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                        PROGRAMMI DEI CORSI                                          VINCENZO MASINI

 

Intelligenze e comunicazione

 

                                                                                                    Vincenzo Masini

 

1. Il processo di comunicazione

 

La scienza della comunicazione non si propone con un nucleo forte e centrale di conoscenze e concetti ma come un nodo, attorno al quale s’intrecciano diversi problemi e punti di vista. Il processo comunicativo può essere studiato e descritto attraverso l’ottica di un passaggio di informazioni tra emittente e ricevente che assolve specifiche funzioni, oppure attraverso lo studio dei processi di codificazione dei segni comunicativi, oppure nella sua qualità di modulazione della relazione interpersonale sottintesa, nello specifico socio culturale in cui è immersa, oppure in funzione del contenuto veicolato.

Questi diversi ambiti sono campi di studio di molte discipline: dalla psicologia, alla linguistica, alla semiotica, alla sociologia, all’informatica, alla scienza cognitiva ed alla narratologia, fino alla neurobiologia o alla antropologia o alla comunicazione di massa o alla prossemica o alla retorica.

Tali diverse scienze hanno potenziato le loro ricerche ma non hanno costruito una teoria generale della comunicazione in grado di ricomprendere i diversi approcci; si sono sviluppate nella direzione di dare risposta alle crescenti necessità di affinare le tecniche e le tecnologie comunicative, sotto la spinta insistente della domanda sociale di miglioramento della comunicazione tra individui, tra culture e tra scienze.

L’approccio di psicologia e sociologia della comunicazione, presentato in queste pagine, ha l’obiettivo di fornire alcuni strumenti pratici di attuazione dei processi comunicativi nel tentativo di costruire la consapevolezza della necessità di modulare i propri modi di comunicare a seconda delle forme mentali di chi riceve, e non solo di chi comunica, del contenuto, e non solo degli scopi, del contesto specifico, e non solo di una universalità comunicativa indifferenziata.

L’obiettivo è mostrare una connessione tra stili intellettivi, modelli di comunicazione e processi discorsivi di interazione, unificandoli in un quadro di insieme semplificato e di facile applicazione. Dalla analisi delle sette formae mentis, descritte da Gardner [1987], verrà costruito dapprima un modello semplificato con tre soli raggruppamenti di  stili comunicativi e di interazione affini alle intelligenze, in seguito sarà mostrata l’applicazione pratica di ciascun stile comunicativo. I diversi stili sono modulazioni della comunicazione in funzione dei riceventi e in funzione del contenuto; le due funzioni non sono equivalenti, giacché potrebbe darsi un contenuto di tipo logico-didattico da comunicare ad un pubblico televisivo, ma qui saranno considerate tali per evitare una complessa discussione sulla miscela di stili comunicativi. L’aspetto che maggiormente si vuole qui prendere in considerazione è quello di suggerire di non rimanere nella sola forma mentale del parlante e, cioè, di non usare la comunicazione in modo autoreferenziale. Il punto di partenza della riflessione è, perciò, quello di mostrare come si articolano le diverse forme mentali del parlante utilizzando la tipologia delle intelligenze di Gardner. Ciascuna forma mentale, come si vedrà, utilizza preferibilmente un tipo di forma comunicativa, sia per i contenuti a cui è più affine, sia per il complessivo indirizzo culturale che le è congeniale. La trattazione sarà, ovviamente, schematica per un necessario sforzo di semplificazione e, per equilibrare i limiti di una così marcata riduzione, è doveroso ricordare che sia che “intelligenze multiple” signifca anche “plurime” all’interno dello stesso individuo, sia che tutte le forme comunicative possono essere comunque usate da qualsiasi individuo. L’obiettivo qui è proprio quello di aprire verso queste competenze. 

 

2. Formae mentis

La teoria delle intelligenze multiple di H. Gardner muove dalla critica al concetto monodimensionale dell’intelligenza ed ai suoi due assunti fondamentali: “(1) che la conoscenza umana sia fondamentalmente unitaria e (2) che gli individui possono venire adeguatamente descritti e valutati nei termini di un’unica dimensione chiamata intelligenza” [H. Gardner, 1993:90]. L’idea delle intelligenze multiple si fonda su sette processi intellettivi, individuati e caratterizzati da una traiettoria evolutiva chiara, dalla loro isolabilità in individui come i bambini prodigio, e dal presentare almeno qualche prova di localizzazione nel cervello (isolabilità di facoltà in conseguenza a danno cerebrale).

Tenendo fede a questo programma Gardner descrive 7 intelligenze, che, seppur interconnesse, sono riconoscibili nella loro specificità di formae mentis:

1.       Intelligenza logico matematica si fonda sul ragionamento deduttivo, sulle catene logiche e sulla schematizzazione[1].

2.       L'intelligenza corporeo cinestetica implica un forte controllo da parte del cervello su tutti i muscoli del corpo per coordinarli mobilitando, a tal scopo, grandi porzioni della corteccia cerebrale, il talamo, i gangli basali e il cervelletto[2].

3.       L’intelligenza spaziale concerne l'analisi dello spostamento e della posizione degli oggetti nello spazio ed è connessa alla capacità di percepire una forma o un oggetto[3].

4.       Intelligenza linguistica: serve a convincere, ricordare, spiegare e riflettere sul linguaggio stesso[4].

5.       L'intelligenza intrapersonale riguarda la conoscenza del sé, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti[5].

6.       Intelligenza musicale: si distingue dalla precedente, pur essendo uditivo vocale, perché non è strettamente connessa al mondo degli oggetti fisici[6].

7.       L'intelligenza interpersonale, che è connessa a quella intrapersonale, è attiva nel rapporto con gli altri, riguarda la capacità di rilevare e far propri i vissuti di altri individui[7].

 

3. Il modello a tre ambiti di intelligenze

Il modello di Gardner è molto fecondo nell’analizzare sia i limiti del comprendere scolastico, sia le concezioni errate ed ingenue, prodottesi nei diversi campi disciplinari a causa della sola valorizzazione delle combinazioni tra intelligenza linguistica e intelligenza logica. Secondo Gardner, gli studenti particolarmente dotati in campo spaziale, musicale o personale, trovano la scuola molto più impegnativa di quelli che possiedono quella miscela di intelligenza linguistica e logica che è propria della scuola. Inoltre le forme scolastiche di conoscenza possono scontrarsi con le forme precedenti, ed estremamente più robuste, di conoscenza sensomotoria e simbolica, forme già pervenute a un grado elevato di sviluppo prima dell’entrata del bambino a scuola.

Dal punto di vista didattico è però complicato operazionalizzare lo schema delle sette intelligenze e ciò ha portato Gardner a raccogliere le diverse esperienze innovative entro la logica di approcci all’apprendimento: narrativo, logico-quantitativo, filosofico-concettuale, estetico ed esperienziale, inoltrandosi così nell’insidioso territorio della miscela tra le caratteristiche delle formae mentis ed i saperi disciplinari.

Ed è proprio questo il tema più difficile da affrontare, in ragione della miscela di forme mentali impiegate nelle diverse discipline, della sequenza con cui sono messe in gioco nell’apprendimento dei saperi, e delle abilità, e della non sovrapponibilità tra dominii disciplinari e forme mentali. Dunque il progetto di Gardner o perviene ad un’improbabile rifondazione dei domini disciplinari, nella prospettiva delle sette intelligenze, o rimane una utile ed efficace, ma ripetuta, denuncia di un sapere scolastico che non riesce a facilitare la comprensione e far evolvere la conoscenza.

L’effetto della denuncia volge nella direzione dell’ampliamento dell’approccio narrativo a cui molti scienziati dell’educazione oggi si riferiscono, a cominciare da Bruner [2001] che pone in modo radicale la necessità dell'attivo coinvolgimento del bambino nel proprio percorso formativo. Per Bruner la scuola contemporanea ha bisogno di narratori, persone in grado di raccontare e invitare gli studenti a narrare le conoscenze partendo da se stesso e dai suoi giochi.

Con l’obiettivo di operare una sintesi teorica e metodologica, certo riduttiva, della comunicazione e renderla operazionalizzabile è bene avvalersi di uno schema di sintesi delle sette intelligenze di Gardner in tre ambiti (vedi figura 1): schematico-ordinativo, intuitivo e descrittivo. Per giustificare questa riduzione a tre è utile richiamare le forme di contrasto nei rapporti tra le figure di comprensione “intuitiva”, “scolastica” e “disciplinare” proposte nella tavola sinottica della prime pagine del famoso “Educare al comprendere” di Gardner: il significato di questo schema, dice l’autore, va “al di là delle mura delle istituzioni scolastiche e arriva a toccare questioni che hanno a che fare con la natura, le istituzioni e i valori dell’uomo” [Gardner, 1993:.25][8].

 


  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La sintesi delle forme mentali di Gardner in tre ambiti, descrittivo, intuitivo e ordinativo, qualifica questi ultimi come “schemi”, strumenti organizzatori sia della memoria sia delle informazioni in arrivo. Lo schema è un’invenzione che suggerisce la presenza di un’impalcatura d’interpretazione degli eventi: 1) l’apprendimento può funzionare per accumulo di conoscenza, senza la ristrutturazione degli schemi, 2) mediante una continua sintonizzazione degli schemi 3) attraverso la ristrutturazione degli schemi e la creazione di nuovi [Rumelhart, Norman, 1978].

In figura 1 si propone una connessione tra le sette forme mentali e gli schemi che possono essere rintracciati in esse come figure sottostanti. In primo luogo sono collocati lungo il perimetro di una circonferenza (con una rappresentazione che consente tutte le relazioni possibili) i modelli delle forme mentali e le transizioni tra loro: i criteri dell’intelligenza logica possono transitare verso criteri cinestetici, giacché in questi vi è dominanza della causalità logica presente nel movimento e nell’azione, con le implicazioni pratiche che a tal processo sono connesse. L’azione, a sua volta, ha una forte connessione con lo spazio in cui avviene e nel quale intuitivamente si orienta. Lo spazio è anche il luogo dell’espressione perché nello spazio si colloca tutto ciò che è altro da sé. E’ il legame tra espressione, non solo linguistica, e capacità di analisi intrapersonale che costituisce il fondamento dell’estetica come determinante della capacità di dare forma adeguata ai concetti ed ai vissuti colti nel sé. Il passaggio tra intelligenza intrapersonale e intelligenza musicale è espresso attraverso la dimensione dell’emotività, il cui significato è l’espressione di vissuti non in forma linguistica, ovvero senza un processo di significazione. La forma d’intelligenza espressiva senza significazione è l’intelligenza musicale; il grado più elevato di capacità di analogia tra gli stati dell’io e la loro rappresentazione. Il rapporto tra intelligenza musicale e intelligenza interpersonale è fondato sulla descrittività: il processo di organizzazione del pensiero e della comunicazione più vicino concettualmente alla narrazione. Ed è nel contesto dell’interpersonale che si può collocare l’attribuzione formale della tipizzazione reciproca dell’azione relazionale, produttiva di senso condiviso, che conduce alla strutturazione dell’intelligenza logico-formale.

Al centro del modello c’è la sintesi delle intelligenze in tre grandi ambiti, con una operazione di forte sintesi il cui significato è il seguente:

L’ambito schematico-ordinativo si riferisce a quel processo di comprensione che attribuisce al materiale introiettato una scala di rilevanza e che necessita di ordine e di logica conseguenziale. Implica uno studio metodico ed ordinato, la necessità di ripetere gli argomenti e la possibilità di far ricorso ad una grande memoria. L’ideale linea di divisione, tra l'applicazione al sé corporeo e l'applicazione ai movimenti dei corpi nello spazio, dell'intelligenza cinestetica è utilizzata come fondamento della distinzione tra processi ordinativi e processi intuitivi, in funzione del ruolo che assume la disposizione al controllo e la disposizione alla intuizione dei processi. I processi ordinativi si avvalgono di schemi e strutture, si fondano su operazioni e ragionamenti, utilizzano più degli altri la memoria a lungo termine. Attraverso i processi di schematizzazione ordinativa vengono messe in ordine le descrizioni e le intuizioni. Le intelligenze interpersonale, logica e cinestetica hanno bisogno di schemi di base ordinativi per assolvere i compiti delle tipizzazioni reciproche del ruolo che le persone rivestono, per mettere continuamente a punto gli schemi logici escludendo le anomalie e per monitorare il movimento mediante interventi e riaggiustamenti dell’azione. 

Il criterio intuitivo si fonda sulla attenzione, l’interesse, la curiosità, l’attivazione e può essere paragonato alla ricerca di un principio unificatore totale delle informazioni possedute, alla previsione del risultato, alla formazione di un nuovo modello di idea e di ragionamento. Il criterio intuitivo può essere preceduto, nella raccolta delle informazioni, da processi descrittivi oppure ordinativi. L’ambito intuitivo è quello di processi di intelligenze che non categorizzano e non àncorano in profondità. L’intuitivo prova piacere nella comprensione immediata ma non approfondisce, confidando nella possibilità di far sempre ricorso ad una comprensione interveniente al momento della necessità. Non ordina e si coinvolge solo quando emergono nuovi ed interessanti problemi. Il metodo di studio è quello di interpretare i dati secondo personali modelli all'interno dei quali ricollocare il sapere. La ristrutturazione degli schemi, ed il riorientamento in essi, è fonte di nuove forme di espressione: l’euristica presente nell’espressione (l’individuazione del significante verbale appropriato, ad esempio) conduce all’estetica nella quale sua qualità di ipersignificazione.

I processi descrittivi tendono alla contestualizzazione delle informazioni, alla ricerca di connessioni tra di loro per pervenire alla completezza della visione complessiva, alla percezione ed alla raccolta di informazioni, anche disperse e disseminate. In essi sono attive le analogie e le metafore, attraverso le quali possono essere poste le basi immaginative che consentono ai processi euristici di dar vita alle intuizioni. L'intelligenza descrittiva realizza una armonia olistica nell'insieme dei dati. Concatena gli elementi gli uni con gli altri, storicizza la comprensione in eventi e momenti. Implica un metodo di studio che ha necessità di avere di fronte tutto il materiale necessario. Riesce ad avere lo sguardo di insieme dell'oggetto dello studio ma ad essa sfuggono le deduzioni e le intuizioni. Narrazione ed emotività sono i processi alle spalle dell’intelligenza musicale e intrapersonale. Lo schema di base è quello della armonizzazione delle conoscenze. E’ questo uno schema frequentemente criticato perché descritto come una forma di accumulo poco dinamica e sistematica; il motivo della critica sta nel successo della teoria della dissonanza cognitiva che descrive come situazione di disagio la presenza nella mente di informazioni contraddittorie. A prescindere dal fatto che questa è una condizione abituale nella vita quotidiana, che non comporta necessariamente la fuga, la rimozione o l’evitamento sistematico di tali informazioni e conoscenze, non è detto che la presenza di informazioni in conflitto, o di più livelli contemporanei di interpretazione, non possa essere una condizione piacevolmente ricercata. L’estetica, l’ironia, la metafora, il gioco, l’ascolto di sé, il continuo succedersi di vissuti emozionali sono forme di armonia che passano in continuazione da un piano all’altro e sfuggono a definizioni ordinative, senza obbligatoriamente produrre rotture epistemologiche.  La descrittività vive nella logica della narrazione e connette piani diversi del discorso, si aggancia al contesto, stabilisce ponti tra conoscenze lontane tra di loro, gioca sulle anologie ed esplora la conoscenza in profondità, stabilizzandola.

La sintesi su tre modelli schiude ad un percorso di ipotesi sul collegamento tra di loro: se intuisci riesci a favorire le connessioni tra cose, se connetti riesci ad ordinarle e, se le ordini, riesci a vederle ed ad intuire, ma anche che se riesci a stabilire connessioni puoi sviluppare le facoltà intuitive, se sviluppi le intuizioni puoi costruire, su di esse, schemi e ragionamenti, se ordini, in schemi e ragionamenti, puoi pervenire ad una visione complessiva che descrive compiutamente l’oggetto.

Si intuiscono schemi e connessioni, si ordinano, attraverso i ragionamenti, le comprensioni intuitive e le informazioni descrittive, e si contestualizzano le strutture e le idee. Ciascuno dei diversi processi è attivo nelle diverse intelligenze, con prevalenze diverse, ma non vi è gerarchia tra loro, non si elidono a vicenda ma sono compresenti, pur se in diverso grado, nei singoli individui[9].

Una buona comunicazione richiede un uso dei processi comunicativi sintonici alle intelligenze e l’addestramento all’uso di diversi stili comunicativi è un compito centrale nella formazione scientifica.

 

3. Formae mentis e competenze comunicative

Lo sviluppo della analisi pragmatica del linguaggio si deve ad Austin[10] che mostra come il linguaggio agisce; la sua teoria produce l’irruzione della pragmatica comunicativa[11] nella linguistica e l’intreccio tra sviluppo della conoscenza e funzionalità della comunicazione.

Questi concetti sono stati al centro della rivoluzione comunicativa che, a partire dagli anni ’60,  ha prodotto molti modelli di interazione significativa tra soggetti (fondamentali quelli di Jakobson [1966] e di Halliday [1987]), per distinguere diverse forme comunicative sia sul piano della relazione interpersonale, sia su quello del contenuto che dell’espressione linguistica. Jakobson distingue la comunicazione conativa o persuasiva per indurre il destinatario all'azione (o a non agire), quella referente e informativa che fornisce informazioni obiettive, la comunicazione metalinguistica, centrata sul codice (in cui l'oggetto di comunicazione è la lingua medesima), la comunicazione espressiva - emotiva, quella poetica (centrata sulla collocazione suggestiva delle parole) e quella fatica (Ad es. "Mi senti?") che è centrata sul canale per verificare il rapporto.  Halliday introduce i concetti di comunicazione regolativa, per indurre a fare (o a non fare), strumentale ("Voglio la palla!"), per motivare l’altro ad una azione utile per chi comunica, rappresentativa e informativa, euristica (lo scambio comunicativo agevola la scoperta della realtà), personale - espressiva, immaginativa e interazionale ("Sonia, dove sei?") per far sentire l’altro oggetto di attenzione. Proprio in ragione del loro approccio funzionale, inerente, cioè, allo scopo ed alla funzione dell’atto comunicativo, può essere rintracciabile una sintonia tra le diverse forme mentali del parlante e la funzione comunicativa presumibilmente a lui più funzionale. La tabella 1 successiva cerca di produrre tal correlazione.

 

Tabella 1

Modelli di forme mentali secondo Gardner

Modelli comunicativi secondo Jackobson

Logica

Fàtica (di verifica)

Cinestetica

Conativa (pressione verso l’azione)

Spaziale

Informativa (obiettiva)

Linguistica

Espressiva (metalinguistica)

Intrapersonale

Poetica (suggestiva)

Musicale

Immaginativa

Interpersonale

Descrittiva (contestualizzante)

 

 

In tempi a noi più prossimi le teorie della comunicazione non permettono più di descrivere ogni comunicazione possibile, dalla pubblicità alla comunicazione amorosa, alla comunicazione amplificata dai mass media, alla comunicazione didattica, ecc. all’interno di un unico modello.

Lo schema di Jakobson è generale, non tiene in considerazione quanto emittente e destinatario possano essere rappresentati nel messaggio (anche nei termini di emittente modello e destinatario modello)[12].

Eppure tale classificazione, “preistorica” rispetto agli attuali problemi sollevati dalla linguistica, può ancora apparire significativa anche alla luce della teoria di Fodor [2001] sugli atteggiamenti proposizionali e sulla loro natura di stati relazionali. La proposta di Fodor è che gli stati mentali siano realizzati in relazione con l’espressione dei contenuti. L’idea che la corrispondenza delle proposizioni agli stati mentali si realizzi nella relazione comunicativa, e l’evidenza sul fatto che taluni stati mentali siano più tipici di alcune forme mentali, può dunque ancora oggi giustificare la costruzione di uno schema in parallelo tra forme mentali e funzioni comunicative[13].

Collegare gli stati mentali alle forme mentali trovando analogie tra questi è alla base dello schema sulle competenze comunicative qui presentato[14].

La forte riduzione della Tabella 1 offre analogie interessanti su cui riflettere e presenta uno schema utile a fini didattici; in ultima analisi suggerisce l’esistenza di un rapporto tra forme della comunicazione, contenuto comunicativo, caratteristiche del parlante e caratteristiche del ricevente. Può essere efficace per discutere di competenza comunicativa aggirando gli ostacoli sui fondamenti ultimi della natura del pensiero e sulla esistenza o meno di un suo linguaggio interno.

La successiva tabella 2 sintetizza, in uno schema tripartito, in sintonia con quello delle forme mentali, le funzioni comunicative.

 

Tabella 2:  Le Competenze comunicative

Comunicazione “Logico-Persuasiva”

Comunicazione “Coinvolgente-euristica”

Comunicazione “Descrittiva-Narrativa”

 

 

4. La comunicazione logico-persuasiva

Il termine richiama la sfera della comunicazione pubblicitaria ma implica funzioni organizzative, promozionali e di cambiamento.  Si fonda spesso sull'attenzione reciproca tra i comunicanti, sull'attivazione di procedure di scambio, sull'utilizzo di strumenti. In questo senso è una comunicazione che dà grande importanza al canale ed al flusso di informazioni strutturate. Al fine di una funzione organizzativa e persuasiva si aprono le porte al digitale ed alla compressione. La digitalizzazione del messaggio ha lo scopo di diminuire il rumore di disturbo che affligge il canale. Per diminuire i disturbi occorre, infatti, aumentare la potenza comunicativa (alzare la voce se c’è confusione) oppure svincolare la natura del segnale comunicativo dal rumore di sfondo. Il sistema di convertire la comunicazione analogica in un flusso di numeri, e rappresentarli attraverso unità di base ripetute e standardizzate (bit, contrazione di binary digit), ha consentito di utilizzare il codice binario in un comodo sistema composto da due soli segni. Nel sistema numerico è però attiva una sintassi logica complessa ed efficace, ma una semantica povera, viceversa nel modello analogico è possibile esprimere una grande ampiezza di significati. Il limite della comunicazione persuasiva è quello di standardizzare le informazioni trasferite senza possibilità di loro modulazione. La comunicazione logico persuasiva serve ad ingiungere e regolare, viene essere espressa senza enfasi e senza tensione con tono fermo, deciso, autorevole in comunicazioni brevi, forti e centrate sui fatti concreti. Solitamente prende la forma di comunicazione tecnica, saggia e concreta, con un bersaglio chiaro e non vago. Le principali regole per una comunicazione logico persuasiva efficace sono:

Essere semplici e chiari; non dire con 40 parole ciò che si può dire con 10; non perdersi in divagazioni inutili, non usare parole troppo difficili o sconosciute solo per il piacere di farlo.

Essere sinceri..; cercare di dire sempre cose vere e nelle quali si crede, non si convincerà mai nessuno su qualcosa in cui il parlante non crede.

volgere in positivo anche le comunicazioni spiacevoli; senza mai cominciare un discorso con un argomento, una frase o una notizia al negativo.

Ascoltare chi ascolta; in modo da poter regolare il registro linguistico, il tono ed il volume a seconda delle esigenze del pubblico o della persona. Il riferimento più significativo è quello della retorica antica.

La comunicazione logico persuasiva può assumere anche la forma di incoraggiamento e di motivazione. Incoraggiare significa saper dare carica e trasmettere motivazione ad altre persone. Per incoraggiare è prima necessario costruire e dare forma all'energia dentro di sé e poi comunicarla in modo persuasivo per indurre all'azione. L'incoraggiamento richiede impegno in chi lo vuol far percepire ad altri. In genere l'incoraggiamento non funziona quando vengono commessi alcuni errori molto diffusi. Spesso chi incoraggia non lo fa con sufficiente energia e convinzione: se, nel momento dell'incoraggiamento, non viene espressa una potenza sufficiente e con una sufficiente durata, la comunicazione si perde nel vuoto, non ottiene risultati e porta ad una caduta di tono nell'autore dell'incoraggiamento. Accade frequentemente che l'incoraggiamento si disperda se non ha un bersaglio preciso. Occorre indicare nominativamente la persona che si incoraggia e, nel caso di un gruppo, occorre dedicare incoraggiamento anche ai singoli componenti del gruppo. Basta infatti un solo demotivatore all'interno di un gruppo, che si esprima con una battuta squalificante, per far perdere energia a tutti.

L'incoraggiamento deve avere il suo destinatario e fermarsi su di lui con una individuazione precisa e circostanziata. Inoltre l'incoraggiamento deve essere puro, senza mescolarsi a critiche, pur se motivate. Non si può incoraggiare e rimproverare allo stesso tempo e nemmeno incoraggiare e dare consigli. Il soggetto che meglio di tutti sa motivare è un soggetto volitivo, carico di energia e di entusiasmo. La sua carica e il suo impegno rendono spontanee ed immediate le sue comunicazioni di incoraggiamento; deve però trattenersi, mentre incoraggia, dal sostituirsi nell'azione al soggetto destinatario del suo incoraggiamento. Motivare non significa aiutare o sostenere, ma trasmettere forza e coraggio, affinché l'altro li utilizzi per compiere l'azione.

I destinatari elettivi delle comunicazioni di incoraggiamento sono i soggetti apatici e demotivati oppure coloro che hanno scarsa stima di sé, sono rinuciatari e poco fiduciosi nelle personali capacità.

Un ulteriore aspetto della comunicazione persuasiva è la sua capacità di trasmettere gratificazione. I complimenti sono la comunicazione più semplice e diffusa di gratificazione. Mostrare apprezzamento e riconoscere un merito ad una persona, la induce a consolidare il suo comportamento e le sue scelte. La gratificazione ha la proprietà di far entrare in contatto le persone con la parte positiva di sé. I complimenti possono però essere pericolosi per due motivi: 1) quando sono adulazione conducono alla vanagloria, 2) quando contengono un inganno perché aumentano la diffidenza. Per questo un complimento deve presentarsi circostanziato e preciso, diretto a far comprendere all'altro il vero motivo per cui è stato espresso. I veri complimenti sono acuti e mai formali. Le persone affettive sono immediatamente efficaci nel complimentarsi e nel gratificare giacché questa competenza comunicativa nasce dal bisogno di affetto e dalle proiezioni sull’altro. La gratificazione di un complimento non è solo dire ciò che uno vorrebbe sentirsi dire, ma individuare quel qualcosa di più che l'altro non vede di sé.

In genere le persone ci dicono ciò che vorremmo sentirci dire; così facendo non si mettono in urto, non criticano e ci confermano anche nelle azione negative per noi e per gli altri.

La gratificazione è un'arte difficile e può ottenere grandi risultati in situazione di confusione e di fraintendimenti, specialmente quando i soggetti destinatari della comunicazione debbono gestire una grande quantità di informazioni che possono condurre a confusione; la comunicazione gratificante persuade, attraverso ricompense estrinseche, e consolida il sapere posseduto dal soggetto mettendolo in ordine di priorità. E' però indispensabile, nel corso di una comunicazione gratificante, non commettere l'errore di proporre nuovi contenuti, che finirebbero per aggiungere confusione alla confusione.

In ogni caso la comunicazione logico persuasiva è sintetica, centrata sul contenuto e mirata ad un chiaro bersaglio con il fine di rioridinare il sapere e gli atteggiamenti verso il sapere. Si fonda su schemi sintetici e su contenuti sezionabili, ha una concatenazione interna conseguenziale ed un processo di relazione tra parlante ed ascoltatore attivo nella canonica tripletta di presa di turno: Domanda, Risposta, Commento. Questo modello, il più diffuso all’interno della attuale comunicazione didattica, tende a mantenere la parola all'insegnante (in genere fino al 70% del tempo complessivo nella classe) è quello tipico della comunicazione persuasiva. Il suo scopo è infatti quello di far compiere un’azione. Far emergere la preparazione, mantenere l’ordine, gestire le dinamiche della classe, ecc. Si fonda sul presupposto di conoscenza, da parte dell’insegnante, della risposta alla domanda e sul fatto che l'alunno debba dare la risposta giusta, e cioè quella che è nella mente di chi pone la domanda. Limite di tal modello di comunicazione è l'impossibilità di produrre sia nuovi schemi (attraverso l'intuizione) sia di orientarsi efficacemente nel contesto più generale dell'argomento.

La comunicazione logico persuasiva è tipica del ragionamento ed è quella applicata per la redazione di un saggio o di una relazione scientifica scritta. Chi scrive un saggio deve sapere che non sta lavorando ad un articolo giornalistico o ad una relazione divulgativa. In un saggio si debbono argomentare con pertinenza le affermazioni, debbono essere presenti premesse e conclusioni con uno stile linguistico caratterizzato da specializzazione concettuale, scientifica, ordinativa (logica e analitica), con chiarezza e supporti argomentativi. In tal tipo di elaborazione scritta possono essere inseriti schemi a blocchi e mappe concettuali ma, di solito, è preferibile riportare tabelle con dati e, nel caso di una esposizione articolata e complessa, alcuni grafici. La rappresentazione del saggio deve essere infatti sintetica evitando di ripresentare concetti già noti al pubblico al fine di consentire una lettura essenziale. Possono essere indicate note al fine di precisare l’eventuale ambiguità dei concetti specialmente laddove non vi sia unanime condivisione di una teoria scientifica. Anche i riferimenti bibliografici debbono essere essenziali. Una variante più persuasiva del saggio è la presentazione di uno scritto redatto al fine di persuadere e motivare un gruppo di lavoro o di convincere circa l’efficacia di un particolare metodo; in tal caso la presentazione può essere più circostanziata e corredata da immagini e slide. Sull’uso dei lucidi e delle diapositive occorre però fornire alcune precisazioni: in un contesto formale ed ordinativo è necessario offrire al pubblico una presentazione molto chiara, ordinata ed esteticamente coerente. E’ molto scorretto presentarsi ad un pubblico, che attende una relazione ben costruita ed argomentata, con materiale improvvisato e non curato nei dettagli, con vistosi errori e non redatto con competenza. Meglio non presentare nulla e limitarsi alla spiegazione verbale perché l’effetto della superficialità è negativo per l’ascoltatore. Ove invece il contesto sia quello di una spiegazione partecipata si possono presentare lucidi costruiti al momento, raccogliendo osservazioni e argomentazioni direttamente dal pubblico. In tal caso siamo però in un altro ambito rispetto alla comunicazione logico ordinativa, la quale ha comunque rilevanza anche all’interno della comunicazione narrativa o didattica, euristica o divulgativa. Le sintesi logiche sono infatti necessarie anche in contesti didattici o divulgativi, pur occupando in essi uno spazio meno significativo, per ricentrare l’attenzione sull’oggetto della discussione.

 

5. La comunicazione coinvolgente ed euristica

I limiti della comunicazione logica ed ordinativa sono proprio quelli di essere comunicazioni lineari centrate sul messaggio[15]. Nel modello della teoria dell’informazione esiste il canale, i disturbi, la segmentazione dei contenuti, il feed back, ecc., senza che sia presa in adeguata considerazione la trasformazione che il significato del messaggio riceve dalla rielaborazione del ricevente[16]. Se il significato non è sottoposto alle leggi della logica e della semantica, ma si determina nel sistema cognitivo della persona, una comunicazione che sappia accendere all’intuizione di nuovi significati deve fondarsi sul riconoscimento reciproco degli interlocutori. Tale comunicazione è connessa sia agli aspetti di problematizzazione dell’oggetto intorno al quale si comunica, che a quelli di sviluppo dei potenziali metacognitivi del ricevente che, oltre al comprendere, capisce anche di aver compreso, oltre al sapere, diventa in grado di sapere ciò che sa e ciò che non sa[17]

Questa è la natura inferenziale della comunicazione coinvolgente ed euristica si mostra: offrire all’altro indizi e trarre inferenze dagli indizi offerti. Il nucleo centrale di questa modalità comunicativa è quello di dare informazione ma, al fine di coinvolgere, deve presentarsi in modo da modificare lo spazio cognitivo. Nella comunicazione di massa spesso l’oggetto della comunicazione viene esibito in modo ostensivo-inferenziale: “Il comunicatore produce uno stimolo che rende mutuamente manifesto al comunicatore ed al destinatario che il comunicatore vuole, tramite questo stimolo, rendere manifesto, o più manifesto, al destinatario un insieme di ipotesi” [Sperber e Wilson, 1992: 99]. In tal forma di comunicazione ha grande peso la pertinenza, ovvero la presenta di informazioni nel ricevente che consentano la sua riorganizzazione mentale e la creazione di nuove mappe concettuali in sintonia con gli indizi assimilati[18]. La competenza comunicativa coinvolgente ed euristica si fonda sul trasferimento di contenuti al fine di far prendere coscienza, di far ragionare e di far riflettere. La comunicazione  euristica induce alla formazione di processi mentali di scoperta con l'ostensione di modelli e di rappresentazioni organizzabili in strutture di conoscenza.

Il processo che qui si vuol descrivere è quello della trasmissione di concetti e di schemi mentali generali che fa leva sul perno del distanziamento tra il “sé”e “le cose”, ponendole alla giusta distanza ed osservandole con un punto di vista più ampio (come ha magistralmente spiegato il sociologo Norbert Elias [1988] in “Coinvolgimento e distacco”). Il modello di comunicazione euristica cerca di porre il ricevente alla giusta distanza dal sé, dalle relazioni, dal mondo, a liberarsi così dai pregiudizi e mettere in discussione le precedenti impressioni, convinzioni o condizionamenti. Per far avvenire lo spostamento è necessario trasmettere al ricevente l'atarassia indispensabile. Lo scopo dell'istruzione è quello di far interiorizzare contenuti e processi mentali di apprendimento e di porgerli nel modo più idoneo ai diversi tipi di persone. Comunicare la capacità di distanziarsi dalle cose richiede duttilità coinvolgente, con le persone ansiose, e innesco di incoraggiamento motivazionale, con gli apatici. Gli ansiosi hanno necessità di controllare e di ordinare le informazioni e si appiattiscono su quelle informazioni che già possiedono Il vincolo cognitivo di mantenere uno stabile ordine interno porta ad utilizzare la memoria a lungo termine e non li rende capaci di problem solving.

La comunicazione a loro necessaria è dotata di coinvolgimento emotivo. Questo è l'obiettivo della comunicazione espressiva ed artistica ed ha lo scopo di aprire l'altro al percepire sensazioni ed allo sperimentare emozioni. Questa comunicazione può avvalersi di effetti sorpresa, di stimoli incuriosenti, di espressioni seduttive, di eventi che incantano, che commuovono, che suggestionano, ecc.

Per coinvolgere emotivamente occorre vincere le proprie inibizioni, caricarsi emotivamente ed eccitare, far sognare, improvvisarsi a raccontare una storia, far visualizzare un'immagine, un gioco o un disegno. Il coinvolgimento emotivo fa crescere l’interesse e la sensibilità.

La sequenza comunicativa più tipica è una tripletta composta da una Domanda – Risposta - Ulteriore domanda. A meno che tale sequenza non sia minacciosa e persecutoria, rappresenta il modello tipico della comunicazione espressiva ed euristica che tende a favorire e far sviluppare l'intelligenza intuitiva. La risposta dialogica, successiva alla domanda, contiene già il principale feed back inerente alla comprensione della prima domanda e, quindi, è già una risposta che verifica la comprensione. La sequenza delle domande in successione implica però un oggetto problematico reale. Chi pone la domanda non ha nella sua mente la risposta al problema ma solo delle ipotesi.

Nella comunicazione scritta di un articolo giornalistico o di una comunicazione pubblicitaria, lo scrivente si deve porre l’obiettivo di “coinvolgere” il lettore circa un movimento di idee o un’azione d’acquisto di un prodotto, nelle quali il ricevente deve riconoscersi. Si debbono dunque trasmettere emozioni ed approntare un circuito seduttivo per produrre sensazioni forti in chi li legge. Le caratteristiche specifiche di articoli divulgativi sono: capacità di stupire il lettore, suscitare sorpresa ed interesse, “commuovere” (nel senso di “muovere con”) e presentare i temi con creatività. L’utilizzo di battute, di collegamenti e di salti logici o di paradossi, come lo stimolare metaforicamente immagini ad alto contenuto emotivo, sono tecniche proprie di questa competenza comunicativa. La veste grafica di una divulgazione scientifica è mutevole a seconda del pubblico a cui è destinata: In ogni caso è importante appoggiarsi ad immagini semplici o animate al fine di non annoiare e non dettagliare eccessivamente gli argomenti. La mancanza di dettagli necessita però di forte chiarezza espositiva attraverso richiami, finestre, note. Le note, in questo caso, possono essere molto più lunghe e contenere quegli argomenti che non rientrano direttamente nel testo. La divulgazione tende infatti ad assumere l’aspetto dell’ipertesto. A ben vedere gran parte della struttura comunicativa di Internet è di tipo divulgativo. Anche la didattica ha aspetti fortemente euristici e intuitivi. Spesso è proprio mentre il docente ricomprende un problema mentre lo spiega che avviene la comprensione nei suoi studenti; trasferendo tale concetto ad un brano divulgativo se ne deriva che proprio nel momento in cui una immagine, una domanda o uno stimolo incuriosente riesce a farsi problema nella mente del lettore, egli riesce a comprendere le implicazioni teoriche o pratiche che stanno alle spalle di quell’argomento.

 

6. La comunicazione “Descrittiva-Narrativa”

La narrazione[19] è l’invenzione di storie attraverso le quali costruiamo una versione di noi stessi nel mondo, una versione verosimile attraverso la quale ricostruiamo il significato delle nostre azione e le leghiamo al senso della vita vissuto. Questo è lo stesso processo che genera la cultura trasmessa attraverso la forma narrativa la quale, a sua volta, plasma l’attività mentale e cognitiva del singolo. La narratività riporta al centro del pensiero cognitivo l’interazione e la costruzione di significato. Questo passaggio teorico è stato di grande importanza per il pensiero cognitivo che si era indirizzato alla comparazione tra la mente umana e i programmi di un computer. “La computazione divenne il modello della mente e al posto del concetto di significato emerse quello di computabilità” [Bruner,1997:23]. La rivisitazione, in senso cognitivo-narrativo, del significato ha allontanato la teoria della comunicazione dal modello computazionale basato sull’imitabilità di qualsiasi programma di calcolo da parte di una semplice macchina di Turing capace di eseguire calcoli con una serie finita di operazioni elementari.

La narrattività è una metodologia comunicativa che si fonda sull'utilizzo della intelligenza descrittiva (concetto che unifica i criteri dell'intelligenza intrapersonale, di quella musicale e di quella interpersonale). La metodologia della narrazione si fonda sulla reciprocità, in cui tutti gli attori possono costruire significati e discutere sulle proprie riflessioni in sequenze discorsive sintetizzabili in Domanda – Risposta – Nuova Domanda, con prese di turno mutevoli tra parlanti. La risposta produce una nuova richiesta descrittiva che amplia e divaga nel contesto senza procedere direttamente verso il centro del problema e di operare una sintesi logica. Questa modalità comunicativa è estremamente utile per avviare processi di ascolto e interesse incrementali sull'oggetto. L'oggetto appare semplice e chiaro e le sue connessione con altri oggetti conducono a processi immaginativi e fabulatori, con nuove domande che lo arricchiscono di particolari senza necessariamente pervenire ad immediati processi di astrazione e di schematizzazione. Attraverso questo modello di comunicazione e di discorso non si aggiungono ulteriori informazioni ma alla comunicazione è consentito lo spaziare a tutto campo nel contesto.

La disposizione di base ad una comunicazione narrativa è costruzione di un particolare clima emotivo nei partecipanti. Emerge nella comunicazione una dimensione soggettiva e personale, disponibile e discreta. La ricerca di significato mediante narrazione richiede umiltà e rispetto. Reggere un processo comunicativo narrativo in un contesto gruppale significa porsi nell’ottica del sostegno verso chi, in quel momento, sta prendendo il turno conversazionale. Tale dimensione di sostegno è presente in tutte le occasioni in cui il contesto comunicativo si fa autenticamente dialogato; una domanda da parte di un ascoltatore rende quest’ultimo meno anonimo e, dunque, possibile bersaglio di critiche o di squalifiche. Il comunicatore narrativo deve saper sostenere il suo pubblico e, per farlo, deve mettersi poco in vista. Chi sostiene sta alle spalle del soggetto da sostenere: la qualità del sostegno è tanto maggiore quanto meno il sostenitore è apertamente visibile. Infatti se chi sostiene si sostituisce alla persona da sostenere, gli fa perdere forza perché lo fa apparire incapace. Il sostegno può essere aperto e dichiarato solo se diventa comunicazione di fiducia e investimento sulle capacità dell'altro. L'aperto sostegno non può mai esprimere dubbi sulla riuscita di chi viene sostenuto: se chi sostiene esprime le sue paure o titubanze invece che sostenere, abbandona o, addirittura, avversa.

Il dialogo di sostegno non assume alcuna modulazione di tipo persuasivo, non è né convincente né insistente, non è ripetitivo o penetrante. La sua modulazione è estemporanea, apparentemente disordinata e frammentaria: è il soggetto che così potrà far suo un filo logico sottinteso alle parole, riempiendo i vuoti ed usando la sua logica interna per unificare il messaggio.

Oltre al sostegno, nei suoi esiti di costruzione collettiva del significato della relazione, anche attraverso i tipici riferimenti autobiografici, la comunicazione narrativa si fonda su processi di tranquillizazione con la funzione di spegnere le tensioni che impediscono decisioni lucide ed obiettive. Il comunicatore che voglia tranquillizzare il suo pubblico deve riuscire ad assorbire tutte le tensioni comunicative a lui rivolte senza restituire alcun segnale critico, ma solo comprensione e apertura al dialogo, con la finalità di farlo proseguire più a lungo possibile, senza modificarne il tono ed il ritmo. Il comunicatore deve fare assoluta calma dentro di sé e non deviare dal percorso comunicativo scelto dall'altro, non deve contraddire l'interlocutore, pur smorzandone i toni, e non deve cadere nelle inevitabili provocazioni che l'altro può rivolgergli.

Chi riesce efficacemente in una comunicazione tranquillizzante è un soggetto forte e calmo che non si accende e non si eccita ma si esprime trasmettendo pace. Queste condizioni comunicative consentono una ristrutturazione cognitiva attraverso fasi anche stravaganti: riorganizzando e reinterpretando l’importanza e il significato delle esperienze di conoscenza e di apprendimento delle persone, affinché le connessioni delle informazioni trasmesse si possano fondare sulla concretezza di eventi vissuti e di situazioni esperite. Tale comunicazione mostra le informazioni, le ricollega discorsivamente alle cose della vita e della cultura, stabilisce analogie tra campi del sapere e suggerisce informazioni ed idee che articolano e rendeno stabile e sicura la conoscenza.

Connessa a questo modello comunicativo è la redazione di un testo didattico o di un racconto (o un articolo sottoforma di un racconto). L’obiettivo è quello di trasmettere una conoscenza, un valore o anche semplicemente una curiosità o una passione per qualcosa, descrivendone le caratteristiche. L’immagine mentale che lo scrittore deve avere del suo pubblico di lettori è quella di un pubblico di non esperti, a cui rivolgersi con precisione scientifica, ma con semplicità. I termini non devono essere troppo specialistici, o, se vi sono, debbono essere spiegati (in note o mediante approcci concatenati) e la forma deve essere riconducibile alle cose della vita quotidiana. Esempi, paragoni, metafore e aneddoti non debbono mancare per sottolineare il modello della narrazione in cui si invita il lettore ad entrare. La principale forma di comprensione dei significati a cui far riferimento è la loro evoluzione storica. Mentre la migliore forma per le concatenazioni dei concetti è quella coinvolgente che riporta, con esempi pratici, le teorie alle esperienze della vita quotidiana. Rispetto alla vita quotidiana i riferimenti possono essere gli oggetti di uso familiari o le situaioni normalmente vissute su cui sono state costruite concezioni ingenue, non necessariamente errate. Spesso l’esercizio della didattica serve proprio a sgomberare il campo dalle derivazioni distorte della conoscenze ingenue, mettendole in discussione per pervenire ad livello di conoscenza più appropriato e corretto. Il problema principale della scienza, e ddel suo insegnamento, è stato quello di allontanarsi dalla possibilità di spiegazione della vita quotidiana solo perché essa richiedeva il contemporaneo, e complesso, utilizzo di molti concetti e teorie. La narrazione e la co-costruzione del sapere richiedono invece di ripartire da li con la consapevolezza che solo un sapere corretto fondato su continue verifiche nella realtà sarà articolato e stabile e sulla sua solidità si potrà costruire ulteriore sapere. Il percorso di redazione di una dispensa didattica deve dunque attenersi alla regola di esporre l’oggetto a cui si rivolge con una buona articolazione dei contenuti, in un modo non necessariamente semplice ma con una ripetuta presentazione dei passaggi cruciali, via via sempre più complessa o ampia. Il testo può essere redatto anche in forma densa giacché saranno gli stessi lettori che, per apprendere, lo trasformeranno a seconda dello loro scale di priorità e della rilevanza che attribuiscono alle diverse parti. Il ruolo degli “appunti” che lo studente diligente registra è quello di riconcettualizzare l’appreso nella sua specifica forma mentale e con la sua specifica funzione.  

 

7. Conclusioni

La proposta di tre stili comunicativi è uno schema didattico, funzionale alla comprensione della necessità di modulare la comunicazione a seconda delle intenzioni e dello stato mentale del parlante, del target del pubblico e del contenuto della comunicazione. Naturalmente questi tre stili comunicativi possono presentarsi, opportunamente miscelati, in tutti i tipi di frame comunicativi. Una buona comunicazione impegna a dedicare un certo tempo ad ogni modello nel corso di una sessione di comunicazione (una lezione, una conferenza, un articolo, un saggio, ecc.): si può incuriosire, poi narrare, poi operare sintesi e riprendere più volte il processo. Un buon comunicatore stabilisce in questo modo un buon rapporto con tutto il suo pubblico. Naturalmente il contesto orienta su qualche stile prevalente e ciò induce a riflettere se le nostre comunicazioni siano sempre pertinenti ai contesti o se sarebbe utile esercitarsi in qualche altra competenza descritta in questo scritto, per non ripetere, magari in modo estenuante per noi e per gli altri, le stesse procedure e, forse, gli stessi errori comunicativi di sempre.

Un’ultima osservazione relativa al tema, appositamente non del tutto svolto, del contenuto. Lo studente di fisica giunto a questo punto della lettura di queste pagine, dopo aver sicuramente saltato a piè pari molti passaggi, forse intere pagine, avrà messo a fuoco alcune delle note e si sarà domandato lo scopo di questa discussione in un contesto in cui, secondo lui, si studiano “processi concreti” e “formule”. Chi ha resistito fino a questo punto merita un nuovo problema e, forse, un regalo. Le terne di concetti fisici sui quali verterà la breve illustrazione da elaborare da parte degli studenti, si presentano, se lette nell’ordine tra poco enunciato, come contenuti sintonici ai modelli di intelligenze e di comunicazioni descritti in queste pagine: dal concreto, oggettuale, narrativo, all’euristico, intuitivo ed espressivo, fino al logico, teorico e convencente ordinativo. Leggiamole: Pendolo – Oscillatore armonico – Onde; Equilibrio – Attrito – Energia; Sistema solare – Forza – Gravità; Moto – Dinamica – Principi di conservazione; Inerzia – Sistemi di riferimento – Principio di relatività. Un buon modo di esercitarsi a comunicare potrebbe anche semplicemente riferirsi all’oggetto, ponendosi così nell’ottica di presentare i contenuti nel loro modo più consono!  

 

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[1] E’ il tipo di intelligenza in cui meglio si verifica il modello di sviluppo del pensiero cognitivo di Piaget: la conoscenza deriva dalle proprie azioni sul mondo, dall'azione deriva il senso di persistenza oggettiva delle cose e su di essa si fonda il successivo sviluppo mentale, nei suoi diversi passi. 1) il raggruppamento degli insiemi senza ancora la consapevolezza del numero (pur se in grado di contare il bambino fino ai 4 anni recita i numeri mnemonicamente con intelligenza linguistica); 2) il numero finale della sua recitazione orale è la quantità totale (numero cardinale); 3) a sei anni compara le quantità, aggiunge e sottrae, eseguendo tali azioni nel mondo degli oggetti materiali (senso motoria); 4) nel periodo tra i 7 e i 10 anni scopre di poter eseguire tali operazioni nella sua testa, senza toccare gli oggetti, se non potenzialmente; 5) dalla fase delle operazioni concrete cresce cognitivamente diventando capace di operazioni mentali formali attraverso la gestione di insiemi di simboli. L’intelligenza matematica e logica si fonda sullo sviluppo del ragionamento, come riconoscimento della natura delle connessioni tra proposizioni. L’astrazione è capacità di manipolazione di lunghe catene di ragionamento: dapprima l’idea del numero stesso, poi l’algebra che introduce variabili al posto dei numeri, poi le funzioni, in cui una variabile ha un rapporto sistematico con un’altra variabile. La gestione delle lunghe catene di ragionamenti produce l’innesco dell’intuizione esaltante che si accompagna al momento del successo nel trovare soluzioni. Nella matematica c’è chi privilegia la dimostrazione sistematica, chi l’intuizione. Quest’ultima è connessa alla ricerca di una struttura unificante del sapere.

[2] Forme mature di espressione corporea sono la danza, la recitazione, lo sport, le abilità manuali. Un esempio di sviluppo dell'intelligenza corporeo cinestetica è l'abilità del mimo attraverso le quali si attivano gli addestramenti al controllo dei movimenti corporei. L'intelligenza cinestetica non è però solo relativa al suo sviluppo corporale ma riguarda la percezione dei movimenti nello spazio. Nella dimensione corporea si combina all'intelligenza logico matematica, in ragione del controllo sulle attività mentali; nella dimensione spaziale si combina con l'intelligenza spaziale e le possibilità di visualizzazione del movimento nello spazio. Riguarda, cioè, la capacità di prevedere le traiettorie, gli spostamenti che avvengono a seguito della pressione di forze, le velocità e le accelerazioni.

[3] Thurstone divideva l’abilità spaziale in capacità di riconoscere l’identità di un oggetto visto da angoli diversi, abilità nel riconoscere un movimento e abilità di riflettere sulle relazioni spaziali in cui l’orientamento del corpo dell’osservatore è parte essenziale del problema. L’intelligenza spaziale è vista come l’”altra” intelligenza, contrapposta a quella linguistica. Per Piaget il frutto della comprensione sensomotoria riguarda l’apprezzamento delle traiettorie e la capacità di orientarsi in vari luoghi mediante immagini mentali, già attiva al termine della prima infanzia. Sono però ancora processi di imitazione differita: all’età della scuola, infatti, il bambino è già in grado di decentrarsi (descrivere la stanza dal punto di vista di un altro), ma solo nello stadio formale può effettivamente immaginare ambienti e situazioni. Le ricerche sul vissuto dei ciechi dimostrano che l’intelligenza spaziale non dipende dal sistema visivo (misura dello spazio a passi o con le dita, orientamento, ecc). L’autismo produce una particolare memoria di spazializzazione senza però gerarchia d’importanza. L'intelligenza spaziale è indispensabile per la costruzione mentale di rappresentazioni immaginate: gli anelli del benzene di Kekulé, la scoperta della doppia elica del DNA di Watson e Crick, le rappresentazioni pittoriche, scultoree e architettoniche, per esempio.

[4] L’intelligenza linguistica implica espressività, che culmina nella facondia o nelle sfide verbali con giochi di parole, fondate su assonanze in memoria (le rime o le cantilene, ad esempio, sono i casi in cui l'intelligenza linguistica appare come una espressività mentalizzata: "ma/con/gran/ pe/na le re/ca giu", per memorizzare i diversi tratti delle catena delle Alpi Marittime, Cozie, ecc.) o sul senso del significante. Un esempio classico è la memorizzazione dei seguenti numeri 1 9 4 5 1 4 9 2 1 7 8 9, (memorizzabili solo se letti a grappoli come le date della fine seconda guerra mondiale, della scoperta dell'America e della rivoluzione francese). L'intelligenza linguistica si sviluppa con la crescente sensibilità alle sfumature di significato delle parole ed alla loro intonazione: l'uso degli avverbi nella frase "versare inchiostro intenzionalmente" oppure "deliberatamente" oppure "volutamente" esemplifica con efficacia la competenza linguistica.

[5] Nella sua forma primitiva l’intelligenza intrapersonale implica un passaggio dalla “quiete” alla capacità di discriminare il piacere dal dolore, nel processo di evoluzione conduce alla differenziazione tra le emozioni: dapprima tra paura, rabbia, vergogna, distacco/disgusto e disgusto (emozioni di base) poi al combinarsi insieme di emozioni via via più complesse fino a dar forma, attraverso la relazioni con gli altri, ai sentimenti.

 

[6] La composizione musicale è possibile attraverso l'immaginazione uditiva che rielabora un tema distinto e preciso. L’immaginazione si fonda su materiale assorbito precedentemente, su cui è costruita la competenza musicale di melodie, ritmi, armonia e colori tonali. Non è il suono in sé a trasmettere emozioni ma il significato ad esso attribuito attraverso archetipi che ne colgono la forma. La forma musicale presenta molteplici analogie con i suoni della natura: un rumore violento ed improvviso (un tuono) produce l'emozione (archetipa) della paura, ma lo stesso rumore ripetuto e costante produce solo fastidio o stress uditivo. Lo studio del canto degli uccelli è un esempio di evoluzione delle modulazioni sonore: procede da un sottocanto ad un canto plastico fino ai canti propri delle diverse specie.

[7] Essa è determinata dalla propensione alla vicinanza ed alla relazione interpersonale. Tale intelligenza è lo sviluppo cognitivo della propensione all'attaccamento, esperienza attraverso la quale prende forma la prima espressione di affettività nell'essere umano. La propensione biologica all'attaccamento assume il pieno riconoscimento di affettività solo nelle strutture psichiche dotate di coscienza, cioè solamente nell'essere umano. Dall'emozione derivata dall'attaccamento prende forma un vissuto complesso fatto di sfumature di calore, tenerezza, affettuosità, amorevolezza, cordialità, ecc. oppure di distacco, freddezza, indifferenza, indisponenza, ecc., tutte modulazione che, una volta esercitate, consentono la comprensione delle diverse distanze sociali e delle diverse definizioni relazionali metacomunicate agli altri individui.

[8] Ciò è vero in specie se si ricorda che il percorso teorico, alle spalle della teoria delle forme mentali, è immerso nella ricerca sulle onde e sulle correnti di simbolizzazione nello sviluppo del bambino analizzate da Dannie Wolf e da altri collaborati al Progetto Zero di Harvard [Gardner, 1978; Winner, 1980]. Le correnti di simbolizzazione sono relative ai processi attraverso cui si sviluppano le diverse intelligenze: il mondo del neonato possiede alcuni schemi, come succhiare e osservare, applicati dapprima ad ogni oggetto e poi indirizzati solo laddove sono produttivi: succhiare il seno, osservare la madre, conoscere gli oggetti. Allunga la mano per afferrare e intercala abilità spaziali ad abilità corporee, ricerca oggetti con intelligenza logica, sperimenta emozioni con intelligenza intrapersonale e interpersonale, risponde appropriatamente alle parole che ascolta, interiorizza una melodia, ecc. Sulla base di questi primi schemi sviluppa specifiche correnti di simbolizzazione, già evidenti dai due ai cinque anni (apprezza e crea esempi di linguaggio, manipola creta, danza, canta, recita, comprende alcune operazioni numeriche elementari e la logica causale), che diventano le vie attraverso cui egli struttura e ristruttura il suo sapere e la sua padronanza delle capacità delle diverse intelligenze. Le onde di simbolizzazione invece, cominciano dentro un particolare ambito ma si diffondono rapidamente, a volte anche in modo improprio, in altri ambiti. Le onde di simbolizzazione ipotizzate sono tre: 1) l’onda di strutturazione di ruoli o eventi è lo schema base che il bambino intuisce nelle azioni e che tende a ricostruire ed a riprodurre 2) l’onda di rappresentazione analogica è connessa alla capacità di individuare idee di figure o tracciare immagini delle medesime o sintesi o metafore 3) l’onda di rappresentazione quantitativa è esplicata nel determinare il numero preciso degli elementi di un gruppo, o delle dita di un piede. Ciascuna di queste onde prosegue il suo corso e avrà una storia ulteriore, giacché la strutturazione degli eventi, la rappresentazione analogica e la raffigurazione numerica figureranno per tutto il corso successivo della vita. Leggendo i fondamenti delle correnti di simbolizzazione non si può non ritrovare una rivisitazione più attuale di Piaget, le cui funzioni vengono opportunamente modulate da Gardner negli ambiti delle diverse intelligenze. Le onde di simbolizzazione richiamano, a loro volta, alla memoria la sequenza delle forme di rappresentazione proposta da Bruner: recitativa (enactive), iconica (iconic) e simbolica (symbolic). E da Bruner riceviamo anche l’idea di un processo "a spirale". Si parte da una questione "prossima" all’alunno e si sviluppano conoscenze, sempre più astratte, con un metodo analogo a quello dello scienziato che costruisce la teoria per interpretare i problemi del mondo. Le stadiazioni dello sviluppo non sono più “salti” logici strutturali, come nel primo cognitivismo di Piaget, ma processi sempre attivi nell’apprendimento.

[9] Nell’intelligenza logico matematica è prevalente il ragionamento ordinativo ma sono necessarie sia le intuizioni che la capacità di avere uno sguardo d’insieme del problema; l’intelligenza linguistica ha una attivazione intuitiva ma obbedisce a criteri ordinativi nella gestione dei simboli, nella struttura sintattica e grammaticale, consente la memorizzazione verbale e produce descrizioni ed immaginazioni della realtà in modo espressivo e poetico; l’intelligenza musicale è fondata su impressioni ed analogie, ma necessita di intuizione per sciogliere l’attesa della nota successiva armonica ed ordinata rispetto alla precedente; l’intelligenza corporea si fonda su un robusto sistema di controllo, di ordine e conoscenza del proprio corpo, ma si esprime nella percezione del contesto entro cui viene intuito il corretto movimento; le intelligenze personali si fondano sulla percezione, sull’immedesimazione, sull’empatia dei vissuti emozionali ma anche sulla ordinata comprensione e razionalizzazione, oltreché sull’intuizione degli eventi, dei ruoli e delle metacomunicazioni. Ciascun individuo ha sviluppato le diverse modulazioni dei processi secondo un personale percorso educativo e ciascuno, per ereditarietà, temperamento e personalità, ha maggiore inclinazione e propensione all’uso di uno o dell’altro dei processi.

[10] Austin propone nel suo saggio, Come agire con le parole [Austin, 1962], una fondamentale tripartizione in:

a) atto "locutorio": è l'atto di esprimere parole dotate di significato, come negli atti di descrizione e di constatazione;

b) atto "illocutorio": è l'esecuzione di un atto che ha una forza legata all'intenzione di chi parla, come nelle espressioni di comandi, di richieste, di proibizioni. L’atto illocutorio produce un effetto nel recettore. Si tratta di una comunicazione in cui il parlante si pone nella condizione e nel ruolo di asserire, di comandare, di proibire, di chiedere, ecc.

c) atto "perlocutorio": è un atto che tende a produrre un preciso effetto nel recettore, come la persuasione o l'insinuazione. E’ anche definito strategico perché implica il succedersi di più processi comunicativi (nell’interrogare una persona posso raggiungere lo scopo di persuaderla, nel dare informazioni posso allarmare, ecc.).

[11] La comunicazione funzionale alla conoscenza, la conoscenza e l’apprendimento conseguenti al tipo di relazione sono la base dei cinque assiomi della pragmatica della comunicazione di Watzlawick [1967]. 1) non si può non comunicare; 2) la comunicazione è modulata dal rapporto tra contenuto e relazione tra persone (metacomunicazione); 3) gli scambi comunicativi possono essere analogici o numerici; 4) gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari; 5) le punteggiature delle sequenze comunicative cambiano a seconda della relazione tra i comunicatori.

[12] Non si pone, ad esempio, il problema del modello mentale che ogni comunicatore si costruisce del destinatario (il target a cui si rivolge), né entra nel merito della comunicazione amplificata (a più stadi in cui il comunicatore si rappresenta nella comunicazione attraverso un altro soggetto), né analizza la comunicazione come inferenza (indizi distribuiti dal parlante affinché chi ascolta ricostruisca il significato), come condivisione, come scambio o come negoziazione.

[13] L’attenzione agli stati mentali è stata anche oggetto del cognitivismo culturale di Bruner “E’ come se la psicologia si volesse liberare completamente degli stati mentali e della loro struttura, quasi ad asserire che il “dire”, in fondo, riguarda soltanto ciò che è pensiero, sensazioni, credenze ed esperienze. E’ curioso, invece, che esistano così pochi studi che si muovono nella direzione opposta: come può l’agire rivelare ciò che si pensa, si sente o si crede? “ [Bruner, 1997:33]. “Per comprendere l’uomo si deve comprendere il modo in cui le sue esperienze e le sue azioni vengono plasmate dagli stati intenzionali; … la forma di tali stati intenzionali si realizza solo attraverso la partecipazione ai sistemi simbolici della cultura” [Bruner, 1997: 46]. La principale differenza tra l’intepretazione narrativa e culturale di Bruner e quella delle Formae Mentis di Gardner verte sulla modularità e sulla localizzazione. Gardner fonda la sua ricerca sulla ricognizione delle intelligenze in specifiche aree del cervello mentre la psicologia culturale non è modulare ma olistica. Bruner non affronta discussioni sulla specializzazione di un emisfero cerebrale o sulla natura dei linguaggi analogici o digitali e la sua rivoluzione narrativa accende nuovi stimoli sull’antico problema della costruzione del significato. Del resto anche la semiotica moderna, da Pearce [1980] ad Eco [1998], converge sulle influenze culturali nella significazione. La percezione immediata di un oggetto si trasforma in significato mediante conoscenze culturali condivise; ciò significa accordarsi finalemnte sul fatto che, seppur l’intelligenza non sia modulare, la percezione sicuramente lo sia. E cioè, come suggerisce Fodor, essa si fondi su processi automatici della mente nell’immagazzinamento dei dati percepiti ma su processi olistici e culturali per l’attivazione dei significati.

[14] Tale schema non è certamente sufficiente a contenere altre problematiche comunicative quali: la comunicazione inferenziale ed euristica o la comunicazione ermeneutica (la possibilità di ricostruire il senso originale della comunicazione) e narrativa (la costruzione del significato). Inoltre non è possibile articolare nello schema la complessità delle variabili che connotano la sola comunicazione verbale e cioè la situazione, i partecipanti (emittente/ascoltatore, mittente/destinatario), gli scopi, le forme e i contenuti, le chiavi, i tratti prosodici per comunicare il senso del nostro parlare, gli strumenti, le norme (collaborazione comunicativa, quantità d’informazioni), e i generi della comunicazione (comizio, lezione, sermone, interrogazione, discussione informale, ecc.).

Dalle funzioni comunicative rimangono eslusi due enormi ambiti: il ruolo dei segni, gli atomi comunicativi che connotano e denotano significante e significato, e quello della modulazione relazione tra i partecipanti (dalla prossemica, e cioè la distanza relazionale tra gli interlocutori, alla pragmatica, e cioè la definizione reciproca degli interlocutori all’interno delle sequenze discorsive).

[15] Minsky discute sul fatto che la logica deduttiva abbia grande importanza nel pensiero ordinario. “Nessuna persona sensata di fiderà mai di una lunga e sottile catena di ragionamenti. Nella vita reale, quando ascoltiamo un argomento, non ci limitiamo a controllarne ciascun singolo passo: ci sforziamo di capire se ciò che è stato descritto fino a quel punto sembra plausibile. Cerchiamo altre prove, oltre alle ragioni contenute in quell’argomento…Dunque il modo di ragionare fondato sul buon senso differisce dal modo di ragionare “logico”. Quando un argomento ordinario sembra debole, possiamo riuscire a sostenerlo con prove ulteriori. Ma un legame contenuto in una catena logica non può in alcun modo valersi di un sostegno ulteriore: se non è del tutto vero, allora è assolutamente falso” [Minsky 1989: 366].

[16] Le più recenti elaborazioni di quel filone della scienza cognitiva che ha tentato di spiegare la mente con l’analogia al computer, giungono a considerare le idee (o i significati) come oggetti, le espressioni linguistiche come contenitori e la comunicazione assimilabile all’atto di inviare. Fodor nel suo La mente non funziona così [2001] descrive l’obiettivo di quell’impresa computazionale: "la scienza cognitiva...era definita...dal progetto di considerare i processi mentali cognitivi come operazioni definite su rappresentazioni mentali strutturate sintatticamente molto simili a enunciati... Le idee avrebbero avuto la forma di frasi scritte nel cosiddetto mentalese e la mente cognitiva sarebbe stata organizzata in "moduli" capaci di "incapsulamento informazionale".  Il modulo incapsula i dati con cui effettua le computazioni e trasforma il tutto in un sistema di riflessi. “Il punto di arrivo della teoria dell’informazione è un deciso ripensamento: ogni azione mentale significativa (non un banale riflesso), dice Fodor, è influenzata da quello che accade, che è accaduto e che accadrà, in tutto il resto della mente e ci conduce a considerare la mente non modulare, ma "olistica". La teoria paracomputazionale della mente spiega soltanto le parti della mente modulari, ma - aggiunge Fodor - "è quella parte della cognizione che non funziona così che costituisce l'oggetto delle mie preoccupazioni, dal momento che vi sono indicazioni che si tratti di una parte considerevole e che in essa consiste molto di ciò che caratterizza la mente umana".

 

[17] Apprendere ad apprendere è un processo descritto come acquisizione di forme mentali che consentono di elaborare le informazioni: vi sono forme sempre più complesse  di apprendimento di segnali, di concatenazioni, di discriminazioni e di concetti. Si apprende per ricezioni, in modo meccanico o significativo, per scoperta attraverso attività progressivamente concatenate di comprendere, ricordare, ragionare, risolvere problemi correlando le nuove informazioni con altre già in memoria e riorganizzando le strutture di conoscenza precedenti. 

[18] La teoria della dissonanza cognitiva di Festinger, secondo la quale non è possibile ricevere informazioni dissonanti con le cognizioni possedute, la teoria delle mosse fondamentali di Goffman (apparentemente non intenzionali, ingenue, di controllo mimetico, dissimulative, di falsa rappresentazione, di smascheramento e di controsmascheramento), il concetto di passeggiata inferenziale di Eco o quello di decodifica aberrante appartengono a questo contesto di azioni comunicative.

[19] Secondo l’ipotesi di J. Bruner  la narrazione è la prima modalità di apprendimento del bambino. Le notizie che riceve dal mondo hanno la forma di storie. “Ho sostenuto, con molta convinzione, che una delle forme di discorso più diffuse e più potenti della comunicazione umana è la Narrazione. La struttura narrativa è anche insita nella prassi dell’interazione sociale: ciò che determina l’ordine di priorità in cui le forme grammaticali vengono assimilate dal bambino in tenera età è proprio la spinta a costruire una narrazione” [Bruner, 1997:81].

Le componenti del processo di narrazione sono: 1) l’azione umana e i suoi risultati, in particolare l’interazione umana; 2) la rilevazione di ciò che è insolito; 3) il rendere lineare la sequenza degli eventi (che induce all’aquisizione fondamentale soggetto – verbo - complemento); 4) la voce da cui vengono raccontati. Ovvero il punto di prospettiva del racconto. Bruner trae da Burke i 5 elementi costitutivi del racconto e cioè l’azione, l’agente, lo scopo, gli strumenti e la scena [Burke, 1845] e sulla base di questi costruisce la teoria della narrazione intesa come costruzione dialogica del significato. “Ma la narrazione non è solo struttura di intreccio o drammatizzazione; nemmeno è solo “storicità” o diacronia. E’ anche un modo di usare il lingiuaggio. In effetti, quanto alla sua efficacia, essa sembra dipendere dalla sua letterarietà… dalla forza dei traslati, dalla metafora, dalla metonimia, dalla sineddocche, dall’implicazione, ecc.” [Bruner, 1997:68]. Ciò non deve però condurre ad una concezione non scientifica della narratività  giacché fondata su forme quasi-poetiche del suo esprimersi; le forme del suo snodarsi nel racconto non sono altro che i processi attraverso i quali l’uomo costruisce il significato. “Noi interpretiamo le storie in base alla loro verosimiglianza, alla loro aderenza alla realtà, alla loro aderenza alla verità o, più precisamente, alla loro aderenza alla vita” [Bruner, 1997:69].

“Sotto la spinta dei teorici dell’atto linguistico, ispirati direttamente da John Austin e indirettamente da Wittgenstein, negli ultimi trent’anni gli studiosi della mente hanno concentrato i loro sforzi sul tentativo di riportare il contesto comunicativo all’interno della trattazione del concetto di significato”[Bruner, 1997: 70]. “Tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta ha fatto la sua comparsa la nozione di un sé narratore: un sé che narra storie in cui la descrizione del sé fa parte della storia” [Bruner,1997:109]. “Lo scopo di una narrazione non è un processo attraverso il quale si ristabilisce la verita dei fatti ma in cui si giunge all’essenza di di un significato, accettato sulla base della sua coerenza, adeguatezza e verosimiglianza” [Bruner, 1997:111].

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