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                  PROGRAMMI DEI CORSI                                          VINCENZO MASINI

 

Medicina narrativa e sociologia della salute

 

                                                                                                          Vincenzo Masini

 

Il movimento di medicina narrativa, fondato da Rita Charon, Facoltà di Medicina della Columbia University, è ben descritto in un recente articolo di Dinitia Smith sul "New York Times" ed appare come una tendenza, esplosiva nel contesto degli Usa, destinata a diffondersi nell’approccio della biomedicina alla salute. Il suo sviluppo negli USA nasce dalla constatazione che, a fronte di tecnologie di diagnosi e analisi sempre più sofisticate, è passata in secondo piano la capacità da parte dei medici di ascoltare i pazienti leggendo nelle loro parole quegli elementi indispensabili, per il trattamento e la cura della malattia. Nelle università statunitensi e canadesi si sono sviluppati corsi specifici di narrative medicine, sia in connessione allo sviluppo dell’antropologia medica di Byron Good e di Hurwitz, sia attraverso l’originale coniugazione della medicina con gli studi umanistici e letterari. Appaiono così, accanto ai testi di anatomia, lettera come La morte di Ivan Ilic di Tolstoj o La montagna incantata di Thomas Mann, o saggi come Malattia come metafora di Susan Sontag.

Il nucleo centrale della medicina narrativa è il processo di ascolto del paziente mediante una tecnica di conversazione molto raffinata che conduce il medico a capire, mediante l’ascolto delle proprie emozioni e di quelle del paziente, il significato della sua pratica clinica.

Articoli di narrative vengono pubblicati su  The Journal of the American Medical Association,  Annals of Internal Medicine o il  British Journal of Medicine,  che espandono le problematiche narrative in molteplici direzioni. "Quante volte un paziente cerca di riferire al medico cosa è accaduto durante la malattia", ha dichiarato il dott. Charon, "e il medico lo interrompe chiedendogli 'Che tipo di dolore ha provato, era acuto o lieve?', impedendo al paziente di raccontare la sua storia, perdendo così ogni accuratezza diagnostica, perdendo il contesto? Sono molti i pazienti che lamentano l'incapacità da parte dei medici di capire cosa hanno passato. Cerchiamo di colmare queste lacune. Noi medici non siamo cattivi, o freddi. È solo che non abbiamo mai ricevuto l'addestramento necessario".

Per favorire questo addestramento presso la facoltà di Medicina di Rhode Island viene proiettato e discusso il film di Wit (spirito), premio Pulitzer, tratto dal dramma di Margaret Edson, ed interpretato da Emma Thompson. Un film crudele e atroce che racconta la vicenda umana di una paziente che, nella solitudine del suo letto, cerca di lottare contro il cancro e contro la scelta di fuggire dal mondo in una gelida corsia dell'ospedale, con un'infermiera che si prende cura di lei, un giovane dottore che la tratta come una cavia ed un primario distante e asettico.

Il fatto è che il medico vede il male e il paziente sente un dolore: due cose diverse. Il dolore è un vissuto soggettivo che il paziente narra e non coincide con il male oggettivo che il medico cerca. Il dolore esce dai confini del corpo e pervade la vita, modificando la qualità delle relazioni, la forma degli affetti, il ritmo delle attività, la considerazione di sé. Uno è sano quando il corpo se lo dimentica. Se mi ammalo, non coincido più col mio corpo. Non dico «ho un corpo stanco», ma «sono stanco». E nel «sono» c'è una perfetta coincidenza tra io e corpo.

 

NBM e EBM

Questo ruolo crescente della narratività in medicina si presenta sia come metodo per indagare in profondità nel campo ed individuare ipotesi, per ipotizzare scenari e per raccogliere nuovi tipi di dati qualitativo, attraverso l’ascolto del vissuto del paziente (in termini di tristezza, sentirsi soli, provar dolore, sconforto) e della modulazione delle relazioni che egli vive nell’ambiente di cura. La Narrative Based Medicine si propone critica nei confronti della Evidence Based Medicine, anche di fronte ai suoi sistemi più avanzati, ad esempio la POEMs  (Patient-Oriented Evidence that Matters) o le linee guida di pratica clinica (Clinical Practice Guidelines). L’intento della NBM è quello di arricchire il punto di vista del medico, formato nello stile di azione, di visione, di percezione e di pensiero della biomedicina, efficacemente descritto da Good [1999], fino ad una rottura epistemologica della biomedicina.

 “Le descrizioni della malattia forniscono una struttura per l'avvicinamento dei problemi del paziente in modo olistico e si possono scoprire diagnosi e opzioni terapeutiche che utilizzano una storia come atto interpretativo… Perchè lo studio delle narrazioni? Nell'incontro diagnostico, la descrizione è la forma fenomenica in cui il paziente sperimenta la salute; incoraggia l’empatia e promuove la comprensione tra il medico e il paziente;  permette la costruzione degli indizi e delle categorie analitiche utili al processo terapeutico; consiglia un metodo olistico a chi gestisce; è intrinsecamente terapeutica o palliativa… Lo scopo di un database di esperienze di singoli pazienti è di collezionare, indicizzare e pubblicare nella forma narrativa le esperienze di malattia negli utenti e nei partecipanti di servizio medico-sanitario alle prove cliniche…” [Greenhalgh T., Hurwitz B., 1999]. La prospettiva del programma di medicina narrativa è finalizzato ad addestrare i medici in abilità narrative nella lingua umana ordinaria e nella scrittura autobiografica riflettente. ”La medicina narrativa, scrive Rita Charon dell'Università della Colombia, è emersa come nuova struttura per la medicina clinica e comprende le abilità testuali ed interpretative nella pratica della medicina… Con addestramento rigoroso e disciplinato in tali abilità narrative e la riflessione sulle proprie esperienze cliniche, i medici possono imparare ad assistere i loro pazienti proprio sulla base di quanto i pazienti dicono loro (nelle parole, nei silenzi, nei gesti). Possono così riconciliare le molte versioni contraddittorie della loro storia clinica…” [Charon, 2001:1899].

Non è un caso che tale movimento sia originato nella america tecnologica e pragmatica ma è indispensabile, nel riferire le potenzialità di tale approccio alla salute, limitarne, o meglio, aggiustare il tiro di un approccio alla relazione medico – paziente che, in Europa e nella tradizione medica mediterranea, vanta secoli di storia e di pratica.

 

 

Medicina narrativa e sociologia della salute

A questo fine l’incontro della sociologia della salute con la medicina narrativa può essere molto fecondo perché l’analisi del contesto di rapporti in cui il malato è inserito, la raccolta di storie di salute e malattia, la descrizione, narrativa e sistematica, delle relazioni terapeutiche in atto all’interno dei contesti di cura sono un oggetto della ricerca sociologica ben consolidato. La sociologia della salute infatti (o sociologia sanitaria) analizza la malattia e la salute come fatto relazionale e sociale: nella sua genesi, nei rapporti che determina, nei processi sistemici in cui il binomio salute/malattia è inserito. Ciò non significa però che la sociologia consideri il concetto di salute/malattia solo come una pura costruzione sociale; la soggettività dei pazienti è in relazione al loro essere dentro un corpo, dentro un sistema di relazioni e dentro un contesto sociale[1].

Tra la soggettività psichica del malato, il suo corpo, il suo mondo della vita e il sistema sociale sono sempre in atto processi dinamici di interazione, processi di coglimento empatico di emozioni ed affetti e processi di comunicazione simbolica, destrutturanti e ristrutturanti il sistema cognitivo della persona.

Il modello di riflessione sociologica può offrire un’uscita dalla disputa tra EBM e NBM attraverso l’apertura verso l’olismo come categoria che introduce nella diagnosi e nella terapia una nuova classe di dati malamente maneggiati attraverso il solo approccio evidence ed eccessivamente enfatizzati dalla Narrative con  il grande rischio metodologico di un “fai da te” che non considera l’esperienza della metodologia della ricerca sociale per avventurarsi nel difficile territorio della coniugazione di dati qualitativi con quelli quantitativi.

Per affrontare il complesso tema delle relazioni sanitarie che coinvolgono l’intero sistema di cure nei luoghi della salute occorre tipizzare i processi relazionali e  comunicativi in funzione della loro efficacia.

Lo schema presentato riunisce processi comunicativi, atti linguistici e modelli relazionali che intervengono nella co-relazione tra operatori e tra operatori e pazienti.

 

Processo sociale

Atto linguistico

Processo comunicativo

Modelli relazionali

Processi neuropsicologici

Interattivo

Illucutorio

Persuasivo

Dinamica

Attivazione

Simbolico

Perlocutorio

Euristico suggestivo

Empatia cognitiva

Controllo

Relazionale

Locutorio

“Narrativo”

Empatia

affettiva

Arousal

 

Un processo interattivo è una azione sociale obiettivante, centrata sul ruolo, che si fonda su atti linguistici illocutori (ordini, comandi, richieste, persuasioni). Nell’atto illocutorio le parole vengono usate per fare affermazioni, dare valutazioni, dare ordini, fare richieste, fare promesse, ringraziare, scusarsi,… nella sequenza della conversazione all’atto segue la conferma della ricezione, mediante segnali convenzionali o mediante risposta. In genere si presentano con la prima persona del presente indicativo attivo (“Ascolta i miei suggerimenti!”, “Ti ordino di partire!”, “Le assicuro che funziona!”, “Assuma questo farmaco!”). Il processo interattivo mette in atto una relazione dinamica che imprime un impulso nel soggetto destinatario modificando il suo vissuto e il suo stato d’animo mediante un processo di attivazione. Il processo sociale di tipo dinamico interattivo è presente nelle comunicazioni di rimprovero, di incoraggiamento e di gratificazione ed è fondato sulla “tenuta del turno” nella conversazione  e sulla massimizzazione del profitto comunicativo nel momento della prevalenza del locutore all’interno della sequenza di prese di turno conversazionali.

Il fine della comunicazione è persuasivo ed assertivo e tende a porre chi parla in una posizione up. Il modello di sequenza conversazionale è quello della Domanda, Risposta, Commento e, successivamente, nuova Domanda, ecc.[2]

Il processo simbolico utilizza invece la mediazioni dei simboli e si pone ad un livello comunicativo più distaccato e neutro. La comunicazione rimanda a qualcosa di altro che già è conosciuto o è stato detto o su cui vi è o si sta creando sintonia di vedute. Il processo di tendenziale condivisione dei simboli che tende alla costruzione dell’intesa è svolto mediante atti linguistici al “congiuntivo”, “Se le dicessi che..”, “Qualora sperimentasse effetti...”. Nell’ottica narrativa la raccolta di storie di malattia implica la ricognizione delle alternative e produce “narrazioni al congiuntivo” ovvero “l’esplorazione dei significati possibili”. Questo processo discorsivo aumenta il controllo personale dei significati e l’apertura all’empatia cognitiva mediante la quale si investiga sulla categorizzazione dei significati utilizzati dall’interlocutore e l’immedesimazione proiettiva nel suo mondo simbolico. Queste forme comunicative sono strategiche perché tendono a far fare qualcosa a qualcuno dandogli una certa informazione. Il successo nella condivisione del significato dei simboli consente alla comunicazione di diventare suggestiva o assertiva determinando cambiamenti nel punto di vista e nelle azioni dell’interlocutore. La sequenza conversazionale che meglio può tipizzare questo processo è Domanda – Risposta – Nuova Domanda che, solo al termine della sequenza, possono conludersi con un atto illocutorio o locutorio. Le forme comunicative più usuali sono quelle della responsabilizzazione, dell’informazione o dell’insegnamento, della tranquillizzazione.

Il processo relazionale si fonda sullo scambio di locuzioni in un processo discorsivo dove non ci sono tipizzazioni reciproche, all’interno del quale, cioè, il ruolo degli attori è in secondo piano. Nel processo relazione, a cui fa estremo riferimento tutta la teoria narrativa, si attua il processo anticipatorio dell’empatia emozionale o affettiva. Il locutore si apre al coglimento del vissuto emozionale altrui, “lo sente”, procede all’immedesimazione riempiente e si conclude con l’oggettivazione, ovvero, la riflessione sul significato di ciò che l’altro vive. Nei processi relazionali a sfondo empatico c’è una costante anticipazione da parte del locutore di quanto è emozionalmente in atto nell’interlocutore. Qui la disposizione narrativa si dispiega nelle sue potenzialità giacché sta nell’atteggiamento del locutore e nella sua apertura empatica la possibilità di esprimersi mediante narrazione da parte dell’interlocutore. Lo sviluppo dell’arousal, ovvero la percezione somatica delle emozioni, è il segno più caratteristico dell’empatizzazione. La sequenza comunicativa tipica di tale struttura di narrazione relazionale è Anticipazione del Vissuto – Risposta – Affermazione o Domanda. Tale modello appare nelle comunicazioni di sostegno e di coinvolgimento emotivo.

 

Narrazioni co-costruite

Questi processi comunicativi appaiono costantemente mixati nella realtà delle interazioni sociali e si sovrappongono continuamente nelle conversazioni e non è possibile attribuire le proprietà della ”narratività” esclusivamente all’ultimo modello, pur essendo quello più deficitario nei processi di interazione sociale nei sistemi di cura. Il limite delle proposte metodologiche di cambiamento dei processi sociali e comunicativi sta proprio nella giustapposizione di tali diversi processi senza pervenire alla consapevolezza che “qualcosa di narrativo” è in essi comunque presente.

L’approccio co-relazionale tende a sintetizzare tali processi introducendo una dimensione partecipativa e co-costruttiva ai diversi frame comunicativi.

La narrazione è qui intesa come un modo di parlare e un modo di proporsi che, visitati all’interno dell’agire professionale del medico e della sua conformazione all’epistemologia biomedica, lo dispongono ad  una comunicazione (interazione, narrazione, simbolizzazione) che co-produce, con il paziente, un significato appropriato al suo vissuto. Non un significato qualunque tra i tanti possibili. Occorre che sia presente nella relazione anche un sentimento di valore in ragione del quale il vissuto si trasforma in sentimento comune, essenza del legame terapeutico.

Per la teoria narrativa “il pensiero rappresenta l’interiorizzazione del dialogo” [Bruner, 1983: 221], e la sua polisemia richiede un costante lavoro di eliminazione dell’ambiguità in modo da rendere vicendevolmente conoscibili le operazioni della mente (taratura transazionale del linguaggio). Narrare significa rinvenire, scoprire e costruire un significato. L’immaginario diffuso sulla narratività (incontrato ripetutamente nella NBM) centra la sua attenzione sull’autenticità del vissuto, delle emozioni e dei sentimenti espressi nella narrazione. Per Bruner la narrazione “riempie i buchi e dà significato” [cit. 221], per il counseling narrativo è condivisione degli aspetti strettamente individuali e soggettivi delle emozioni [Bert, Quadrino, 2002]. Nella realtà della medicina narrativa i due aspetti potrebbero coesistere se non emergesse un estremismo narrativo, che amplifica arbitrariamente la riflessione originaria di Bruner "narrando si impone arbitrariamente un significato sul flusso della memoria, evidenziando alcune cause e trascurandone altre" [Bruner, 1987], e che viene correttamente fatto osservare da Proshaska, nell’analisi dell’applicazione costruttivistica alla terapia narrativa: ”…i terapisti narrativi asseriscono che i clienti costruiscono il loro passato attraverso storie che raccontano nel presente: il passato può essere cambiato attraverso la costruzione di nuove narrazioni o storie” [Prochaska J.O., Norcross J.C, 1999: 445-446]. In tal modo i terapeuti narrativi sono antirealisti. Essi credono che non ci sia una realtà oggettiva che possa esistere dietro le nostre storie. Ove si confonda la verità con la verosimiglianza si può anche pervenire a interpretazioni oppressive e distruttive.

L’ampliamento della prospettiva “narrativa” verso forme di relazione sociale co-costruite è indispensabile per l’utilizzo delle narrazioni come testimonianza piuttosto che come solo racconto verosimile. Ciò conduce ad un matrimonio tra narrative ed evidence medicine in ragione dell’opportunità di perseguire la pratica medica basata sull'evidenza con i valori a cui il malato fa riferimento e le sue preferenze: le "prove di efficacia" possono suggerire l'assunzione di una decisione clinica ma la difficoltà sta, secondo Milos Jenicek, nel renderla  compatibile con le preferenze tacite o espresse dal paziente. Ciò che ha determinato la crisi delle linee guida è stata la manipolazione effettuata dagli economisti sanitari che le hanno influenzate per problemi di finanziamenti. Ma proprio in funzione delle scelte del paziente, l’epidemiologo vede la possibilità di coniugare l’evidence con la narrative medicine di Brian Hurwitz e Byron Good attraverso lo sviluppo della ricerca qualitativa, per esempio attraverso la raccolta di dati soft, e cioè i vissuti del paziente in termini di tristezza, sentirsi soli, provar dolore, sconforto.

Questa soluzione di compromesso è offerta dalla scrittura narrativa che si espica, secondo la Charon  [2001b: 84] in Medical Fiction, Lay exposition, Medical autobiography, Stories from practice, Writing exercises of medical training, metodologie formative che incoraggiano a scrivere in modo estemporaneo storie sui vissuti di malattia, in modo da favorire confronti tra medici da cui possono attingere anche gli allievi. Anche per i pazienti è spesso sottolineato il beneficio della scrittura narrativa dei vissuti a seguito di traumi (disturbo post-traumatico da stress), per il miglioramento in pazienti che soffrono di asma o di disagi psicosomatici Pennebaker [1985; 1999] o nel caso di traumi da abuso, nell’artrite reumatoide come suggeriscono Smyth, Stone, Hurwitz e Kael [1999], nella terapia con bambini sordi [Furlonger, 1999] e nella riduzione di lamentele fisiche e sulla propria salute con  miglioramento nell'espressione del proprio ruolo sociale e nelle relazioni interpersonali da Greenberg  [2000], Pennebaker, Colder e Sharp [1990]. Stenberg dimostra come lo “scrivere su un evento stressante può interrompere il flusso degli ormoni di sforzo che nuocciono al sistema immunitario e conducono alla malattia” [Sternberg, 2000: 201].

Un ulteriore riferimento operativo della narratività co-costruita è la sua connessione alla bioetica. Charon e Martha Montello [2002] dichiarano che la teoria morale da sola non fornisce alla bioetica lo strumentario concettuale ed umano richiesto per rispondere completamente ai casi etici medici: una certa conoscenza della tecnica narrativa è infatti necessaria, poiché la capacità di percezione e di discernimento morali sono forme di attività narrativa. Ed è per questo che insistono sull’interpretazione approfondita del testo narrato e della sua forma in funzione del fatto che il linguaggio con cui si parla di bioetica non è definito giacché esprime, insieme alla concretezza del vissuto, rimandi ai sentimenti valoriali che stanno sullo sfondo dei problemi del paziente.

I sostenitori dell’etica narrativa prendono le distanza da ogni etica astrattamente fondata su principi  perché “per assicurare un fondamento razionale alla moralità, ha ignorato e rifiutato l’importanza della narrazione per la riflessione etica” [Burrel, 1977: 15]. Ciò comporta anche un allontanamento dal decisionismo a favore dell’incontro relazionale come  fondamento per districare il groviglio della preoccupazioni morali e cliniche: fare proprio il punto di vista narrativo significa portare alla luce ciò che di solito non si ascolta attraverso la voce del paziente nella sua esperienza di dolore mentre esprime emozioni. Risorsa questa trascurata nel pensiero bioetico, che è, di solito, un ragionamento ordinativo, consequenziale, fondato su principi da cui discendono conseguenze. La tirrania dei principi non sembra però più l’obiettivo da abbattere in una bioetica diventata noiosa, come recentemente ha affermato Jonsen, per aver smarrito gli stimoli intellettuali e il coraggio morale di contrastare il paternalismo medico. Dopo aver proposto l’esercizio della saggezza pratica e prudenziale [Jonsen a., Toulmin S.E., 1988], in luogo dell’applicazione pratica dei principi, il criterio casuistry si affianca al movimento delle medical humanities concentrando la sua attenzione  sul linguaggio parlato come principale strumento per il counseling medico.

 

Le disposizioni comunicative dei medici. Risultanze di una ricerca

Una prima applicazione del metodo narrativo co-relazionale è stata costruita investigando sugli stili relazionali e comunicativi di 130 medici di base mediante un breve questionario di 35 item capace di individuare le prevalenze nel loro comportamento comunicativo. Questi item derivavano da testimonianze precedentemente raccolte sul vissuto dei medici in relazione al vissuto di malattia dei loro pazienti[3].

Complessivamente le scelte degli atti sociali e comunicativi da parte dei 130 medici  sono state:

 

Comunicazione di:

Numero item scelti

Percentuale

responsabilizzazione

236

24,48133

incoraggiamento

200

20,74689

coinvolgimento

168

17,42739

sostegno

112

11,61826

gratificazione

108

11,20332

informazione

80

8,298755

tranquillizzazione

60

6,224066

 

La correlazione tra tipo di comunicazione e contesto relazionale (equivoco, insofferenza, evitamento, ecc.), chiaramente presentato attraverso la proiezione di alcuni video con la simulazione del clima relazionale preso in esame, ha mostrato un andamento interessante. Le risposte variavano in funzione del clima come si può osservare nella tabella successiva. Le propensioni comunicative dei medici indicano poi quanto i medici responsabilizzanti scelgano una certa quantità di risposte che presuppongono modelli comunicativi di tipo simbolico, quanto i medici incoraggianti scelgano una certa quantità di risposte che presuppongono modelli comunicativi di tipo dinamico, e così via. A questo punto è evidente che le variazioni di stile comunicativo nelle risposte obbediscano alle caratteristiche di personalità dei medici.

 

Correlazioni tra risposte relative agli stili comunicativi da utilizzare nelle diverse situazioni descritte e disposizioni comunicative dei medici.

Stile comunicativo scelto nelle diverse situazioni

Disposizione comunicativa caratterizzante i medici

Correlazione

simbolico

responsabilizzazione

0,49

dinamico

incoraggiamento

0,27

narrativo

tranquillizzazione

0,19

simbolico

informazione

0,18

narrativo

coinvolgimento

0,13

narrativo

sostegno

0,13

narrativo

gratificazione

0,11

dinamico

sostegno

0,08

dinamico

coinvolgimento

0,02

narrativo

incoraggiamento

-0,02

dinamico

informazione

-0,03

dinamico

gratificazione

-0,03

dinamico

tranquillizzazione

-0,03

simbolico

gratificazione

-0,08

simbolico

tranquillizzazione

-0,15

narrativo

informazione

-0,15

simbolico

coinvolgimento

-0,16

dinamico

responsabilizzazione

-0,20

simbolico

sostegno

-0,21

simbolico

incoraggiamento

-0,25

narrativo

responsabilizzazione

-0,29

 

Ma la variazione più rilevante appare quella che legge l’approccio comunicativo in funzione delle caratteristiche del paziente. Le correlazioni tra stile di risposta e tipo di paziente indicano che i medici cercano di centrare sul paziente la loro comunicazione ed i loro atti sociali. Purtroppo però non adottano lo stile comunicativo più idoneo. Lo stile comunicativo adottato rispecchia i problemi del paziente e non si adegua, controintuitivamente come dovrebbe, ad una posizione terapeutica verso il medesimo. Di fronte ad un paziente ansioso il medico dovrebbe adottare uno stile comunicativo narrativo, al fine di tranquillizzarlo, invece cerca di contenere l’ansia con una comunicazione attiva e dinamica quasi volesse soverchiare autoritariamente il vissuto del paziente, per essere più forte della sua ansia. Di fronte ad un paziente rassegnato indulgono nella narrazione compartecipe senza attivare cognizioni e simboli che lo conducano a ridecidersi, di fronte ad un paziente volubile ed inaffidabile cercano di dare spiegazioni, informazioni ed esempi senza attivarsi nel trasmettere qualche emozione (la paura delle conseguenze) che lo responsabilizzi.

  

Correlazione tra stile di risposta nella situazione descritta e tipo di paziente 

Stile di risposta

Tipo di paziente

Correlazione

dinamico

paziente ansioso

1

dinamico

paziente rassegnato

-0,25115

dinamico

paziente volubile

-0,57637

narrativo

paziente rassegnato

0,827843

narrativo

paziente volubile

-0,31329

narrativo

paziente ansioso

-0,42825

simbolico

paziente volubile

0,894649

simbolico

paziente rassegnato

-0,50646

simbolico

paziente ansioso

-0,5447

 

Il complesso dei dati sta ad indicare le potenzialità delle applicazioni della narratività al rapporto medico paziente ma la sua mancata attuazione da parte dei medici, che rimangono centrati sulla loro esperienza personale e, pur individuando i bisogni del paziente, non possiedono quelle risposte di atto sociale e di comunicazione interpersonale che sono, quasi sempre, controintuitive.

 

La co-relazione narrativa tra operatori della salute

Ma non è solo il miglioramento dell’interazione, della relazione e della comunicazione con il paziente il luogo in cui intervenire con le proposte della narratività. Il campo in cui possono esplicitarsi i maggiori benefici dalla è quello della co-relazione partecipata tra operatori.   

“Narrare la relazione” mette in gioco tutti e tre gli elementi costitutivi del modello: la modulazione relazionale stabilizzatasi tra interlocutori (frutto dei sentimenti condivisi interiorizzati in reciprocità in precedenti incontri), l’atto sociale ed i processi comunicativi e linguistici messi in gioco nella relazione e nell’atto sociale[4].

I circoli comunicativi entro cui si attuano le relazioni tra co-operatori del sistema sanitario sono molteplici e complessi ed in essi va distribuito, con chiarezza e competenza, il mix di stili comunicativi e relazionali.

Anche il solo sensibilizzare all’osservazione dell’agire comunicativo nelle prese di turno conversazionali (anticipazioni, ritardi o sovrapposizioni), consente di riconoscere strutture relazionali di integrazione, di disponibilità, di dialogicità, di riconoscimento tra persone, di mediazione oppure di fastidio, di insofferenza, di evitamento, di logoramento, di equivoco, determinate, a loro volta, dall’atteggiamento degli interlocutori l’uno verso l’altro.

Ove l’oggetto della conversazione sia il farmaco le modalità comunicative divengono ancora più importanti. Prova ne è la grande attenzione delle case farmaceutiche nel formare alla comunicazione assertiva i loro informatori senza privilegiare quella attenzione empatica emozionale e empatica cognitiva alla emersione nel vissuto degli effetti del farmaco. Si tratta cioè del potenziamento dell’autoascolto corporeo mediante feedback sensoriale che è un elemento essenziale nel formarsi della consapevolezza della cura, nella percezione e nel controllo degli effetti collaterali ed  indesiderati che, di regola, vengono proposti in maniera generalistica, se con confusa, sui foglietti illustrativi dei farmaci. La confusione tra i possibili effetti psicologici, neurologici e fisici mostra costanti imprecisioni ed una scarsa osservazione reale per mancanza di informazioni e testimonianze che possono essere fornite solo dal contatto diretto con le diverse tipologie di pazienti. Ben diverso è infatti il modello comunicativo tra informatori e medici laddove la interazione tra questi due operatori riesce ad effettuare uno scambio autentico di informazioni.

Non a caso i medici si dichiarano più che soddisfatti (oltre 3 su 4) dal canale quotidiano di informazione sui farmaci costituito dagli informatori scientifici sul farmaci, i quali sono ritenuti “il maggior canale di aggiornamento del proprio bagaglio di conoscenze farmacologiche e terapeutiche e  al secondo posto, ben distanziate, ci sono le pubblicazioni scientifiche subito dopo i congressi”  (Fonte: Algoritmi:111).

Il contatto interpersonale tra questi operatori si svolge infatti nella quotidianità della vita di ambulatorio e di ospedale che presentano, nelle parole degli informatori intervistati diversi atteggiamenti. “Nel nostro lavoro in ospedale il medico è più distaccato, ha meno tempo a disposizione mentre nel lavoro in ambulatorio si può avere più dialogo, più confronto e solitamente il medico è più disponibile.... E’ fondamentale presentare i farmaci di maggiore importanza solo quando il fattore tempo non disturbi la conversazione, soprattutto alddove il farmaco sia una novità, anche nei metodi di somministrazione e nelle forme... In alcuni casi l’incontro con l’informatore può essere visto come una pausa dal lavoro, quindi l’estrema rigidità professionale può non essere troppo gradita... con il passar del tempo si arriva ad instaurare rapporti confidenziali e, in qualche caso, di amicizia... nel lavoro di informatori sono indispensabili buone qualità comunicative”. Questi stralci di intervista stanno a significare come lo stile assertivo promosso dalle aziende sia relativamente poco praticato dagli informatori, specie da quelli che riescono a mantenere in buone condizioni di stabilità l’azienda da cui dipendono. Più complesso sembra il ruolo dei farmacisti nella direzione della costruzione di una farmacia dei servizi. La ricerca del Cerfe (citata in Cipolla e Maturo, 2001) mostra una disposizione relazionale dei farmacisti contraddittoria: a fronte di 90 farmacie (su 201) che intrattengono rapporti molto frequenti con i medici di base, se ne presentano 60 che hanno un punteggio molto basso in questa scala di relazionalità; altri fattori che schiacciano l’indice di propensione alla pharmaceutical care verso il basso della scala sono il rapporto con il territorio e le relazioni con i cittadini.

In quadro dei sistemi relazionali e comunicativi tra questi operatori non è mai stato però compiutamente analizzato e troppo spesso l’utilizzo di indicatori nazionali come la spesa farmaceutica, i livelli di prezzo connessi ai costi dei brevetti, i tipi di prescrizioni, ecc. non riescono ad interpretare la concreta realtà relazionale e comunicativa tra questi co-operatori e non forniscono elementi di analisi su come avviene la loro interazione comunicativa, da cui dipende in modo rilevante la salute dei cittadini.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

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[1] La definizione di salute/malattia che la “sociologia sanitaria” propone si basa su una matrice di concetti interconnessi che Ardigò [1977] chiama “quadrilatero”: 1) La natura esterna; rientrano in questo concetto l’ambiente fisico, l’habitat umano, i viventi non umani. La natura esterna è ritenuta generatrice sia di agenti patogeni sia di risorse per le cure; 2) Il sistema sociale; la struttura organizzativa degli individui in un dato luogo e in un dato tempo. Un sistema sociale sussiste quando un insieme di individui, famiglie, gruppi sociali, mantengono una continuità culturale e di strutture sociali nel tempo, superando le difficoltà del cambio generazionale, le contingenze e le sfide ambientali; 3) Il soggetto; la persona viene considerata sia come “ego” che come “social self ”; questa ambivalenza, basata sul pensiero di G.H. Mead, permette di cogliere la doppia contingenza dell’individuo umano: soggetto intenzionale strutturante e soggetto strutturato dal modo in cui presume di essere percepito dagli altri, per lui, significativi; 4) La natura interna; il corpo umano degli individui visto sia come base biologica che come entità psico-somatica.

[2] Il processo conduce ad atti di giudizio, dati in base a prove o ragioni, riguardo a questioni di fatto o di valore di cui sia difficile essere certi, ad esercizio di autorità per prendere decisioni in favore o contro una certa linea di condotta o influenzare la condotta; atti di prendere un impegno oppure di aderire a una linea; reazioni al comportamento o alle sorti proprie e altrui.

[3] Le situazioni relazionali da cui si è tratto spunto richiedevano modulazioni molto semplici. Ad esempio: interventi di rassicurazione con coinvolgimento emotivo per pazienti ansiosi; di incoraggiamento per pazienti avviliti e spaventati; di informazione per pazienti dubbiosi o eccessivamente dipendenti; di tranquillizzazione per pazienti inquieti o agitati; di sostegno per pazienti depressi, di responsabilizzazione, anche mediante rimprovero, per pazienti incostanti nella cura e poco attenti ai rischi; di gratificazione e trasmissione di affettività per pazienti inclini alla mentalizzazione dei problemi e alla solitudine.

 

[4] I passaggi che conducono dalla comunicazione, all’atto ed alla relazione sono molto complessi: ciascuna forma comunicativa ha una sua struttura processuale interna (ad es. l’empatia affettiva è coglimento empatico, immedesimazione riempiente e oggettivazione) ed esterna (ad es. l’implicatura conversazionale dell’empatia si costituisce come una risposta anticipatoria alla domanda non formulata dell’interlocutore, una risposta dell’interlocutore che si apre alla narrazione ed una nuova risposta anticipatoria) che si collegano all’atto sociale che si implementa nelle forme relazionali. Così come l’atto sociale è espressione di una particolare emozione del locutore, la relazione si presenta come un sentimento condiviso da entrambi, pur se con polarizzazioni diverse, ed acquisisce un valore, frutto della valorizzazione (o svalorizzazione) che gli attori esercitano sul sentimento. Esso è prima di tutto un sentimento di valore giacché non è possibile sperimentare sentimenti senza attribuire ad essi un valore.  

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