Documento sulla teoria del counseling relazionale e dello stato del riconoscimento della professione in Italia
A cura della Federazione PREPOS
1) Analisi sociale della necessità di counseling
2) Stato dell’arte sul riconoscimento del counseling
1 Analisi sociale della necessità di counseling
La Federazione Prepos nasce da un lungo processo di crescita che si collocava all’interno di quelle esperienze associative e di volontariato variamente denominate "terzo settore", "terza dimensione", "terzo sistema", "economia sociale", "privato sociale", "volontariato", "associazionismo", ecc., le quali, nel corso degli anni, sono andate progressivamente appiattendosi sul codice normativo dello stato ed hanno fatto affievolire la speranza di miglioramento delle relazioni sociali ed interpersonali nei nostri modi di vivere attuata nella straordinaria stagione degli anni ‘80 e ’90.
Ho con attenzione analizzato il processo di involuzione del Terzo Settore sia alla luce della teoria delle personalità collettive sia nella prospettiva di individuare il nuovo nascente nei contesti delle professionali non regolamentate.
Il Terzo Settore, costituito da un insieme molto differenziato di esperienze, forme associative, motivazioni all’azione, economie, tipi di relazioni, etc., ha ricevuto pochissimo dalla Stato (il quale riceve molto dal mercato mediante prelievo fiscale ed utilizza al fine del mantenimento della sua burocrazia interna) ma, in cambio di molto poco ha stravolto la sua natura interna appiattendosi sui codici burocratici in modo del tutto simile al sistema statale che contestava.
La definizione di Terzo Settore, oggi egemone seppur non condivisa dal rimpianto Achille Ardigò che preferiva “terza dimensione” come luogo di produzione di senso da parte dei mondi della vita, accomuna le esperienze associative, di volontariato, di impresa sociale come parte di un unico sistema di produzione di beni relazionali.
Gli statalisti hanno fatto del TS un grande contenitore di attività al servizio della pubblica amministrazione [.e.] i liberisti che vorrebbero dare nuovo impulso al mercato riconoscendo il ruolo del TS in funzione di una estensione delle attività degli stessi soggetti di mercato...Così il TS è diventato ogni giorno di più campo di lotta per due forze esterne che tentano ciascuna di arruolare per sé quante più organizzazioni di TS possono: lo Stato attrae a sé quelle che si assoggettano ad albi e registri...il mercato quelle che possono essere più facilmente commercializzate.
L’affermazione “laddove vi è più WS meglio si sviluppa il TS” ricorrente negli anni ’80, altro non era che il permanere di un desiderio statalista funzionale a contenere il TS nelle logiche dell’amministrazione regionale dei servizi, svuotando così il senso della proposta di partecipazione soggettiva alla vita relazionale da parte di uomini che stavano realizzando se stessi nei rapporti di aiuto.
Dopo il 2000 questo processo si è assolutamente stabilizzato al punto da rendere in Terzo settore una vera e propria componente strutturale della economia della globalizzazione.
Sono in essa cadute le spinte solidaristiche soggettive che presentano solo una funzione di immagine sui mass media, anch’essi globalizzati, e, in gran parte, sfuggiti di mano alle stesse centrali del potere politico.
Dopo la storica data del 15 novembre 1994, in cui è stato siglato, a Marrakech, l’accordo W.T.O. (World Trade Organization) anche il T.S. è entrato nella globalizzazione del mercato unico mondiale fatto di una economia generalizzata di consumismo e di povertà prodotta dal ricorso al credito economico su denari virtuali e, quindi, su un debito che viene sistematicamente scaricato sul futuro. Il W.T.O. inaugura la stagione delle carte di credito, che meglio sarebbe definire come carte di debito i cui interessi, anche a due zeri, ipotecano le economie future delle giovani generazione mentre i sistemi di Welfare State sembrano proteggere sistematicamente la componente anziana della popolazione a scapito dei giovani.
La tipologia umana che sembra derivare da questo sistema è quella di molteplici soggettività che pensano al vecchio valore socialità della uguaglianza solo nei termini della parità di accesso ai consumi commerciali e non nella produzione di identità individuali e collettive incentrate sulla realizzazione umana del sé, della propria professione e del proprio ruolo nel sistema sociale.
Proprio perché non è più possibile pensare ad un sistema generalizzato di massa di prestazioni sociali il modello di lavoro che abbiamo implementato in questi anni è centro sulle libere professioni di aiuto, capaci di fronteggiare le crisi individuali, sociali, di senso ed economiche attraverso il piccolo ma capillare lavoro di operatori che traggono direttamente dal rapporto con i clienti la loro sussistenza e restituiscono ai clienti un autentico senso della vita sulla base del quale possono riorganizzare la loro esistenza. In tale assunto va collocata la scelta di PREPOS di spingere al massimo nella direzione di costruire nuove soggettività professionali di aiuto in vari settori, principalmente nel counseling relazionale.
Il counseling relazionale è il principale approdo degli anni successivi al 2000. Con il modello teorico delle personalità collettive ha preso il via l’esperienza del counseling relazionale perché, alla luce di tale teoria, il soggetto miglioratore delle relazioni non appare più prendere la forma di una struttura associativa del Terzo Settore. O, meglio, non è il fatto di essere una struttura di Terzo Settore l’elemento determinante per i processi di miglioramento relazionale.
La proposta di Ardigò racchiusa nel termine "terza dimensione" includeva due tipi di rapporti sociali: a) le relazioni di mondo vitale (familiari, parentali, di vicinato, di amicizia, ecc.) e b) l'area delle solidarietà associative (volontariato, cooperazione sociale, mutualità). Questi due ambiti presentano personalità collettive ben differenti ed economie di servizio alla persona molto distanti tra di loro. Dal punto di vista ideale in ambedue i tipi di rapporto sociale si applica (teoricamente) il criterio dell’agire senza piegarsi al calcolo e al lucro. In gran parte ciò è dovuto al fatto che i beni sociali sono oggetto di prestazione diretta, gratuita e comunitaria ma, in parte più rilevante, al fatto che tali economie funzionano sulla base della rendita prodotta dalla messa in comune di proprietà, di beni e di servizi. Il capitale sociale ed umano costituisce una fonte di rendita per le opportunità che offre alle persone di sopravvivere e di consumare risorse condivise all’interno di mondi vitali e associativi.
La globalizzazione economica e comunicativa ha però prodotto processi di diseconomia di tale rendita perché la propensione al consumo ha portato molti di questi mondi ad indebitarsi e ipotecarsi il futuro per la sopravvivenza consumistica dell’oggi e li hanno esposti a fluttuazioni finanziarie che spesso hanno di colpo prosciugata la rendita economica e la rendita del captale sociale.
Sul piano economico il parassitismo nella terza dimensione è ben visibile: nelle famiglie osservando come gli alloggi e il mantenimento dei nuclei famigliari sia spesso affidato alla proprietà ed alle pensioni godute dalla popolazione anziani; nelle economie associative dal fatto che esse traggono quasi esclusivamente risorse dagli stanziamenti dello stato.
La mancata crescita economica e la mancata innovazione economica è un indicatore chiaro di un processo di deterioramento che rivela le mancanze di comprensione, di intesa, di pariteticità, di incontro, di confronto tra i membri di tali contesti, con spesso lacerazioni, incomprensioni e insofferenza che deteriorano il capitale sociale ed umano su cui si fondava la rendita.
La necessità di accordi e di nuova comprensione tra soggetti di mondi vitale e soggetti associati sta alla base di un enorme lavoro di riorientamento delle loro personalità collettive verso una base più base fiduciaria possibile solo se vengono depotenziati i processi di potere in atti all’interno di tali sistemi.
Il counseling relazionale si pone al servizio di tali processi che, oltre ad essere pedagogici, psicologici, spirituali sono anche economici e di partecipazione politica.
Il disagio soggettivo individuato nei copioni di comportamento è infatti esito di relazioni oppositive tra persone che imprigionano nella ripetizione sociale tipizzata e ritualizzata. Se un uomo sta male significa che c’è qualcun altro, reale o fantasmatico, che lo fa star male. In altre parole il primo passo per l’uscita dal copione di disagio presuppone un processo di liberazione dalle dipendenze relazionali rinforzata dalle economie delle rendite di mondo vitale o di mondo associativo.
Se infatti un soggetto presenta un disagio oggi non può più sperare di trovare risposta nei suoi mondi della vita o nelle realtà associative a cui partecipa. La famiglia gli dirà ciò che è conveniente che lui faccia per l’interesse della famiglia medesima (che non è detto coincida con il suo percorso di realizzazione sociale ed umana), la realtà associativa (amicale, politica, religiosa, sportiva, ecc.) gli dirà quello che lui vuole sentirsi dire e non quello che gli serve davvero per non perdere un membro prezioso nella attuale crisi di capitale umano e sociale.
2 Stato dell’arte sul riconoscimento del counseling
Con questo spirito di servizio lo Studio Associato Prepos ha lavorato alla costruzione ed al riconoscimento della figura del counselor promuovendo dapprima la apposita commissione accesa nella Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia per poi costruire una rete di relazioni e contatti nazionali ed internazionali che stanno conducendoci alla soglia del riconoscimento legislativo di tale figura di professionista.
Insieme alla FAIP è stato possibile costruire un’idea di formazione al counseling non accademica e formale, anzi formativamente antiburocratica. Per burocratismo si intende la sopravvalutazione dei titoli e dei criteri formali rispetto al significato concreto delle competenze. La competenza del counselor, definibile come valida professionalità più capacità di amore per l’irriducibile alterità del cliente, necessita di essere verificata attraverso accertamenti sul vissuto esperienziale del futuro counselor nel rapporto con se stesso e con l’altro.
La necessità di orientarsi verso tali modalità di verifica emerge con maggior evidenza di fronte all’incrementale crescita della domanda sociale di consulenza di aiuto che impone al counselor l’acquisizione di un’ampia esperienza del futuro lavoro: si tratta di evidenziare come asse portante nella formazione a counselor la dimensione “esperienziale”
Uno dei passi più significati del lavoro per lo sviluppo e l’accreditamento del counseling è stato l’incontro con l’EAC (European Association of Counseling) a Laren, in Olanda, in cui mi è stato attribuito il mandato di unire le diverse realtà del counseling italiano. Attraverso la FAIP ho presentato una richiesta formale a tutte le associazioni italiane di counseling di confederarsi sotto un unico umbrella per comparire presso la rappresentanza europea del direttivo EAC come unica associazione democratica con un unico rappresentante.
A questo protocollo scelgono di non partecipare CNCP e SICO seppur invitati anche personalmente, più volte a prendere parte al dibattito. FAIP e le altre associazioni scelgono comunque di riconoscere unilateralmente SICO e CNCP poiché in possesso dei requisiti minimi richiesti dagli standard europei per la formazioni in counseling.
Le relazioni procedono e s’intensificano fino alla conferenza dell’Ottobre 2008 “Certificare i counselor e diffondere il counseling” a Roma: Le associazioni sanciscono il loro riconoscimento reciproco costituendosi in un contenitore associativo denominato FAIC (Federazione delle Associazioni Italiane di Counseling) al fine di mantenere aperto il reciproco dialogo. Il contenitore FAIC ribadisce l’adesione agli standard internazionali della EAC e della NBCC della professione del counseling.
Con la costituzione della FAIC la FAIP ha portato a termine il mandato ricevuto dall’EAC nel 2007 di costruire un umbrella in cui far confluire le associazioni italiane di counseling. La FAIC non ha intenti operativi anche per la divaricazione di intenti e di interessi dei gestori dei diversi registri che, pur essendo in reciproca concorrenza, sono comunque rispettosi degli ambiti di attività di ciascun registro e rispettano il comune codice deontologico che, all’art. 4, impegna gli aderenti al rispetto reciproco: “I rapporti tra i Counselor devono ispirarsi ai principi del rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza, della corresponsabilità e dell’armonia”.
I contatti con la NBCC presentano un impatto molto più operativo e concreto della semplice rappresentanza che è attiva all’interno della EAC; con i colleghi americani viene proposto e realizzato un importante convegno bilaterale tra Italia ed Usa sulle metodologie, sul riconoscimento e la certificazione del counseling. I sistemi di certificazione di competenze vengono importate in Italia sia nel modello degli standards della NBCC che nel processo di certificazione internazionale proposto dal CACREP. Il modello NBCC, che potrà essere di grande utilità qualora il riconoscimento delle nuove professioni passasse attraverso “certificazioni di competenza”, è stato concesso ai counselor italiani mediante un international agreement su “certification/registry/programs” firmato da Thomas Clawson, presidente NBCC International e Vincenzo Masini.
La regolamentazione professionale in Italia
Il counseling fa parte delle professioni non regolamentate la cui prima legittimazione in Italia si presenta nel 1989, quando viene istituito presso il CNEL un archivio di tali professioni che, ad oggi, rimane l’unico riferimento per l’apertura di partita iva o per l’esercizio di tali attività. I registri delle professioni sono gestiti dalle associazioni ed ad ogni professionista, accreditato dalla sua associazione professionale, viene attribuito un numero progressivo da citarsi nella fatture professionali emesse.
La FAIP ha depositato il suo registro nel 2004 ed è censita nel settore “Cura Psichica” con il numero 030. I registri di counseling presenti presso il CNEL sono quelli dell’AICO, ANCORE, SICOOL e SICO. Presso il CNEL non è presente il registro REICO, né alcun registro che faccia capo al CNCP o all’ASPIC.
Quando le professioni
non regolamentate appaiono in Italia, il presidente del CNEL istituisce
un archivio delle professioni, che in seguito diverrà “Presidenza delle
professioni”. I liberi professionisti delle nuove professioni non
regolamentate sono prevalentemente autonomi, ma anche dipendenti e
parasubordinati, fortemente motivati e con un elevato livello di
esperienza e formazione e rappresentano oggi un importante sistema
propulsivo dell’economia italiana, anche in momento di crisi. Secondo le
stime del CNEL sarebbero circa 2 milioni e mezzo di lavoratori impegnati
nelle aree più diverse e raggruppati in: Arti, Scienze, Tecniche,
Comunicazione d’impresa, Medicina non convenzionale, Servizi
all’impresa,
Area Sanitaria, Cura psichica.
I professionisti inizialmente si muovevano nella direzione di diventare albi e collegi, ma, grazie agli orientamenti più avanzati europei proposti in Italia dal Colap, si opta per la costruzione di un testo legislativo di riconoscimento delle Associazioni professionali al fianco delle Professioni Ordinistiche. Infatti l’Italia è l’unico Paese europeo ad avere le Professioni ordinistiche e i Coordinamenti o Associazioni di secondo livello cercano di far legittimare l’intraprendenza economico e sociale delle nuove professioni. Nel 2005 la direttiva europea 36/CE, indica nelle associazioni professionali i soggetti che rappresenteranno in Europa la voce dei professionisti, e sulla base di questa direttiva viene emanato il DLGS 206 del 2007 (recepimento della direttiva qualifiche professionali 36/2005/CE) che nell’articolo 26 promulga le caratteristiche che un’associazione professionale deve avere per poter essere tale. Da quel momento il CNEL interrompe la possibilità di depositare nuovi registri presso la propria banca dati e rimanda il recepimento di nuovi registri professionali al Ministero di Giustizia.
La FAIP è entrata nel Colap (Coordinamento delle libere professioni) nel 2006 nel periodo dei II° Stati Generali delle Associazioni Professionali, per abbracciare la possibilità di presentarsi in sedi governative e ministeriali con unica veste e battersi per la definizione del riconoscimento delle libere professioni, insieme alle altre associazioni professionali non ancora regolamentate (tributaristi, amministratori di condominio, shiatzuka, informatici, allenatori, ...).
Il Colap promuove e appoggia alcuni disegni di legge presentati in Parlamento tra cui la riforma della Professioni Mastella, poi quella Mantini, fino al disegno di legge più recente presentato dalla sen. Fioroni che contiene l’importante novità di riconoscere come referente delle nuove professioni il Ministero dello Sviluppo Economico. Nelle proposte di legge supportate dal Colap il punto cardine è il riconoscimento delle associazioni professionali, come portatrici di un know-how che sa rinnovarsi ed essere flessibile nel mercato. La FAIP con il Colap, prepara e presenta, nei primi mesi del 2008, al Ministero della Giustizia, tutta la documentazione per essere riconosciuta come associazione professionale.
Con la caduta del Governo Prodi le commissioni del gabinetto Mastella, promotore di un disegno di legge interessante e favorevole al riconoscimento delle professioni non regolamentate, si sciolgono e viene persa TUTTA LA DOCUMENTAZIONE presentata dalle associazioni. Il Colap sceglie di non fare una battaglia sulla stampa denunciando questa incredibile e sospetta inadempienza e mostra una debolezza politica che apre lo spazio alla crescita di una nuova Associazione di coordinamento interprofessionale: Assoprofessioni.
Intanto la FAIP presenta per conto proprio la documentazione che è considerata in regola, eccezion fatta per alcune precisazioni richieste circa la presenza su tutto il territorio nazionale.
Lo sviluppo di Assoprofessioni appare un processo interessante: Prima di tutto perché si inserisce in un contenitore storico dell’artigianato e della piccola impresa, il CNA, che vanta crediti e rappresentanze istituzionali consolidate ma che è completamento scoperto sul piano della rappresentanza sociale delle professioni non regolamentate. Il CNA propone l’adesione al suo circuito da parte dei professionisti individuali o associati. La FAIP aderisce ad Assoprofessioni nel Gennaio del 2009, senza uscire dal Colap ma mantenendo un equilibrio di mediazione e di “counseling” tra questi due coordinamenti nazionali. Le considerazioni che hanno fatto operare questa scelta sono molte.
Prima di tutto la contesa tra Colap e Assoprofessioni verte su una questione rilevante: Riconoscere le associazione dei professionisti è l’obiettivo del Colap, riconoscere i Professionisti è l’obiettivo di Assoprofessioni. Queste due prospettive concernono l’autonomia dei professionisti, la definizione degli ambiti della loro attività, la possibilità di evoluzioni future delle professioni, i rapporti con il sistema ordinistico, in un quadro di assenza di scelte di politica professionale da parte del Governo Italiano. Al momento non è ancora chiaro l’orientamento governativo in una direzione o nell’altra anche perché, in epoca di crisi, qualunque atteggiamento proibizionista nei confronti del lavoro è naturalmente poco popolare.
Ultimi provvedimenti e previdenza
L’unico elemento rilevante è attualmente la sentenza del TAR del 11 febbario 2009. Gli Ordini Professionali dei commercialisti, degli ingegneri, dei periti industriali, dei geologi e dal CUP avevano presentato un ricorso contro il dlgs 2006/2007 ed iniziato una gigantesca battaglia giudiziaria che si conclude con la sentenza del TAR del Lazio che dichiara inammissibile il ricorso degli ordini professionali contro l’art.26 che dettava le norme per l’individuazione delle Associazioni Professionali.
Al convegno del 19 marzo 2009 Assoprofessioni/CNA, ha presentato la proposta di diminuire l’aliquota previdenziale a carico del professionista, facendo però emergere il sommerso, in maniera tale da non gravare sulle casse dello Stato per un “mancato gettito di oltre35 milioni di euro per ogni punto percentuale in meno” (ItaliaOggi del 20 Marzo 2009). Attualmente infatti il libero professionista non regolamentato versa una quota del 26%, nella gestione separata dell’INPS. Viene chiesto che l’aliquota non superi il 22% per avvicinare la quota INPS a quella delle casse mutue private delle professioni ordinistiche (in genere il 14%).
La terza area della formazione
FAIP ha deciso di aderire sia a Colap che ad Assoprofessioni perché ritiene che, in ambedue i casi (riconoscimento delle associazioni o dei professionisti) il nucleo centrale sia quello della formazione di tali professionisti, sia che tale competenza debba essere stabilita all’interno delle associazioni sia che la sua qualità debba essere certificata da un soggetto terzo.
Nell’incontro di Perugia del 3 aprile 2009, il Prof. Masini interviene successivamente alla proposta della proposta di legge della Sen. Anna Rita Fioroni chiarificando l’importanza di riconoscere la formazione del professionista, e si offre per la mediazione dei raporti tra Colap e Assoprofessioni.
Il principale tema inerente il riconoscimento delle nuove professioni non regolamentate si inquadra intorno ai processi formativi nati da una terza area (né Università, né Formazione Professionale Regionale) costituita da gruppi, associazioni e scuole di formazione dell’intervento:
Il quadro formativo in cui nascono le nuove professioni è infatti quello del fallimento della riforma universitaria detta del “3 + 2” che introduceva nell’Università Italiana le lauree brevi che avrebbero dovuto essere orientanti verso una professionalizzazione in linea con i tempi e le richieste del mercato delle professioni. L’Università ha fallito in questo progetto e lo spazio per la formazione di professionisti dei servizi alla persona, alle imprese, al mercato è stato riempito dal fiorire di molteplici iniziative di formazione nate direttamente dalla società civile.
Questa terza area di formazione, estranea sia all’accademia universitaria sia ai percorsi regionali dei corsi IFTS, è la vera novità che ha tenuto a battesimo la nascita dei professionisti delle professioni non regolamentate.
La caratteristica centrale di questi modelli formativi è infatti quella esperienziale ovvero l’apprendimento mediante la personale rielaborazione, il confronto con altri e la socializzazione dei vissuti professionali.
Proprio per questo motivo l’esperienza del counseling maturata in anni di lavoro ci ha consentito di partecipare al lavoro del Colap e di Assoprofessioni portando un contributo a questo livello, proprio in ragione dell’appartenenza ad una comunità internazionale di counselor con standards formativi consolidati e con la possibilità di fare riferimento ad essi in vista di qualunque certificazione di competenza.
Ricerche sulla professione di counselor
Abbiamo partecipato con atteggiamento critico alla ricerca promossa dall’ISFOL sulle nuove professioni. In tale ricerca si mirava a costruire un sistema di criteri, di competenze e di abilità tipici delle professioni non regolamentate.
L’ISFOL, Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei Lavoratori, è l’organismo parastatale che si occupa di ricerca per conto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e si sta muovendo in modo burocratico sul fronte della individuazione dei parametri delle libere professioni. La complessificazione burocratica avviene su tre livelli: 1.competenze, 2.ricerca, 3. riconoscimento/certificazione. L’obiettivo è quello di decidere i parametri in cui imprigionare le libere professioni. Ciò avviene spesso contro il parere delle associazioni professionali che partecipano alla ricerca.
Anche gli orientatori italiani, che si occupano da più di 10 anni di bilancio di competenze, sono stati soppiantati dal modello francese che definisce tale attività come un servizio a se stante, distinto dagli altri servizi di orientamento eserciatato da un’equipe composta da almeno tre figure: il consulente di bilancio, l’operatore dell’informazione e il responsabile della sede. Qualora vengano somministrati dei test è previsto l’intervento di uno psicologo. In tal modo la consulenza di bilancio di competenze diviene un’area non riconosciuta agli orientatori.
Rispetto al counseling l’Isfol e il gruppo di ricerca ha deciso autonomamente di convocare i counselor per dare loro una definizione di counseling mediante una analisi delle competenze che costruisca un metro di riconoscimento chiamato “counscard”. Questa operazione espropria i counselor della costruzione della propria professione.
Alcune proposte che abbiamo fatto, renderebbero la ricerca più vicina ai bisogni reali, più flessibile, duttile, rapida (gravando meno sulle tasche del governo per spendere i denari là dove realmente ha senso). Intanto la couns-card che non ha preso alcuna forma, e la collaborazione con l’eurocadres è naufragata anche a livello centrale europeo. I gruppi di lavoro sulle varie regolamentazioni europee in fatto di counseling non hanno ancora dato, dopo un anno, alcun frutto concreto e la scelta dell’ISFOL è stata quella di farsi affiancare da rappresentanti SICo, mentre la FAIP ha abbandonato la collaborazione a tale ricerca. Tale critica è stata riferita sia al Colap che ad Assoprofessioni.
Il rapporto con l’Ordine degli Psicologi
L’Ordine degli Psicologi vieta a tutti gli iscritti all’ordine di insegnare tecniche psicologiche ai non psicologi (Art. 21 del Codice Deontologico degli Psicologi). Per questo motivo alcuni colleghi psicologi sono stati invitati dall’Ordine a rispettare tale indicazione ed hanno cessato l’attività presso alcune scuole di counseling. In linea di massima le scuole aderenti alla FAIP si sono attenute alla definizione di counseling votata nel convegno di Ostia del 2006 “"Il Counseling è una relazione d’aiuto che muove dall’analisi dei problemi del cliente, si propone di costruire una nuova visione di tali problemi e di attuare un piano di azione per realizzare le finalità desiderate dal cliente (prendere decisioni, migliorare relazioni, sviluppare la consapevolezza, gestire emozioni e sentimenti, superare conflitti)". In tale definizione, e nel documento programmatico del counseling votato dal Direttivo, non solo non vi è esplicito riferimento alla psicologia ma si propone una dimensione del counseling come atteggiamento di aiuto ben diverso dalla professione dello psicologo. Proprio per questo motivo le scuole di counseling sottoposte ad accertamento da parte dell’Ordine degli Psicologi che si sono attenute a tale indicazione hanno ottenuto il non luogo a procedere, vedi sentenza n. 1558 del 13.03.2007 che non riscontra alcun elemento a carico della Scuola Transteorica di Counseling “PREPOS”. Proprio in virtù di questo documento formale, siamo stati individuati come prossimo interlocutore sul counseling dall’Ordine degli Psicologi al fine di stabilire una linea di distinzione tra counseling e psicologia.
Il counseling non si presenta infatti con un indirizzo psicologico ma pedagogico, filosofico, sociologico, antropologico, umanistico ed è applicato nei settori più diversi della relazione sociale.
Anche in questo caso il baricentro della questione è la formazione del professionista ed il fatto di avere già redatto in termini chiari un approccio multidisciplinare al counseling ci pone in una posizione chiara e inequivoca in questo aperto confronto. Anche rispetto alla certificazione delle competenze dei counselor l’idea guida di far intervenire un terzo nel momento della validazione del percorso formativo, ha avuto e mostra tuttora un notevole grado di chiarezza e di efficacia. Ciascuna scuola forma i propri professionisti ma l’esame è svolto di fronte ad una commissione il cui Presidente è il direttore di un’altra Scuola di Counseling.
Per non entrare in conflitto con altre professioni ordinistiche è stato importante precisare la natura relazionale di tale professione che non è una professione pedagogica, medica, giuridica, sociologica, psicologica, psicoterapeutica, assistenziale, spirituale, religiosa, economica, aziendale, morale, scolastica, politica, filosofica, del benessere, dell’estetica, della disabilità, della mediazione interpersonale, dell’orientamento pur esplicandosi nell’area di lavoro di queste altre diverse professioni. Il counseling è piuttosto costituito da una serie di abilità, di esperienze e di comprensioni sul significato della natura umana e della relazione tra uomini. Una delle ragioni che determinano confusione sul significato di counseling è l’errata interpretazione della sua etimologia: l’origine è nella radice latina del verbo “consulo-ere” che non conduce alla voce consultazione o consulenza (consulto-āre) ma al significato di “consolo” la cui struttura semantica è quella di “cum ("con", "insieme") e solĕre ("alzare", "sollevare"), ovvero “sollevarsi insieme” oppure “cum” - “solo” nel senso di essere con il chi è solo. Per consolare occorre avere qualcosa da raccontare ed entrare in relazione con l’umanità dell’altro. Il counseling, in questa luce, concerne la natura delle relazione umana, con l’umano.
Il concetto di umano precede il concetto di persona, così come il concetto di umanità precede il concetto di personalità. L’essere umano diventa persona nella relazione con l’altro e sviluppa la sua identità biologica attraverso le occasioni a lui proposte dagli incontri con le persone essenziali nel corso della sua vita. La sua identità emerge dalla sua natura umana e prende forma nella sua costruzione della sua personalità. L’identità biologica precede la coscienza e la coscienza precede la personalità. Questa ultima è il principale oggetto di analisi della psicologia (che investiga anche sui precedenti livelli) ma che non interviene come apparato di azione sullo sviluppo dell’umano e sulla distinzione tra ciò che è umano e ciò che umano non è.
L’approccio del counseling all’umano precede concettualmente l’approccio psicologico e si configura come processo di relazione con l’umano presente nelle soggettività che il counselor incontra. L’attività del counselor è quella di una educazione, o rieducazione, all’umanità nel rapporto che il cliente ha con se stesso, con gli altri e con il counselor stesso; il counselor è lo strumento umano per favorire lo sviluppo dell’umanità del cliente.
Counseling e psicologia sono dunque marcatamente differenti; il primo è una metodologia di lavoro relazionale, la seconda è una disciplina teorico-pratica. Anche il loro oggetto differisce: l’”umano” infatti si elicita nelle relazioni ed afferisce come oggetto più alle scienze sociologiche o antropologiche che a quelle psicologiche. Inoltre il metodo e le tecniche del counseling non si rivolgono al mondo intrapsichico ma a quello relazionale, con privilegio dell’empatia affettiva rispetto a quella cognitiva e con marcata attenzione alle strutture archetipiche dell’umano sia nella coscienza collettiva che nell’inconscio collettivo.
Il counselor opera mediante relazioni di affinità sociosolidale con il cliente; egli diventa ciò di cui il cliente ha bisogno al fine di sviluppare quelle dimensioni dell’umano ancora ignote o critiche per il cliente. Sono infatti le relazioni che conducono l'essere umano a diventare persona e l'”umano” si sviluppa e diventa personalità laddove ci siano relazioni di affinità elettiva. L’affinità elettiva sostiene relazioni di disponibilità, di dialogicità, di riconoscimento, di incontro, di mediazione, di complementarità e di integrazione. La natura del rapporto di aiuto nel counseling verte sulle abilità relazionali che dispongono a tali modelli primari interumani. Il disagio che il counseling affronta nasce invece dalle esperienze e dai vissuti di relazioni oppositive, quali l’equivoco, l’incomprensione, l’evitamento, la delusione, l’insofferenza, il fastidio e il logoramento. Quando i rapporti umani vengono imbrigliati all’interno di tali trappole relazionali l’evoluzione verso la costruzione di una personalità armonica è costretta in copioni ripetitivi e limitanti di comportamento.
Il counseling muove per l’innesco di processi di miglioramento e propone risposte articolate ma semplici ai problemi della vita delle persone che non trovano vie di uscita in metodi troppo accademici, strutturati e codificati. D’altro canto il counseling si pone anche come reale alternativa alle attuali spinte new-age di relativismo etico che troppo spesso scivolano nella banalizzazione. Dalle cure “fai da te” o alla magia passando attraverso una fitta rete di proposte “leggere” ma inconsistenti se non addirittura pericolose. L’esito è spesso la formazione di professionisti umanamente fragili e con deboli tecniche di intervento sulla persona. Questo può anche dipendere dalla procedure e dal percorso di studi che vede porgere prima i contenuti teorici e solo in seguito, quando ormai molte difese cognitive si sono già strutturate e sedimentate, l’esperienza pratica di un lavoro su se stessi. Dall’altro il mondo delle realtà delle pratiche di intervento postmoderne e new-age, che spesso tendono ad insinuarsi sotto l’ombrello del counseling, crolla sotto i colpi dello scandaglio scientifico per la sua debolezza strutturale, per lo scarso approfondimento e la poca profondità del suo sapere. Dare dignità e riconoscimento alla realtà del counseling è dunque un obiettivo di vasta portata sociale e culturale spiegandone le metodologie e presentandolo nella concretezza del suo fare e nella semplicità teorica, diametralmente opposta alle teorie altisonanti, gerarchicamente riconosciute, ma prive di operatività e di spendibilità.
Al fine di perseguire tale scopo si sono intensificate le attività di collaborazione costruendo un contenitore federativo del counseling relazionale, la Federazione PREPOS, che è anche un soggetto attivo di ricerca scientifica sul counseling.
Vincenzo Masini
Direttore Commissione Counseling della FAIP
Presidente FEDERPREPOS