Il processo di comunicazione
Il processo comunicativo può essere studiato e descritto attraverso l’ottica di un passaggio di informazioni tra emittente e ricevente che assolve specifiche funzioni, oppure attraverso lo studio dei processi di codificazione dei segni comunicativi, oppure nella sua qualità di modulazione della relazione interpersonale sottintesa, nello specifico socio culturale in cui è immersa, oppure in funzione del contenuto veicolato.
Formae mentis e competenze comunicative
Lo sviluppo della analisi pragmatica del linguaggio si deve ad Austin che propone nel suo saggio, Come agire con le parole [Austin, 1962], una fondamentale tripartizione in:
a) atto "locutorio": è l'atto di esprimere parole dotate di significato, come negli atti di descrizione e di constatazione;
b) atto "illocutorio": è l'esecuzione di un atto che ha una forza legata all'intenzione di chi parla, come nelle espressioni di comandi, di richieste, di proibizioni. L’atto illocutorio produce un effetto nel recettore. Si tratta di una comunicazione in cui il parlante si pone nella condizione, e nel ruolo, di asserire, di comandare, di proibire, di chiedere, ecc.
c) atto "perlocutorio": è un atto che tende a produrre un effetto performativo nel recettore, come la persuasione o l'insinuazione. E’ anche definito strategico perché implica l’innesco di una sequenza di più processi comunicativi (nell’interrogare una persona posso raggiungere lo scopo di persuaderla, nel dare informazioni posso allarmare, ecc.).
Austin mostra come il linguaggio agisce; la sua teoria produce l’irruzione della pragmatica comunicativa nella linguistica e l’intreccio tra sviluppo della conoscenza e funzionalità della comunicazione.
La comunicazione funzionale alla conoscenza, la conoscenza e l’apprendimento conseguenti al tipo di relazione sono la base dei cinque assiomi della pragmatica della comunicazione di Watzlawick [1967]. 1) non si può non comunicare; 2) la comunicazione è modulata dal rapporto tra contenuto e relazione tra persone (metacomunicazione); 3) gli scambi comunicativi possono essere analogici o numerici; 4) gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari; 5) le punteggiature delle sequenze comunicative cambiano a seconda della relazione tra i comunicatori.
La comunicazione dinamica interattiva, illocutoria, logico-persuasiva
Si fonda sull'attenzione reciproca tra i comunicanti, sull'attivazione di procedure di scambio, sull'utilizzo di strumenti. In questo senso è una comunicazione che dà grande importanza al canale ed al flusso di informazioni strutturate. Al fine di una funzione organizzativa e persuasiva si aprono le porte al digitale ed alla compressione. La digitalizzazione del messaggio ha lo scopo di diminuire il rumore di disturbo che affligge il canale. Per diminuire i disturbi occorre, infatti, aumentare la potenza comunicativa (alzare la voce se c’è confusione) oppure svincolare la natura del segnale comunicativo dal rumore di sfondo. La comunicazione logico persuasiva serve ad ingiungere e regolare, viene essere espressa senza enfasi e senza tensione con tono fermo, deciso, autorevole in comunicazioni brevi, forti e centrate sui fatti concreti. Solitamente prende la forma di comunicazione tecnica, saggia e concreta, con un bersaglio chiaro e non vago. Le principali regole per una comunicazione logico persuasiva efficace sono:
Essere semplici e chiari; non dire con 40 parole ciò che si può dire con 10; non perdersi in divagazioni inutili, non usare parole troppo difficili o sconosciute solo per il piacere di farlo.
Essere sinceri..; cercare di dire sempre cose vere e nelle quali si crede, non si convincerà mai nessuno su qualcosa in cui il parlante non crede.
volgere in positivo anche le comunicazioni spiacevoli; senza mai cominciare un discorso con un argomento, una frase o una notizia al negativo.
Ascoltare chi ascolta; in modo da poter regolare il registro linguistico, il tono ed il volume a seconda delle esigenze del pubblico o della persona. Il riferimento più significativo è quello della retorica antica.
La comunicazione logico persuasiva può assumere anche la forma di incoraggiamento e di motivazione. Incoraggiare significa saper dare carica e trasmettere motivazione ad altre persone. Per incoraggiare è prima necessario costruire e dare forma all'energia dentro di sé e poi comunicarla in modo persuasivo per indurre all'azione. L'incoraggiamento richiede impegno in chi lo vuol far percepire ad altri. In genere l'incoraggiamento non funziona quando vengono commessi alcuni errori molto diffusi. Spesso chi incoraggia non lo fa con sufficiente energia e convinzione: se, nel momento dell'incoraggiamento, non viene espressa una potenza sufficiente e con una sufficiente durata, la comunicazione si perde nel vuoto, non ottiene risultati e porta ad una caduta di tono nell'autore dell'incoraggiamento. Accade frequentemente che l'incoraggiamento si disperda se non ha un bersaglio preciso. Occorre indicare nominativamente la persona che si incoraggia e, nel caso di un gruppo, occorre dedicare incoraggiamento anche ai singoli componenti del gruppo. Basta infatti un solo demotivatore all'interno di un gruppo, che si esprima con una battuta squalificante, per far perdere energia a tutti.
L'incoraggiamento deve avere il suo destinatario e fermarsi su di lui con una individuazione precisa e circostanziata. Inoltre l'incoraggiamento deve essere puro, senza mescolarsi a critiche, pur se motivate. Non si può incoraggiare e rimproverare allo stesso tempo e nemmeno incoraggiare e dare consigli. Il soggetto che meglio di tutti sa motivare è un soggetto volitivo, carico di energia e di entusiasmo. La sua carica e il suo impegno rendono spontanee ed immediate le sue comunicazioni di incoraggiamento; deve però trattenersi, mentre incoraggia, dal sostituirsi nell'azione al soggetto destinatario del suo incoraggiamento. Motivare non significa aiutare o sostenere, ma trasmettere forza e coraggio, affinché l'altro li utilizzi per compiere l'azione.
I destinatari elettivi delle comunicazioni di incoraggiamento sono i soggetti apatici e demotivati oppure coloro che hanno scarsa stima di sé, sono rinunciatari e poco fiduciosi nelle personali capacità.
Un ulteriore aspetto della comunicazione persuasiva è la sua capacità di trasmettere gratificazione. I complimenti sono la comunicazione più semplice e diffusa di gratificazione. Mostrare apprezzamento e riconoscere un merito ad una persona, la induce a consolidare il suo comportamento e le sue scelte. La gratificazione ha la proprietà di far entrare in contatto le persone con la parte positiva di sé. I complimenti possono però essere pericolosi per due motivi: 1) quando sono adulazione conducono alla vanagloria, 2) quando contengono un inganno perché aumentano la diffidenza. Per questo un complimento deve presentarsi circostanziato e preciso, diretto a far comprendere all'altro il vero motivo per cui è stato espresso. I veri complimenti sono acuti e mai formali. Le persone affettive sono immediatamente efficaci nel complimentarsi e nel gratificare giacché questa competenza comunicativa nasce dal bisogno di affetto e dalle proiezioni sull’altro. La gratificazione di un complimento non è solo dire ciò che uno vorrebbe sentirsi dire, ma individuare quel qualcosa di più che l'altro non vede di sé.
In genere le persone ci dicono ciò che vorremmo sentirci dire; così facendo non si mettono in urto, non criticano e ci confermano anche nelle azione negative per noi e per gli altri.
La gratificazione è un'arte difficile e può ottenere grandi risultati in situazione di confusione e di fraintendimenti, specialmente quando i soggetti destinatari della comunicazione debbono gestire una grande quantità di informazioni che possono condurre a confusione; la comunicazione gratificante persuade, attraverso ricompense estrinseche, e consolida il sapere posseduto dal soggetto mettendolo in ordine di priorità. E' però indispensabile, nel corso di una comunicazione gratificante, non commettere l'errore di proporre nuovi contenuti, che finirebbero per aggiungere confusione alla confusione.
La comunicazione simbolico cognitiva, perlocutoria, coinvolgente ed euristica
Abbiamo visto come i limiti della comunicazione dinamica siano quelli di essere comunicazioni lineari centrate sul messaggio. Nel modello della teoria dell’informazione esiste il canale, i disturbi, la segmentazione dei contenuti, il feed back, ecc., senza che sia presa in adeguata considerazione la trasformazione che il significato del messaggio riceve dalla rielaborazione del ricevente. Le più recenti elaborazioni di quel filone della scienza cognitiva che ha tentato di spiegare la mente con l’analogia al computer, giungono a considerare le idee (o i significati) come oggetti, le espressioni linguistiche come contenitori e la comunicazione assimilabile all’atto di inviare.
Il processo che qui si vuol descrivere è quello della trasmissione di concetti e di schemi mentali generali che fa leva sul perno del distanziamento tra il “sé”e “le cose”, ponendole alla giusta distanza ed osservandole con un punto di vista più ampio (come ha magistralmente spiegato il sociologo Norbert Elias [1988] in “Coinvolgimento e distacco”). Il modello di comunicazione euristica cerca di porre il ricevente alla giusta distanza dal sé, dalle relazioni, dal mondo, a liberarsi così dai pregiudizi e mettere in discussione le precedenti impressioni, convinzioni o condizionamenti. Per far avvenire lo spostamento è necessario trasmettere al ricevente l'atarassia indispensabile. Lo scopo dell'istruzione è quello di far interiorizzare contenuti e processi mentali di apprendimento e di porgerli nel modo più idoneo ai diversi tipi di persone. Comunicare la capacità di distanziarsi dalle cose richiede duttilità coinvolgente, con le persone ansiose, e innesco di incoraggiamento motivazionale, con gli apatici. Gli ansiosi hanno necessità di controllare e di ordinare le informazioni e si appiattiscono su quelle informazioni che già possiedono Il vincolo cognitivo di mantenere uno stabile ordine interno porta ad utilizzare la memoria a lungo termine e non li rende capaci di problem solving.
La comunicazione a loro necessaria è dotata di coinvolgimento emotivo. Questo è l'obiettivo della comunicazione espressiva ed artistica ed ha lo scopo di aprire l'altro al percepire sensazioni ed allo sperimentare emozioni. Questo tipo di comunicazione è il luogo specifico dell'emersione di carismi: se la vibrazione emozionale è attiva nel comunicatore, ed egli è emozionalmente trasparente, gli altri possono immedesimarsi nel suo vissuto e far proprio il suo stato emotivo. Questa comunicazione può avvalersi di effetti sorpresa, di stimoli incuriosenti, di espressioni seduttive, di eventi che incantano, che commuovono, che suggestionano, ecc.
Per coinvolgere emotivamente occorre vincere le proprie inibizioni, caricarsi emotivamente ed eccitare, far sognare, improvvisarsi a raccontare una storia o una favola, a costruire un'immagine, un gioco o un disegno. Il coinvolgimento emotivo fa crescere l’interesse e la sensibilità.
La sequenza comunicativa più tipica è una tripletta composta da una Domanda – Risposta - Ulteriore domanda. A meno che tale sequenza non sia minacciosa e persecutoria, rappresenta il modello tipico della comunicazione espressiva ed euristica che tende a favorire e far sviluppare l'intelligenza intuitiva. La risposta dialogica, successiva alla domanda, contiene già il principale feed back inerente alla comprensione della prima domanda e, quindi, è già una risposta che verifica la comprensione. La sequenza delle domande in successione implica però un oggetto problematico reale. Chi pone la domanda non ha nella sua mente la risposta al problema ma solo delle ipotesi.
Nella comunicazione scritta di un articolo giornalistico o di una comunicazione pubblicitaria, lo scrivente si deve porre l’obiettivo di “coinvolgere” il lettore circa un movimento di idee o un’azione d’acquisto di un prodotto, nelle quali il ricevente deve riconoscersi. Si debbono dunque trasmettere emozioni ed approntare un circuito seduttivo per produrre sensazioni forti in chi li legge. Le caratteristiche di tali articoli giornalistici sono quindi: capacità di stupire il lettore, “commuovere” (nel senso di “muovere con”), presentarsi creativi e produrre riconoscimento nella comunanza umana. L’utilizzo di battute, di collegamenti e di salti logici o di paradossi, come lo stimolare metaforicamente immagini ad alto contenuto emotivo, sono tecniche proprie di questa competenza comunicativa. La struttura della comunicazione dinamica nel suo contesto interattivo verbale, si fonda su una concatenazione interna conseguenziale ed un processo di relazione tra parlante ed ascoltatore attivo nella canonica tripletta di presa di turno: Domanda, Risposta, Commento[4]. Questa tripletta di prese di turno va attentamente osservata nella quotidianità delle nostre comunicazioni al fine di entrare nel punto di vista della analisi della conversazione.
La comunicazione “Descrittiva-Narrativa”
Le componenti del processo di narrazione sono: 1) l’azione umana e i suoi risultati, in particolare l’interazione umana; 2) la rilevazione di ciò che è insolito; 3) il rendere lineare la sequenza degli eventi (che induce all’acquisizione fondamentale soggetto – verbo - complemento); 4) la voce da cui vengono raccontati, ovvero il punto di prospettiva del racconto. Bruner trae da Burke i 5 elementi costitutivi del racconto e cioè l’azione, l’agente, lo scopo, gli strumenti e la scena [Burke, 1845] e sulla base di questi costruisce la teoria della narrazione intesa come costruzione dialogica del significato. “Ma la narrazione non è solo struttura di intreccio o drammatizzazione; nemmeno è solo “storicità” o diacronia. E’ anche un modo di usare il linguaggio. In effetti, quanto alla sua efficacia, essa sembra dipendere dalla sua letterarietà… dalla forza dei traslati, dalla metafora, dalla metonimia, dalla sineddoche, dall’implicazione, ecc.” [Bruner, 1997:68]. Ciò non deve però condurre ad una concezione non scientifica della narratività giacché fondata su forme quasi-poetiche del suo esprimersi; le forme del suo snodarsi nel racconto non sono altro che i processi attraverso i quali l’uomo costruisce il significato. “Noi interpretiamo le storie in base alla loro verosimiglianza, alla loro aderenza alla realtà, alla loro aderenza alla verità o, più precisamente, alla loro aderenza alla vita” [Bruner, 1997:69].
La narrazione è l’invenzione di storie attraverso le quali costruiamo una versione di noi stessi nel mondo, una versione verosimile attraverso la quale ricostruiamo il significato delle nostre azione e le leghiamo al senso della vita vissuto. Questo è lo stesso processo che genera la cultura trasmessa attraverso la forma narrativa la quale, a sua volta, plasma l’attività mentale e cognitiva del singolo. La narratività riporta al centro del pensiero cognitivo l’interazione e la costruzione di significato. Questo passaggio teorico è stato di grande importanza per il pensiero cognitivo che si era indirizzato alla comparazione tra la mente umana e i programmi di un computer. “La computazione divenne il modello della mente e al posto del concetto di significato emerse quello di computabilità” [Bruner,1997:23]. La rivisitazione, in senso cognitivo-narrativo, del significato ha allontanato la teoria della comunicazione dal modello computazionale basato sull’imitabilità di qualsiasi programma di calcolo da parte di una semplice macchina di Turing capace di eseguire calcoli con una serie finita di operazioni elementari.
La narratività è una metodologia comunicativa che si fonda sull'utilizzo della intelligenza descrittiva (concetto che unifica i criteri dell'intelligenza intrapersonale, di quella musicale e di quella interpersonale). La metodologia della narrazione si fonda sulla reciprocità, in cui tutti gli attori possono costruire significati e discutere sulle proprie riflessioni in sequenze discorsive sintetizzabili in Domanda – Risposta – Nuova Domanda, con prese di turno mutevoli tra parlanti. La risposta produce una nuova richiesta descrittiva che amplia e divaga nel contesto senza procedere direttamente verso il centro del problema e di operare una sintesi logica. Questa modalità comunicativa è estremamente utile per avviare processi di ascolto e interesse incrementali sull'oggetto. L'oggetto appare semplice e chiaro e le sue connessione con altri oggetti conducono a processi immaginativi e fabulatori, con nuove domande che lo arricchiscono di particolari senza necessariamente pervenire ad immediati processi di astrazione e di schematizzazione. Attraverso questo modello di comunicazione e di discorso non si aggiungono ulteriori informazioni ma alla comunicazione è consentito lo spaziare a tutto campo nel contesto.
La disposizione di base ad una comunicazione narrativa è costruzione di un particolare clima emotivo nei partecipanti. Emerge nella comunicazione una dimensione soggettiva e personale, disponibile e discreta. La ricerca di significato mediante narrazione richiede umiltà e discrezione. Reggere un processo comunicativo narrativo in un contesto gruppale significa porsi nell’ottica del sostegno verso chi, in quel momento, sta prendendo il turno conversazionale. Il comunicatore narrativo deve saper sostenere il suo pubblico e, per farlo, deve mettersi poco in vista. Chi sostiene sta alle spalle del soggetto da sostenere: la qualità del sostegno è tanto maggiore quanto meno il sostenitore è apertamente visibile. Infatti se chi sostiene si sostituisce alla persona da sostenere, gli fa perdere forza perché lo fa apparire incapace. Il sostegno può essere aperto e dichiarato solo se diventa comunicazione di fiducia e investimento sulle capacità dell'altro. L'aperto sostegno non può mai esprimere dubbi sulla riuscita di chi viene sostenuto: se chi sostiene esprime le sue paure o titubanze invece che sostenere, abbandona o, addirittura, avversa.
Il dialogo di sostegno non assume alcuna modulazione di tipo persuasivo, non è né convincente né insistente, non è ripetitivo o penetrante. La sua modulazione è estemporanea, apparentemente disordinata e frammentaria: è il soggetto che così potrà far suo un filo logico sottinteso alle parole, riempiendo i vuoti ed usando la sua logica interna per unificare il messaggio.
Oltre al sostegno, nei suoi esiti di costruzione collettiva del significato della relazione, anche attraverso i tipici riferimenti autobiografici, la comunicazione narrativa si fonda su processi di tranquillizzazione con la funzione di spegnere le tensioni che impediscono decisioni lucide ed obiettive. Il comunicatore che voglia tranquillizzare il suo pubblico deve riuscire ad assorbire tutte le tensioni comunicative a lui rivolte senza restituire alcun segnale critico, ma solo comprensione e apertura al dialogo, con la finalità di farlo proseguire più a lungo possibile, senza modificarne il tono ed il ritmo. Il comunicatore deve fare assoluta calma dentro di sé e non deviare dal percorso comunicativo scelto dall'altro, non deve contraddire l'interlocutore, pur smorzandone i toni, e non deve cadere nelle inevitabili provocazioni che l'altro può rivolgergli.
Chi riesce efficacemente in una comunicazione tranquillizzante è un soggetto forte e calmo che non si accende e non si eccita ma si esprime trasmettendo pace. Queste condizioni comunicative consentono una ristrutturazione cognitiva attraverso fasi anche stravaganti: riorganizzando e reinterpretando l’importanza e il significato delle esperienze di conoscenza e di apprendimento delle persone, affinché le connessioni delle informazioni trasmesse si possano fondare sulla concretezza di eventi vissuti e di situazioni esperite. Tale comunicazione mostra le informazioni, le ricollega discorsivamente alle cose della vita e della cultura, stabilisce analogie tra campi del sapere e suggerisce informazioni ed idee che articolano e rendendo stabile e sicura la conoscenza.
PRINCIPALI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
AMIDON E., HUNTER E., [1971], L’interazione verbale a scuola. Analisi ed esercizi per gli insegnanti, Angeli, Milano.
AUSTIN J.L., [1962], How to Do Things with Words, The William James Lectures at Harward University 1955, Oxford University Press, trad. it. parz. Come agire con le parole. Tre aspetti dell'atto linguistico, in Sbisà (1978), pp. 61-80. (a cura di Carlo Penco e Marina Sbisà, traduzione dall'inglese di Carla Villata), Marietti, Genova.
BARNES , D. e TODD, F., [1977], Communication and learning in small groups, London, Routleledge & Kegan, Paul
BATESON G., [1972], Steps to an ecology of mind, Chandler, London (Trad. it), Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano.
BRUNER J. [1992], La ricerca del significato, Boringhieri, Torino, tit. or. Acts of Meaning, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1990.
BRUNER J. [2001], La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola. Feltrinelli, Milano, tit. or., The Culture of Education, Harvard University Press, cambridge, Mass. 1996.
BURKE K., [1945], A Grammar of Motives, Prentice Hall, N.Y.
CARUGATI F., SELLERI P., [1996], Psicologia sociale dell’educazione, Il Mulino, Bologna.
FLANDERS N. [1970], Analyzing Teaching Behaviours, Reading Mass., Addison-Wesley. Cambridge, Mass.
ECO U:, [1990], I limiti dell’interpretazione, Bompiani, Milano.
ECO U., [1998], Kant e l’ornotorinco,Bompiani, Milano.
ELIAS N., [1988], Coinvolgimento e distacco, Il Mulino, Bologna tit. or. Engagement und Distanzierung. Arbeiten zur Wissenssoziologie, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1983
FODOR, J.A., [2001], Mente e linguaggio, Laterza, Bari.
FODOR, J.A., [2001], La mente non funziona così. La portata e i limiti della psicologia computazionale, Laterza, Bari
GARDNER H. , WINNER E., BECHHOFER R, WOLF D. , [1978], The Development of Figurative Language, in Children’s language, a cura di NELSON K., Gardner Press, N.Y.
GARDNER H., [1987], Formae mentis, saggio sulla pluralità delle intelligenze, Milano, Feltrinelli tit. or. (1983), Frame of Mind, The Theory of Myultiple Intelligence, Basic Books, N.Y.
GARDNER H., [1993], Educare al comprendere, Milano, Feltrinelli tit. or. (1991), The Unschooled Mind, Basic Books, N.Y.
GOFFMAN E., [1971], Modelli di interazione, Il Mulino, Bologna.
HALLIDAY M.A.K.,[1987], Sistema e funzione del linguaggio, Il Mulino, Bologna, tit. originale Categories of the Theory of Grammar, "W", 17:241-92.
JAKOBSON R., [1966], Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, titolo originale JAKOBSON R., - HALLE M., [1956], Funtamentals of Language, Mouton, L'Aja.
MASINI V. , [2000], Dalle emozioni ai sentimenti, Prevenire E’ Possibile, Caltagirone.
Mayer M., Vicentini M., [1997], Didattica della Fisica, La Nuova Italia, Firenze.
MEHAN H. [1979], Learning lessons: Social organization in the classroom, Harvard University Press, Cambridge, Mass.
MINKY M., [1989], La società della mente, Adelphi, Milano , tit. or. The society of mind.
PEARCE C.S., [1980], Semiotica, Einaudi, Torino
PONTECORVO C. [1999], Manuale di psicologia dell’educazione, Il Mulino, Bologna.
PONTECORVO ., AJELLO A., ZUCCHERMAGLIO C., [1999], Discutendo si impara, Carocci Editore, Roma.
RUMELHART D.E., NORMAN D.A., [1978], Accretion, Tuning and restructuring: Three Modes of Learning, in COTTON J.W, KLATZKY R.L., Semantic Factors in Cognition, Erlbaum, Hillsdale.
SINCLAIR J.M. – COULTHARD R.M. [1975], Toward an analysis of discourse: The English used by teachers and pupils, Oxford University Press, London.
SCHERER K.R., [1982], Emotion as a Process: Function, Origin and Regulation, in "Social Science Information", 21, pp 555-570.
SCHERER K.R., [1983], La comunicazione non verbale delle emozioni, in ATTILI G., RICCI P.E., (a cura di), Comunicare senza parole, Bulzoni, Roma, titolo originale Scherer K. R., [1970], Non-Verbale Kommunikation, H. Buske, Hamburg.
SEARLE, JR., [2000], Mente, linguaggio, società. La filosofia nel mondo reale, Raffaello Cortina, Milano.
SINCLAIR J.M., COULTHARD R.M., [1975], Towards an analysis of discourse: The English used by teachers and pupils, Oxford University Press, London.
SPERBER D. e WILSON D., [1992], La pertinenza, Anabasi, Milano.
SPEARMAN [1930], G and after – a school to end schools, MacMillian, N.Y.
THURSTONE L.L., [1938], Primary Mental Abilities, Psychomterics Monograph.
[1] Del resto anche la semiotica moderna, da Pearce [1980] ad Eco [1998], converge sulle influenze culturali nella significazione. La percezione immediata di un oggetto si trasforma in significato mediante conoscenze culturali condivise; ciò significa accordarsi finalmente sul fatto che, seppur l’intelligenza non sia modulare, la percezione sicuramente lo sia. E cioè, come sostiene Fodor, essa si fondi su processi automatici della mente nell’immagazzinamento dei dati percepiti ma su processi olistici e culturali per l’attivazione dei significati
[2] Apprendere ad apprendere è un processo descritto come acquisizione di forme mentali che consentono di elaborare le informazioni: vi sono forme sempre più complesse di apprendimento di segnali, di concatenazioni, di discriminazioni e di concetti. Si apprende per ricezioni, in modo meccanico o significativo, per scoperta attraverso attività progressivamente concatenate di comprendere, ricordare, ragionare, risolvere problemi correlando le nuove informazioni con altre già in memoria e riorganizzando le strutture di conoscenza precedenti.
[3] La teoria della dissonanza cognitiva di Festinger, secondo la quale non è possibile ricevere informazioni dissonanti con le cognizioni possedute, la teoria delle mosse fondamentali di Goffman (apparentemente non intenzionali, ingenue, di controllo mimetico, dissimulative, di falsa rappresentazione, di smascheramento e di contro-smascheramento), il concetto di passeggiata inferenziale di Eco o quello di decodifica aberrante appartengono a questo contesto di azioni comunicative.
[4] Questo modello, il più diffuso all’interno della attuale comunicazione didattica, tende a mantenere la parola all'insegnante (in genere fino al 70% del tempo complessivo nella classe) è quello tipico della comunicazione persuasiva. Il suo scopo è infatti quello di far compiere un’azione. Far emergere la preparazione, mantenere l’ordine, gestire le dinamiche della classe, ecc. Si fonda sul presupposto di conoscenza, da parte dell’insegnante, della risposta alla domanda e sul fatto che l'alunno debba dare la risposta giusta, e cioè quella che è nella mente di chi pone la domanda. Limite di tal modello di comunicazione è l'impossibilità di produrre sia nuovi schemi (attraverso l'intuizione) sia di orientarsi efficacemente nel contesto più generale dell'argomento.