – Bilancio |
Ricercatore |
|
Valutazione critica dell’emarginazione dei poveri |
Emarginazione poveri - Valutazione negativa |
|
Ricercatore verso criticismo relativistico |
Felicità dell’essere opposta all’avere |
Essere – Felicità – Non avere |
Emozionale |
|
Visitare Roma città bella ma con i barboni |
Occasione - Visitare Roma |
|
Emozionale verso turista disimpegnato |
Pellegrinaggio simbolo dell’identità cristiana |
Pellegrinaggio – Cristianità |
Convenzionale |
|
Riconciliazione e perdono |
Perdono – Riconciliazione – Peccare |
|
Convenzionale verso automatismo dell’assoluzione |
Gradire Dio benefico |
Accadere – Dio – Beneficiare - Indulgenza |
Intimista |
|
Intenzione di senso nel beneficare |
Annullare - Beneficiare |
|
Intimista verso annullamento di sé |
Anno santo – Incontro religioso mondiale |
Terreno – Mondo – Incontrare |
Devoto |
|
Rinnovamento della propria fede |
Proprio – Rivedere – Fede |
|
Devoto verso dipendenza |
Il sistema di lettura che prende le mosse dalle sette emozioni di base è abbastanza intelleggibile nel rapporto intercorrente tra i diversi concetti e può essere, a questo punto, espressa una ultima ragione di tal strutturazione categoriale delle tipologie di sentimento religioso: i sette idealtipi sono costruiti anche in funzione della concordanza trovata tra le idealtipicità delle personalità psicologiche e i modelli di descrizione dell’umano all’interno della cultura ebraico-cristiana[10], in particolare nel manifesto del Cristianesimo, quel discorso sulle beatitudini che Gesù rivolge alla folla dall’alto di una montagna in prossimità di Cafarnao:
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i
perseguitati per la giustizia, perché di loro è il Regno dei Cieli.
Questa pagina
del Vangelo di Matteo sembra voglia indicare all’uomo una invarianza della
condizione umana e della religiosità. Proviamo a studiarne l’essenza nei codici
della riflessione sociologica attraverso la descrizione dei tipi ed attraverso
le citazioni (in corsivo) delle storie di vita e delle interviste ai pellegrini.
Il
ritualista. Vive nel bisogno di definire, difendere, ordinare e gestire
l’ordine della legge. Porta inscritto in sé il valore della responsabilità, che
si traduce nel bisogno di rendere stabili le acquisizioni ed i comportamenti più
efficaci ed importanti per l’uomo. Il suo compito interiore è difendere le
conquiste della religiosità e renderle chiare, ordinate, comprensibili e
praticabili, sacralizzandole e istituzionalizzandole con tutti gli strumenti
possibili. Vive la paura che le acquisizioni della coscienza possano essere
perdute e le difende dai nemici, dalla corrosione, dal dubbio e cerca di
renderle salde, certe, inequivocabili, razionali. ”Penso che sia una bugia
quando gli scienziati dicono che fino a tale momento l’embrione non è un essere
umano e che quindi può essere tolto di mezzo… e io trovo sbagliato questo
atteggiamento e penso che per questo il Papa mette dei veti alla sessualità,
perché dice che si tratta di esseri umani…”[11].
Il ritualista è un difensore della fede, conservatore, che vive il suo essere nel mondo con il senso razionale ed ordinato del dovere, incline al dogmatismo come necessità di preservare la verità anche quando essa è difficile da spiegare. “Noi non siamo assolutamente come ho detto prima contro l’ordine naturale, noi siamo per l’ordine naturale, per noi poi che crediamo nella rivelazione, per noi che siamo, come dire anche innamorati che questa rivelazione nei particolari anche minimi c’era stata annunciata”[12].
L’intervista ad Attilio sintetizza altri tratti del ritualista quali lo zelo nell’impedire deviazioni ed involuzioni della fede e la autorassicurazione attraverso la ripetizione del rituale, la celebrazione, la liturgia: ”Ci facciamo le quattro porte, confessarsi, fare la comunione, perché è obbligatorio…perché sono cattolico! Sono andato tre volte a Lourdes!…a Lisieux, per Santa Teresa, sono già stato a Roma, anche se era più una promessa…c’era la messa solenne… a Lourdes… E’ la terza volta che ci vado, una volta, due volte… forse quattro, forse quattro volte. … di aver lasciato gli studi sacerdotali. Ho lasciato a 18 anni…ripensamenti… “forse hai spezzato la tua vocazione”…non solo dei rimpianti, ti lascia dei rimorsi. Sposarsi? Ah no, no. Non è questo il problema. No, non era affatto questo, E poi i preti, non, non devono sposarsi, hanno altre cose di cui occuparsi che della moglie e dei figli” [13].
Per il ritualista il cambiamento è sempre problematico: “L’attesa della Messa del Papa con i canti di Baglioni, non perché, a me piace moltissimo la musica, ma perché io ritengo che, a me sembra che oggi giustamente la chiesa faccia uno sforzo enorme di trovare nuove modalità di comunicazione con la gente… però mi sembra anche che molto spesso eh… le modalità di comunicazione eh… si mettano al livello di altre modalità, io per come sono fatta io, che sono un po’ razionalista, a me queste cose non mi convincono troppo”[14].
Dunque è diffidente rispetto ai cambiamenti. “La differenza che vedo tra questo Giubileo e quello precedente è che è come se questo qui venisse molto più spettacolarizzato e in questo c’è un vantaggio e uno svantaggio; un vantaggio è questo che prima il Giubileo era un affare della chiesa che il mondo guardava, ne parlava, ne parlava. Non so adesso mi sembra che tutto sia reso estremamente pubblico; questo è importante perché toglie la chiesa dal privato e dalle sacrestie, però è anche molto rischioso, nel senso che può far correre il rischio, come dicevo all’inizio, di far vivere questo gesto, secondo delle categorie che sono mondane”.
Il ritualista ha fame e sete di giustizia nelle piccole e grandi questioni della vita. Agnese la esprime così: “Abbiamo una devozione speciale sono andata anche in santuario a Lourdes, sono andata anche a Fatima, sono andata a Santa Rita da Cascia o a Santa Caterina da Siena…credevo di venire a Roma e trovare un confessore preparato e invece ho avuto una delusione, questi confessori adesso hanno premura, devono confessare tanta gente allora cercano di mandar via la gente, io son rimasta delusa…queste due nazioni, inglesi e tedeschi che vanno un po’ così, con pantaloni corti, magari o anche solo con le maniche così, non li han lasciati entrare…una ragazza che per me aveva i pantaloncini al ginocchio non l'hanno lasciata entrare…ieri alla benedizione delle spose c'era una proprio, sbracciata, una sposa, proprio, quella ha potuto entrare…Se non funziona la famiglia non funzionerà mai niente, mai niente; tutta la politica o la religione che c'è, dipende tutto dalla famiglia…tanta gioventù anche da noi, appunto, finisce male perché si, cominciano a studiare, però non finiscono, però quello non lo vogliono lavorare…ci sono ancora tante signorine o anche tanti uomini soli, seri, che potrebbero sacrificarsi un po’ di ore, un po’ di tempo alla gioventù e io penso che, proprio do...do un po’ la colpa, si...questo devo dire la verità, che la chiesa fa troppo poco per i giovani, che la chiesa dimentica che questi giovani, dovrebbe aiutare di più quella famiglia di guardare, di tenersi più possibile in casa suo padre o sua madre o zio o zia quello che c’è, che non ha nessuno. Di non mandarli all’ospedale, di non mandarli nei ricoveri”[15].
Il senso della responsabilità conduce il ritualista a farsi carico dei problemi ed a manifestare un grande bisogno di giustizia.
Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati. Qui sta l’ambivalenza: accettare il suo bisogno di giustizia, senza perdersi nella paura e nell’ansia del controllo e considerarlo un bisogno[16], tra i tanti della condizione umana, oppure sentirlo come un imperativo categorico a cui obbedire per partito preso, per missione o dovere. La religiosità è imprescindibile dalla ritualità, pur se essa può essere ambivalente: è infatti fondamento e conferma della fede, sostiene nei momenti di incertezza ed impedisce le regressioni verso stadi più primitivi, dubbiosi, evanescenti della condivisa conquista del rapporto con Dio. Ma può anche essere totalizzante, inclusiva per pochi ed esclusiva per molti, priva di senso del limite, di innovazione, di ricerca e di evoluzione verso altri stadi, più complessi e maturi, della conquista di religiosità da parte dell’uomo. Questa condizione è specificamente presente quando religione e cultura si fondono e diventano identità “definita anche dalle sue manifestazioni del sacro e del rito, che garantisce una appartenenza ad un gruppo preciso, etnico, nazionale, sociale, che fornisce in cambio una certa stabilità sociale, uno statuto, una visione del mondo, una maniera di pensare, in breve, come si è detto, una cultura, ma che può caratterizzare quello che alcuni definiscono “nuovo tribalismo” per indicare il riemergere dei localismi, delle identità di gruppo etniche e, più in generale, un nuovo rapporto tra territorialità della religione e identità” [De Vita R., 2001: 41].
Il militante
La persecuzione, agita e subita, è l’aspetto più inquietante della espressione della religiosità: l’uomo che agisce volendo realizzare la giustizia nell’ordine delle cose, spesso perseguita o viene perseguitato per il suo impegno. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di loro è il Regno dei Cieli.
Chi è il militante? é colui che è spinto dalla sua energia a dare il massimo dell’impegno, che è energia, spesso nella forma sublimata dell’ardore, e rappresenta il lato virtuoso della rabbia, applicato alla trasformazione del mondo. Il militante non è contemplativo, non è convenzionale, non si ferma di fronte alle difficoltà. Tira dritto verso la sua impresa senza lasciarsi distogliere da dubbi e incertezze.
Costruisce e difende le sue costruzioni dai predatori, dai mistificatori e dai falsificatori. Nel suo costruire si sente perseguitato perché, in solitudine di fronte ad una impresa, non può opporre, di fronte alle critiche ed alle squalifiche, nessuna altra certezza che la dottrina. Non riesce a capire perché gli altri non capiscono. Il militante è un membro attivo, un combattente[17], un estremista, un crociato, un fondamentalista. Attraverso il suo impegno si realizza e, fino a quando è orientato nelle realizzazione delle opere e della loro contingente concretezza, riesce a dare il meglio di sé ed a realizzare imprese eccezionali. Quando il suo impegno incontra ostacoli diventa pericoloso perché scivola sul piano della lotta, dottrinale, logica, oppositiva, armata.
La tipologia sociologica di questo gruppo è assimilabile a quella della “religione vitale” [Canta, 1995] espressione che ha un significato ben diverso da quello attribuito da Martelli [1995] di “un fedele che si riconosce nella Chiesa senza riserva alcuna”, “praticante assiduo e fervoroso…ligio nella osservanza di tutto…Manifesta di avere alle spalle una buona preparazione religiosa, dovuta anche ad una vicinanza all’istituzione ecclesiastica, nei confronti della quale mostra un atteggiamento positivo e di fiducia incondizionata. Per questo motivo ritiene che non siano da introdurre novità nella vita e nell’organizzazione della Chiesa” [Canta, 1995: 246].
Il militante è, però, dimentico dell’amore[18] poiché la sua dottrina esalta l’azione. Diventa autoreferenziale ed abbandona la principale proprietà della ricerca religiosa: il senso del limite. Egli ha bisogno di scoprire entro sé l’orientamento della sua energia, altrimenti diventa del tutto simile a ciò che combatte. “E' un pensiero che può sembrare poco caritatevole, ma ho paura che molti extra-comunitari che arrivano possano essere mandati per convertire noi e non per adeguarsi loro, non alla nostra religione se non ci credono, se sono già partiti con un'altra fede, ma eventualmente per imporre a noi le loro abitudini. Quindi io contesto molto la politica attuale che è accogliente senza regole, senza misure e senza controlli. Questo mi fa temere, oltre che per la sicurezza pubblica, si comincia già a vedere in giro che non funziona, ma anche proprio ho paura per la fede, perché una frase che lessi su Avvenire tempo fa, di un capo islamico di cui non ricordo il nome, diceva: «Grazie alle vostre leggi vi invaderemo, grazie alle nostre leggi vi domineremo». Per me la fede cattolica è la Verità portata da Cristo, e vorrei che fosse la nostra ad essere portata agli altri, perché è la fede che dà la serenità, che dà l'amore, il perdono, la misericordia, anche la giustizia, però dà pace. Quello che conosco delle altre fedi non dà tutto questo e ho paura che siano le altre fedi una minaccia, le altre religioni una minaccia anche per la nostra fede. ...Sull'argomento dei Testimoni di Geova, come si muovono oggi, io anni fa sono rimasta abbastanza male di non aver saputo rispondere a delle obiezioni che mi facevano, a delle accuse che facevano contro la mia Chiesa. E il compito mio e di tanti come me che hanno fatto, che fanno parte di questo movimento, che hanno avuto questi insegnamenti di evangelizzare e quindi di riportare le persone alla Chiesa”[19]
Sul piano psicologico gli esiti pericolosi sono quelli del paranoico o del depresso: deve trovare a tutti i costi dei nemici o finisce per rivolgere l’aggressività verso se stesso. “Tu mi chiedi ma perché eri ateo? Perché in fondo sapevo che Dio esisteva. Non inconsciamente, consciamente sapevo che Dio esisteva, ma lo rifiutavo. Perché ero un ribelle. Io ero ribelle, io sono scappato di casa, sono andato via di casa… Lavoravo, mia moglie lavorava, a un certo punto è successo che sono andato in depressione, m'ero licenziato dal lavoro e non andavo più a lavorare, prendevo le pasticche, ero andato dallo psicologo, per uscire di casa, perché avevo paura, avevo paura di tutto e di tutti, che mi inseguissero con le macchine, la gente, se mi guardava. Mi sembravano tutti cattivi, che volessero farmi del male. Per uscire e andare al lavoro, per uscire di casa, dovevo avere queste pasticche in tasca, dovevo prendere le pasticche. Ma quando si ha la morte nell'anima, perché l'anima muore, e muore per i peccati, e quella è la morte ontologica, è la morte dell'essere. Io perché avevo paura di tutto e di tutti? Per la depressione, La depressione è la morte dell'anima. E' data dai peccati che uno commette. Allora quando l’anima muore tu vai in depressione, oggi la chiamano depressione, è la morte dell'anima. Tante volte per prendere in giro qualcuno diciamo: Sembra un morto che cammina. Io ero un morto che camminava. Perché ero lontano da Dio, come Caino. Avevo venduto l'anima al demonio, perché il diavolo esiste..., anche quando la mattina vado a messa, tante volte è tanto forte il sentimento che diventa un pellegrinaggio, capisci quello che ti voglio dire”[20].
Tutte le religioni hanno militanti: se orientati dalla scoperta dentro di sé del loro senso del limite ed impegnati a implementare nella realtà i valori, attraverso la costruzione di opere, diventano indispensabili costruttori del futuro dell’umanità; se sono confermati dal gruppo a cui appartengono nel loro bisogno di sentirsi eroi, diventano pericolosi distruttori della pace e della convivenza. Invece di costruire il futuro verso il quale si sentono chiamati, inducono lo sviluppo umano verso la regressione.
Il ricercatore. È rappresentabile sociologicamente nella categoria del “conoscitivo” [Martelli, 1995]. Egli vuole sapere la verità. Questo desiderio lo spinge verso il nuovo, lo sconosciuto, con un approccio a metà tra il mistico e lo scienziato.
“Sono un uomo che cerca, ma non so quello che cerco sarò soltanto uno, in mezzo a tanti altri? Il mio discorso non sarà notato in modo particolare. Sto cercando ma è una cosa molto vasta, mi faccio alcune domande che tutti dovrebbero farsi. Il senso della vita, dove andiamo a finire, qual è il segno che rimarrà in seguito alla nostra esistenza. Ma c’è chi ha una formazione intellettuale e non si fa tante domande. Credo che sia più il mio temperamento che fa sì che… E’ per quello che invidio coloro che non hanno questo tipo di problema. Non posso nemmeno dirmi un osservante perché è di tanto in tanto, sono un individuo di base come un cittadino di base che ha il diritto di riflettere, eventualmente di avere le sue idee… dubbio metodico… Io sono molto individualista, lo so e ritrovarmi in una atmosfera simile, mi dico… è una cosa che ha lasciato il segno, soprattutto a me (che) davanti a certi avvenimenti mi fa reagire con un po’ di distacco”[21].
La motivazione culturale di ricerca ha, in sé, il senso della promessa che sarà esaudita: tutte le contraddizioni dell’esistente saranno ridotte e la beatitudine del ricercatore sarà giungere all’esito. Se la sua fatica mentale, di analisi, di ricerca e di azione sarà svolta con onestà, franchezza, pulizia interiore e purezza di cuore, allora, addirittura, vedrà Dio. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. È questa la promessa che ogni sincero ricercatore sente dentro di sé.
“Sono venuta, però, a Roma con uno spirito, forse, diverso dalla pellegrina; sono venuta un po’ scettica, perché non credo al fanatismo. Allora mi sono ricollegata un po’ ai libri; ho cercato di leggere profondamente la Bibbia, il Vangelo specialmente, per capire appunto perché è importante il Giubileo, il Giubileo dovrebbe essere ogni giorno... Non è neanche tanto importante andare ai santuari… Mi sono inginocchiata davanti alla Porta Santa, sono andata alla chiesa di San Giovanni, e ho provato una emozione grandissima; l'ho fatta in ginocchio. «Spirito consolatore, ho chiesto, ma veramente questa gente sta pregando insieme a me, insieme al Papa? ». Ecco io sento ancora questa confusione. «Dove sta sbagliando la chiesa? », «Sta sbagliando nell'avvallare certi atteggiamenti?». Allora io non condivido questi atteggiamenti. Io ho parlato con molti sacerdoti, non vado a confessarmi spesso, io parlo, discuto; qualche volta, dico, che mi appoggiano. Non mi commuovo quando dico il rosario e non lo so perché, non riesco a provare quello che provano gli altri. Sono andata perché voglio andare alla ricerca della verità, non sono mica atea, non sono mica... no, io voglio essere cattolica, sono innanzitutto cristiana, voglio essere cattolica però voglio che la mia religione riveda alcuni aspetti”[22]. La ricerca di verità può diventare estenuate giacché rende costantemente divergente il pensiero; in questo processo c’è il rischio della contaminazione giacché nulla della certezza di conoscenza è consolidato. Tutto può sempre essere messo in discussione, anche le acquisizioni più semplici e banali. Il ricercatore, elevato alle altezze eteree della comprensione, perde di vista la semplicità della vita quotidiana e il suo sapere è una lama a doppio taglio. “Alla chiesa di Pergamo scrivi: so che abiti dove satana ha il suo trono; tuttavia conservi fedelmente il mio nome e non mi hai rinnegato…Ma ho da rimproverarti alcune cose:… lì ci sono alcuni che fanno scandalo, mangiano carni sacrificate agli idoli e fornicano e alcuni che hanno l'insegnamento dei Nicolaiti. Ravvediti dunque altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca… al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve (Apocalisse, 2,12)”.
L’aspirazione umana alla conoscenza ed alla verità è intima essenza del pellegrinaggio, ma senza logica e verifica del senso del percorso, può giungere a contaminarsi perdendo la purezza dell’intenzione del suo cuore. Il pellegrino ricercatore ha in sé questa complessa ambivalenza: partecipa all’esperienza del pellegrinaggio ma, al contempo, la studia e la valuta. Fin qui esprime una saggia sintesi ma il suo passo successivo è un ulteriore distacco: l’esperienza vissuta diventa solo il pretesto per il suo ragionamento e il ragionamento spegne la sua attività quando la tentazione di seguire “l’idea che spiega il significato” è prevalente. Nel suo orizzonte mentale ha rilevanza solo l’insieme di dati percettivi raccolti ed egli oscilla tra la costruzione di una visione totalizzante e l’angoscia del relativismo, sempre dietro l’angolo, inquietante e gravida di qualche possibile parto nichilista. Egli ha bisogno di calarsi nella concretezza della vita giacché la verità pura è accecante ed abbagliante e, se non diventa passo passo realtà della vita quotidiana, diventa superbia e perdita di sé. “Questi soggetti si ritengono religiosi ma non attivi, riconoscono l’importanza e la funzione della religione senza però che costituisca un elemento vincolante per la propria vita…sono reduci da una crisi religiosa o la stanno vivendo” [Canta, 1995: 248].
Questo approdo è conseguenza della luce abbagliante di una verità solo mentale e non esistenziale. L’esperienza di questa religiosità è spesso drammatica poiché, ove il “ricercatore” perseveri nel suo “chiamarsi fuori” dalla realtà, può rischiare di perdersi nel nulla.
L’emozionale è il turista del Giubileo.“Siamo cattolici, parigini, e attivi nella nostra parrocchia. Anche mio marito fa il catechismo ai bambini, quindi vede… è veramente un pellegrinaggio! Anche molto turistico: l’Italia ci piace molto, ci sentiamo molto mediterranei anche se abitiamo a Parigi, e passiamo qui un bel periodo, visitiamo le chiese ma facciamo anche passeggiate. Siamo andati a Piazza Navona, mangiamo gelati, c’è un po’ di tutto nel nostro viaggio… Spiegare ai nostri figli che cosa sono 2000 anni di cristianità, quindi vedere le catacombe, vedere… i più grandi studiano il latino quindi dice loro qualcosa, il Foro Romano, gli inizi dell’era cristiana. Roma meravigliosa ma c’è un disordine invivibile… Certo ci sono dei lati diversi da Parigi, ma non mi sembra… anzi per certe cose funziona meglio qua… gli autobus funzionano molto meglio che a Parigi, mi pare…”[23].
“Piuttosto turistica, e anche artistica, penso che è importante, ma non sono molto, sono credente…ma pratico poco. Diciamo il significato del Giubileo, io lo vedo…. Come il raggruppamento di tutti i cristiani del mondo intero per un certo periodo, sapendo che il Giubileo di regola avviene ogni…. Ogni quando? Pensavo che fosse veramente una grandissima porta, come tutti del resto, una volta arrivato a San Giovanni sono rimasto di sasso… “la porta santa è questa…? c’è un connotato molto importante dietro… Se cerchi di fare una trasposizione con la vista, per me era la porta più imponente, più maestosa, quella che si apre difficilmente, quella che si chiude difficilmente, appunto com’è a San Pietro e a San Giovanni, la porta di legno, devi vedere la serratura! Per me era quella la porta santa. Invece no, è quella piccolissima che si può aprire e chiudere in qualsiasi momento. Ero un po’ sorpreso! Non sono venuto a Roma a causa del Giubileo, c’è una coincidenza, e… ma è vero, essere immersi in un ambiente così, pieno di chiese, immergersi nel Giubileo, così, sono più portato a farmi domande su me stesso, sulla mia vita, sul mio futuro. In qualche modo, indirettamente, è vero che il Giubileo fa qualcosa anche nelle persone che non si sentono veramente coinvolte”[24].
Il viaggio turistico è un’occasione per trasferirsi in un altro luogo ma manifesta già in sé alcuni connotati di apertura legati alla sua occasionalità ed alla possibilità di modificare il ritmo della vita quotidiana e di essere, e sentirsi, diversi. “Il viaggio… è, invero, anche un processo di identificazione progressiva con l’essere superiore a cui il pellegrino si rapporta. La simbiosi finale è raggiunta quando i due elementi (il viandante e la divinità, o la sua rappresentazione), entrano in contatto, talora anche diretto, tra di loro: è il momento dell’indianazione, del trasecolamento, del superamento del tempo e dello spazio, del continuum umanità-divinità che per i cristiani ha nella figura del Cristo una personificazione manifesta (ma anche Buddha e Maometto, come parametri assoluti di riferimento per il pellegrino, rivestono caratteri abbastanza simili e perciò comparabili)” [Canta C., Cipriani R., Turchini D., 1999: 43]. Questo tipo di pellegrino è animato da una religiosità centrata sulla esperienza delle emozioni.
“...atmosfera che in teoria dovrebbe esserci, in realtà, secondo me, si avverte relativamente. Ci sono molti turisti, pellegrini, gente che si vede che gira ...eh ..., guardandosi intorno, cercando, appunto atmosfere… Quindi la mia religiosità è molto varia, variata, è sempre una ricerca costante, un arricchimento continuo, un percorso che non finisce mai, dove ogni tanto ci sono delle scoperte… Io son convinta che, comunque, il Signore non sia né vendicativo, né punitivo, né niente di tutto questo e comunque non è mai stato scritto, però perché poi a noi il messaggio arriva completamente ribaltato, per cui oddio ho fatto questo verrò punito, oddio ho fatto quell'altro ed è sbagliato. Anche il Signore che si esprime, che dice delle cose, di un amore assoluto, di una religiosità assoluta, dove non c'è condanna, dove c'è, e c'è questo bi, questo insegnamento alla fede assoluta, che è molto difficile, ma no,.non c'è mai un rigore, non c'è mai una pretesa di perfezione, c'è una pretesa di apprendimento. La tua razionalità non deve essere una difesa per l'emotività, per l'istinto, deve essere una cosa fluida che unisce le due cose insieme”[25].
“Un caleidoscopio di sensazioni, impressioni emozioni pervade il visitatore: la contemplazione della bellezza diventa anelito interiore, innalzamento spirituale, arricchimento culturale. La scelta di questa modalità risulta maggiormente correlata a coloro che sono andati a Roma spinti da motivazioni «turistiche»… il fatto di appartenere alla Chiesa cattolica qui non risulta così discriminante (se non) per i fedeli più impegnati…(che) sono stati colpiti dalle basiliche minori o dalle catacombe, dove forse sono possibili un maggior raccoglimento e un diretto contatto con la reliquia del martire: in questo caso l’ossimoro il «corpo dello spirito» si rivela molto efficace per descrivere l’esperienza” [Berzano R., Teagno D., Il pellegrino giubilante, in Cipolla C., Cipriani R., 2002: 54].
Siamo su un punto di confine tra l’atteggiamento esperienziale e turistico e quello penitenziale. In questo modello idealtipico “emozionale” è contenuto il motore dell’emozione di base della “fusionalità del piacere”, intesa, come già detto, nel senso di un movimento desiderante verso vissuti intensi e coinvolgenti e di nostalgia nell’allontanamento da tali vissuti.
“Sono andata in Terra Santa, ecco, lungi da qualsiasi debolezza di tipo devozionale; il paesaggio bello, un po' esotico, anche il deserto, ma quello che mi ha commosso è stato proprio la preghiera e vedere più confessioni, più pellegrini, i coopti ... La ritualità, ecco e l'ho riscoperta in un altro modo; l'ho riscoperta come desiderio anche di ... diciamo ... di ... di ... non lo so... Ho ritenuto di socializzare, di identificarmi anche con tutti gli altri, ho visto persone gioiose, contente, da una parte ho considerato un po' il turismo religioso, che, forse, diciamo, è anche una realtà ... molto diffusa, dall'altra parte, mi sono detta ehmbéh,... Solo adesso mi accorgo che approfondivo un po' me stessa. Da bambina quando mi raccontavano della passione di Gesù, io avevo cinque anni, io andavo a letto, dormivo con le mie amiche perché ero in collegio, dovevo mettere il lenzuolo in bocca, perché alla memoria di quello che avevo sentito della morte di Gesù, della sua sofferenza, il pianto era così dirotto, così violento, che non mi potevo far sentire dagli altri che piangevo, che avevo scoppi di pianto violenti per questa cosa. Mi è capitato di ritornare alla messa e mi commuovo e mi commuovo di nuovo”[26]. Il desiderio di piacere non è “possedere” il piacere ma farne esperienza (essere posseduti dal piacere) in modo totalizzante. Il termine fusione è efficace per esprimere l’abbandono alla sensazione di piacere per lasciarsi coinvolgere in esso con una perdita di confini.[27] Il tema è difficile poiché, nel riferimento al piacere, si costeggia il modello di piacere più intenso che possa essere sperimentato sul piano psicobiologico, e cioè il piacere sessuale, la cui intensità è seconda sola all’estasi mistica. In ambedue, nel piacere mistico e in quello sessuale, v’è fusionalità ed esaltazione, tanto da farli sembrare simili o, almeno, rassomiglianti; chi è orientato in modo critico verso la religiosità sottolinea frequentemente tale rassomiglianza. La letteratura psicoanalitica ed antropologica[28] sull’argomento è nota, al punto da aver costruito una specifica cultura “diffidente” verso l’esperienza del misticismo con un processo di inibizione e di distanziamento che, per l’effetto paradossale della secolarizzazione contemporanea, lo rende ancor più desiderabile. Non è un caso che l’inibizione attuale nelle religioni rivelate[29] (che contemplano un "fondersi" solo relativo e, in un certo senso metaforico, con Dio) abbia condotto allo scivolamento verso il misticismo New Age[30], che mescola diversi tipi e piani dell’esperienza emozionale con l’esperienza mistica, senza tener conto della fondamentale distinzione ontologica uomo-Dio.
I pellegrini “emozionali” sono anche coloro che hanno provato maggiore “pena”, “tristezza”,”sconforto”, “compassione”, alla vista della presenza dei poveri intorno alle basiliche romane. L’emozionale risponde alla beatitudine della misericordia: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Esposta al desiderio e al rischio di contaminazione, la religiosità emozionale è anche, contemporaneamente, esposta alla forte percezione del dolore altrui ed al moto interiore di generosità.
“Se c’è tanta fame nel mondo bisognerebbe pensare di investire forse diversamente questi soldi, perché Dio non penso che abbia bisogno di tutti questi... della maestosità che circonda queste...queste manifestazioni. Mi è dispiaciuto, questo nel passato, sentir parlare troppo di scandali, di investimenti, di interessi che ruotavano attorno a delle spese che si dovevano fare. Stamattina ho visto una signora e sicuramente non era italiana perché anche dal modo di vestire aveva il capo coperto, cercava qualcosa in una.. .in un cassonetto della spazzatura, nei nostri centri queste cose non capita di vederle... e sono rimasta molto dispiaciuta”[31].
Il convenzionale può rientrare “nel gruppo «religione della memoria» (in cui) possiamo ritrovare i soggetti che rientrano nella «religione diffusa come condizione». Confluiscono qui i soggetti con una religiosità «passiva e indifferente» ma non mancano i critici nei confronti della Chiesa” [Canta C., 1995: 256]. L’esito è “un sostanziale disimpegno che si traduce in assenza di militanza” [Cipriani R., 1992: 175].
“Io sono
credente, perché mia madre è credente. È cresciuta insieme a sua nonna che era
italiana e così lei è stata cattolica da sempre. È divertente andare in giro
come un gregge tutti col foulard grigio e rosso. Io mi diverto da pazzi. Ma io
mi diverto con poco e poi la sera racconto le barzellette e tutti si divertono.
Ho visto tutti quei monumenti antichi... fa impressione pensare che stanno lì da
tanto tempo. A me piacciono di più le cose moderne. Mi fa paura pensare che
quelle cose si portino dietro secoli e secoli... mi fa pensare alla morte, al
fatto che io sono solo una briciola, paragonata a quelle cose”[32].
Berzano e Teagno discutono così dei pellegrini secolari: “é il gruppo più individualista e secolarizzato che non aderisce pienamente alla religione di appartenenza e che si identifica parzialmente nei valori religiosi: ha una pratica saltuaria e occasionale” [Berzano L., Teagno D., in Cipolla C., Cipriani R., 2000].
La prima connotazione di questa tipologia è il disimpegno ma una osservazione attenta alle storie di vita mostra un secondo risvolto, assimilabile, con un certo sforzo, a quello che Martelli individua, pur se in termini problematici, nella tipologia “coscienziale-ecclesiale”.
Se, infatti, osserviamo più in profondità il significato di “convenzionale”,
purificandolo dalla nota di biasimo che, per la maggior parte degli usi, tale
espressione contiene (con i connotati di passività, artificiosità, mancanza di
originalità e naturalezza), si perviene ad un concetto di pacifica esperienza di
religiosità mistica. Per tal forma di religiosità i valori non sono da
ricercare nel mondo della relazione intersoggettiva, nella cultura e nella
storia (pur essendo quelli i luoghi in cui si esprimono) ma nell’intimo
dell’uomo. Così facendo l’uomo trova in se stesso l’essenza che possiede il
massimo di significato: il contatto e il possesso della sua anima.
Tale convenzionalità del pellegrino ci appare in un’altra luce, come ricerca di
quiete: egli fluisce nel pellegrinaggio e nelle sue tappe. In questa
tipologia del convenzionale è più significativa che altrove l’ambivalenza del
comportamento che rende evidente il problema della avalutatività di una indagine
sulla religiosità[33].
Si osservino i diversi poli dell’ambivalenza: il vissuto del convenzionale può derivare dal bisogno di rimuovere problemi
della vita quotidiana e scivolare in una sorta di oblio facendosi trasportare
dal flusso della folla e dal trascorrere del tempo. Oppure essere espressione di
una consapevolezza pacifica e tollerante nel contatto con il mondo e
manifestarsi come un processo di incantamento e contemplazione.
Si può diventare convenzionali apatici a seguito di lutti, abbandoni o dolori,
oppure quando non si siano ricevuti sufficienti stimoli e spinte alla
motivazione o quando le azioni, o i propositi, o gli impegni assunti siano stati
ripetutamente squalificati; l’apatico si avvolge nei suoi pensieri e fantastica
di compiere le azioni che dovrebbe fare nella realtà.
Il convenzionale contemplativo si manifesta, invece, con la dote di essere un portatore di pace. La sua capacità di fare calma, di non lasciarsi coinvolgere dalle emozioni e dai conflitti, lo rende in grado di spegnere le tensioni e raggiungere la pace interiore.
“Ho colto
l'occasione ...del giubileo per ritrovare vecchi amici ... Ho molte incertezze
eh ... e vorrei, se fosse possibile ... eh ..., trovare anche qualche risposta;
e, allora, diciamo, con disciplina ho deciso di provare questa esperienza del,
del giubileo. Sia espletare da cattolico l'esperienza del giubileo e sia per
rivedere vecchie amicizie e, magari, forse ... magari non la troverò girando...
le basiliche romane e magari una sera chiacchierando con i miei amici forse
troverò qualche spunto più ... più interessante o forse qualche risposta. ... A
me la cosa che veramente mi piacerebbe, eh ..., a parte tutti gli altri
discorsi, e che alla fine di questa esperienza, io veramente, trovassi un, uno
spunto che mi rassicuri a me personalmente come esperienza religiosa”[34].
“Mi
piacerebbe riacquistare questa fiducia, perché penso per un cattolico, noi siamo
nate cattoliche ed è una tradizione, tutte nella mia famiglia sono cattoliche,
mie nonne, voglio dire, sono molto anziane, però domenica mattina e comunque
devono uscire di casa ed andare in chiesa..., perché no poi magari eh...
trasmetterle anche alla mia nipotina, perché vorrei che insomma non piangesse
più, perché eh... insomma eh... uno di noi un giorno dovrà morire, purtroppo fa
parte della vita, e vorrei che lei l'accettasse in maniera meno drammatica. Le
risposte che la chiesa dà sono necessarie, perché nessun altro è in grado di
sostituirsi, almeno nelle risposte, e ...alla chiesa, alla religione, poi la
chiesa, io dico chiesa, ma comunque alla religione. Ognuno di noi si preoccupa,
ma che però poi cerca di esorcizzare per poter vivere questa vita in maniera
meno ...meno dolorosa, meno pesante”[35].
Il saggio capace di quiete e contemplazione è un soggetto estremamente vivo ed attivo dentro di sé; il suo rapporto con il mondo è di partecipazione ottimistica e amorosa. In tal caso ha una grande capacità di coscienza e riesce a rimanere, senza drammi, crisi e criticismi, all’interno della dimensione ecclesiale, conoscendone ed accettandone i limiti in ragione del contatto profondo con la sua personale umanità. Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Il significato che assume la accettazione della personale umanità è proprio quello di questa figliolanza che sa accettare l’etica dell’alterità, e cioè la fratellanza con l’altro. Il risvolto critico dell’indifferente è il messaggio alla Chiesa di Sardi. “Sei vivo di nome e invece sei morto” (Apocalisse, 3) e continua dicendo: se ti non svegli verrò da te come un ladro. Pochi di voi camminano in me con vesti bianche. Il vincitore avrà vesti bianche e non cancellerò il suo nome dal libro della vita (riassunto). Nel tipo convenzionale l’ambivalenza è radicale perché gravita intorno al problema se quel soggetto “convenzionale” sia spiritualmente vivo o morto.
L’intimista è il pellegrino “esperienziale” e cioè colui che “avverte una Presenza superiore” ed è il più vicino al processo penitenziale, al sacrificio ed alla purificazione. “Il bisogno di purificazione è espresso sia attraverso la confessione dei peccati, sia attraverso l’ottenimento dell’indulgenza. La penitenza è il momento necessario per la remissione delle pene” [D’Agostino F., Vespasiano F., Il processo rituale e l’esperienza penitenziale, in Cipolla C., Cipriani R., 2002: 82]. Il modello dell’incontro con Dio dell’intimista è nel silenzio, nella solitudine e nel dolore. “Potremmo dire che l’esperienza del divino è più frequente e forte nei momenti in cui l’uomo è più creatura. In questi momenti… l’uomo si trova di fronte all’immensità del creato e alla difficoltà della vita… disperatamente solo di fronte alle potenze esteriori. Quando la solitudine non viene riempita dalla divinità, si trasforma nell’esperienza del vuoto, in disperazione, appunto in loneliness. La solitudine è l’esperienza dell’uomo inserito nel cosmo sacralizzato, mentre l’esperienza della loneliness è quella dell’uomo disperatamente solo nel mondo, disperso ed errante nella foresta dei simboli” [D’Agostino F., Vespasiano F., Il processo rituale e l’esperienza penitenziale, in Cipolla C., Cipriani R., 2002: 82]. La distinzione tra solitudine e loneliness è centrale per comprendere l’ambivalenza dell’intimista nel suo modo psicologico o spirituale di affrontare la sofferenza.
“Ho
lavorato per molto tempo, ho studiato… la mia meta era fare qualcosa, imparare
qualcosa. All'inizio ho fatto diversi tipi di lavoro, in banca, poi ho fatto
l'università, psicologia. Ho iniziato a lavorare con malati terminali…Traumi
psicologici, perché ci sentivamo inferiori, perché prima avevamo una vita
discreta, all'epoca della rivoluzione avevamo una vita normale, mio padre era un
militare…un giorno all'improvviso sono venuti alcuni militari e hanno portato
via tutti, anche mio padre. Siamo rimasti senza niente, mia madre, povera donna,
ignorante, non sapeva fare niente. Mio padre non ci ha lasciato niente, noi
vivevamo del suo stipendio... i miei fratelli erano ancora piccoli, avevano
fame. Mia madre ha dovuto cercare un lavoro… Ricordo che quando volevo uscire la
sera, quando tornavo mi mettevo a dormire, sognavo topi, che per me erano una
sorta di demoni, di diavoli nella mia vita. Siccome ho paura dei topi, tutte le
volte che volevo fare qualcosa che andava contro i principi che aveva stabilito
mio padre all'interno della famiglia, io sognavo i topi. Solo dopo che ero
diventata adulta ho superato questo problema… ero molto timida, non riuscivo a
socializzare, non parlavo, ero troppo chiusa, così il mio capo mi ha licenziato
e sono rimasta senza lavoro...”[36].
Il significato del messaggio a Smirne[37] è che la ricchezza spirituale (tuttavia sei ricco!) ripaga le sofferenze e conduce al di là della sofferenza e del sacrificio. Dal punto di vista antropologico il sacrificio, che è metafora della rinuncia a qualcosa data a un Dio in cambio della sua benevolenza, cambia la sua natura da quando Dio ferma il braccio di Abramo nell’atto di sgozzare il figlio Isacco, sostituendo a lui il capro espiatorio. Nello sviluppo della religiosità si è dapprima sostituito il sacrificio umano con quello di animali che poi, progressivamente, è stato dismesso e trasformato in sacrificio interiore con una sua specificità mistica. Per affrontare la tipologia dell’intimista può essere utile comparare la concezione buddista, che non attribuisce valore alla sofferenza, e la concezione cristiana. La dottrina buddista conduce ad una saggezza che mette a nudo i sentimenti negativi e conduce all’anestesia dalle passioni: una sorta di ipnosi che permette un controllo mirato dell’attenzione senza perdita di coscienza. La dottrina cristiana, che eleva il valore della sofferenza a simbolo della redenzione, propone la preghiera interiore, fondandola nella povertà, nell’umiltà e nella sofferenza dello spirito e del cuore. Ambedue si ritrovano nella tipologia dell’intimista, la cui ambivalenza si dispone sui due poli, psicologico e spirituale, dell’atto meditativo. L’intimista percorre le tappe dell’analisi del sé, della sofferenza interiore, conosce e pratica il sacrificio di sé per comprendere il senso del dolore ed appropriarsene mediante il sacrificio.
“Poiché frequentavo le scuole gestite dai missionari francesi, penso di essere
stata educata all'individualismo…mi sono ammalata e fui ricoverata. Mentre ero
all'ospedale, i malati vicini morivano uno dopo l'altro e anche le condizioni
della mia salute peggioravano: ho pensato a un certo momento di non farcela. A
quel punto ho sentito la necessità di essere battezzata… Quando non riuscivo più
a parlare e quando gli altri radunati intorno a me non capivano il mio
desiderio, io pensavo che avrei voluto essere battezzata. Mi sembra che questa
vicenda sia stata l'occasione che mi ha dato la spinta. Quando ho ricominciato a
parlare, dopo sei mesi, mi sono trasferita a Osaka a causa del trasferimento di
mio marito…se io andavo a messa, al ritorno trovavo mio marito molto antipatico
verso di me, nonostante non obiettasse a parole la libertà di fede... Io non
avrei dovuto interessarmi a ciò che diceva la gente, anche perché mio marito è
diventato poi una persona normale e modesta. Allora anch'io venivo ritenuta
responsabile se mio figlio non era bravo a scuola. Sotto questa pressione io
stessa ho pensato di dargli la massima istruzione... Come prevedibile, ho
fallito totalmente. Cominciava a non andare bene il rapporto con mio figlio… Io
pensavo che il fatto che non andassi in chiesa facesse bene alla mia famiglia,
invece secondo lui io lo costringevo a credere in Dio, mentre non frequentavo la
chiesa…In Giappone i ragazzi di oggi tendono a non dare importanza alla vita e
non capiscono i dolori degli altri: quanto fa male quando uno viene picchiato,
fino a che punto, quando uno viene picchiato, muore ecc. Si dice che ci sono
ragazzi che dicono apertamente di poter uscire dal riformatorio dopo uno o due
anni anche se assassinassero qualcuno. Ho deciso di partecipare a questo viaggio
di pellegrinaggio con mia figlia, cosi può conoscere modi di vivere diversi…lei
stessa ha espresso il desiderio di partecipare... Gli altri genitori direbbero
che io sono una stupida e strana genitrice che permette alla figlia di viaggiare
all'estero nell'estate dell'ultimo anno della scuola. Quando vado in chiesa
(dove non sono rimproverata da nessuno) mi viene a volte da piangere come per
allentamento psicologico, e grazie a questo penso di andare avanti. Anche mio
figlio si è tinto i capelli di marrone e porta gli orecchini. Penso che questo
comportamento possa rivelare il desiderio di essere al centro dell'attenzione,
di appartenere a qualcosa. Forse non è guarito dalle ferite psicologiche causate
dalle violenze dei ragazzi a scuola ed ha sfiducia nei confronti degli adulti
che l'hanno permessa. Però lui è molto socievole. Anche adesso non ammette di
aver subito violenze, anzi lo nega ancora. E non ama che io parli di questo
argomento. Penso che sarebbe andata diversamente se lui avesse potuto opporsi ai
maltrattamenti. Mio marito gli ripeteva di opporsi ai bullisti, e poi lo
accusava di subire le violenze perché è incapace di opporsi. Mio marito, invece
di stare dalla sua parte, lo accusava di non sapersi difendere. Cosi lui ha
continuato a soffrire. Il mio sentimento coincide a volte con quello di mio
figlio, si può capire veramente quando ci si è trovati nella stessa situazione”[38].
Per
l’intimista il dolore è originario poiché risale alla primaria
vergogna di esistere di fronte all’onnipotenza di Dio: tutti i passaggi
intermedi sono tappe. La sensibilità accentua il dolore, il dolore accettato è
sacrificio, il sacrificio è innalzamento, l’innalzamento è vacuità, la vacuità è
vergogna. Il dolore primario è dunque percezione della propria esistenza,
ed esistenzialità, sentita come inutile:
imbarazzo, pudore, inizibizione si accompagnano alla sensazione di
sentirsi “gettato nel mondo”, nudo,
disarmato e vulnerabile, senza scorza e senza maschere, pronto e disposto a
ricevere gli urti dell’esistenza in modo come colpi, laceranti.
Meno emerge il sé, meno è consistente il luogo in cui si ascolta il dolore. L’intimista ha grande capacità di sopportazione del dolore, egli ne è permeabile e si lascia trapassare per le basse difese e per la scarsa consistenza del sé. Valuta talmente poco se stesso che non attribuisce grande importanza nemmeno al dolore acuto, da cui si lascia trafiggere senza rifiutarlo, evitando così la metabolizzazione del dolore in sofferenza continua e sfibrante. In questo passaggio si può osservare la profondità della possibile ambivalenza dell’intimista: bersaglio del dolore in ragione del senso di inutilità della sua esistenza (e dunque masochista che gode della propria condizione psicologica di eterno penitente) oppure asceta che accetta spiritualmente il dolore e lo supera. Beati gli afflitti perché saranno consolati. In questa visione egli possiede il valore dell’umiltà: è parte della terra, del dolore, delle difficoltà, della fatica che regge nonostante (o in ragione di) una fortissima sensibilità. “…venire a riconoscere se stessi, piccoli davanti al Signore e farsi piccoli per passare la porta, o le porte. Le porte strette che conducono alla vita eterna. Non mi considero pia, non so e etimologicamente non so, tra pio e osservante, non so… Non mi sento nella categoria dei pii. (La fede) una volontà personale? No, per niente! Un regalo, una provvidenza, una grazia. In quest’ordine di idee. Che mi chiama nella mia libertà. Posso o non posso. Il nostro è un processo di gruppo, nel gruppo c’è chi “peregrina”, fa il proprio percorso di penitente, viene a riconoscere che è piccolissimo davanti al Signore e deve ricevere tutto da lui, fa questo atto di umiltà”[39].
Il devoto praticante. “Vi sono pellegrini che si sono lasciati trascinare nel viaggio giubilare per appartenenza ad un gruppo famigliare, parentale, amicale. Per loro le spinte motivazionali possono essere rintracciate nel desiderio di stare insieme” [D’Agostino F., Vespasiano F., Il processo rituale e l’esperienza penitenziale, in Cipolla C., Cipriani R., 2002: 81]. “La religione è un forte agente di coesione per le società e le culture: essa costituisce quello che viene indicato come “capitale sociale” cioè quell’amalgama di bontà, fedeltà, comunità, famiglia valori e norme morali che ci lega strettamente insieme in una società” [De Vita, 2002: 24].
“Nel caso mio specifico le motivazioni sono due: diciamo, una di ordine di richiesta di accompagnamento e di guida per un gruppo di, chiamiamoli, pellegrini, una motivazione personale che, vorremmo dire, viene unito, collegato con quanto riguarda un desiderio di poter essere presente a Roma e partecipare, con questo gruppo di persone, alle visite e...possibilmente...avere anche un aiuto morale. E' perché, come dire, uno quando si arriva a Roma si arriva per varie motivazioni: si può arrivare puramente da turista, si può arrivare magari per necessità di lavoro, e si può arrivare, invece, con una volontà di poter percorrere di fare quei percorsi di fede, che si sa, se uno è convinto che così siano, i percorsi di fede che duemila anni fa persone hanno fatto prima di noi, e che per duemila anni continuano a percorrere. E di cercare di ottenere quella fede che, forse, i primi cristiani avevano, che certamente oggi, penso, almeno, parlo per me, non è più quella; questa fede non è più così salda, così sicura. Si nasce, si è battezzati, si fa la Prima Comunione, ci si sposa in chiesa, tutto bene, però poi diventa una cosa un po’ lontana, un po’ assente la religione; forse in molte famiglie c'è una fede più salda, più profonda, penso che, invece, sia più un rito che non forse per un vero convincimento”[40].
Caratteristica emblematica del devoto è la ricerca di attaccamento, che si trasforma in appartenenza al gruppo per rispondere ad esigenze affettive ed ottenere la grazia della vicinanza e della prossimità agli altri, alla comunità ed a Dio. Il continuo bisogno di attaccamento deriva dalla rottura di questa grazia a seguito della separazione o della perdita (o della deprivazione) e si manifesta nella dipendenza. Il devoto per attaccamento si fa oggetto di se stesso e sente, come conseguenza, che, se non è unito con qualcuno, il suo sé è un involucro vuoto senza valore. Spesso disloca l’attaccamento verso oggetti sacri (dagli ex voto ai più comuni souvenirs) per naturale conseguenza del bisogno di attenzione: per lui sono vivi, li anima, dialoga con loro e li considera una estensione del sé. Il devoto è condiscendente, accetta ordini e proposte, non cerca di far prevalere la sua opinione purché vi sia accordo tra le persone e non avvenga nessuna separazione o allontanamento.
La sua proiezione verso gli altri lo rende riconoscibile per la sua dedizione
agli altri. “Siamo un gruppo che va a seguire seminari in case di
religiosi nel Canada e ritiri spirituali e c’è chi viene ogni anno, chi no, per
esempio l’anno scorso non ho partecipato ma due anni fa, si, ho seguito il
gruppo. Siamo un gruppo costituito, non abbiamo obblighi, ci incontriamo per
pregare a Cayenne, una volta al mese; ci sono riunioni di preghiera ogni martedì
sera, si partecipa in funzione del proprio bisogno di preghiera, di esprimersi
in modo… Di esprimere la propria fede in realtà… Il gruppo che è venuto alla
luce qualche anno fa, si chiama “Renouveau charismatique”. In realtà, sono laici
che si preparano a condurre un gruppo, vengono chiamati pastori, si preparano a
condurre un gruppo, formano piccoli gruppi in varie parrocchie che pregano, ma
in stretta collaborazione con i preti, perché mancano i preti in Guyane e quindi
i laici ora danno il loro tempo per raggruppare le persone… non era un gruppo
promiscuo, era un movimento solo di ragazze, era qualcosa di molto ricco,
imparavamo a vivere, a vivere soprattutto con i mezzi presenti nella natura.
Bisogna dire però che avevo circa diciotto anni, e ci sono stata poco come
giovane guida, credo di esserci rimasta un anno, ma poco dopo, vedendo che ne
avevo la possibilità mi hanno messa capogruppo… (nel mio lavoro ho)…molte
soddisfazioni, al punto che mi è dispiaciuto quando ho seguito la formazione per
dirigenti, perché quando si è dirigenti, dopo ci si occupa di gestione, di
organizzazione, di cose di questo tipo, invece da infermiera, stavo vicino ai
pazienti, e io ho avuto soddisfazioni veramente… Quando vedi il paziente molto
malato, lo hai curato e sta tornando alla vita … ah!.. sono cose che non si
dimenticano”[41].
Altre due sue caratteristiche sono l'imitazione e la sottomissione. Egli
imita le persone o i personaggi da cui si sente attratto e si sottomette loro
per condiscendenza.
“Le appartenenze possono essere soffocanti, abolendo la differenza e la
creatività dei membri non disponibili alla conformità. L’appartenenza diventa un
luogo chiuso che divide “noi” da “loro”. Le identità di gruppo sono
profondamente ambivalenti: sono tanto rifugi di appartenenza quanto ricettacoli
di aggressività, sono tanto soffocanti recinti quanto basi di un potere di
liberazione” [De Vita R., 2001: 41]. Il processo sociale in corso di
neocomunitarismo religioso si caratterizza sovente con questi fenomeni di
inclusività caratteristici delle sette. “Diversamente dalle sette
concettualizzate da Weber e da Troeltsch, che si riferivano alle denominazioni
protestanti proliferate dalla Riforma, le nuove sette si caratterizzano per una
ossificazione psicologico-culturale e per una pressione finalizzata ad annullare
l’identità individuale e a consentirne l’assorbimento nel gruppo” [Cesareo,
2001].
La religiosità del devoto diventa invece un volo libero se il suo bisogno di essere oggetto di attenzione è saziato. L’attenzione,
che è la forma più elementare dell’amore, sazia il suo bisogno di attaccamento e
lo rende non più petulante, ma affettuoso, sensibile, affezionato e premuroso[42].
Beati i
miti perché erediteranno la terra. Il devoto praticante diventa allora il
cardine della comunità: la sua grande capacità di coltivare relazioni,
ricordarsi gli anniversari, farà sentire la sua presenza con continuità alle
persone mostrandosi sempre presente nelle situazioni difficili come persona su
cui si può contare. Per questo sa tenere insieme persone molto differenti tra di
loro accontentando i loro gusti e preferenze, in ragione della sua capacità di
individuare le diverse modulazioni della propensione all’attaccamento presenti
in ciascuno. Sa stare nei gruppi ed è in grado di mantenerli compatti; è un
ottimo gregario perché ciò che maggiormente gli interessa è il successo di
tutti, dell’insieme, del gruppo e non il suo personale.
La fedeltà che impersonifica non è ritualismo meccanico ma il modello di amore agape: amore fedele che si sviluppa nell'amore fraterno e nell'amore per il prossimo a cui l'uomo può pervenire attraverso la fiducia e la fede. Solo colui che è fedele a se stesso può essere fedele agli altri. Tale fedeltà innesca sia il processo dell'unione che quello della fiducia, virtù fortemente interconnesse tra di loro, che producono tre importanti conferme: la conferma dell'identità personale di ogni essere, la conferma dell'originalità di ogni tipo spirituale e la conferma del senso dell'amore di Dio per ciascuna delle sue creature.
L'appartenenza è esclusiva e tiepida, l'unione è inclusiva ed accogliente. L'appartenenza è settaria, l'unione è tollerante. L'appartenenza è un vincolo idealistico, l'unione è oggettivata nelle persone a cui si è legati. È il sentimento dell'unione che contribuisce allo sviluppo della fiducia e della fede[43].
4
Conclusione
L’analisi della tipologia degli atteggiamenti religiosi si è avvalsa dei dati raccolti sui pellegrini del giubileo, cogliendo questa manifestazione del cattolicesimo come un’occasione particolare per proporre idealtipi che, seppur connessi con la cultura cattolica, hanno possibilità di generalizzazione in altre esperienze di religiosità. Le categorie idealtipiche individuate non intendono essere un canone ma presentarsi, attraverso la teoria delle emozioni di base, come un possibile canovaccio per consentire l’espressione di un linguaggio di ricerca con potenzialità interculturali.
In tutte le esperienze religiose mature appare comunque una teoria condivisibile, quella dell’equilibrio: non basta una sola forma di religiosità, occorre raggiungere un equilibrio tra tutte le forme, poiché l’eccesso di un modello di religiosità, non mitigato dalle altre, ne rende evidenti i limiti e preclude all’armonia psicologica. Questa affermazione è interculturale e interreligiosa: nella Parabola dell’Elefante, Jalâl ad-Dîn Rûmî riferisce della disputa intorno alla sua descrizione ed alla sua forma[44] da parte di chi di esso ha una visione parziale, senza la comprensione dell’articolazione delle parti. Nel Sefer ha-Zòhar (Libro dello Splendore) è ripetutamente enunciata una teoria dell’equilibrio armonico di Dio[45] tra le sue diverse manifestazioni o Sefiròth.
Nella prima frase detta da Gesù nel discorso della Montagna (Beati i poveri di spirito perché di essi è il Regno dei Cieli) c’è un potente richiamo alle proprietà dell’anima. Indipendentemente dalla sazietà dei bisogni umani, psicologici e religiosi, a cui non riescono a pervenire i Poveri di Spirito, tale condizione conduce a percepire, di per sé, l’essenza dello Spirito perché si fonda su di essa la scoperta più importante: l’accertamento stesso dell’esistenza della propria anima.
L’occasione
del Giubileo è particolarmente interessante per comprendere, al di là del suo
significato istituzionale, sociale, comunicativo e formale, gli atteggiamenti
dei pellegrini che lo hanno vissuto e che in esso hanno trasfuso il senso della
loro personale religiosità. Le forme idealtipiche di religiosità che sono state
descritte non compaiono, naturalmente, in forma pura in nessuno dei pellegrini.
In ciascuno di loro si può leggere una miscela di atteggiamenti tra i quali,
quelli citati, emergono solo con maggior evidenza. Del resto la religiosità ha
anche connotazioni culturali, prova ne sia la diversa valorizzazione delle
tematiche sollecitate nelle domande del questionario da parte degli aggregati
linguistico culturali. “Il primo gruppo fa riferimento a norme ed intenzionalità
(peccare, rispettare, preparare, potere) e...risulta più saliente negli
insiemi: «Polacco», «Italiano» e «Francese». Il secondo gruppo ha in comune
l’idea di essere beneficiati (accadere, perdonare, vivere, dare) e
risulta più saliente nei due insiemi: «Spagnolo» e «Portoghese». L’ultimo gruppo
ha in comune l’idea di esperienze interne e di intenzione di valore (amare,
espiare, cercare, pregare, ricevere) e risulta più saliente nei tre insiemi
«Giapponese», «Inglese» e «Tedesco» [De Iorio L., in Cipolla C., Cipriani R.,
2002:123]. L’umanità del pellegrino è transculturale poiché il viaggio religioso
è un fenomeno che accompagna la ricerca di senso della vita degli esseri umani,
da sempre. I modi che sono stati individuati nell’esercitare questa ricerca sono
in divenire, aperti ad ogni ampliamento, manomissione, sviluppo, contaminazione
ed, ovviamente, critica.
[1]
Una bella distinzione sintetica è proposta da A. Scivoletto: “Una premessa
conoscitiva dalla quale è indispensabile che il sociologo prenda le mosse è
la nozione non equivoca di religione e religiosità. Con “religione” egli
intende l’insieme delle verità che promanano da un Principio, immanente o
naturale, trascendentale o soprannaturale, e che danno senso alla realtà
dell’universo nel quale l’uomo nasce, vive e muore; con religiosità egli
intende l’insieme dei moti interiori dell’io, correlati al Principio, che
sono esternati in gesti di culto o in relazioni che l’io intesse con altri
io per testimoniare la comune credenza” [Scivoletto, Nota di metodo su
sociologia, religione e religioni, in Berti F., De Vita R. (2001), La
religione nella società dell’incertezza, Angeli, Milano, p. 154].
[2]
C’è concordanza di
massima, in letteratura, diversi autori nell’identificare le emozioni
primarie o di base, in ragione della loro riconoscibilità nella mimica
facciale e del loro presentarsi nello sviluppo emotivo del bambino:
meraviglia, odio, amore, desiderio, gioia e tristezza erano per Descartes
(1649) le passioni primitive; gioia, tristezza, sorpresa, paura, disgusto,
rabbia vengono individuate tra le espressioni facciali di emozioni
fondamentali nelle diverse culture [Ekman e Frisien 1969(a), 1969(b)];
felicità, sorpresa, paura, tristezza, collera, disgusto, interesse [Argyle
1975; Chance 1980]; felicità, paura, tristezza, collera, interesse [Campos
Barret, 1984]; amore, dolore, ira, piacere, paura [Casriel, 1979]; felicità,
tristezza, paura, rabbia, disgusto vengono proposte come le cinque modalità
semantiche fondamentali da Johnson-Laird e Oatley.
Le emozioni secondarie e complesse si realizzano in
configurazioni emotive [Izard, Buechler 1980] che non sono la semplice
mescolanza di due o più emozioni ma sono le risultanti di un particolare
modo di combinarsi di un’emozione primaria con altre emozioni variabili. La
distinzione è teoricamente rilevante perché spiega come un’emozione possa
essere il motore di una seconda che viene caratterizzata dalla pregnanza
della prima. Vergogna e rabbia possono
produrre “invidia”, se il motore è la vergogna nei suoi addentellati di
scarsa autostima e di inferiorità rispetto agli altri oppure, se l’emozione
dominate è la rabbia e la variabile la vergogna, possono essere elicitate in
colpa o senso di colpa per aver agito, o pensato di agire, sotto il dominio
della rabbia. La descrizione dei processi emozionali si è arricchita
attraverso la posizione assunta da Campos e Barrett [1984] che non
considerano l’emozione in sé ma la famiglia di emozione a cui un tratto
corrisponde ed ai modelli circumplessi di Feher e Russel [1984] in cui i
concetti sottostanti alle emozioni sono assorbiti in copioni con sequenze
prototipiche per ciascuna emozione.
Le emozioni di base che sono condivise dai diversi autori sono la paura e la
rabbia in ragione della loro facile comprensibilità perché connesse ad una
esplicita attivazione della psiche; meno unanimi sono la felicità, il
piacere, l’amore e la gioia poiché contengono elementi e sfumature leggibili
con diversa sensibilità e con diverso controllo morale. La soluzione
plausibile proposta a questo dilemma è ridurre a due emozioni di base le
connotazioni di queste aree emozionali: il piacere e l’attaccamento. Il
piacere riguarda l’insieme di sensazioni cosiddette “fusionali” (dal
cosiddetto “sorriso degli angeli” o endogeno nel bimbo fino allo statu
nascenti della coppia o del gruppo) e l’attaccamento, istituzionalizzato
nelle scienze umane da Bowlby, che spiega la fedeltà, la dipendenza e
l’appartenenza.
Quelle più complesse sono la tristezza, la sorpresa, la vergogna e il
disgusto poiché sono descritte con un riferimento più articolato alla
consapevolezza di sé. Queste dimensioni possono ridursi a due emozioni: la
vergogna (intesa come l’esposizione di sé alla percezione altrui, dunque
sensibilità al vissuto altrui che interpreta il nostro) e il distacco (che
ricomprende sorpresa e trasalimento o disgusto, come reazione alle
precedenti).
A queste sei emozioni di base occorre aggiungere la quiete, solitamente dimenticata, ad eccezione dell’attento Allport, intesa come mancanza di emozioni. Dunque sono sette le emozioni che possono essere considerate primarie o di base [Masini: 2001].
[3]
La sensazione di dolore più comune, sperimentata fin dai primi giorni di
vita, è il dolore intestinale, che precede e accompagna lo svuotamento
dell’alvo. La perdita delle feci, e la sensazione di vulnerabilità che tale
condizione determina, innescano il processo di formazione della paura.
[4]
La sensazione di “essere gettato nel mondo” precede la consapevolezza del
sé e con questa interpretazione è possibile por fine alla questione “la
vergogna promuove la consapevolezza di sé “ [Izard, 1971] o per provare
vergogna occorre la consapevolezza di sé [Lewis, Brooks, 1978].
[5]
Tratto caratteristico delle condotte emozionali è il loro accompagnarsi ad
attivazioni funzionali più o meno importanti del sistema nervoso vegetativo,
come l'insieme di eventi psicofisiologici (frequenza cardiaca, respirazione,
pressione arteriosa, ecc.) sta a dimostrare.
Sherer [1982 e 1983] distingue tre Controlli Valutativi dello Stimolo (CVS),
ovvero sistemi attraverso cui l'organismo prende atto dei segnali esterni ed
interni che, nella psiche, prendono la forma di emozioni: controlli circa la
novità dello stimolo (che corrispondono alle emozioni della sorpresa, del
trasalimento e della noia), controlli sulla piacevolezza dello stimolo
(piacere, dolore, paura, vergogna), controlli circa l'attivazione di
risposta allo stimolo (rabbia e attaccamento). L'interpretazione può trovare
ulteriori argomenti sia nella teoria di Hebb [1980] delle emozioni come
organizzazione/disorganizzazione degli assembramenti cellulari e dei loro
circuiti riverberanti, sia nelle scoperte neurofisiologiche di Pribram e
McGuinnes [1975] sull'esistenza di almeno due tipi di risposte nei circuiti
neurali: le fasiche (eventi nuovi ed inaspettati) per le quali
definitivamente attribuirono il nome di
arousal
e le toniche, che dispongono alla risposta a segnali positivi o negativi (a
cui venne dato il nome di attivazione).
A queste due categorie Gray [1982] aggiunge la categoria dell'inibizione
(o controllo) esercitata sulle tendenze di risposta allo stimolo o
sull'azione volontaria di autocontrollo che conduce, ad esempio, alla
concentrazione.
La combinazione tra inibizione (controllo), attivazione ed arousal (eccitazione autonomica che produce aumento del battito cardiaco, della pressione sanguigna, dilatazione pupillare, risposta galvanica epidermica, pallore, movimenti viscerali) conduce a sette possibilità: arousal puro = piacere, attivazione pura = carica e rabbia, controllo puro = paura, arousal + attivazione = attaccamento, arousal + controllo (inibizione) = vergogna, attivazione + controllo = distacco. L'assenza dei tre modelli di risposte = quiete. La presenza contemporanea dei tre modelli di risposta potrebbe condurre ad una frenesia instabile (non qualificabile dunque come emozione) con conseguente svuotamento di energia, irritabilità ed astenia e descrivere così la base fisiologica dello stress. La ricognizione neurofisiologica getta luce anche sullo studio del temperamento, nuovamente al centro dell'interesse dopo le ricognizioni sulla vita intrauterina mediante l'ecografia tridimensionale, che sembra essere già tipico del feto. Le osservazioni hanno mostrato i feti esprimersi con atteggiamenti emotivi di arousal, attivazione, inibizione o quiete, direttamente corrispondenti al temperamento melanconico, collerico, sanguigno (tipo atletico) o flemmatico (tipo picnico). Le combinazioni tra i temperamenti ci conducono di nuovo al numero di sette.
[6] I due processi sono molto più complessi.[ Masini: 2001].
[7]
Voglio proporre una ulteriore considerazione metodologica, forse ripetitiva:
gli atteggiamenti verso la religiosità hanno come fondamento i tratti delle
emozioni di base, discussi nel codice culturale della civiltà occidentale.
Tali tratti sono uno schema possibile, tra i tanti. Sono cioè relativi ad un
paradigma, relativo anch’esso. Il sistema del paradigma è più o meno valido
a seconda di quanto riesce a spiegare. Offrire una riflessione entro un
paradigma è, comunque, il gesto di aprire un dialogo ed essere disposti ad
accettare altri paradigmi.
[8]
Nella prefazione di C. Cipolla a Pellegrini del Giubileo (Cipolla C.,
Cipriani R., a cura di, (2002), Pellegrini del Giubileo, Angeli,
Milano) le dicotomie sono puntualizzate con precisione, ne riporto le
principali: Appartenenza/autodirezione; intolleranza/tolleranza;
unità/pluralità; integralismo/laicità; sacro/mondano; chiusura/apertura;
azione/comunicazione; dogma/critica; ortodosso/eterodosso;
manicheismo/ecumenismo; opposizione/mediazione; ricchezza/povertà;
secolarizzazione/solipsismo; analogia /empatia.
[9]
«Se dovesse scegliere parole sue, come descriverebbe il Giubileo?; che cos’è
per lei l’indulgenza plenaria?; che impressione le hanno fatto (i barboni)?;
per lei qual è in significato della vita?; c’è qualcosa d’altro che vuole
aggiungere? »
[10]
In altre religioni l’operazione non sarebbe così
rispettosa del codice culturale. I Sufi, ad esempio,
concettualizzano nove tratti di personalità nell’enneagramma.
Esse non hanno nome ma un semplice numero che le designa e presentano una
diversa miscela di tratti emozionali:
Tipo 1
Ira - Serenità
Tipo 2
Orgoglio - Umiltà
Tipo 3
Inganno - Sincerità
Tipo 4
Invidia- Equaminità
Tipo 5
Avarizia - Imparzialità
Tipo 6
Paura - Coraggio
Tipo 7
Indulgenza - Sobrietà
Tipo 8
Arroganza - Semplicità
Tipo 9
Indolenza - Diligenza
La tipologia descritta
dall’enneagramma propone strutture di personalità polarizzate in scale
dicotomiche di emozioni opposte. La tipologia centrata sulle emozioni di
base propone come centro ideale della personalità il tratto emozionale
specifico. La comparazione è possibile individuando: il ritualista nei tipi
5 e 6 dove la tensione alle difese dell’Io viene divisa dal sentimento della
paura che le genera e dal controllo;.il militante nei tipi 1, 3, 8 dove
viene descritto il movimento della carica e della motivazione, della
aggressività verso gli altri e della aggressività nei confronti di sé a
seguito di senso di incompletezza, perfezionismo e cioè laddove il militante
confina con il ritualista; il ricercatore prevale nel tipo 2 quando mette in
luce il suo allontanarsi dalle cose o persone attraverso un atteggiamento
superbo; l’emozionale si trova nel tipo 7 attraverso la peculiare
caratteristica che è la generosità; il convenzionale appare con chiarezza
nel 9 (la quiete); l'intimista nel 2 e nel 4, cioè nei suoi due aspetti
prevalenti: persona sensibile (umile) e persona capace di istigare in
silenzio senza farsi notare; il devoto-praticante è rintracciabile nel tipo
8.
Un’altra modulazione dell’atteggiamento religioso è presente nei mistici dell’Islam. Ne Le Tappe degli itinerari verso Dio ‘Abdallâh al-Ansârî al-Harawî (tradotto in Chemin de Dieu da S. De Laugier de Beaurecueil, Sindbad, Paris, 1985), contempla varie categorie psicologiche e religiose nei costumi (la costanza, la soddisfazione, la gratitudine, il pudore, la veracità, la preferenza, il carattere, la modestia, la generosità, il tenersi al largo), nei principi (il proponimento, la risoluzione, la volontà, la buona creanza, la certezza, l’intimità, ricordarsi Iddio, la povertà, la ricchezza, la via passiva), nelle valli (il ben agire, la scienza, la saggezza, la chiaroveggenza, la sagacia, la reverenza, l’ispirazione, la profezia, la quiete, la preoccupazione) e negli stati mistici (l’amore, la gelosia, la nostalgia, l’ansietà, la sete, l’estasi, lo stupore, lo smarrimento, il lampo, il gusto).
[11]
Trascrizione dell’intervista a Michael 10122000 tedesco
[12]
Trascrizione dell’intervista a Niccolò 06072000 italiano
[13]
Trascrizione dell’intervista a Attilio, 21062000, francese
[14]
Trascrizione dell’intervista a Maria Paola 25052000 italiana
[15]
Trascrizione dell’intervista a Agnese 08062000 italiana
[16]
Il modello di valore (la responsabilità), di struttura mentale (l’ordine e
la legge), di religiosità (la propensione al rituale e la sacralità come
cura conservatrice della ripetizione) non è diverso dall’appello di Giovanni
in Apocalisse 3,8 alla Chiesa di Filadelfia: “Conosco le tue
opere: Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto
tu abbia poca forza, pure hai osservato la mia parola e non hai rinnegato il
mio nome” . Verranno a prostrarsi davanti a te e ti riconosceranno come
mia amata i falsi giudei e i malvagi perché tu hai conservato con costanza
la mia parola e così preserverò te dalla tentazione… Il vincitore sarà
colonna del mio tempio, scriverò il nome di Dio su di lui (sunto).
[17]
E’ interessante leggere in questo senso la trascrizione dell’intervista a
Vito 05072000, italiano “Sono iscritto alla confraternita..., è una
tradizione secolare, di cui sono iscritti sempre i miei parenti, mio padre,
mia madre e via di seguito…ci sono fedeltà molto importanti per la
confraternita …sono un sottufficiale in pensione...artificiere
antisabotatore ...vita militare l'ho abbracciata molto volentieri, perché mi
faceva piacere di far parte di quella che ...viene ... definito un esercito
garante delle istituzioni. Mi ha molto deluso è ... il discorso, purtroppo,
di ...questa manifestazione (si riferisce al Gay Pride), di cui si dovrà
svolgere l'otto luglio in Roma. Manifestazione, che per me è una
contestazione contro la cristianità, perché Roma è una città eterna, è la
città che ...rappresenta la cristianità nel mondo e quindi anche se c'è
molta tolleranza sia da parte ...eh ..., in particolare della Chiesa ..., io
..., è un discorso mio personale questo ..., è un giudizio mio personale,
non posso accettare praticamente questo discorso che nel giubileo venga
propriamente fatto questo discorso qui. ...una contestazione, anche perché
vogliono passa ...passare ad ogni costo, partendo da San Marcello ...,
partendo dal ...dal Circo Massimo, vogliono assolutamente passare davanti al
Colosseo. Colosseo che ha visto tanti martiri cristiani, quindi è uno
schiaffo alla cristianità”.
[18]
Alla chiesa di Efeso scrivi: conosco le tue opere, la tua fatica e la tua
costanza e che non sopporti i malvagi, hai messo alla prova i falsi apostoli
e li hai trovati bugiardi. Sei costante ed hai molto sopportato per il mio
nome. Ho però da rimproverarti che hai abbandonato l’amore di prima
(riassunto da Apocalisse, 2) .
[19]
Trascrizione dell’intervista a Franca 23062000 italiana
[20]
Trascrizione dell’intervista a Mimmo 27062000 italiano
[21]
Trascrizione dell’intervista a François 03062000 francese
[22]
Trascrizione dell’intervista a Concetta 10062000 italiana
[23] Trascrizione dell’intervista a Anne Chantal 02062000 francese
[24] Trascrizione dell’intervista a Charles 23062000 Francese
[25] Trascrizione dell’intervista a Margherita 0906200 italiana
[26]
Trascrizione dell’intervista a Liliana 30052000 italiana
[27]
Nella analisi del sacro Rudolf Otto [Otto R., 1923, Das Heilige,
Gotha, Marburg, trad. it. Il sacro, Feltrinelli, Milano, 1981] ha
descritto come “numinoso” il senso di irrazionale esaltazione per Dio nel
contatto con il mysterium tremendum.L’uomo che è nello spirito (in
contrapposizione all’uomo naturale, che non si preoccupa della sua salvezza)
gode nello scoprire questa esaltazione di una qualità assolutamente speciale
che costituisce qualcosa di ineffabile. Dalla condizione di creaturalità
dipendente, l’uomo avanza verso il tremendum
(che è lo specifico della sensazione di fusionalità che cerchiamo di
descrivere) per poi giungere al mysterium ed alla beatitudine
religiosa. Qui si discute di tal processo tenendo come riferimento
l’emozione di base del desiderio della fusione (piacere). Il termine ha una
configurazione linguistica statica e riduttiva per il prevalere
dell’accezione comune. Ma non v’è altro che contenga la stessa densità
epistemologica.
[28]
In particolare Sigmund Freud vede nella religione una “nevrosi ossessiva
umana” ed una stretta connessione tra complesso di Edipo e l’origine della
religione; Malinowsky descrive gli aspetti psicologici della religiosità con
distinzione tra maschile e femminile.
[29]
La categoria di personalità collettiva centrata su tal vissuto sembra essere
quella della Chiesa di Tiatira. “Conosco le opere, la fede, il servizio,
la costanza e so che le tue opere ultime sono più grandi delle prime. Ma ho
da rimproverarti che lasci fare a Iezabele, la donna che si spaccia per
profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla
fornicazione e a mangiare carni immolate agli dei”. Le ho dato il tempo
per convertirsi e non lo vuol fare. Io getto lei in una bara e quelli che
fornicano in una gran tribolazione e farò morire i figli di lei. A voi che
li restare non getto altro peso su di voi purché non seguite
quell'insegnamento. Scettro di ferro e vasi d'argilla. Darò la stella del
mattino (riassunto).
[30] Cfr. ; LEARY T. (1977),
Neuropolitik, Sphinx, Basel; FERGUSON M. (1980), The Aquarian
Conspiracy. Personal and Social Transformation in the 1980s, J. P.
Tarcher, Los Angeles; VERNETTE J. (1992) Il New Age. All'alba dell'era dell'Acquario, Edizioni Paoline, Milano; TERRIN A.N., 1992, New Age,
Dehoniane, Bologna; BERZANO L. (1999), Le generazioni dei new agers,
Quaderni di Sociologia XLIII, 19;
BERZANO L. (1999), New Age,
il Mulino, Bologna; INTROVIGNE M. (2000), Tra New Age e Next Age: le
origini del movement of spiritual inner awareness (MSIA), La Critica
Sociologica, 133; INTROVIGNE M. e coll. (2001), Nuove forme di
spiritualità. Come e perché cambia la fede in famiglia (Monogr.),
Famiglia Oggi 2001 XXIV 8-9; VERNETTE J. (2001), Nuove
spiritualità e nuove saggezze, Messaggero, Padova;. HARVEY,G. (2000),
Credenti della nuova èra. I pagani contemporanei, Feltrinelli, Milano.
[31] Trascrizione dell’intervista a Marina 18072000 italiana
[32]
Trascrizione dell’intervista a Albert 30072000 USA
[33]
Anche quando l’attenzione
sociologica alla religione,
nelle sue componenti di
richiamo al soprannaturale e di comportamento soggettivo che diventa fatto
sociale, utilizzi metodi di
empatizzazione del vissuto religioso, al fine di comprenderlo senza
proiettare sull’altro le proprie categorie, l’oggettivazione è comunque
problematica. Nel nostro caso, ad esempio, l’oggettivazione avviene
attraverso la categorizzazione idealtipica di una specifica fenomenologia
eppure, all’interno della stessa fenomenologia, possono presentarsi
costrutti di significato opposti e sociologicamente imperscrutabili, giacché
la spiegazione ultima è nella specifica intenzionalità del soggetto
protagonista e la sua verità non può essere oggetto di operazioni
valutative.
[34]
Trascrizione dell’intervista a Marcello 03062000 italiano
[35]
Trascrizione dell’intervista a Beatrice 13052000 italiana
[36]
Trascrizione dell’intervista a Carmen brasiliana.
[37] Alla Chiesa di Smirne: Conosco la tua tribolazione e la tua povertà – tuttavia sei ricco –... Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione di dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita… Il vincitore non sarà colpito da seconda morte (Apocalisse 2,8).
[38]
Trascrizione dell’intervista a Mariko 22082000 giapponese
[39]
Trascrizione dell’intervista a Geneviève 0106200 francese
[40]
Trascrizione dell’intervista a Mario 03062000
italiano
[41] Trascrizione dell’intervista a Agathe 07.06.2000 francese
[42]
"La capacità di amare, scrive Fromm E. (1886: 127) dipende dalla propria
capacità di emergere dal narcisismo e dall'attaccamento per la propria madre
e per il proprio clan; dipende dalla propria capacità di crescere, di
sviluppare un orientamento produttivo nei rapporti col mondo e se stessi".
[43]Si legge in Apocalisse, 3, 14 il messaggio alla Chiesa di Laodicea: conosco le tue opere e so che non sei né caldo né freddo. Tiepido. Sto per vomitarti dalla mia bocca. Sei convinto di essere ricco e di aver raggiunto il colmo della ricchezza senza aver più bisogno di nulla. E invece sei disgraziato, miserabile, povero, cieco e nudo. Cerca di comprare da me dell'oro provato al fuoco e delle bianche vesti per coprirti affinché non appaia la vergogna della tua nudità, abbi zelo e convertiti. Io sto alla porta e picchio (riassunto).
[44]
“Alcuni indù avevano portato un elefante; lo esibirono in una casa oscura:
Parecchie persone entrarono, a una a una, nel buio, per vederlo. Non potendo
vederlo con gli occhi, lo tastarono con la mano. Uno gli pose la mano sulla
proboscide; disse: “Questa creatura è come un tubo per l’acqua”. Un altro
gli toccò l’orecchio: esso parve simile a un ventaglio. Avendogli preso la
zampa, un altro dichiarò: “L’elefante ha la forma di un pilastro”. Dopo
avergli posato la mano sulla schiena, un altro affermò: “In verità questo
elefante è tal quale un trono”. Del pari, ogni qual volta qualcuno sentiva
una descrizione dell’elefante. La comprendeva in base alla parte che aveva
toccato. Le loro affermazioni variavano secondo quanto avevano percepito:
l’uno lo chiamava dâl, l’altro alif. Se ognuno di loro fosse
stato munito di una candela, le loro parole non avrebbero differito…” (da
Eva de Vitray-Meyerovitch, 1978, I mistici dell’Islam, Guanda, Parma,
p. 19).
[45] “Le cause ultime del male sono ancora più profonde: esse si trovano – e questo per lo Zòhar è essenziale – in una delle manifestazioni o Sefiròth di Dio stesso. Le forze divine nel loro insieme formano un tutto armonico, e ognuna di queste forze o qualità è santa e buona finché resta unita alle altre, e in un vivo rapporto con esse. Ciò vale innanzitutto per la qualità della giustizia in senso stretto, per il giudizio e per la severità – in Dio e da Dio – che è la causa più profonda del male. La collera di Dio sta, come la sua mano sinistra, in intimo rapporto con la qualità della grazia e dell’amore – la sua mano destra. L’una non può manifestarsi facendo a meno dell’altra. Questa Sefirà della severità è quindi il grande “fuoco d’ira” che avvampa in Dio, ma è continuamente addolcito e frenato dalla grazia. Se però in uno sviluppo abnorme, ipertrofico, erompe all’esterno e infrange la sua unione con la grazia, allora sfugge con violenza dal mondo della divinità, e diventa male radicale, il mondo di Satana opposto a quello divino” (Scholem, 1993: 243).