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Semeiotica del Counseling Relazionale
Presentazione prof. Claudio Santori – Arezzo, 15 Aprile 2011 Scarica in PDF
Nella cultura ebraica circola una storiella che mi sembra utile per iniziare in maniera rilassata e
divertente questa seduta. Un povero diavolo viveva in una casetta tormentato dalla moglie bisbetica,
dai figli disobbedienti e dalla suocera autoritaria. Non potendone più va dal rabbino il quale
ascolta attentamente le sue lamentele e gli domanda se possiede una capra. Avuta risposta
affermativa gli dice di togliere l’animale dalla stalla e di metterlo in casa. Rassicura quindi il
poveretto, alquanto perplesso, che in questo modo tutto si sarebbe risolto e gli dice di tornare da lui
dopo un mese. Passato un mese il poveretto torna dal rabbino e gli dice che le cose non solo non
sono migliorate, ma la situazione è divenuta tragica: l’animale sporca tutto, puzza maledettamente e
bela in continuazione togliendo il sonno a tutti. Il rabbino gli dice con ieratica calma di rimettere la
capra nella stalla e di tornare dopo una settimana. La settimana dopo l’uomo torna tutto felice e
dichiara al rabbino che gli sembra di essere rinato: ora in casa è tutto a posto.
La storiella mi è venuta in mente perché in qualche modo il rabbino
de quo è un counselordecisamente
ante litteram e il poveretto è uno che a lui si è rivolto non per un consiglio, ma per unvero e proprio
counseling. Infatti -se ho ben capito, nella dottrina dei suoi teorici il consiglio è unrapporto paritario che presuppone un accordo sul tema per fattori interni e suggerisce scelte o
modificazioni, mentre il
counseling è il rapporto con un esperto -in questo caso il rabbino- perindividuare una strategia mediante fattori esterni che renda possibili le scelte o le modifiche. Infatti
l’uomo, una volta tratte le conseguenze dalla strategia proposta dal rabbino, si renderà conto di cosa
è veramente insopportabile e si regolerà di conseguenza.
Per quanto del tutto digiuno di
counseling non mi sono ribellato all’ingiunzione di Alessandro diintrodurre la presentazione (si badi bene: ho detto introdurre, perché di fatto farò il catalizzatore,
l’elemento che mette in moto le reazioni senza parteciparvi: sarò felicissimo di ascoltare!) non mi
sono ribellato, dicevo, all’ingiunzione di introdurre la presentazione di questa ennesima fatica di
Lorenzo Barbagli per due motivi: 1° il Barbagli è stato alunno del Liceo “Redi” e in quanto tale in
qualche modo è pur sempre un mio nipote spirituale (lo zio Paperone direbbe:
nipotastro) 2° ilcounseling
, per quanto non abbia ancora uno status giuridico ben definito, non essendo ancoraquello di
counselor un titolo riconosciuto come quello di ragioniere o di psicoterapeuta, èun’attività ormai penetrata in tutti i gangli della società e riguarda non soltanto la scuola, ma anche
il mondo del lavoro e le relazioni sociali in genere. Ebbene io, pur essendo -lo ribadisco- digiuno di
teoria del
counseling relazionale in genere, di fatto opero da counselor scolastico perché mi sonooccupato per un quarantennio di orientamento scolastico (e l’orientamento è parte integrante del
counseling
scolastico) e mi occupo dagli anni Ottanta del secolo scorso a tutt’oggi di volontariatonel settore dell’educazione degli adulti, un’attività che lambisce sovente il terreno del
counselingrelazionale. Per fare un esempio, pur non essendo Schumacher, e quindi non essendo classificabile
come “pilota”, o bene o male sono un guidatore perché, di fatto, guido l’automobile! (è vero che
Schumi alla Mercedes si è beccato 6 decimi da un signor nessuno Rosberg, ma insomma è sempre
un nomone!).
Torniamo a bomba. Per quanto mi è possibile ho sempre cercato, anche per deformazione
professionale, di tenermi al corrente degli strumenti fondamentali che ruotano intorno alla scienza
dell’educazione, convinto come sono fin da quando a sei anni -per rubare una frase a un celebre
film- sono stato fatto prigionero dalla scuola e sono stato rilasciato soltanto pochi mesi fa; convinto
come sono, dicevo, che il vero insegnante dovrebbe prima di tutto insegnare ai propri alunni a stare
al mondo, perché da questo approccio relazionale dovrebbe discendere anche il tanto strombazzato
dialogo educativo non limitato alla pura e semplice trasmissione del sapere.
Proprio per questo ho sempre seguito, sia pure, per usare un termine del biliardo,
di scazzata, laproduzione di Lorenzo che è a dir vero ormai imponente: Orientamento formativo e
differenziazione degli interventi - Orientamento e
Counseling - Consigli di un orientatore pergiovani disorientati - Certificazione e qualità del
Counseling e della formazione al Counseling - Stilidi
Leadership e tecniche di gestione dei gruppi -Burocrazia e disagio - Counseling nei gruppi:tecniche di intervento e formazione e training (con Vincenzo Masini). A questi lavori, di cui ho
appena sfogliato qualche pagina con lo spirito di quella che si suol definire
captive audience, neaggiungo uno che invece non solo ho letto, ma ne ho ricavato esempi e terminologia di supporto ai
miei orientamenti scolastici: dico miei perché nei miei sedici anni di presidenza del “Redi” non ho
permesso a nessuno di fare l’orientamento e mi sono sobbarcato settimane di
corvée scarpinando eperegrinando da una scuola media all’altra in città e in provincia. Il libro in questione si chiama,
manco a dirlo
Counseling scolastico ed è stato pubblicato tre anni fa. Mi sono avvalso sianell’orientamento vero e proprio, sia in più di un momento critico della presidenza prima e della
dirigenza poi, della teoria delle modulazioni comunicative,
persuasiva, espressiva e immaginativa,collegate con la schematizzazione a tre delle intelligenze:
ordinativa, intuitiva e descrittiva. Misono state utili le sequenze IRF (Inizio dell’ insegnante, Risposta dell’allievo e
Follow upsuccessivo) e ancor più IRE (Inizio dell’ insegnante, Risposta dell’allievo e
Evaluationdell’insegnante (le intuizioni di Mehan risalenti al 1979). E più ancora mi è capitato di saccheggiare
il capitolo VI (
L’Orientamento), allo scopo di mettere meglio a fuoco le basi teoriche dell’orientamento considerato come processo educativo, analizzando le dimensioni della personalità in
connessione con gli stili cognitivi. Un processo che, sia pure in maniera autoschediastica e intuitiva
avevo posto in essere di mio anche prima: se Lorenzo, a suo tempo nella sua terza media, è stato
intruppato e condotto ai miei
show sull’orientamento potrà testimoniare che già negli anni Ottantaconsideravo l’orientamento come un processo educativo: non ho mai fatto mera propaganda per il
Liceo Scientifico, ma bene o male ho sempre cercato di impostare un orientamento che tendesse a
far emergere le dimensioni dello sviluppo del cittadino scolaro, sollecitandone le capacità di scelta
e di decisione.
Con la
Semeiotica del Counseling Relazionale, il Barbagli alza il tiro, abbandona in qualche modoil
passerotto dell’orientamento nella scuola e punta al fagiano dell’orientamento nella vita, cheesige la conoscenza di quelli che
sono i punti cardinali con cui deve confrontarsi (che possonoessere soggettivi come i valori. ma che sono anche oggettivi come la necessità di lavorare e di
trovare lavoro in un determinato contesto sociale, giusto o sbagliato che sia, migliore o peggiore),
deve poi sapere chi è e in che posizione è situato rispetto ad essi, e deve infine sapere che posizione
vuole raggiungere e che strada percorrere. In tutto questo deve, o magari può, supportarsi
dell’utilizzo di alcuni strumenti utili a meglio acquisire queste consapevolezze. “Negli scouts –
rammenta Lorenzo da qualche parte- usavamo la bussola, o magari più romanticamente le stelle, nel
lavoro di oggi usiamo un bilancio delle competenze o altri strumenti affini”.
“Un Counselor, in sostanza, -è sempre lo stesso Barbagli che parla- è un amico che si prende il
coraggio di dirti anche che stai sbagliando. Con una sola differenza, che a volte lo fa confondere
con lo psicoterapeuta: che lo farà con cognizione di causa, sulla base di conoscenze teoriche,
pratiche ed esistenziali, mettendole al tuo servizio”.
Cliccando sulla voce “Lorenzo Barbagli” ho trovato qualche sua interessante confessione a
proposito degli anni di liceo: “
Mi ricordo i miei anni del liceo. Sono stati anni strani e difficili, conparole mistiche potrei definirli oscuri” Racconta di aver messo in piedi un processo che gli permise
di non essere mai bocciato anche se non faceva nulla -parola di Barbagli-, ma riconosce che in
effetti a scuola chi non è un po’ furbo o molto “scafato” se non studia davvero tanto, la paga molto
cara e focalizza un’osservazione veramente intrigante e interessante: “Si fa decisamente meno fatica
a capire come funziona il gioco, bluffare e cogliere al volo le mani buone. Magari imparando poco,
ma beccandosi gli otto” per giungere alla stoccata finale: “Del resto non è neanche fino in fondo
colpa degli insegnanti.. ai loro tempi la scuola era ben diversa… e del resto, tranne qualcuno di
loro, molti sono sempre restati dentro la scuola e non hanno visto il mondo che cambiava, se non
dai tiggì”. Una stoccata che mi trova pienamente d’accordo, anzi è un carico sul quale mi sento di
collocare la briscola: molti insegnanti, troppi, sono refrattari a qualsiasi forma di aggiornamento;
alcuni di loro –per fortuna una minoranza poco significativa- riposano addirittura -come i batteri dei
un noto spot televisivo- nel periclitante vantaggio che deriva loro dall’ essere avanti alla classe di
una diecina di pagine.
En passant
. Troppo spesso ci si imbatte ancora in docenti (nella mia lunga carriera ne hoincrociati tanti) che si comportano come l’ineffabile professore di francese dell’
Ex cattedra diStarnone: “Ho insegnato io il francese?” “Sì”. “Ha imparato lui il francese?” “No!”. “E allora lo
boccio!”. Se è vero che il docente deve
docere e l’alunno deve per conseguenza discere, è anchevero che il docente deve almeno porsi il problema del disagio dell’adolescente e di tentare di
individuare le strategie adeguate alla promozione della sua personalità, dal momento che il discente
è il centro dell’attività scolastica.
Portando ad estreme conseguenze il procedimento mentale del suddetto tipo di professore, si corre
il rischio dell’inefficacia totale di un didattica basata sulla presunzione che basti conoscere la
disciplina per saperla insegnare. Sappiamo bene tutti che non è così: chi di noi non si è imbattuto a
scuola con docenti “bravissimi”, ma incapaci di trasmettere? In questi casi il docente vede ritorcersi
contro come un boomerang la propria stessa competenza ed infligge ai suoi studenti, magari senza
rendersene conto, grosse sofferenze, col risultato che alcuni di essi cambiano scuola, peregrinano da
una sezione all’altra e, peggio, abbandonano. Quanti docenti, per fare un esempio, liquidano un
alunno a priori gettandogli addosso un’etichetta -è quello che nel mondo anglosassone di chiama
labelling
- oppure “profetizzandone” la non riuscita: anche in questo caso siamo di fronte a quellache nel mondo anglosassone si chiama
self fulfilling profecy: la profezia che si realizza proprioperché è stata profetizzata! L’alunno tende a comportarsi esattamente nel modo che dichiaratamente
uno o più docenti si aspettano, finendo col dimostrare che la profezia (di fallimento, di cattivo
comportamento, di bocciatura etc.) era giusta!
Se si scorrono i titoli di alcuni giornalini scolastici di scuole di ogni tipo di tutta Italia ci
accorgiamo di una costante: la scuola è sentita come qualcosa che si subisce, che si deve subire! Ho
trovato titoli come
L’inferno, Casacca a strisce, La trappola, Caos e via discorrendo (meno maleche il giornalino della mia scuola si chiamava, e si chiama, semplicemente
Il Redi!).Bisogna anche considerare, per verità che al docente della scuola superiore si richiedono oggi
competenze che questi non è tenuto ad avere, senza tuttavia dimenticare che la funzione docente
consiste anche nel comprendere e interpretare quella che è la persona umana: una riflessione di
questo genere da parte di tutti gli insegnanti può dare un senso più autentico e corretto ai famosi
“star bene a scuola” e “star bene con gli altri”, con cui ci siamo sciacquati la bocca per anni senza
mai concludere nulla. Visto che lo psicologo d’istituto non è stato mai realizzato, potrebbe forse
funzionare un docente che sapesse avvalersi correttamente di un corretto
counselor!Il Barbagli, dicevo, e la sua collaboratrice Rossana Vanali, alzano il tiro affrontando temi quali la
fisiognomica, la posturologia, la prossemica e perfino la grafologia, che ancora molti studiosi sono
restii, per non dire talvolta refrattari, a considerare un atto espressivo dell’essere umano
scientificamente valutabile.
Ma che dalla posturologia possano venire utili e interessanti valutazioni -da integrare
naturalmente con altri dati- non mi pare possano essere avanzati oggi seri dubbi e neppure mi pare
possano esserci dubbi sul fatto che il corpo di una persona parli. Non si tratta di rivalutare
Lombroso (nel cui pensiero sussistono tuttavia molti elementi positivi), ma indubbiamente -entro
certi limiti che si tratta di mettere a fuoco- nel corpo risiedano la nostra genetica, il nostro
temperamento, la nostra personalità e la nostra storia.
Un giorno, correva l’anno 2002 o 2003, accolsi l’invito dei Carabinieri a far entrare nella scuola il
mitico cane scova droga il quale annusò un casco con la roba dentro. Il proprietario del casco fu
identificato. Verso le due della stessa mattinata, mentre mi accingevo ad andare a casa, mi piomba
in ufficio un uomo con
a latere il ragazzo in questione e mi accusa di essere indegno di dirigere ilLiceo perché avrei rovinato l’immagine del figlio. Io guardo il bel tomo che mi fissava in silenzio
con aria feroce: aveva i capelli rasati lateralmente con in mezzo una cresta da moicano, una pallina
nella lingua e un anellino di ferro in un sopracciglio (e non escludo che avesse altra ferraglia in altre
zone strategiche). Senza scompormi dico al padre: ” Guardi che alla rovina dell’immagine di suo
figlio ci pensa lui stesso!”. Poi lo cacciai dalla presidenza con un ruggito intimandogli di andare a
fare le sue lamentele alla caserma dei Carabinieri. Andò via lanciando oscure minacce ed
apocalittici anatemi, ma non si fece più vedere. Il ragazzo, per la cronaca, ricomparve con la cresta
del moicano, ma senza pallina e senza anello al naso,
pardon al sopracciglio, e fu perfino promossoa giugno. Ed è qui che allora commisi un errore che non avrei commesso se fosse esistito allora il
libro del Barbagli: quello di credere che il ragazzo mi fosse poco simpatico per via della cresta e
dell’ostentata ferraglia e di credere che alla fin fine fosse stato promosso perché si era “ravveduto”.
L’errore consiste precisamente nel fatto che istintivamente associai la scarsa simpatia che il ragazzo
mi ispirava, non al suo possedere -e forse addirittura spacciare la “roba”- ma alla cresta e alla
ferraglia che ostentava, cioè all’aspetto dietro al quale riteneva di doversi nascondere. Dall’aver
valutato correttamente un abito, un comportamento o una postura può dipendere in un immediato
futuro una retta valutazione della persona incontrata.
Ed ecco che il libro di Barbagli-Vanali ci informa sul rapporto fra il vissuto e il corpo anche sotto
il profilo dei tatuaggi et similia ed offre veramente molti strumenti pratici per interpretare il vissuto
non più e non soltanto di uno studente all’interno dell’orientamento come processo educativo, ma
anche di un cliente all’interno dei priocessi di counseling relazionale, mettendo a fuoco anche -
come spiega Vincenzo Masini nella prefazione- i casi in cui
è necessaria la collaborazione con altriprofessionisti, ma l’efficacia del lavoro svolto non è messa in discussione: solo la posizione
relazionale correttamente assunta dal
counselor ha potuto produrre l’apertura degli altri livelliproblematici.
Il
counseling insomma ne ha fatta di strada da quando Frank Parsons -pare- usò per la prima voltanel 1908 questa parola per indicare un'attività rivolta a problemi sociali o psicologici e Carl Rogers
la riprese nel 1951 per indicare una relazione nella quale il cliente è assistito nelle proprie difficoltà
senza rinunciare alla libertà di scelta e alla propria responsabilità. Ma ora è veramente giunto il
momento che io smetta di menare il can per l’aia e lasci la parola a chi ci spieghi una volta per tutte
a chi e a che cosa il
counseling serve veramente, magari rispondendo alla più comune delle accuseche gli vengono rivolte: che molte competenze del
counseling, essendo competenze proprie allaprofessione di psicologo, possono essere esercitate solo da psicologi iscritti all'Albo, ex art. 1, L.
56/89.
E chiudo con un’aperta provocazione che ha lo scopo di innescare un dibattito che parta
sgommando: serve veramente a tutti il
counseling, o magari, come qualche maligno sostiene,soltanto …al
counselor stesso che lo pratica…?Claudio Santori