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DOCUMENTO FINALE DEL CONVEGNO

GLI STRUMENTI DEL COUNSELING

 

                                                                                             

 

Grosseto, 15 febbraio – Si è concluso oggi a Grosseto, nell’Aula Magna dell’Istituto Professionale “Luigi Einaudi”, un Convegno di tre giorni sul tema “Gli strumenti del Counseling”, promosso dalla Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia (FAIP) in collaborazione col Comune di Grosseto e coll’Associazione “Prevenire è Possibile”. Al Convegno, moderato dal Presidente di “Prevenire è Possibile” Vincenzo Masini, hanno partecipato centinaia di studenti e studiosi interessati a questa professione da molti decenni affermata negli Stati Uniti e in numerosi altri paesi dell’Occidente avanzato. I numerosi relatori (da Luigi De Marchi a Pierluigi Lattuada, da Michaelenn Kimmey a Monica Legnetti, da Antonio Lo Iacono a Roberto Parrini, da Clara Serina ad Alessandro Vannucci, da Rossana Zamburlin a Gianni Bassi) hanno presentato le molteplici tipologie del counseling: transpersonale, aziendale, psicorporeo, emergenziale, medico, familiare, ecc.). A conclusione dei lavori il Consiglio Direttivo della FAIP ha diffuso il seguente Comunicato-Manifesto, letto e condiviso dall’Assemblea Plenaria del Convegno, che riassume le radici storiche di questa professione e ne rivendica la crucialità nei più diversi campi della vita sociale.

   Il Counseling è nato negli Stati Uniti nel corso degli anni ’30 per assicurare, come scrive Rollo May (uno dei Padri Fondatori della Psicologia Umanistica), “riconoscimento professionale a tutti coloro che, pur non avendo, né volendo, il titolo accademico di psicologo o psicoterapeuta, svolgono o intendono svolgere un’attività che esige una buona conoscenza della personalità umana”.

   “Un altro Padre Fondatore della Psicologia Umanistica, Carl Rogers, è autore della prima opera sistematica sulla professione di Counselor intitolata significativamente “Psicoterapia di consultazione” e pubblicata negli Stati Uniti nel 1942. Quell’opera inizia con queste parole: “Ci sono molte persone la cui professione consiste soprattutto nell’avere colloqui con chi a loro si rivolge per determinare, mediante contatti personali, modificazioni costruttive del proprio atteggiamento e comportamento. Si chiamino essi psicologi, consulenti psicologici scolastici o aziendali o matrimoniali, assistenti sociali, psichiatri od altro, qui ci interessano solo se, dopo i colloqui con loro, l’eterno indeciso, la coppia in crisi, il fallito, il disadattato o il delinquente trovano meno difficile affrontare in modo costruttivo i loro problemi e la realtà della vita. A questi colloqui possiamo dare nomi diversi. Possiamo chiamarli, con espressione semplice e descrittiva, colloqui terapeutici: più spesso, però, vengono definiti globalmente counseling. Oppure questi colloqui, intesi a proporre rimedi e cure, possono essere chiamati psicoterapia. In quest’opera, i vari termini saranno utilizzati più o meno indifferentemente, poiché sembrano riferirsi allo stesso metodo fondamentale: una serie di colloqui personali, finalizzati ad aiutare la persona assistita a modificare positivamente i suoi atteggiamenti e comportamenti. Si è notata la tendenza ad usare l’espressione counseling per i colloqui più superficiali e meno continuativi ed a riservare il termine psicoterapia per i colloqui approfonditi e prolungati, volti ad una riorganizzazione più radicale della personalità. Ma sebbene questa differenziazione possa avere una sua validità, è ugualmente chiaro che il counseling più intenso ed efficace non è distinguibile da una psicoterapia altrettanto intensa ed efficace. Di conseguenza, poiché i due termini sono diventati d’uso comune tra gli specialisti, li adopreremo entrambi nel corso di quest’opera”.

   “Quella illuminante e sensata considerazione mostra quanto sia in contrasto  la realtà storica e professionale del counseling e la sua arzigogolata e oscura definizione nella corporativa legislazione italiana in materia di psicoterapia che ha preteso di escludere dalla psicoterapia, in contrasto con quanto accade negli Stati Uniti e nella maggior parte dei paesi dell’Occidente avanzato, chiunque non sia laureato in medicina o in psicologia ed abbia completato un corso quadriennale di specializzazione post-laurea. E’ una legislazione che, come è stato più volte denunciato, ha voluto statalizzare una formazione professionale, quella dello psicoterapista, nata e cresciuta nell’ambito di scuole private e libere; e che, per soddisfare gli appetiti di baronie accademiche tanto avide quanto incompetenti, ha validato solo i diplomi delle scuole di formazione approvate dalle baronie stesse facendo quintuplicare i costi della formazione e consegnando l’Ordine degli Psicologi e degli Psicoterapisti, composto per 4/5 di liberi professionisti, ad esponenti della burocrazia sanitaria ed accademica.

   Questa legislazione, come è noto, è da tempo severamente criticata in sede europea. Nel Congresso Europeo di Psicoterapia svoltosi nel 1998 a Parigi, organizzato dalla Associazione Europea di Psicoterapia, i rappresentanti della professione psicoterapeutica di 36 paesi europei hanno denunciato la nostra legislazione statalista definendola una violazione del diritto umano alla scelta del metodo terapeutico e, con una marcia solenne alla Piazza del Trocadero, hanno ribadito la Dichiarazione di Strasburgo (1990) che definisce la psicoterapia “una professione libera e indipendente” da non riservare solo a medici e psicologi.

   “Ma, al di là dei problemi di  libertà personale e di indipendenza professionale così grossolanamente violati dall’attuale legge italiana in questo campo, c’è un problema basilare di contenuti e di efficacia che l’odierna legislazione italiana in materia psicoterapeutica, e gli orientamenti ad essa ispirati in tema di counseling, sembrano ignorare totalmente, con grave danno dell’utenza. Ed è il problema della qualità umana del professionista che svolge queste delicatissime attività.

    “La nostra legislazione, conforme ai criteri nozionistici e burocratici che ispirano tanta parte del nostro insegnamento universitario e che ci hanno assicurato il poco invidiabile primato europeo della fuga degli studenti dagli atenei e dei cervelli dai centri di ricerca, concede l’abilitazione a queste attività a chi abbia concluso un corso privo di qualsiasi contenuto umanistico e superato un’enorme quantità di esami teorici, spesso inutili ai fini professionali, senza alcun riguardo per la preparazione esperienziale e pratica e per le qualità attitudinali del candidato.

   “Purtroppo, i criteri che si sono affermati in varie Scuole italiane di counseling ricalcano pedissequamente le concezioni nozionistiche accademiche in fatto di consulenza psicologica in ogni campo: da quello clinico a quello aziendale a quello sportivo o scolastico. Ma tutto ciò costituisce una flagrante negazione dei criteri che dovrebbero ispirare la formazione in queste attività. Sono criteri che lo stesso Carl Rogers ha ripetutamente denunciato e sconfessato, ammettendo ai suoi corsi di formazione e diplomando in psicoterapia centinaia e centinaia di persone che non avevano nessuna laurea, nessuna specializzazione e nessun altro titolo di studio universitario, ma avevano la qualità umana, la sensibilità, l’autenticità, la semplicità, il senso dei propri limiti, la capacità di comunicazione e attenzione empatica che sono la vera e unica base d’una psicoterapia e di un counseling efficaci.

   Beninteso, fin quando l’attuale legislazione statalista resterà in vigore in Italia, ogni formatore responsabile deve rendersi conto che con questa legislazione dobbiamo fare i conti e che, quindi, può essere oggi opportuno evitare scontri frontali con le norme vigenti. Ma queste considerazioni giuridiche o filosofiche non devono indurre le Scuole di formazione in counseling ad avallare la confisca e la distorsione della formazione psicoterapeutica e di molte altre professioni d’aiuto psicologico ad opera del nozionismo e del corporativismo baronale ed a ricalcare su quei concetti distorti la formazione del counselor.

    Al contrario, chi prepara al counseling in Italia deve considerare questa sua attività formativa doppiamente necessaria ed urgente nel nostro paese: sia perché si tratta di creare professionisti selezionati e formati secondo criteri non solo nozionistici ma anche e soprattutto attitudinali, sia perché si tratta di combattere e compensare la distorsione nozionistica e corporativa che l’egemonìa baronale ha prodotto nel campo psicologico e psicoterapico e nella stessa concezione della figura del counselor. Insomma, una formazione valida del counselor dev’essere coerente con le radici storiche di questa figura e consapevole delle responsabilità storiche, sociali, scientifiche e culturali che caratterizzano questa professione ingiustamente emarginata dalle burocrazie accademiche.”

 

 

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