PROGETTO DI PREVENZIONE
DELL'USO E DELL'ABUSO DI SOSTANZE STUPEFACENTI E PSICOTROPE NELLE FORZE
ARMATE
Il progetto di prevenzione ha l'obiettivo di rispondere alle
prime esigenze di:
·
preservare le Forze Armate dalla contaminazione valoriale,
psicologica e relazionale che l'uso di droga, la cultura drogastica e gli stili
di vita conseguenti possono produrre nella caserma e nella vita dei singoli
soldati
·
riconoscere i comportamenti predittivi dell'uso di sostanze
al fine di allontanare da attività operative soldati che manifestino
comportamenti di assunzione
·
garantire al soldato esposto al rischio di dipendenza un
percorso di riabilitazione
Il progetto si inserisce nel processo di cambiamento
dell'organizzazione e del ruolo dell'esercito
sia in ordine alla sicurezza interna ed internazionale sia in relazione
alla trasformazione in corso verso un esercito professionale volontario. La
delicatezza degli impegni delle F.A. dovrà poter contare su militari attenti,
preparati e responsabili non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello
della loro formazione umana e del loro equilibrio psicologico. Ciò anche in
vista della necessità di modelli di comunicazione e di relazione interpersonale
all'interno del gruppo operativo, capaci di districarsi tra informazioni
complesse, e di un incremento della coesione interna, valore portante per il
funzionamento del comando.
Lo stile di lavoro dell'esercito professionale richiede un
alto livello di stima e fiducia reciproca tra gli operatori, garanzie di
reciproca affidabilità, coesione e rispetto del significato profondo della
gerarchia. Con importanti esiti sul piano della consapevolezza sociale della
affidabilità delle Forze Armate.
Il tema della prevenzione della tossicodipendenza si può
inserire in questo quadro e contribuire all'innesco di alcuni dei circoli
virtuosi del percorso educativo e
formativo alla vita militare.
Il progetto di prevenzione della Td si organizza su due direttrici: il lavoro
sul gruppo ed il lavoro educativo sulla persona. Questa doppia direzione è il
motivo conduttore di tutte le strategie di prevenzione ed è particolarmente
importante nella vita militare.
Il progetto tende a promuovere la formazione del gruppo primario in una ottica
più ricca della promozione di quella semplice coesione interna. Se è vero, come
afferma la sociologia militare, che il gruppo primario sembra aver perso la sua
efficacia, in ragione della turnazione e del rimpiazzo e della logica
occupazionale tipica degli eserciti volontari e della minor attrazione
esercitata dai valori e dalla
cultura militare, il gruppo rimane insostituibile e, in quanto tale, va
potenziato attraverso una più profonda attenzione all’individuo – persona ed
alle sue motivazioni alla crescita personale e sociale ed alla partecipazione.
La
dimensione gruppale è affrontata nel
-
1) PROGETTO ACCOGLIENZA (centro di tutta la strategia di prevenzione), la dimensione di crescita personale è presentata nel
-
3) PROGETTO FORMAZIONE. L’articolazione dei rapporti interni nella gerarchia nel
-
2) SISTEMA ORGANIZZATIVO
1) PROGETTO ACCOGLIENZA
L'obiettivo del progetto è quello di agevolare l'inserimento dei nuovi soldati
nella vita di caserma, osservare il loro stile di vita ed analizzare le loro
disposizioni relazionali, contrastare il nonnismo, educare al vissuto di gruppo,
orientare allo sviluppo delle personali attitudini e costruire, fin dal primo
impatto con l'ambiente militare, un clima vitale in grado di produrre valore.
La prima accoglienza
L'accoglienza ha la funzione di far percepire l'ambiente della caserma non
ostile alle persone. Il disagio sperimentato nell'impatto con un ambiente
sconosciuto, con una visione misteriosa della struttura della gerarchia, con
commilitoni più anziani e spavaldi, senza ancora conoscere nessuno produce due
effetti:
·
lo sviluppo di un atteggiamento difensivo ed egoistico
·
l'innesco di una mentalità di rivalsa come fondamento della
motivazione alla carriera.
La convinzione che tale impatto favorisca l'addestramento al contatto con un
ambiente ostile ed al contatto con il nemico è errata sia perché la stessa
"personale sopravvivenza" è perseguita in termini egoistici ed utilitaristici,
sia perché, depotenziando lo spirito di corpo, si impedisce il futuro
riconoscimento del "nemico".
La proposta della costituzione di gruppi di accoglienza (gestiti con le tecniche
del gruppo di incontro condotto da un tutor più anziano) da organizzare
all’ingresso dei soldati in caserma tende a far vivere l'impatto nel modo più
sereno possibile. Il momento dell'ingresso, dopo le formalità ed una rapida
sistemazione degli oggetti personali, diventa un "benvenuto" proposto
direttamente da un altro soldato che abbia la funzione di tutor del gruppo in
formazione.
Il tutor dovrà organizzare con immediatezza un momento di gruppo di incontro,
informale come qualità della comunicazione, ma formale nel rispetto delle
tecniche e della regole della conduzione di un gruppo di incontro. Nel primo
momento i nuovi si conoscono tra di loro, apprendono le conoscenze elementari
della vita di caserma e vengono accompagnati dal tutor a conoscere l'ufficiale
di comando ed i loro superiori.
L’accoglienza, gestita direttamente da pari, aiuta il formarsi della unità di
gruppo perché propone un immediato e confidenziale riconoscimento reciproco da
parte dei soldati. Il momento dell'accoglienza è essenziale per il
riconoscimento dei tratti di comportamento e delle difficoltà personali; in quel
momento infatti emergono timidezze, imbarazzi, paure, false spavalderie,
millantazioni, imprudenze, superficialità che smascherano le eccessive
introversioni e le eccessive estroversioni.
La caserma si mostra nell'accoglienza nel suo carattere costitutivo
di “comunità” tra persone ed invita ad entrare a farne parte attiva per
costruire la propria futura realizzazione. L'accoglienza può essere determinante
per costruire l'unità del gruppo e per prevenire la nascita dei conflitti
interni.
I Tutor
I soldati che vengono designati alla responsabilità di
prendersi cura dei nuovi arrivati usufruiranno di un importante processo di
responsabilizzazione e assumeranno un ruolo di protezione dei più inesperti.
Tale processo contrasterà in modo risolutivo gli atteggiamenti di nonnismo per
due importanti ragioni:
·
in primo luogo la presenza e la valorizzazione dei tutor
(come interlocutori privilegiati degli ufficiali di comando) è impedimento
obiettivo a soprusi ed angherie
·
in secondo luogo viene a costituirsi un atteggiamento
culturale e valoriale di segno opposto alla cultura del nonnismo.
Il ruolo del tutor deve essere protetto fin
dall'inizio dai rischi della burocratizzazione. Per comprendere tale figura è
necessario individuarne i compiti. Innanzitutto il tutor ha un rapporto
responsabile con la recluta in quanto persona e non in quanto soldato.
L'atteggiamento educativo dunque riguarda il comportamento complessivo e non
solo le sue espressioni riferite al contesto militare, pur se è nella caserma
che egli esplica la sua funzione. Si pone per lui il compito di raccordo e di
organizzazione tra le attività e gli ambiti di relazionalità delle reclute, si
pone inoltre per lui il compito di rendere armonici i rapporti all'interno
dell'unità educativa che gli viene affidata. Appare dunque come il responsabile
dell'armonia interna del gruppo piuttosto che una figura di comando. Il tutoring
è connesso con l'educazione dei pari e cioè alla guida da parte dei più
esperti verso i meno esperti in uno spirito di collaborazione e di aiuto.
La scelta di soldati
maturi ed equilibrati per la funzione di tutor deve operarsi con oculatezza ed
essi dovranno usufruire di un significativo percorso di formazione a
questa funzione. La loro attività di tutoring non dovrà però essere attivata per
più di due cicli di accoglienza e si dovrà provvedere al loro incessante
ricambio ed alla ricorrente formazione di nuovi soldati. Altrimenti la loro
azione perde freschezza ed efficacia, si professionalizza e si burocratizza, non
riuscendo più a possedere viva la motivazione a questa originale esperienza e
vera la memoria del loro personale vissuto di ingresso in caserma e del processo
di accoglienza a loro riservato.
·
Il metodo del Progetto Accoglienza è stato elaborato da Prevenire è Possibile al
fine di trasferire in diversi tipi
di strutture alcuni elementi tratti dall'esperienza delle comunità educative ed
ha mosso i suoi primi passi in un periodo in cui la parola prevenzione era
ancora poco definita e priva di connotazioni. Il centro motore del lavoro
educativo è la struttura del gruppo di incontro che, per innescarsi, ha bisogno
di essere attuato più a ridosso possibile del primo impatto dei soggetti con un
nuovo ambiente e con nuove conoscenze.
Chi conduce il gruppo ha la funzione primaria di agevolatore delle relazioni
interpersonali attraverso occasioni di rapporto interpersonale dotati di
trasmissione e condivisione di sentimenti e di ascolto reciproco del vissuto
altrui. Chi conduce un gruppo di incontro entra in possesso di una lente di
ingrandimento con cui riesce a leggere e riconoscere i diversi atteggiamenti dei
partecipanti verso la relazione con gli altri ed ad individuare le dimensioni
psicologiche problematiche di ciascuno, senza necessariamente pervenire a
diagnosi complesse. Momenti di gruppo di incontro sono normalmente presenti
nella vita di tutti i giorni e costituiscono quei momenti in cui ciascuno
liberamente parla di sé e si confronta con altri, viene criticato o apprezzato
sulla base del suo comportamento relazionale e non rispetto all'obbedienza delle
norme. Solo chi è abbia vissuto l'esperienza di un gruppo di incontro e sia
riuscito a riconoscerne le
caratteristiche peculiari è in grado di offrire agli altri occasioni per
sperimentare, allargare e approfondire tali occasioni.
Il conduttore dei gruppi di incontro è un facilitatore del passaggio della
corrente
gruppale da un individuo all’altro. I suoi compiti sono quelli di ridurre al
minimo i suoi personali interventi e di rendere il più possibile fluida la
comunicazione con la consapevolezza che ciò che davvero conta sono i sentimenti
vissuti nel gruppo dalle persone che lo compongono, per comprendere le simpatie
e le antipatie tra persone, l'emersione delle affinità e delle differenze, il
raccontare la propria vita fino a scoprire la comune umanità di tutti i
partecipanti.
Il gruppo di incontro ha come obiettivo quello di vivere e respirare l’aria del
gruppo e di arricchirsi del vissuto altrui. Non è un gruppo che accende e
promuove qualche obiettivo da raggiungere, né un gruppo dove si apprendono
concetti. E’ un gruppo dove si disimpara a chiudersi dentro le proprie difese e
dove si spengono le proprie tensioni. Nel gruppo di incontro emergono le
motivazione all’affiliazione ed
all’accoglienza.
I gruppi d’incontro di tipo pedagogico hanno la sola funzione di mettere in
relazione le persone tra di loro affinché si riconoscano reciprocamente come
individui aperti alla relazionalità.
Il clima gruppale è lo strumento indispensabile per questo lavoro poiché
favorisce il reciproco ascolto empatico e consente la verbalizzazione dei
vissuti sperimentati.
La partecipazione ai gruppi di incontro è il tratto distintivo di tutto il
percorso di accoglienza per individuare tutti i giovani che necessitano di
educazione alla relazionalità e in particolare gli allievi che presentano
particolari difficoltà di
inserimento nel contesto della caserma per specifici deficit di sviluppo e/o di
apprendimento, per disagi personali, esistenziali, economici e sociali, per
propensione all'abbandono ed alla demotivazione. Nei gruppi presentano
difficoltà di inserimento anche soggetti coinvolti nel "disadattamento alla vita
militare" per personalità, culture e stili di vita troppo reattive e per
mancanza di capacità di autocontrollo.
Il gruppo di incontro, cardine dell'intero progetto accoglienza, si muove nella
consapevolezza che lo sviluppo della relazionalità sia efficace per tutti i
giovani, anche per coloro che potranno essere inadatti alla vita militare sia
perché nel gruppo possono apprendere e modificare tratti di comportamento di
disagio o a rischio o già carichi di problematicità, sia perché la dimensione
del gruppo sarà il riferimento della autovalutazione e della valutazione
reciproca della propria propensione verso tale scelta.
Il gruppo ha dunque diverse funzioni:
-
1) preventiva : intervenire in modo adeguato per impedire lo svilupparsi negativo di situazioni personali di disagio che in qualche modo riguardano tutti i soldati e per alcuni in grado più accentuato;
-
2)educativa : per una caserma in grado di dare un'addestramento efficace ma anche di essere una scuola di promozione della personalità dell'allievo;
·
3)di orientamento
rieducativa: per tutti coloro che hanno bisogno di essere recuperati
nelle loro deficienze educative e di apprendimento ed hanno esigenza di
interventi e di tecniche specializzate non compatibili con la vita militare.
Il percorso di accoglienza
Il primo compito di tali gruppi è quello di conoscersi, ossia di presentarsi
reciprocamente al fine di strutturare una solida rete di rapporti capaci di
approfondire la discussione e lo svelarsi di contenuti di disagio che possono
essere risolti attraverso la comunicazione interpersonale ed adeguate
informazioni.
Con il processo di accoglienza:
-
1) i gruppi diventano le orecchie del disagio della caserma: la prima fase fondamentale è l'ascolto di se stessi e degli altri riguardo i principali problemi del contesto, elaborandoli e trasformandoli in temi di discussione;
-
2) i gruppi diventano il cuore della caserma : diventano cioè un luogo dove si vivono intensamente i sentimenti, gli stati d'animo, le tensioni e sono punti di riferimento per soggetti con particolari difficoltà;
-
3) i gruppi diventano il braccio della caserma: possono arrivare a svolgere attività operative di solidarietà concreta verso gli altri. Possono essere impegnati verso soggetti con particolare bisogno, diventare il luogo privilegiato di formazione per chi dovrà organizzare in futuro l'accoglienza, e di intervento su giovani che non sanno ancora adeguare il loro comportamento alla vita di caserma. Tra queste anche incontri intergruppo, anche in occasione di particolari manifestazioni, al fine di stabilire ponti di comunicazione tra i diversi gruppi di accoglienza.
Il percorso di accoglienza vede un incontro quotidiano del gruppo di incontro,
formato da 10 - 12 persone, per la prima settimana e poi tre incontri
settimanali, tutti di circa 1 ora e mezza ciascuno, per quattro settimane,
successivamente una volta alla settimana, in un giorno stabilito o anche a
richiesta di un singolo membro.
Il gruppo è stabile e viene organizzato all'interno del RAV nel momento
dell'impatto con la caserma. Occorre stabilire i criteri di composizione dei
gruppi funzionali alla organizzazione della Compagnia. Tali gruppi sono
strutture “atipiche”, per quanto possibile non gerarchiche, condotte da un
soldato "alla pari" con attitudine alle relazioni sociali ed alla conduzione di
gruppi. Il responsabile del gruppo di incontro è direttamente nominato dalla
gerarchia, su segnalazione della riunione dei responsabili dei gruppi di
incontro e di accoglienza, a seguito della quale i soggetti designati entrano in
un percorso di formazione alla conduzione dei gruppi.
·
La diversificazione funzionale dei gruppi
Nella vita quotidiana delle persone, delle famiglie e dei gruppi in
generale esistono momenti di lavoro, di organizzazione e di animazione, momenti
di formazione e di apprendimento e momenti di incontro interpersonale.
Se analizziamo con quest’ottica ogni nostra giornata scopriamo che questi
diversi modi di stare insieme tra persone corrispondono a diversi momenti
relazionali del nostro tempo di vita e del nostro tempo di lavoro. I diversi
contatti con gli altri si realizzano per fare delle cose (per lavorare, per
organizzarci, per divertirci, per dividerci i compiti ed i ruoli dentro e fuori
della famiglia), per imparare e per
confrontarci sulle cose (per ascoltare o fare una lezione, per imparare
un lavoro, per scambiarci informazioni, per discutere intorno alle
nostre opinioni) oppure per
incontrarci (per parlare di noi, dei nostri
sentimenti e delle nostre emozioni, per condividere con qualcuno il senso
dei momenti della nostra vita).
Queste diverse occasioni corrispondono a diversi modi di fare gruppo:
ciascun momento di gruppo ha un suo fine, una sua funzione ed un suo specifico
significato. Nella accelerazione vorticosa delle attività, tipica dei modi
contemporanei di vivere, si sono ampliati eccessivamente i momenti di gruppo di
lavoro e di animazione ed i momenti di gruppo di apprendimento e sono diventati
pericolosamente rari i momenti di gruppo di incontro. Fino al punto da rendere
addirittura difficile la spiegazione e la comprensione di cosa voglia dire fare
gruppo di incontro tra persone.
Il disagio di giovani ed adulti è figlio di una
solitudine vissuta in mezzo a migliaia di persone; il senso di vuoto è
prodotto da una scadente qualità di vissuti pur in un tempo di vita e di lavoro
denso di iniziative e di attività.
Proporre e spiegare il senso del gruppo di incontro è però impresa a
volte molto difficile: l’abitudine ad un "fare" centrato sulle cose e sugli
obiettivi cosiddetti “concreti”, la predilezione per le iniziative appariscenti
e spettacolari, l’illusione
tecnicista di poter ricorrere a
strumenti operativi tangibili, distanzia sempre più dall’educazione ai
sentimenti, ai valori ed ai vissuti.
Descrivere il gruppo di incontro a parole o in un libro non produce
sufficiente comprensione, è necessario insistere e precisare, fare esempi,
raccontare le storie di vita di chi ha vissuto il gruppo.
Le tecniche e gli stili di conduzione del gruppo di incontro sono
comprensibili utilizzando alcune parole ormai logore: condivisione, comprensione
reciproca, conoscenza di sé, apertura agli altri, ecc.. oppure rimandando al
significato della parola empatia. Il gruppo di incontro ha uno schema, dei ruoli
e delle tecniche le cui funzioni pedagogiche lo propongono molto differente dai
gruppi di psicoterapia, anche
laddove esso sia impiegato all'interno di contesti famigliari in crisi o con
giovani a rischio. La principale caratteristica del gruppo di incontro è quella
di creare le precondizioni per l'apertura reciproca delle persone, per far
innescare il confronto tra di loro e per rendere i partecipanti più consapevoli
di sé e delle loro necessità di aprirsi a qualche cambiamento del loro stile di
vita per fronteggiare le loro personali necessità di crescita educativa.
A questo fine il conduttore di gruppo deve possedere spiccate doti e
attitudini umane: capacità empatica, capacità relazionale, capacità di
riferimento ai valori, capacità di introspezione.
La capacità empatica consiste nell’aprirsi al vissuto degli altri, saper
ascoltare, accettare, intendere quanto gli altri vivono sospendendo il giudizio
e le attribuzioni. Intorno all’empatia, parola chiave nella prospettiva
educativa attuale, circolano numerosi fraintendimenti. Empatizzare non significa
proiettare qualcosa di sé nell’altro, né immedesimarsi nell’altro, né trovare
nell'altro analogie con
quanto si è precedentemente vissuto, ma, pur ricavando conferme dalla
proiezione, dall'immedesimazione e dall'analogia, è essenzialmente essere aperti
alla percezione di quanto l’altro vive. L’empatia è lo strumento centrale del
conduttore di gruppo di incontro e questa dote umana "intender non la può chi
non la prova". Anzi, ove essa non sia sperimentata, è una assenza significativa
nella dimensione relazionale ed esistenziale. La persona centrata su di sé, che
ha uno scarso rapporto e contatto con la propria dimensione profonda, che ne ha
ancora meno con il vissuto degli altri e che, a causa dell’insicurezza e
difensività, è troppo attenta al controllo ed alla gestione dei rapporti con gli
altri presenterà, contemporaneamente, due possibili opinioni circa l’empatia: o
la scambierà con qualcos’altro (condivisione dei sentimenti ad esempio) o la
negherà come capacità umana definendo “visionario” chi di tale dote discute ed
ancor più chi tale dote adopera.
Non di rado persone chiuse nella loro avarizia emozionale, prese dalla
difesa di sé, del proprio ruolo, della propria posizione e privilegio o attirate
da benefici materiali, legati al successo ed all’ambizione, si ritrovano a
criticare gli educatori che fondano la loro modalità di rapporto con giovani ed
adulti su tale capacità.
L’importanza del gruppo va riemergendo in questi ultimi anni come luogo
di riaggregazione sociale. In altre epoche e fasi della storia dell’uomo il
fatto di essere e fare gruppo è sempre stato dato come un elemento obiettivo,
scontato. Oggi non è più così: la socializzazione contemporanea privilegia le comunicazioni e la cultura di coppia e si
organizza nella comunicazione e nella cultura
di massa, di aggregato o di pubblico. Il gruppo non è più ovvio ed
occorre un lavoro particolare per riuscire a costruirlo.
Il più efficace effetto che dura nel tempo da parte chi partecipa ai
gruppi è la scoperta delle proprie potenzialità, fino a quel momento inespresse
o sopite o nemmeno conosciute.
·
Gruppo di incontro, gruppo di animazione e gruppo di formazione
La distinzione tra gruppo di
animazione, gruppo di apprendimento e gruppo di incontro è molto utile sia nelle
attività di lavoro all'interno di strutture di accoglienza sia nel lavoro
sociale ed educativo diffuso:
L’animatore di un gruppo è un
leader che svolge un ruolo strettamente legato alla gerarchia, all’attività,
alla progettualità ed alla acquisizione di capacità di organizzazione e di
collaborazione. Spesso si manifesta però impotente di fonte all’emersione dei
sentimenti di disagio, alle necessità affettive ed al bisogno di comprensione e
di calore umano. Il gruppo di animazione ha molti elementi in comune con il
gruppo di lavoro poiché la principale sua caratteristica è quello di promuovere
motivazione, impegno, aderenza agli obiettivi, efficacia ed efficienza nel
gruppo. Intendendo per quest’ultimo un insieme di persone che si dividono i
compiti, che assumono ruoli e che collaborano per raggiungere degli obiettivi.
L’animatore è un potenziatore delle qualità umane della persona e tende
ad accendere la socializzazione in modo costruttivo per far emergere la
progettazione consapevole di attività funzionali alla struttura ed al sistema.
In questo quadro possiamo ritenere "animatori"
sui generis le figure organizzano i gruppi di attività in modo funzionale
alle necessità della struttura.
- Il formatore è una figura
professionale presente nei gruppi che ha propugnato la necessità di superare le
tradizionali modalità di insegnamento direttivo e verticale. La prima
caratteristica del formatore è l’esercizio di una comunicazione interattiva
fondata non solo sul feed-back di chi riceve le informazioni trasmesse ma
soprattutto sulla chiamata alla partecipazione al percorso di apprendimento. La
formazione nasce come risposta alle esigenze di apprendimento degli individui e
si esprime nel processo di adattamento alle organizzazioni. La formazione nasce
con l’espressione delle domande formative e con l’emersione delle abilità, delle
competenze e dei contenuti da interiorizzare nel processo formativo. Al centro
della formazione c’è l’apprendimento e l’esito dell’apprendimento è lo sviluppo
di un più ampio orizzonte di libertà e di indipendenza nelle scelte personali.
L’area della discrezionalità, dell’autonomia, della responsabilità e della
libertà nell’azione è connessa alla possibilità di pervenire ad un punto di
vista superiore che tiene presente sia l’individuo che gli altri che il sistema
in cui egli è inserito. In quest'ottica il formatore è un referente esterno alla
struttura dei gruppi di incontro con il compito di consigliere e di supervisore
delle diverse tappe formativa dei singoli e dei gruppi. In questa chiave può
essere visto il ruolo di un ufficiale esterno alla gerarchia ma integrato con
essa che ha il compito di supervisionare l'attività dei responsabili dei gruppi
di incontro
- Il conduttore dei gruppi di
incontro è un facilitatore del passaggio della “corrente” gruppale da un
individuo all’altro. L’unica condizione che sta sullo sfondo del gruppo di
incontro è che la cornice che definisce il gruppo sia salda ed al sicuro da
squalifiche. L’unico obiettivo è quello di vivere e respirare l’aria del gruppo
e di arricchirsi del vissuto altrui. Non è un gruppo che accende
e promuove verso qualche obiettivo da raggiungere, né un gruppo dove si
impara un altro particolare punto di vista sulla realtà. E’ un gruppo dove si
disimpara a chiudersi dentro le proprie difese e dove si spengono le proprie
tensioni. Nel gruppo di incontro emergono le motivazione all’affiliazione ed
all’accoglienza.
2) IL SISTEMA ORGANIZZATIVO
Articolazione del rapporto tra i responsabili dei
gruppi di incontro e di accoglienza con la gerarchia.
Con riferimento al quadro teorico appena delineato
diventa possibile pensare alla organizzazione in ambito militare di tre
figure funzionali con ambiti,
ruoli, compiti e competenze differenti per diminuire il rischio di gerarchie
“incrociate” o “parallele”.
Il loro intervento è convergente sulla struttura del gruppo: il conduttore del
gruppo di incontro ha la funzione di stimolare l'aggregazione e la coesione
interna, attraverso la conoscenza tra i membri e il loro reciproco
riconoscimento ed accettazione come persone, con pregi e difetti, con difficoltà
e valori. La gerarchia ed il comando tradizionale sono rappresentate dalle
figure tradizionali che adempiono il loro ruolo
nel rispetto delle altre componenti senza sentirsi scavalcate dalle altre
figure. Il loro è il tradizionale comando lungo la catena della gerarchia.
L'ufficiale consigliere è invece una figura di supporto, integrata nella
gerarchia ma con una linea di comando differente, ed ha la funzione di
supervisore dei conduttori di gruppo di incontro, di raccordo con loro. E' un
formatore che, attraverso supporti esterni, ha acquisito le tecniche di
conduzione di gruppo di incontro, di gruppo di formazione e di gruppo di lavoro.
La sua funzione di supervisione dei conduttori dei gruppi (tutor) si esplicita
sia attraverso tecniche di gruppo di incontro che di lavoro e di formazione.
Nella tabella sulla distribuzione funzionale dei leader nei gruppi vengono
individuate tre direttrici di azione che, nella struttura di una Compagnia,
possono essere cosi descritte:
RESPONSABILE
ALLA PARI
UFFICALE
ESTERNO CONSIGLIERE
SOTTOUFFICIALE
INTERNO ALLA GERARCHIA
E’ il caporal maggiore che comanda la squadra con compiti di comando e
addestramento tradizionali.
I gruppi di incontro del Progetto Accoglienza sono formati al momento di
ingresso nel RAV tra le reclute e
composti con il massimo di disomogeneità territoriale e culturale dei
partecipanti (è sufficiente raggruppare l’elenco delle reclute in gruppi
omogenei e poi prendere da ogni gruppo una persona). Lo scopo è quello di
eliminare le forme tradizionali di coesione e costruire gruppi il più possibile
ex novo. I gruppi sono formati da appartenenti alle diverse squadre e si
riuniscono con il conduttore di gruppo che non appartiene in termini diretti
alla gerarchia.
Le squadre operative sono formate in modo tradizionale così
come la soluzione dei problemi operativi o personali e sempre strettamente
demandata alla gerarchia. Il gruppo di incontro non ha alcuna funzione in ordine
a richieste o facilitazioni ma solo
in ordine alla relazionalità.
I caporali conduttori dei gruppi possono avere in carico più
di un gruppo di 10/15 reclute, con un massimo di tre gruppi, incontrati due
volte alla settimana ma debbono avere anche un incarico formale nella compagnia.
Un giorno alla settimana i conduttori dei gruppi si incontrano tra di loro alla
presenza dell’Ufficiale Consigliere che supervisiona il lavoro dei gruppi.
Data una Compagnia di 250 uomini sono necessari almeno 6
caporali con funzioni di conduttore di gruppo di incontro, impegnati in tale
compito per almeno 2 ore ogni giorno. I gruppi si incontrano ad un orario
preciso ma possono riunirsi anche “in emergenza” su richiesta di un membro.
Il governo del percorso di crescita nel gruppo è affidato
all’Ufficiale Consigliere e al gruppo di conduttori che gestisce i passi del
percorso a seconda delle caratteristiche personali e del confronto interno ad
ogni singolo gruppo.
In questo quadro si inserisce in profondità il lavoro di
prevenzione dell’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope su cui non si è
finora insistito in ragione della necessità di creare prima il contesto della
prevenzione e, successivamente, di adottare metodologie ed interventi
congruenti.
Se infatti osserviamo la vita che si svolge in caserma non possiamo non notare
alcune sorprendenti analogie con la vita di comunità (centrata sul confronto,
sull’impegno e sul rapporto interpersonale) che, di per sé, costituisce antidoto
all’esposizione alle droghe e, addirittura, base relazionale per il percorso di
recupero dalla tossicodipendenza. Esaminiamo infatti le seguenti analogie: orari
rigidi, gerarchia rigida, divisione di compiti,
controllo, fasi di accoglienza e di residenza, rapporti di gruppo e
relativa esclusione dal contesto sociale sono gli elementi tradizionali
di una istituzione che avvolge il soggetto indirizzandolo ad un
cambiamento del suo stile di vita. La partecipazione ad un clima di relazioni
interpersonali efficaci e costruttive fa la differenza. Ove non emerga la
partecipazione il gruppo non si forma e, a volte, degenera in forme perverse di
cui il segnale più evidente, già richiamato,
è quello del nonnismo: specifico problema
emergente nella convivenza militare che è analogo a quello del mobbing o
della formazione delle bande giovanili. Il nonnismo è una forma di
prevaricazione di gruppo aggressiva che possiede propri codici verbali e visivi,
norme, privilegi, obblighi e sanzioni.
Per attuare un percorso di prevenzione della
tossicodipendenza nel contesto militare è necessario mettere in atto spazi di
vita e di relazione all’interno dei quali possano emergenere le personalità dei
singoli e, senza critiche e censure, essere accolte con i loro pregi e difetti.
Uno spazio di relazione che consenta ai militari di esprimere verbalmente il
loro disagio e di confronti su di esso senza temere critiche o derisioni
ottenendo in cambio conforto e rassicurazione. Solo l’apertura di un simile
spazio sociale può consentire l’attuazione di una efficace prevenzione
dell’esposizione al disagio ed all’uso di droghe.
Se infatti il ricorso alle sostanze è sintomo di disagio
esistenziale, relazionale e sociale non è possibile né la dissuasione ne la
prevenzione attraverso interventi di informazione generali ma solo giungendo
attraverso il rapporto con il singolo soldato alla discussione sui suoi problemi
e sulle sue necessità di educazione e di orientamento.
Ciascuna droga è elettiva ad una specifica personalità ed ha
la funzione di coprire uno specifico disagio vissuto nella personalità, nella
relazione interpersonale e nel contesto sociale. Tal tipo di affinità è
essenziale per comprendere il comportamento e l’esposizione del singolo
prendendo le mosse dai suoi problemi e dal suo comportamento esprimendo la
logica della prevenzione in alcuni semplici itinerari.
·
- Per un
certo numero di soggetti il ricorso alla droga è copertura di disagi psicologici
e non è possibile alcun percorso di dissuasione senza far venire alla luce i
disagi psicologi del singoli, spesso carichi di carenze affettive strutturate
·
- Per altri è
l’occasionale esercizio di una pericolosa ricerca di piacere e di evasione,
consolidata attraverso una cultura priva del valore della responsabilità e
dell’impegno. Questi soggetti necessitano di maggior consistenza interiore e di
scelte di vita più stabili e durature. Essi sono però in grado di comprendere il
pericolo a cui si espongono solo se inseriti in un contesto in cui finalmente la
loro esposizione può essere discussa “prendendo sul serio” la loro persona e le
loro prospettive di futuro
·
- Altri
ancora utilizzano sostanze “per darsi la carica” e ne divengono progressivamente
dipendenti. Sono persone incapaci di accettare se stessi nei loro limiti e nelle
loro potenzialità perché non hanno mai ricevuto la sensazione di tal piena
accettazione
·
- L’alcool,
la cui dipendenza si associa a quella delle droghe, ha una tradizione più
difficile da sconfiggere all’interno di alcuni corpi. Il pericolo della
dipendenza alcolica è selettivo in alcuni tipi di personalità inclini alla
scarsa stima di sé ed alla depressione. Per costoro l’effetto euforizzante
diventa l’occasione rara di sentirsi “a posto se stessi” e di potersi esprimere
e rapportare con i loro pari senza sensazioni di inferiorità. Il percorso di
autodisciplina necessario al liberarsi dalla dipendenza alcolica è molto
congeniale con la vita militare
·
- Una
particolare attenzione merita l’esposizione all’uso associato di droghe e
psicofarmaci attuato da soggetti con un perenne bisogno di sazietà affettiva ed
emozionale, incapaci di autogoverno, fragili ed estremamente condizionabili. La
fragilità della loro personalità ed il grande bisogno di accettazione che
esprimono li porta però ad associarsi con grande facilità ai gruppi di incontro
ed a evitare le occasioni in cui si espongono a rischi “facendo da spalla a
qualcuno” e pagandone quasi sempre tutte le conseguenze
·
- Un ultimo
itinerario è quella della motivazione, rivolto essenzialmente ai soggetti più
convenzionali, opportunisti ed “apatici”. L’uso delle sostanze corrisponde ad un
personale piacere gestito con moderazione e senza rischi che rafforza le loro
inclinazioni antisociali, autoreferenziali ed egoistiche. Sono soggetti che
sanno scavarsi una “nicchia” nelle istituzioni e riescono a gestire anche un
loro specifico potere attraverso la forza dell’inerzia. L’istituzione deve
spesso scendere a patti con loro se vuol funzionare ottenendo risultati solo in
cambio di “favori personali” che rafforzano il loro potere. E’ molto difficile
riconoscere la loro esposizione alle sostanze poiché l’uso che ne viene fatto è
assolutamente individualistico e privato. Gli itinerari educativi per tali
soggetti sono tutti centrati sulla continua stimolazione motivazionale al fine
di renderli consapevoli delle loro potenzialità e far loro percepire il senso e
la bellezza di una azione sociale partecipata.
-
3) LA FORMAZIONE
1 livello:
La partecipazione ai gruppi è inserita dunque in un processo di
formazione alla vita di gruppo. Occorre
mettere però in esplicita e chiara evidenza che le tappe del percorso di
crescita nella disposizione personale alla gruppalità non ha tappe standard
poiché si diversifica a seconda della personalità delle reclute e della loro
adattabilità alle diverse componenti del sistema militare di vita.
Tale adattabilità è in diretta funzione dei valori e degli stili di vita
praticati nel contesto sociale e famigliare di provenienza: ove per taluni è
facile adattarsi al sistema di disciplina ma difficile socializzare e
solidarizzare con i pari, per altri è facile stabilire rapporti ma più difficile
adattarsi alla disciplina. Per altri ancora è semplice gestire la quotidianità
ripetitiva della vita di caserma ma difficile impegnarsi con energia nelle
funzioni operative, al contrario i soggetti più attivi ed efficaci nella azione
soffrono maggiormente nelle fasi di inattività.
Il gruppo costituisce per tutto uno sfondo integratore in grado di orientare
nella modulazione della propria personalità con i valori e gli stili della vita
militare secondo il processo precedentemente discusso (orecchie, cuore e
braccio) che hanno un corrispondente processo di crescita individuale nelle
reclute.
La prima fase corrisponde al soldato che incontra la vita di caserma e deve
conoscerla moderando i suoi eccessi di imprudenza ed autoesaltazione (anche
infida o conflittuale) o i suoi eccessi depressivi intimistici o malinconici. La
seconda fase corrisponde alla scoperta ed alla armonizzazione di alcuni valori
della vita militare con i valori precedentemente introiettati nella vita civile
e stabilmente posseduti. La terza fase è quella di una buona integrazione con il
contesto e della accettazione del contesto di vita militare nel suo complesso.
Naturalmente ciascuna recluta ha un suo particolare percorso che può richiedere
tempi diversi (più o meno lunghi) in ciascuna fase ed è per questo che esse non
possono essere scandite in tempi rigidi ma duttilmente interpretate dai
conduttori di gruppo.
2 livello:
Il
percorso di formazione dei responsabili dei gruppi di incontro merita una
attenzione ed un programma più articolato di quanto può essere espresso nelle
pagine che seguono. Sia perché esso deve essere strutturato mediante la concreta
partecipazione a gruppi che con lezioni teoriche e con la predisposizione di
strumenti pratici per la discussione sulle personalità.
La formazione dovrà essere effettuata con cura giacché da
essa dipende la replicazione a catena dei responsabili dei gruppi. Oltre
all'esperienza pratica tali responsabili dovranno possedere nozioni elementari
circa le strutture di personalità e circa l'organizzazione delle relazioni
gruppali.
1) In merito al primo punto dovranno essere offerti
percorsi per l'analisi dei copioni di disagio e di esposizione all’uso di
sostanze in un linguaggio comune e semplice evitando la professionalizzazione in
senso psicologico e pedagogico dei responsabili che altrimenti perderebbero la
immediatezza. Nei gruppi di incontro, con l'obiettivo di offrire tecniche per la
comprensione, si utilizza il linguaggio delle personalità come nello schema
seguente che descrive i singoli soggetti, al positivo ed al negativo. Potrebbe
essere utile costruire una terminologia più affine al mondo militare.
(Le tavole successive sono tratte da Masini V.,
Dalle emozioni ai sentimenti, Ed. Prevenire è possibile, 2000)
Gli adesivi:
le povertà affettive, la mancanza di padre, la mancanza di madre, il
bisogno di accettazione, l'insaziabilità affettiva, la
politossicodipendenza, il soggetto bulimico, la disposizione al
condizionamento, la tensione affiliativa, il desiderio
di coesione, la capacità
relazionale, la indispensabilità del gruppo.
Gli invisibili:
la mancanza di autostima, l'insufficienza del sé, la vergogna, la voglia di
scomparire e il complesso di inferiorità,
l'alcoolismo, il soggetto fobico, la discrezione relazionale, il pudore,
l'umiltà, l'arte di sollevare gli altri.
Gli apatici:
la fuga dagli impegni, la demotivazione, la pigrizia, il parassitismo
emozionale, l'astenia, la coscienza sonnolenta, l'oblio,
l'eroina, il soggetto abulico, l'autoanestesia, il rilassamento,
i portatori di pace.
Gli sballoni:
l'insaziabilità emozionale, lo sballo, la ricerca di piacere, l'edonismo, la
dipendenza dal sesso, le nuove droghe
sintetiche, il narcisismo, il vuoto esistenziale, l'angoscia,
l'attrazione verso l'altro, la fusionalità, lo slancio del sé, la
generosità.
I deliranti:
l'eccesso di autostima, l'espansione dell'io, lo snobismo, il disgusto, la
squalifica, la solitudine, la superbia,
gli allucinogeni, la dissociazione, il pensiero schizoide, l'acutezza di
ingegno, l'autosufficienza,
la libertà.
I ruminanti:
lo sdegno, la reattività, l'autocaricamento, l'irritazione, la rabbia, la
collera, l'ira, le amfetamine
da carica, la aggressività verso gli altri, la violenza, la colpa,
l'aggressivtà verso se stessi, la depressione, la tensione protettiva, il
desiderio di giustizia, la carica interiore, l'impegno, la furia lavorativa, la
creatività.
Gli avari:
la vulnerabilità, l'insicurezza, il possesso, le difese dell'io,
l'autoreferenzialità, la paura, l'ansia, l'ossessione, la mania,
la cocaina, l'oppressione, il
dominio, il controllo, le regole,
il senso di responsabilità, la cura e l'attenzione.
Come si osserva ciascuna personalità in disagio è presentata
con la sua specifica droga elettiva, ovvero quella sostanza che, ove tal tipo di
soggetto inizi l'assunzione, presenta il maggior rischio che si instauri il
processo di dipendenza psichica e/o fisica.