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PROGETTO DI PREVENZIONE DELL'USO E DELL'ABUSO DI SOSTANZE STUPEFACENTI E PSICOTROPE NELLE FORZE  ARMATE

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Il progetto di prevenzione ha l'obiettivo di rispondere alle prime  esigenze di:

·         preservare le Forze Armate dalla contaminazione valoriale, psicologica e relazionale che l'uso di droga, la cultura drogastica e gli stili di vita conseguenti possono produrre nella caserma e nella vita dei singoli soldati

·         riconoscere i comportamenti predittivi dell'uso di sostanze al fine di allontanare da attività operative soldati che manifestino comportamenti di assunzione  

·         garantire al soldato esposto al rischio di dipendenza un percorso di riabilitazione

Il progetto si inserisce nel processo di cambiamento dell'organizzazione e del ruolo dell'esercito  sia in ordine alla sicurezza interna ed internazionale sia in relazione alla trasformazione in corso verso un esercito professionale volontario. La delicatezza degli impegni delle F.A. dovrà poter contare su militari attenti, preparati e responsabili non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello della loro formazione umana e del loro equilibrio psicologico. Ciò anche in vista della necessità di modelli di comunicazione e di relazione interpersonale all'interno del gruppo operativo, capaci di districarsi tra informazioni complesse, e di un incremento della coesione interna, valore portante per il funzionamento del comando.

Lo stile di lavoro dell'esercito professionale richiede un alto livello di stima e fiducia reciproca tra gli operatori, garanzie di reciproca affidabilità, coesione e rispetto del significato profondo della gerarchia. Con importanti esiti sul piano della consapevolezza sociale della affidabilità delle Forze Armate.

Il tema della prevenzione della tossicodipendenza si può inserire in questo quadro e contribuire all'innesco di alcuni dei circoli virtuosi  del percorso educativo e formativo alla vita militare.

Il progetto di prevenzione della Td si organizza su due direttrici: il lavoro sul gruppo ed il lavoro educativo sulla persona. Questa doppia direzione è il motivo conduttore di tutte le strategie di prevenzione ed è particolarmente importante nella vita militare.

Il progetto tende a promuovere la formazione del gruppo primario in una ottica più ricca della promozione di quella semplice coesione interna. Se è vero, come afferma la sociologia militare, che il gruppo primario sembra aver perso la sua efficacia, in ragione della turnazione e del rimpiazzo e della logica occupazionale tipica degli eserciti volontari e della minor attrazione esercitata  dai valori e dalla cultura militare, il gruppo rimane insostituibile e, in quanto tale, va potenziato attraverso una più profonda attenzione all’individuo – persona ed alle sue motivazioni alla crescita personale e sociale ed alla partecipazione.

 

La dimensione gruppale è affrontata nel

  

1) PROGETTO ACCOGLIENZA

L'obiettivo del progetto è quello di agevolare l'inserimento dei nuovi soldati nella vita di caserma, osservare il loro stile di vita ed analizzare le loro disposizioni relazionali, contrastare il nonnismo, educare al vissuto di gruppo, orientare allo sviluppo delle personali attitudini e costruire, fin dal primo impatto con l'ambiente militare, un clima vitale in grado di produrre valore.

 La prima accoglienza

L'accoglienza ha la funzione di far percepire l'ambiente della caserma non ostile alle persone. Il disagio sperimentato nell'impatto con un ambiente sconosciuto, con una visione misteriosa della struttura della gerarchia, con commilitoni più anziani e spavaldi, senza ancora conoscere nessuno produce due effetti:

·         lo sviluppo di un atteggiamento difensivo ed egoistico

·         l'innesco di una mentalità di rivalsa come fondamento della motivazione alla carriera.

La convinzione che tale impatto favorisca l'addestramento al contatto con un ambiente ostile ed al contatto con il nemico è errata sia perché la stessa "personale sopravvivenza" è perseguita in termini egoistici ed utilitaristici, sia perché, depotenziando lo spirito di corpo, si impedisce il futuro riconoscimento del "nemico".  

La proposta della costituzione di gruppi di accoglienza (gestiti con le tecniche del gruppo di incontro condotto da un tutor più anziano) da organizzare all’ingresso dei soldati in caserma tende a far vivere l'impatto nel modo più sereno possibile. Il momento dell'ingresso, dopo le formalità ed una rapida sistemazione degli oggetti personali, diventa un "benvenuto" proposto direttamente da un altro soldato che abbia la funzione di tutor del gruppo in formazione.

Il tutor dovrà organizzare con immediatezza un momento di gruppo di incontro, informale come qualità della comunicazione, ma formale nel rispetto delle tecniche e della regole della conduzione di un gruppo di incontro. Nel primo momento i nuovi si conoscono tra di loro, apprendono le conoscenze elementari della vita di caserma e vengono accompagnati dal tutor a conoscere l'ufficiale di comando ed i loro superiori.

L’accoglienza, gestita direttamente da pari, aiuta il formarsi della unità di gruppo perché propone un immediato e confidenziale riconoscimento reciproco da parte dei soldati. Il momento dell'accoglienza è essenziale per il riconoscimento dei tratti di comportamento e delle difficoltà personali; in quel momento infatti emergono timidezze, imbarazzi, paure, false spavalderie, millantazioni, imprudenze, superficialità che smascherano le eccessive introversioni e le eccessive estroversioni.

 La caserma si mostra nell'accoglienza nel suo carattere costitutivo di “comunità” tra persone ed invita ad entrare a farne parte attiva per costruire la propria futura realizzazione. L'accoglienza può essere determinante per costruire l'unità del gruppo e per prevenire la nascita dei conflitti interni.

 

 I Tutor

I soldati che vengono designati alla responsabilità di prendersi cura dei nuovi arrivati usufruiranno di un importante processo di responsabilizzazione e assumeranno un ruolo di protezione dei più inesperti. Tale processo contrasterà in modo risolutivo gli atteggiamenti di nonnismo per due importanti ragioni:

·         in primo luogo la presenza e la valorizzazione dei tutor (come interlocutori privilegiati degli ufficiali di comando) è impedimento obiettivo a soprusi ed angherie

·         in secondo luogo viene a costituirsi un atteggiamento culturale e valoriale di segno opposto alla cultura del nonnismo.

Il ruolo del tutor deve essere protetto fin dall'inizio dai rischi della burocratizzazione. Per comprendere tale figura è necessario individuarne i compiti. Innanzitutto il tutor ha un rapporto responsabile con la recluta in quanto persona e non in quanto soldato. L'atteggiamento educativo dunque riguarda il comportamento complessivo e non solo le sue espressioni riferite al contesto militare, pur se è nella caserma che egli esplica la sua funzione. Si pone per lui il compito di raccordo e di organizzazione tra le attività e gli ambiti di relazionalità delle reclute, si pone inoltre per lui il compito di rendere armonici i rapporti all'interno dell'unità educativa che gli viene affidata. Appare dunque come il responsabile dell'armonia interna del gruppo piuttosto che una figura di comando. Il tutoring è connesso con l'educazione dei pari e cioè alla guida da parte dei più   esperti verso i meno esperti in uno spirito di collaborazione e di aiuto.

La scelta di soldati maturi ed equilibrati per la funzione di tutor deve operarsi con oculatezza ed  essi dovranno usufruire di un significativo percorso di formazione a questa funzione. La loro attività di tutoring non dovrà però essere attivata per più di due cicli di accoglienza e si dovrà provvedere al loro incessante ricambio ed alla ricorrente formazione di nuovi soldati. Altrimenti la loro azione perde freschezza ed efficacia, si professionalizza e si burocratizza, non riuscendo più a possedere viva la motivazione a questa originale esperienza e vera la memoria del loro personale vissuto di ingresso in caserma e del processo di accoglienza a loro riservato.

 

 

·                    Il gruppo di incontro

Il metodo del Progetto Accoglienza è stato elaborato da Prevenire è Possibile al fine di  trasferire in diversi tipi di strutture alcuni elementi tratti dall'esperienza delle comunità educative ed ha mosso i suoi primi passi in un periodo in cui la parola prevenzione era ancora poco definita e priva di connotazioni. Il centro motore del lavoro educativo è la struttura del gruppo di incontro che, per innescarsi, ha bisogno di essere attuato più a ridosso possibile del primo impatto dei soggetti con un nuovo ambiente e con nuove conoscenze.

Chi conduce il gruppo ha la funzione primaria di agevolatore delle relazioni interpersonali attraverso occasioni di rapporto interpersonale dotati di trasmissione e condivisione di sentimenti e di ascolto reciproco del vissuto altrui. Chi conduce un gruppo di incontro entra in possesso di una lente di ingrandimento con cui riesce a leggere e riconoscere i diversi atteggiamenti dei partecipanti verso la relazione con gli altri ed ad individuare le dimensioni psicologiche problematiche di ciascuno, senza necessariamente pervenire a diagnosi complesse. Momenti di gruppo di incontro sono normalmente presenti nella vita di tutti i giorni e costituiscono quei momenti in cui ciascuno liberamente parla di sé e si confronta con altri, viene criticato o apprezzato sulla base del suo comportamento relazionale e non rispetto all'obbedienza delle norme. Solo chi è abbia vissuto l'esperienza di un gruppo di incontro e sia riuscito a  riconoscerne le caratteristiche peculiari è in grado di offrire agli altri occasioni per sperimentare, allargare e approfondire tali occasioni.

Il conduttore dei gruppi di incontro è un facilitatore del passaggio della corrente gruppale da un individuo all’altro. I suoi compiti sono quelli di ridurre al minimo i suoi personali interventi e di rendere il più possibile fluida la comunicazione con la consapevolezza che ciò che davvero conta sono i sentimenti vissuti nel gruppo dalle persone che lo compongono, per comprendere le simpatie e le antipatie tra persone, l'emersione delle affinità e delle differenze, il raccontare la propria vita fino a scoprire la comune umanità di tutti i partecipanti.

Il gruppo di incontro ha come obiettivo quello di vivere e respirare l’aria del gruppo e di arricchirsi del vissuto altrui. Non è un gruppo che accende e promuove qualche obiettivo da raggiungere, né un gruppo dove si apprendono concetti. E’ un gruppo dove si disimpara a chiudersi dentro le proprie difese e dove si spengono le proprie tensioni. Nel gruppo di incontro emergono le motivazione all’affiliazione ed  all’accoglienza.

I gruppi d’incontro di tipo pedagogico hanno la sola funzione di mettere in relazione le persone tra di loro affinché si riconoscano reciprocamente come individui aperti alla relazionalità.  Il clima gruppale è lo strumento indispensabile per questo lavoro poiché favorisce il reciproco ascolto empatico e consente la verbalizzazione dei vissuti sperimentati.

La partecipazione ai gruppi di incontro è il tratto distintivo di tutto il percorso di accoglienza per individuare tutti i giovani che necessitano di educazione alla relazionalità e in particolare gli allievi che presentano particolari difficoltà di  inserimento nel contesto della caserma per specifici deficit di sviluppo e/o di apprendimento, per disagi personali, esistenziali, economici e sociali, per propensione all'abbandono ed alla demotivazione. Nei gruppi presentano difficoltà di inserimento anche soggetti coinvolti nel "disadattamento alla vita militare" per personalità, culture e stili di vita troppo reattive e per mancanza di capacità di autocontrollo.

Il gruppo di incontro, cardine dell'intero progetto accoglienza, si muove nella consapevolezza che lo sviluppo della relazionalità sia efficace per tutti i giovani, anche per coloro che potranno essere inadatti alla vita militare sia perché nel gruppo possono apprendere e modificare tratti di comportamento di disagio o a rischio o già carichi di problematicità, sia perché la dimensione del gruppo sarà il riferimento della autovalutazione e della valutazione reciproca della propria propensione verso tale scelta.  Il gruppo ha dunque diverse funzioni:

·                    3)di orientamento rieducativa: per tutti coloro che hanno bisogno di essere recuperati nelle loro deficienze educative e di apprendimento ed hanno esigenza di interventi e di tecniche specializzate non compatibili con la vita militare.

 

 

Il percorso di accoglienza

Il primo compito di tali gruppi è quello di conoscersi, ossia di presentarsi reciprocamente al fine di strutturare una solida rete di rapporti capaci di approfondire la discussione e lo svelarsi di contenuti di disagio che possono essere risolti attraverso la comunicazione interpersonale ed adeguate informazioni.  

Con il processo di accoglienza:

Il percorso di accoglienza vede un incontro quotidiano del gruppo di incontro, formato da 10 - 12 persone, per la prima settimana e poi tre incontri settimanali, tutti di circa 1 ora e mezza ciascuno, per quattro settimane, successivamente una volta alla settimana, in un giorno stabilito o anche a richiesta di un singolo membro.

Il gruppo è stabile e viene organizzato all'interno del RAV nel momento dell'impatto con la caserma. Occorre stabilire i criteri di composizione dei gruppi funzionali alla organizzazione della Compagnia. Tali gruppi sono strutture “atipiche”, per quanto possibile non gerarchiche, condotte da un soldato "alla pari" con attitudine alle relazioni sociali ed alla conduzione di gruppi. Il responsabile del gruppo di incontro è direttamente nominato dalla gerarchia, su segnalazione della riunione dei responsabili dei gruppi di incontro e di accoglienza, a seguito della quale i soggetti designati entrano in un percorso di formazione alla conduzione dei gruppi.

 

·                                                                                                                                                                                                                                                                                                         La diversificazione funzionale dei gruppi

Nella vita quotidiana delle persone, delle famiglie e dei gruppi in generale esistono momenti di lavoro, di organizzazione e di animazione, momenti di formazione e di apprendimento e momenti di incontro interpersonale.

Se analizziamo con quest’ottica ogni nostra giornata scopriamo che questi diversi modi di stare insieme tra persone corrispondono a diversi momenti relazionali del nostro tempo di vita e del nostro tempo di lavoro. I diversi contatti con gli altri si realizzano per fare delle cose (per lavorare, per organizzarci, per divertirci, per dividerci i compiti ed i ruoli dentro e fuori della famiglia),  per imparare e per  confrontarci sulle cose (per ascoltare o fare una lezione, per imparare un lavoro,  per scambiarci informazioni, per discutere intorno alle nostre opinioni) oppure  per incontrarci (per parlare di noi, dei nostri  sentimenti e delle nostre emozioni, per condividere con qualcuno il senso dei momenti della nostra vita).

Queste diverse occasioni corrispondono a diversi modi di fare gruppo: ciascun momento di gruppo ha un suo fine, una sua funzione ed un suo specifico significato. Nella accelerazione vorticosa delle attività, tipica dei modi contemporanei di vivere, si sono ampliati eccessivamente i momenti di gruppo di lavoro e di animazione ed i momenti di gruppo di apprendimento e sono diventati pericolosamente rari i momenti di gruppo di incontro. Fino al punto da rendere addirittura difficile la spiegazione e la comprensione di cosa voglia dire fare gruppo di incontro tra persone.

Il disagio di giovani ed adulti è figlio di una  solitudine vissuta in mezzo a migliaia di persone; il senso di vuoto è prodotto da una scadente qualità di vissuti pur in un tempo di vita e di lavoro denso di iniziative e di attività.

Proporre e spiegare il senso del gruppo di incontro è però impresa a volte molto difficile: l’abitudine ad un "fare" centrato sulle cose e sugli obiettivi cosiddetti “concreti”, la predilezione per le iniziative appariscenti e spettacolari,  l’illusione tecnicista  di poter ricorrere a strumenti operativi tangibili, distanzia sempre più dall’educazione ai sentimenti, ai valori ed ai vissuti.

Descrivere il gruppo di incontro a parole o in un libro non produce sufficiente comprensione, è necessario insistere e precisare, fare esempi, raccontare le storie di vita di chi ha vissuto il gruppo.

Le tecniche e gli stili di conduzione del gruppo di incontro sono comprensibili utilizzando alcune parole ormai logore: condivisione, comprensione reciproca, conoscenza di sé, apertura agli altri, ecc.. oppure rimandando al significato della parola empatia. Il gruppo di incontro ha uno schema, dei ruoli e delle tecniche le cui funzioni pedagogiche lo propongono molto differente dai gruppi di psicoterapia,  anche laddove esso sia impiegato all'interno di contesti famigliari in crisi o con giovani a rischio. La principale caratteristica del gruppo di incontro è quella di creare le precondizioni per l'apertura reciproca delle persone, per far innescare il confronto tra di loro e per rendere i partecipanti più consapevoli di sé e delle loro necessità di aprirsi a qualche cambiamento del loro stile di vita per fronteggiare le loro personali necessità di crescita educativa.

A questo fine il conduttore di gruppo deve possedere spiccate doti e attitudini umane: capacità empatica, capacità relazionale, capacità di riferimento ai valori, capacità di introspezione.

La capacità empatica consiste nell’aprirsi al vissuto degli altri, saper ascoltare, accettare, intendere quanto gli altri vivono sospendendo il giudizio e le attribuzioni. Intorno all’empatia, parola chiave nella prospettiva educativa attuale, circolano numerosi fraintendimenti. Empatizzare non significa proiettare qualcosa di sé nell’altro, né immedesimarsi nell’altro, né trovare nell'altro analogie con  quanto si è precedentemente vissuto, ma, pur ricavando conferme dalla proiezione, dall'immedesimazione e dall'analogia, è essenzialmente essere aperti alla percezione di quanto l’altro vive. L’empatia è lo strumento centrale del conduttore di gruppo di incontro e questa dote umana "intender non la può chi non la prova". Anzi, ove essa non sia sperimentata, è una assenza significativa nella dimensione relazionale ed esistenziale. La persona centrata su di sé, che ha uno scarso rapporto e contatto con la propria dimensione profonda, che ne ha ancora meno con il vissuto degli altri e che, a causa dell’insicurezza e difensività, è troppo attenta al controllo ed alla gestione dei rapporti con gli altri presenterà, contemporaneamente, due possibili opinioni circa l’empatia: o la scambierà con qualcos’altro (condivisione dei sentimenti ad esempio) o la negherà come capacità umana definendo “visionario” chi di tale dote discute ed ancor più chi tale dote adopera.

Non di rado persone chiuse nella loro avarizia emozionale, prese dalla difesa di sé, del proprio ruolo, della propria posizione e privilegio o attirate da benefici materiali, legati al successo ed all’ambizione, si ritrovano a criticare gli educatori che fondano la loro modalità di rapporto con giovani ed adulti su tale capacità.

L’importanza del gruppo va riemergendo in questi ultimi anni come luogo di riaggregazione sociale. In altre epoche e fasi della storia dell’uomo il fatto di essere e fare gruppo è sempre stato dato come un elemento obiettivo, scontato. Oggi non è più così: la socializzazione contemporanea   privilegia le comunicazioni e la cultura di coppia e si organizza nella comunicazione e nella cultura  di massa, di aggregato o di pubblico. Il gruppo non è più ovvio ed occorre un lavoro particolare per riuscire a costruirlo.

Il più efficace effetto che dura nel tempo da parte chi partecipa ai gruppi è la scoperta delle proprie potenzialità, fino a quel momento inespresse o sopite o nemmeno conosciute.

 

·                                                                                                                                                                                                                                                                                                         Gruppo di incontro, gruppo di animazione e gruppo di formazione

La distinzione tra  gruppo di animazione, gruppo di apprendimento e gruppo di incontro è molto utile sia nelle attività di lavoro all'interno di strutture di accoglienza sia nel lavoro sociale ed educativo diffuso:

 

L’animatore di un gruppo è un leader che svolge un ruolo strettamente legato alla gerarchia, all’attività, alla progettualità ed alla acquisizione di capacità di organizzazione e di collaborazione. Spesso si manifesta però impotente di fonte all’emersione dei sentimenti di disagio, alle necessità affettive ed al bisogno di comprensione e di calore umano. Il gruppo di animazione ha molti elementi in comune con il gruppo di lavoro poiché la principale sua caratteristica è quello di promuovere motivazione, impegno, aderenza agli obiettivi, efficacia ed efficienza nel gruppo. Intendendo per quest’ultimo un insieme di persone che si dividono i compiti, che assumono ruoli e che collaborano per raggiungere degli obiettivi.

L’animatore è un potenziatore delle qualità umane della persona e tende ad accendere la socializzazione in modo costruttivo per far emergere la progettazione consapevole di attività funzionali alla struttura ed al sistema. In questo quadro possiamo ritenere "animatori"  sui generis le figure organizzano i gruppi di attività in modo funzionale alle necessità della struttura.

 

- Il formatore è una figura professionale presente nei gruppi che ha propugnato la necessità di superare le tradizionali modalità di insegnamento direttivo e verticale. La prima caratteristica del formatore è l’esercizio di una comunicazione interattiva fondata non solo sul feed-back di chi riceve le informazioni trasmesse ma soprattutto sulla chiamata alla partecipazione al percorso di apprendimento. La formazione nasce come risposta alle esigenze di apprendimento degli individui e si esprime nel processo di adattamento alle organizzazioni. La formazione nasce con l’espressione delle domande formative e con l’emersione delle abilità, delle competenze e dei contenuti da interiorizzare nel processo formativo. Al centro della formazione c’è l’apprendimento e l’esito dell’apprendimento è lo sviluppo di un più ampio orizzonte di libertà e di indipendenza nelle scelte personali. L’area della discrezionalità, dell’autonomia, della responsabilità e della libertà nell’azione è connessa alla possibilità di pervenire ad un punto di vista superiore che tiene presente sia l’individuo che gli altri che il sistema in cui egli è inserito. In quest'ottica il formatore è un referente esterno alla struttura dei gruppi di incontro con il compito di consigliere e di supervisore delle diverse tappe formativa dei singoli e dei gruppi. In questa chiave può essere visto il ruolo di un ufficiale esterno alla gerarchia ma integrato con essa che ha il compito di supervisionare l'attività dei responsabili dei gruppi di incontro

 

- Il conduttore dei gruppi di incontro è un facilitatore del passaggio della “corrente” gruppale da un individuo all’altro. L’unica condizione che sta sullo sfondo del gruppo di incontro è che la cornice che definisce il gruppo sia salda ed al sicuro da squalifiche. L’unico obiettivo è quello di vivere e respirare l’aria del gruppo e di arricchirsi del vissuto altrui. Non è un gruppo che accende  e promuove verso qualche obiettivo da raggiungere, né un gruppo dove si impara un altro particolare punto di vista sulla realtà. E’ un gruppo dove si disimpara a chiudersi dentro le proprie difese e dove si spengono le proprie tensioni. Nel gruppo di incontro emergono le motivazione all’affiliazione ed  all’accoglienza.

 

2) IL SISTEMA ORGANIZZATIVO

Articolazione del rapporto tra i responsabili dei gruppi di incontro e di accoglienza con la gerarchia.

Con riferimento al quadro teorico appena delineato  diventa possibile pensare alla organizzazione in ambito militare di tre figure funzionali  con ambiti, ruoli, compiti e competenze differenti per diminuire il rischio di gerarchie “incrociate” o “parallele”.

Il loro intervento è convergente sulla struttura del gruppo: il conduttore del gruppo di incontro ha la funzione di stimolare l'aggregazione e la coesione interna, attraverso la conoscenza tra i membri e il loro reciproco riconoscimento ed accettazione come persone, con pregi e difetti, con difficoltà e valori. La gerarchia ed il comando tradizionale sono rappresentate dalle figure tradizionali che adempiono il loro ruolo  nel rispetto delle altre componenti senza sentirsi scavalcate dalle altre figure. Il loro è il tradizionale comando lungo la catena della gerarchia.

L'ufficiale consigliere è invece una figura di supporto, integrata nella gerarchia ma con una linea di comando differente, ed ha la funzione di supervisore dei conduttori di gruppo di incontro, di raccordo con loro. E' un formatore che, attraverso supporti esterni, ha acquisito le tecniche di conduzione di gruppo di incontro, di gruppo di formazione e di gruppo di lavoro. La sua funzione di supervisione dei conduttori dei gruppi (tutor) si esplicita sia attraverso tecniche di gruppo di incontro che di lavoro e di formazione.

Nella tabella sulla distribuzione funzionale dei leader nei gruppi vengono individuate tre direttrici di azione che, nella struttura di una Compagnia, possono essere cosi descritte:

CONDUTTORE  DI GRUPPO

RESPONSABILE ALLA PARI

FORMATORE

UFFICALE  ESTERNO CONSIGLIERE

ANIMATORE E MOTIVATORE

SOTTOUFFICIALE  INTERNO ALLA GERARCHIA

DISTRIBUZIONE FUNZIONALE DEI LEADER DEI GRUPPI

E’ il caporal maggiore che comanda la squadra con compiti di comando e addestramento tradizionali.

E’ l’ufficiale consigliere, consulente del comandante con compiti di consulenza diretta e personale alle reclute o indiretta attraverso i conduttori di gruppo.

E’ il caporale, conduttore dei gruppi di incontro. Un “pari” che offre la possibilità dell’incontro interpersonale e del rapporto di aiuto.

 

 

 

I gruppi di incontro del Progetto Accoglienza sono formati al momento di ingresso nel RAV  tra le reclute e composti con il massimo di disomogeneità territoriale e culturale dei partecipanti (è sufficiente raggruppare l’elenco delle reclute in gruppi omogenei e poi prendere da ogni gruppo una persona). Lo scopo è quello di eliminare le forme tradizionali di coesione e costruire gruppi il più possibile ex novo. I gruppi sono formati da appartenenti alle diverse squadre e si riuniscono con il conduttore di gruppo che non appartiene in termini diretti alla gerarchia.

Le squadre operative sono formate in modo tradizionale così come la soluzione dei problemi operativi o personali e sempre strettamente demandata alla gerarchia. Il gruppo di incontro non ha alcuna funzione in ordine a richieste o facilitazioni  ma solo in ordine alla relazionalità.

I caporali conduttori dei gruppi possono avere in carico più di un gruppo di 10/15 reclute, con un massimo di tre gruppi, incontrati due volte alla settimana ma debbono avere anche un incarico formale nella compagnia. Un giorno alla settimana i conduttori dei gruppi si incontrano tra di loro alla presenza dell’Ufficiale Consigliere che supervisiona il lavoro dei gruppi.

Data una Compagnia di 250 uomini sono necessari almeno 6 caporali con funzioni di conduttore di gruppo di incontro, impegnati in tale compito per almeno 2 ore ogni giorno. I gruppi si incontrano ad un orario preciso ma possono riunirsi anche “in emergenza” su richiesta di un membro.

Il governo del percorso di crescita nel gruppo è affidato all’Ufficiale Consigliere e al gruppo di conduttori che gestisce i passi del percorso a seconda delle caratteristiche personali e del confronto interno ad ogni singolo gruppo.

 In questo quadro si inserisce in profondità il lavoro di prevenzione dell’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope su cui non si è finora insistito in ragione della necessità di creare prima il contesto della prevenzione e, successivamente, di adottare metodologie ed interventi congruenti.

Se infatti osserviamo la vita che si svolge in caserma non possiamo non notare alcune sorprendenti analogie con la vita di comunità (centrata sul confronto, sull’impegno e sul rapporto interpersonale) che, di per sé, costituisce antidoto all’esposizione alle droghe e, addirittura, base relazionale per il percorso di recupero dalla tossicodipendenza. Esaminiamo infatti le seguenti analogie: orari rigidi, gerarchia rigida, divisione di compiti,  controllo, fasi di accoglienza e di residenza, rapporti di gruppo e relativa esclusione dal contesto sociale sono gli elementi tradizionali  di una istituzione che avvolge il soggetto indirizzandolo ad un cambiamento del suo stile di vita. La partecipazione ad un clima di relazioni interpersonali efficaci e costruttive fa la differenza. Ove non emerga la partecipazione il gruppo non si forma e, a volte, degenera in forme perverse di cui il segnale più evidente, già richiamato,  è quello del nonnismo: specifico problema  emergente nella convivenza militare che è analogo a quello del mobbing o della formazione delle bande giovanili. Il nonnismo è una forma di prevaricazione di gruppo aggressiva che possiede propri codici verbali e visivi, norme,  privilegi, obblighi e sanzioni.

Per attuare un percorso di prevenzione della tossicodipendenza nel contesto militare è necessario mettere in atto spazi di vita e di relazione all’interno dei quali possano emergenere le personalità dei singoli e, senza critiche e censure, essere accolte con i loro pregi e difetti. Uno spazio di relazione che consenta ai militari di esprimere verbalmente il loro disagio e di confronti su di esso senza temere critiche o derisioni ottenendo in cambio conforto e rassicurazione. Solo l’apertura di un simile spazio sociale può consentire l’attuazione di una efficace prevenzione dell’esposizione al disagio ed all’uso di droghe.

Se infatti il ricorso alle sostanze è sintomo di disagio esistenziale, relazionale e sociale non è possibile né la dissuasione ne la prevenzione attraverso interventi di informazione generali ma solo giungendo attraverso il rapporto con il singolo soldato alla discussione sui suoi problemi e sulle sue necessità di educazione e di orientamento.

Ciascuna droga è elettiva ad una specifica personalità ed ha la funzione di coprire uno specifico disagio vissuto nella personalità, nella relazione interpersonale e nel contesto sociale. Tal tipo di affinità è essenziale per comprendere il comportamento e l’esposizione del singolo prendendo le mosse dai suoi problemi e dal suo comportamento esprimendo la logica della prevenzione in alcuni semplici itinerari.

·         -         Per un certo numero di soggetti il ricorso alla droga è copertura di disagi psicologici e non è possibile alcun percorso di dissuasione senza far venire alla luce i disagi psicologi del singoli, spesso carichi di carenze affettive strutturate

·         -         Per altri è l’occasionale esercizio di una pericolosa ricerca di piacere e di evasione, consolidata attraverso una cultura priva del valore della responsabilità e dell’impegno. Questi soggetti necessitano di maggior consistenza interiore e di scelte di vita più stabili e durature. Essi sono però in grado di comprendere il pericolo a cui si espongono solo se inseriti in un contesto in cui finalmente la loro esposizione può essere discussa “prendendo sul serio” la loro persona e le loro prospettive di futuro

·         -         Altri ancora utilizzano sostanze “per darsi la carica” e ne divengono progressivamente dipendenti. Sono persone incapaci di accettare se stessi nei loro limiti e nelle loro potenzialità perché non hanno mai ricevuto la sensazione di tal piena accettazione

·         -         L’alcool, la cui dipendenza si associa a quella delle droghe, ha una tradizione più difficile da sconfiggere all’interno di alcuni corpi. Il pericolo della dipendenza alcolica è selettivo in alcuni tipi di personalità inclini alla scarsa stima di sé ed alla depressione. Per costoro l’effetto euforizzante diventa l’occasione rara di sentirsi “a posto se stessi” e di potersi esprimere e rapportare con i loro pari senza sensazioni di inferiorità. Il percorso di autodisciplina necessario al liberarsi dalla dipendenza alcolica è molto congeniale con la vita militare

·         -         Una particolare attenzione merita l’esposizione all’uso associato di droghe e psicofarmaci attuato da soggetti con un perenne bisogno di sazietà affettiva ed emozionale, incapaci di autogoverno, fragili ed estremamente condizionabili. La fragilità della loro personalità ed il grande bisogno di accettazione che esprimono li porta però ad associarsi con grande facilità ai gruppi di incontro ed a evitare le occasioni in cui si espongono a rischi “facendo da spalla a qualcuno” e pagandone quasi sempre tutte le conseguenze

·         -         Un ultimo itinerario è quella della motivazione, rivolto essenzialmente ai soggetti più convenzionali, opportunisti ed “apatici”. L’uso delle sostanze corrisponde ad un personale piacere gestito con moderazione e senza rischi che rafforza le loro inclinazioni antisociali, autoreferenziali ed egoistiche. Sono soggetti che sanno scavarsi una “nicchia” nelle istituzioni e riescono a gestire anche un loro specifico potere attraverso la forza dell’inerzia. L’istituzione deve spesso scendere a patti con loro se vuol funzionare ottenendo risultati solo in cambio di “favori personali” che rafforzano il loro potere. E’ molto difficile riconoscere la loro esposizione alle sostanze poiché l’uso che ne viene fatto è assolutamente individualistico e privato. Gli itinerari educativi per tali soggetti sono tutti centrati sulla continua stimolazione motivazionale al fine di renderli consapevoli delle loro potenzialità e far loro percepire il senso e la bellezza di una azione sociale partecipata.         

 

1 livello: La partecipazione ai gruppi è inserita dunque in un processo di formazione alla vita di gruppo. Occorre mettere però in esplicita e chiara evidenza che le tappe del percorso di crescita nella disposizione personale alla gruppalità non ha tappe standard poiché si diversifica a seconda della personalità delle reclute e della loro adattabilità alle diverse componenti del sistema militare di vita.

Tale adattabilità è in diretta funzione dei valori e degli stili di vita praticati nel contesto sociale e famigliare di provenienza: ove per taluni è facile adattarsi al sistema di disciplina ma difficile socializzare e solidarizzare con i pari, per altri è facile stabilire rapporti ma più difficile adattarsi alla disciplina. Per altri ancora è semplice gestire la quotidianità ripetitiva della vita di caserma ma difficile impegnarsi con energia nelle funzioni operative, al contrario i soggetti più attivi ed efficaci nella azione soffrono maggiormente nelle fasi di inattività.

Il gruppo costituisce per tutto uno sfondo integratore in grado di orientare nella modulazione della propria personalità con i valori e gli stili della vita militare secondo il processo precedentemente discusso (orecchie, cuore e braccio) che hanno un corrispondente processo di crescita individuale nelle reclute.

La prima fase corrisponde al soldato che incontra la vita di caserma e deve conoscerla moderando i suoi eccessi di imprudenza ed autoesaltazione (anche infida o conflittuale) o i suoi eccessi depressivi intimistici o malinconici. La seconda fase corrisponde alla scoperta ed alla armonizzazione di alcuni valori della vita militare con i valori precedentemente introiettati nella vita civile e stabilmente posseduti. La terza fase è quella di una buona integrazione con il contesto e della accettazione del contesto di vita militare nel suo complesso.

Naturalmente ciascuna recluta ha un suo particolare percorso che può richiedere tempi diversi (più o meno lunghi) in ciascuna fase ed è per questo che esse non possono essere scandite in tempi rigidi ma duttilmente interpretate dai conduttori di gruppo.

 2 livello: Il percorso di formazione dei responsabili dei gruppi di incontro merita una attenzione ed un programma più articolato di quanto può essere espresso nelle pagine che seguono. Sia perché esso deve essere strutturato mediante la concreta partecipazione a gruppi che con lezioni teoriche e con la predisposizione di strumenti pratici per la discussione sulle personalità.

La formazione dovrà essere effettuata con cura giacché da essa dipende la replicazione a catena dei responsabili dei gruppi. Oltre all'esperienza pratica tali responsabili dovranno possedere nozioni elementari circa le strutture di personalità e circa l'organizzazione delle relazioni gruppali.

 

1) In merito al primo punto dovranno essere offerti

percorsi per l'analisi dei copioni di disagio e di esposizione all’uso di sostanze in un linguaggio comune e semplice evitando la professionalizzazione in senso psicologico e pedagogico dei responsabili che altrimenti perderebbero la immediatezza. Nei gruppi di incontro, con l'obiettivo di offrire tecniche per la comprensione, si utilizza il linguaggio delle personalità come nello schema seguente che descrive i singoli soggetti, al positivo ed al negativo. Potrebbe essere utile costruire una terminologia più affine al mondo militare.  (Le tavole successive sono tratte da Masini V., Dalle emozioni ai sentimenti, Ed. Prevenire è possibile, 2000)

Gli adesivi:  le povertà affettive, la mancanza di padre, la mancanza di madre, il bisogno di accettazione, l'insaziabilità affettiva, la politossicodipendenza, il soggetto bulimico, la disposizione al condizionamento, la tensione affiliativa, il desiderio  di coesione, la capacità  relazionale, la indispensabilità del gruppo.   

Gli invisibili: la mancanza di autostima, l'insufficienza del sé, la vergogna, la voglia di scomparire e il complesso di inferiorità, l'alcoolismo, il soggetto fobico, la discrezione relazionale, il pudore, l'umiltà, l'arte di sollevare gli altri.

Gli apatici: la fuga dagli impegni, la demotivazione, la pigrizia, il parassitismo emozionale, l'astenia, la coscienza sonnolenta, l'oblio, l'eroina, il soggetto abulico, l'autoanestesia, il rilassamento,  i portatori di pace.

Gli sballoni: l'insaziabilità emozionale, lo sballo, la ricerca di piacere, l'edonismo, la dipendenza dal sesso, le nuove droghe sintetiche, il narcisismo, il vuoto esistenziale, l'angoscia,  l'attrazione verso l'altro, la fusionalità, lo slancio del sé, la generosità.

I deliranti: l'eccesso di autostima, l'espansione dell'io, lo snobismo, il disgusto, la squalifica, la solitudine, la superbia, gli allucinogeni, la dissociazione, il pensiero schizoide, l'acutezza di ingegno,   l'autosufficienza, la libertà.

I ruminanti: lo sdegno, la reattività, l'autocaricamento, l'irritazione, la rabbia, la collera, l'ira, le amfetamine da carica, la aggressività verso gli altri, la violenza, la colpa, l'aggressivtà verso se stessi, la depressione, la tensione protettiva, il desiderio di giustizia, la carica interiore, l'impegno, la furia lavorativa, la creatività.

Gli avari: la vulnerabilità, l'insicurezza, il possesso, le difese dell'io, l'autoreferenzialità, la paura, l'ansia, l'ossessione, la mania, la cocaina,  l'oppressione, il dominio, il controllo,  le regole, il senso di responsabilità, la cura e l'attenzione.

Come si osserva ciascuna personalità in disagio è presentata con la sua specifica droga elettiva, ovvero quella sostanza che, ove tal tipo di soggetto inizi l'assunzione, presenta il maggior rischio che si instauri il processo di dipendenza psichica e/o fisica.