counseling pedagogia psicologia sostegno scuola                                         Vai a: home | fine pagina

 

                                                                                  ARTICOLI RECENTI

 

ANNA CASSARO

 

 

ESSERE LEADER A SCUOLA:

 

PROBLEMI E  STRUMENTI

 

CAPITOLO 1

 

DIRIGENZA SCOLASTICA E LEADERSHIP

 

Il punto di partenza per apprezzare le modificazioni che hanno via via interessato le figura del capo di istituto nel sistema scolastico italiano è dato dai decreti delegati del ’74. Con la loro introduzione, il dirigente scolastico cessa di essere organo che “soprintende e governa” (come si affermava nei Regi decreti del ’24 e del ’25) per acquisire i tratti della funzione direttiva che possiede peculiarità proprie. Ci si riferisce in particolare alle funzioni dell’art.3 del D.M. 417 che sono riassumibili in: promozione, programmazione, coordinamento, rappresentanza. Non si può non ammettere che, in quegli anni, siano state sollevate questioni che ci portano all’interno di quelle abilità manageriali attorno a cui ha cominciato, in Italia, a svilupparsi il dibattito.

Nel rapporto Censis del 1984 veniva fatta la seguente affermazione:   “Oggi le scuole si presentano come un’aggregazione di insegnanti, prodotti dalle diverse combinazione delle diverse graduatorie…Manca un progetto educativo che renda riconoscibile l’Istituto…” La casualità  costituiva di fatto l’elemento centrale di ampia proporzione degli interventi educativi.

Ormai da più di un decennio nel nostro paese si è  andato articolando un diffuso dibattito centrato sulla necessità di ristrutturare il sistema scolastico italiano. L’autonomia delle singole scuole affermata con la Legge 59 del 1997, rappresenta un’ innovazione radicale che prevede un ribaltamento degli aspetti centralistici di tutti gli aspetti e processi scolastici regolati sempre dall’alto. In tale quadro, l’attribuzione della dirigenza ai capi di istituto si colloca nell’ambito di un importante modifica della struttura organizzativa, della distribuzione di poteri e delle responsabilità all’interno del sistema scolastico riformato.

 Responsabilità del dirigente, valutazione e verifica dei risultati sulla base di una progettazione per obiettivi, nuovo rapporto con il pubblico basato sui principi di trasparenza, comunicazione e partecipazione, gestione delle risorse umane sono tutti elementi che affondano le loro radici nelle diverse leggi che hanno riformato la pubblica amministrazione e con essa la dirigenza, ma sono elementi costitutivi della professionalità dirigenziale.

Per il dirigente si tratta soprattutto di non diventare un bravo burocrate, ma un leader educativo con capacità manageriali. Le sue competenze vanno da quelle più specificatamente amministrative a quelle organizzative e gestionali, a quelle relazionali, tipiche di chi sa agire da leader, perché sa farsi testimone e promotore dei nuovi paradigmi culturali, attribuendo il senso dell’agire a scuola attraverso la trasparenza, la creatività, la motivazione, la fiducia. Quest’ultima competenza è senz’altro la più rilevante e la più cruciale, anzi dovrebbe segnare concretamente il passaggio alla dirigenza scolastica, in tutta la sua specificità.     

Anna Armone (1) sostiene  che quando si afferma che la scuola ha bisogno di una nuova cultura organizzativa si intende sottolineare che:

1-               Va abbandonata la cultura organizzativa di tipo burocratico che è fatta di rigidità, di formalismo, di irresponsabilità. E’ figlia di una cultura burocratica l’affermazione “Bisogna applicare…svolgere programmi…formare le classi…”;

2-               Vanno conosciuti e diffusi a tutti i livelli professionali gli strumenti organizzativi che pongono l’accento sugli aspetti soft dell’organizzazione: climi, motivazioni, leadership;

3-               Va progettata la struttura organizzativa della scuola in grado di gestire i processi.

Questo vuol dire porre un approccio pragmatico individuato nel modello delle 7S: struttura, strategie, sistemi, skills, stile, staff, sistema di valori. (cfr. A. Armone op. cit.). “La struttura è rappresentata dall’insieme dall’ insieme dei ruoli e delle funzioni che si determinano dalla divisione del lavoro e dall’integrazione. Sul piano teorico è cresciuta la consapevolezza che accanto ad una struttura formale si determina sempre una struttura informale, che è il risultato di come le persone, dentro le organizzazioni, interpretano ruoli e funzioni, anche sulla base di obiettivi personali.

 Ciò induce ad affermare che un ridisegno della struttura organizzativa non è sufficiente a far funzionare  in modo diverso un’organizzazione, se non viene accompagnata da azioni che inducano a modificare i comportamenti e i valori che li ispirano.

Il secondo elemento è la strategia. Essa rappresenta l’incipit di ogni azione di cambiamento organizzativo. Le strategie, nella particolare organizzazione scolastica, non possono essere elaborate dal centro ai vertici, ma debbono essere il frutto di scelte condivise.

 Per Sistemi si intende l’insieme delle procedure, formalizzate o no, che determinano il funzionamento dell’organizzazione. Oltre ai sistemi che non dipendono dalla autonomia della scuola, si tratta, per il dirigente, di saper utilizzare l’autonomia decisionale che ha già a disposizione.

Ma come mai lo Stile può essere considerato una variabile organizzativa, al pari delle precedenti?

Se consideriamo lo stile dirigenziale come un insieme di comportamenti che i capi adottano in modo deliberato, allora esso diventa una variabile organizzativa che si può gestire per motivare, influenzare, per sostenere il cambiamento.

 Se prendiamo in considerazione in modo molto semplificato, i tre modi possibili di direzione, quale quello burocratico, clientelare e professionale, si può comprendere come il primo sia addirittura in contrapposizione con l’idea stessa di cambiamento, il secondo si basi su un cambiamento di facciata e compromissorio, mentre il terzo è congruente con un cambiamento che  sappia incardinarsi nella professionalità delle persone.

Lo Staff  è una variabile organizzativa solo se partiamo dalla convinzione che le persone sono una risorsa che deve essere curata, valorizzata, sviluppata, protetta.

La gestione dello staff fa, dunque, riferimento alla possibilità del dirigente di avvalersi di persone da egli riconosciute competenti, per ottenere contributi di collaborazione e di sostegno, ma anche di consulenza e di diffusione della leadership.

 Un’altra variabile rilevante è quella rappresentata dagli Skills ovvero dalle competenze critiche di un’organizzazione che le consentono di funzionare. In fasi di cambiamento organizzativo occorre aggiungere altra skills o riorientare quelle esistenti o facendo in modo di farle crescere. In mancanza, qualsiasi trasformazione migliorativa è destinata al fallimento.

Con il Sistema dei valori prevalenti vengono indicati gli ideali, i concetti guida, le aspirazioni, spesso non formalizzati, che costituiscono il sistema connettivo dei valori organizzativi. A volte incomprensibili all’esterno, per chi vi lavora sono ricchi di significato.

 Ed è noto che la creazione di significati è una delle principali funzioni del management”.

La ricerca si è occupata di individuare quali siano le abilità richieste a chi esercita una leadership efficace. 

Nonostante abbondino i dati della ricerca empirica, non esiste fra gli studiosi una solida base comune di significato da attribuire al “dirigente”.

 Ecco alcune definizioni che si ricavano dal dibattito sviluppatosi su questo tema: “Una procedura per conseguire le finalità e gli obiettivi dell’organizzazione” (Lipham 1964); “Un singolare miscuglio di capacità di direzione e di adattamento alle indicazioni altrui, di provocazione e di tranquillizzazione, di disturbo e di stabilizzazione” (Cunningham 1976)

Secondo altri studiosi, un dirigente deve essere al tempo stesso un esperto psicologo, un sociologo, una persona che conosce i meccanismi dell’amministrazione, un abile politico.

Senza voler ripercorrere gli studi sulla leadership, non si può che  limitarsi all’approccio che vede l’analisi concentrarsi su ciò che il dirigente fa per aiutare un gruppo a svolgere efficacemente il suo compito e a mettere a punto modalità di funzionamento interno che diano luogo ad interazioni produttive. Si pensi ad esempio agli stili di direzione secondo la classificazione di Kewin, Lippit e White in autoritario, democratico e laissez-faire.

Nello stile autoritario la presa di decisione discende direttamente dal dirigente che la produce indicando anche tutte le fasi per la sua attuazione, la suddivisione delle mansioni e delle attività fra i componenti di un gruppo. I livelli di partecipazione alla formazione delle decisioni sono praticamente inesistenti.

Nello stile democratico il processo di costruzione della decisione è di tipo partecipativo e si sviluppa attraverso la discussione dopo che il dirigente ha indicato obiettivi e possibili strategie per il loro conseguimento.

Nello stile laissez-faire il processo che porta alla presa di decisione non è strutturato, per cui è molto ampia la libertà lasciata al gruppo nel suo complesso e ai singoli membri. In pratica il leader esercita un controllo e un’influenza scarsi nei confronti del gruppo e finisce con il ricoprire una funzione di membro del gruppo.

L’amplissima letteratura esistente non offre indicazioni conclusive. Se un comune denominatore vuole essere individuato esso si può riassumere nelle seguenti posizioni:

-La leadership può essere descritta in termini di comportamento in relazione al gruppo.

-Non è possibile dimostrare che vi sia uno stile di leadership completamente affidabile in tutte le direzioni e valido in tutte le situazioni; piuttosto l’indicazione che se ne ricava è quella di messa a punto di sistemi di analisi e valutazione delle diverse situazioni sulla base delle quali effettuare la scelta degli stili di direzione più efficaci.

La difficoltà di giungere ad una definizione esaustiva del concetto di leadership rischia di divenire insuperabile se si guarda alla mappa delle funzioni e dei compiti che ricadono nella sfera di competenze del dirigente scolastico: gestione del curricolo, gestione del personale docente e non docente, gestione delle risorse materiali, gestione amministrativa, gestione delle relazioni scuola-extrascuola, gestione della popolazione studentesca dell’istituto, rapporti con gli Enti esterni ed il territorio.

La particolare struttura della scuola non consente, a differenza delle altre strutture pubbliche, di operare una rigorosa distinzione tra l’aspetto amministrativo e quello legato all’esercizio delle abilità di leadership.

Nella scuola è alla stessa persona che afferiscono i due ambiti di attività. Si consideri, inoltre, la diversa modalità di comunicazione  che interviene all’interno della scuola.

Se nelle relazioni con l’autorità centrale e con i colleghi la distanza, la formalità di rapporti, la mediazione nella comunicazione rappresentano il dato caratteristico prevalente, all’interno dell’edificio scolastico la situazione è capovolta.

L’interazione con gli altri membri dell’organizzazione, personale docente e non docente, allievi, famiglie, avviene su un piano di prevalente immediatezza e di informalità.

Si pensi, ad esempio, alle modalità di costruzione e di presa delle decisioni. La connotazione di immediatezza che contraddistingue una larga parte della quotidiana attività di direzione sollecita risposte e soluzioni   rapide che mal si conciliano con i tempi richiesti dal rispetto rigido delle fasi del processo decisionale.

 La consapevolezza dell’esistenza di dinamiche di questo tipo aiuta a far comprendere il significato della leadership educativa.

Diventa prioritario per il dirigente che intende esercitare una efficace azione di leadership rivolgere la propria attenzione verso quelle aree/abilità che più di tutte garantiscono il miglioramento della rete di comunicazioni e di interdipendenza dell’organizzazione e che rappresentano gli elementi-cardine attorno a cui costruire la dimensione della managerialità: il clima organizzativo, il coordinamento dei processi decisionali di gruppo, la gestione dei conflitti. (2)

 

(1)          Anna Armone e Ivana Summa  Dirigere la scuola tra norma e organizzazione- Euroedizioni Torino 2003

(2)           Franco Ghilardi Guida del dirigente scolastico  Editori Riuniti 1988

 

 

 

 

 

CAPITOLO II

 

DIVENTARE LEADER

(Ovvero…Autobiografia di una leadership)

 

Quanto sin qui detto nasce da un’analisi razionale, storico-culturale, che mi lascia in parte insoddisfatta. Il dover essere di un leader si intreccia con la sua vita, le esperienze, la sua cultura…E allora come si diventa bravi leader?

 Non mi risulta che vi siano delle specifiche modalità di formazione, se non quelle relative ai concorsi statali, impastoiate di tanta burocrazia e tanta apparenza, in cui si mette poco o nulla in discussione e da dove si esce, forse, anche peggiori di come si sia entrati.

L’esperienza mi dice che gli esiti della storia lavorativa dipendono in gran parte da come ciascuno interpreta il suo ruolo, da come egli si “veda” in funzione non solo delle sue aspettative, ma anche del suo essere stato "altro” da ciò che è adesso, dalla sua storia pregressa e attuale.

Il libro di Francesco Perillo  La leadership d’ombra (1) mi ha confermato in questa originaria intuizione: il mio lavoro non può essere “altro” da me, nella misura in cui esso richiede di “essere” tra gli altri, con gli altri. Per fare ciò devo imparare ad essere migliore, a conoscere me stessa meglio che posso: è da lì che mi vengono le energie e la vision  che anima quello che faccio e che farò.    

Questo capitolo nasce, proprio dalla lettura di questo strano libro. Strano perché intreccia la storia di Daniel, il protagonista del racconto, con quello, sottotraccia, del romanzo di Conrad: La linea d’ombra, e la sua personale evoluzione nella vita e nel lavoro. Mentre leggevo, a mia volta, intrecciavo anche la mia personale storia di donna.

Una volta ero direttrice didattica, da qualche anno sono diventata dirigente scolastico. “I grandi leader ci mettono in movimento. Alimentano le nostre passioni ed ispirano il meglio che è in noi: questo è “essere leader” per Daniel Goleman (Essere Leader – Rizzoli 2002 ).

Così esordisce Perillo e riprende chiedendosi: ma che fanno i piccoli? Già, che fanno? Che faccio io? Sono io leader? Che senso ha essere leader in una scuola? Sono d’accordo con l’autore quando afferma che le teorie manageriali descrivono un’azienda che non c’è (figurarsi la scuola!).

La prospettiva, per le aziende in un mondo in evoluzione in cui l’incertezza è assolutamente dominante, è, per Perillo, la nascita di un’azienda nuova: l’adaptive enterprise, in cui per necessità, e non per moda, si richieda la capacità di gestione del cambiamento, che è gestione dell’incertezza.

L’impresa, allora, sarà basata sulla capacità ci di cooperazione tra i suoi stessi attori e di connessione con l’esterno, con gli agenti del territorio e della cultura.

Si tratta di una leadership diffusa che non guarda solo ai risultato, ma ai comportamenti alle relazioni tra le persone: questo, sì, può essere lo spazio per l’espressione della leadership, anche quella della scuola!

“La leadership richiede di gettare un ponte tra la nostra vita e la vita del lavoro, rimette in moto i valori riallineandoli ai nostri sogni più veri. E’, in definitiva, un modo di essere: una scelta che richiede una profonda spinta alla realizzazione di sé, un percorso di esperienze personali.” (2)

E’ la mia vita? Ripercorro in un lampo il percorso dell’esperienza della scuola di Counseling con Masini e gli altri (Emanuela Mazzoni, Lorenzo Barbagli e gli altri amici): vado alla mia autobiografia; tutto si connette con l’oggi e con il libro di Perillo.

L’avere dato spazio all’intelligenza emotiva, in questi due anni, mi ha avvicinata a quel sé, origine di ogni capacità umana, e mi ha restituito, spero, l’unicità e l’unitarietà della mia storia.

Anche io, credo, come Conrad e Perillo, ho avuto a che fare con la mia ‘ombra’; e, come me, chissà quante altre persone…”Quell’ombra che inconsciamente  ognuno di noi porta con sé, dal mattino alla sera, ed in cui abitano aspetti essenziali della nostra identità. Grazie al confronto con la propria ombra si può diventare ciò che realmente si è, scoprendo la personale vocazione all’autenticità che è poi la condizione genetica della leadership. In un certo senso il viaggio alla ricerca della leadership è un viaggio alla ricerca nell’ombra”.(3)

L’ ombra di Carl Gustav Jung rivela a chi l’ascolta “attribuzioni e qualità ignote, o poco note, dell’ego, aspetti che appartengono, essenzialmente, alla sfera personale e che potrebbero senz’altro divenire coscienti…Essa è né più e né meno che simile ad un altro essere umano , con il quale dobbiamo compiere il cammino, talvolta cedendo alle sue pretese, talvolta resistendogli, talvolta facendolo oggetto del nostro amore, a seconda delle circostanze. L’ombra è ostile quando viene ignorata o misconosciuta”.(4)  

    Già il viaggio alla ricerca della leadership è un viaggio alla ricerca di sé! Si connetteva la mia storia, si riunificavano pezzi sparsi, ricordi rivisti, esperienze della mia infanzia: era lì che avrei trovato il senso del mio oggi, di quello che avrei fatto e di quello che finora avevo fatto.

 Era nelle mie delusioni, nel mio bisogno affettivo non colmato pienamente, nei miei risentimenti gettati nel’inconscio, nel mio sentirmi meno delle altre compagne, come anche nello sforzo di andare avanti verso un obiettivo, di prendermi la responsabilità che la vita  mi dava…, era su questi sentimenti che avevo costruito i  valori che mi guidano nella vita e nel lavoro, ora era chiaro.

Non è possibile ammettere che le due realtà siano scisse, a meno di una scissione nella persona.

 Questa consapevolezza è stata il risultato di dissidi interiori e di una visione del lavoro meramente consumistica o utilitaristica che non mi ha mai completamente convinta; ora so il perché.

La mia linea d’ombra risale a quanto mi trovai, più di vent’anni addietro, a tentare di fare un altro lavoro, da insegnante a direttrice.

Ero insegnante da otto anni, ero entrata “nel ruolo” dopo la solita trafila delle supplenze e delle graduatorie, oltre che dei concorsi.

Ero entrata dalla graduatoria permanente, che sarebbe a dire una graduatoria di idonei ai concorsi degli ultimi anni da cui venivano immessi in ruolo gli insegnanti di volta in volta.

L’immissione in ruolo, certo, fu il raggiungimento di un obiettivo importante, ero sposata con un figlio, significava una sicurezza economica.

 Ma col passare del tempo ero anche insoddisfatta, facevo l’insegnante di sostegno da cinque anni con un certo impegno, dentro di me forse non volevo che la mia prospettiva di lavoro potesse continuare ad essere quella per i prossimi anni…Pensavo al concorso direttivo, avevo studiato, mi ero laureata in pedagogia, materie che mi piacevano anche…Ma era un salto nel vuoto? L’idea, così come arrivava, andava via per poi ritornare. Ormai avevo superato i cinque anni, così mi avevano detto, e avrei potuto fare il concorso. Ma in realtà non facevo nulla di concreto: avevo troppa paura dell’incertezza e poca fiducia in me stessa (solita storia ).

Fu dopo la telefonata a scuola di mio marito che mi diceva di aver saputo del concorso imminente che decisi (lo dico così oggi) di varcare la linea d’ombra, di uscire dalle secche, di cambiare, proprio come il capitano del romanzo di Conrad La linea d’ombra. Non ci avevo mai pensato prima in questi termini, avevo pensato che fosse una cosa normale, consequenziale, del resto avrei sfruttato la mia laurea, no?

Invece non era per nulla così, ora lo so.

In realtà ho fatto i conti con la mia ombra e mi sono chiesta, dentro di me, se volevo farlo, se me ne sentivo la forza, almeno di fare la prova scritta. Io, bambina strabica e brutta, che mi sentivo non considerata a scuola, che avevo avuto esperienze delle file dei bravi, degli asini e dei così-così (e io dov’ero?), che a casa avevo una situazione infelice per il disaccordo dei miei genitori che pure mi volevano bene, che negli anni mi ero anche riscattata anche sul piano fisico combattendo la mia guerra contro lo strabismo e vincendola, che ero riuscita ad avere anche buoni risultati scolastici, volevo ancora essere messa alla prova? Perché? Era un mettersi alla prova o vedere più oltre? E che cosa? Qual’era la mia visione del futuro? Da bambina giocavo alla maestra, facevo la maestra così come lei si comportava con me, era una funzione catartica, credo per me. Non mi  piaceva quella maestra, faceva le particolarità con le mie compagne, le sue attenzioni erano per le mie compagne migliori di me, mi sentivo nascosta e al buio. E soffrivo.

 Ecco, penso che queste emozioni abbiano tracciato l’inizio della mia carriera scolastica come insegnante. Non credo che sia avvenuto per caso; certamente si sono verificate una serie di situazioni concomitanti, ma in fondo è stata una mia scelta la facoltà di pedagogia. Tutto si collega…E si collega anche la scelta del concorso: anche qui avrei potuto non fare nulla e rimanere  quella che ero, invece no, ho messo in discussione tutto. Immaginavo una situazione di lavoro in cui avrei potuto dare qualcosa di mio, delle mie idee, dei miei valori, incidere sulle scelte, influenzare l’insegnamento, evitare gli errori che io avevo visto, sulla mia pelle.    

Avevo studiato da sola perché avevo due figli e poco tempo e denaro per prepararmi presso qualcuno.  L’ammissione all’orale fu un fulmine, non me la aspettavo, ci avevo messo tanto in termini di impegno, ma avevo fatto tutto da sola. Questo fatto mi riempì di grande soddisfazione! Era un’impresa oscura, dove andavo? E se l’esame orale fosse andato bene che averi fatto? Ce l’avrei fatta? Ce l’avrebbe fatta la mia giovane famiglia? E i miei genitori, li avrei lasciati? Anche qui altra crisi: no, non faccio nulla, non vado all’orale, resto dove sono. Troppi cambiamenti nel buio, troppe incertezze. Poi la svolta, una frase, uno stimolo detto da qualcuno…già perché no? Sono brava (?), potrei fare bene, mi cambia la vita, altre esperienze, posso fare qualcosa che mi piace e che mi soddisfa, qualcosa che mi permette di mettere alla prova le cose in cui credo, una scuola attiva, il rispetto per tutti i bambini e la loro uguale importanza al di là delle apparenze, per i più deboli e gli handicappati. Ecco come andai nuovamente oltre la linea d’ombra dopo averla attraversata quasi tutta.

 Oggi ne sono consapevole e questa scoperta mi rende un po’ più forte e sicura perché so che, oltre alle necessarie competenze di tipo manageriale posso pescare dentro di me nei valori che mi sono costruita sull’esperienza vissuta fin qui,  il senso del mio agire e delle mie scelte di vita e di lavoro. La consapevolezza, costruita nel tempo, che sia necessario, per me, come i dirigenti che attualmente lavorano con dedizione, ma anche con tanta fatica nelle scuole, andare oltre la linea d’ombra, oltre le normali competenze del manager, vale a dire la capacità di pianificare e di utilizzare un budget, di organizzare processi e risorse, controllare e risolvere problemi.

(1)          Francesco Perillo – La leadership d’ombra – Guerrini e associati 2008

(2)          Idem

(3)          Idem

(4)          M L. Von Franz - “Carl Gustav Jung:L’uomo e i suoi simboli- Saggistica TEA 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO III

 

L’ADAPTIVE INTERPRISE

(ovvero: il percorso del leader)

 

Management e Leadership sono  termini che sovente vengono usati indifferentemente per indicare lo status di chi è chiamato a dirigere un’impresa o un’azienda. Esso richiama una serie di competenze, come si è visto, che vanno dagli aspetti prettamente amministrativi e finanziari a quelli dell’utilizzo delle risorse umane in senso lato. In realtà i due termini attengono a due diversi concetti che evocano due diverse modalità, del resto non inconciliabili, ma anzi complementari, di affrontare la direzione dell’impresa.

Il management, afferma Francesco Perillo, (1) si misura con la complessità, richiede condizioni di stabilità, ed a sua volta assicura, senza salti, la continuità nella “normalità”. Esso risiede infatti nella norma , nella capacità di normare, governando secondo un sistema di regole la normalità.

La leadership, al contrario, è in un certo senso la “trasgressione della normalità”, perché essa deve misurarsi col cambiamento. Il leader, più che pianificare, dirige con la sua vision, più che organizzare orienta le persone, più che controllare motiva ed ispira facendo leva sui valori e le emozioni individuali.

Sono competenze complementari ma profondamente diverse. Le prime legate ad un solido patrimonio di conoscenze esplicite, le seconde sembrano, invece, emergere da una regione oscura ed essere profondamente radicate nel vissuto personale e nelle conoscenze tacite del singolo individuo.

Essere leader vuol dire Varcare le linea d’ombra, vuol dire essere consapevoli di transitare dalla gioventù alla maturità, non solo da un punto di vista lavorativo, ma anche personale, giacché le due dimensioni si intrecciano.

Nel passaggio alla maturità F. Perillo scorge anche un’altra materia oltre la linea d’ombra: la straordinaria scoperta dell’equipaggio. Il passaggio “dal potere personale alla potenza delle persone, dalla vita di oscuro marinaio all’avventura del comandante, dalla normalità al cambiamento, da gregario a coach.

La scoperta dell’equipaggio, come la metafora dell’adaptive enterprise, è la scoperta dell’importanza delle risorse umane, dell’impresa (anche la scuola è un’impresa!) imperniata sulle capacità e sull’iniziativa delle persone.

Nella realtà vi sono una serie di fattori che bloccano sia i dipendenti e i collaboratori che i loro manager (vale anche per la Scuola).           Kotter J.(2) sostiene che le strutture formali, i sistemi di gestione del personale e i sistemi in formativi rendono difficile agire, la mancanza delle capacità necessarie compromette le azioni, i capi non esercitano la coerenza.

La rimozione di queste barriere sta nelle stesse mani dei capi, che ne sono i costruttori ma anche le vittime, e dei collaboratori.  Risiede nella forza non di un singolo leader, ma in quella di una leadership diffusa, condivisa, organizzativa. Occorre andare oltre il modello organizzativo dominato dalla paura del cambiamento effettivo che porta tutti ad evitare rischi, a coprirsi le spalle, riducendo tutto all’etica della performance e del successo ad ogni costo.

La conseguenza è una visione consumistica del lavoro, la perdita di ogni legame emozionale del manager e di che lavora nell’impresa.

Afferma Eric Fromm (3): “La mancanza d’attaccamento che gli è propria lo rende indifferente alle cose; ciò che conta è forse il prestigio o il comfort che le cose conferiscono, ma le cose di per sé sono prive di sostanza: sono in tutto e per tutto consumabili, in una con amici o amanti, del pari consumabili, dal momento che non esiste alcun legame davvero profondo con nessuno di essi.”  La supremazia dell’attività mentale, cerebrale, manipolatoria, dice Fromm, comporta un sottosviluppo della sfera emozionale, in una spirale che diventa lesiva dell’individuo anche perché a lungo termine priva la stessa dimensione cerebrale di una fonte importante di stimoli e interessi.

La capacità di essere leader è ancorata alla dimensione dell’intelligenza emotiva. I leader, infatti hanno sempre giocato un ruolo importante nel gruppo in termini di risonanza emotiva con le emozioni di ognuno. Questa consapevolezza porta il leader  ad una perdita di sicurezza in termini di allontanamento dagli schemi consueti, rassicuranti e stabili, che lo porta alla frustrazione e al dubbio, all’ansia di essere inadeguato, a scoprire un Tempo diverso, non lineare, rassicurante, ma emozionale. Fare esperienza del Tempo Emozionale significa, per F. Perillo, scoprire “che noi non siamo più noi , non siamo quelli di prima, oltre a non sapere quello che saremo”.

Essere leader richiede un personale percorso d’apprendimento che porta necessariamente a scoprire l’immagine che ho di me, che cosa veramente mi interessa, quali sono i miei desideri, qual é la più profonda espressione che voglio per me stessa, la necessità di comprendere la natura del mio bisogno   di lavorare. Il che si traduce nella ricerca di significati più che del pane quotidiano, di riconoscimento più che di denaro, di meraviglia più che di torpore…

Citando Galimberti, Perillo dice:”… è inutile girarci attorno, questa è la domanda di senso nella propria biografia, la ricerca di una traccia di sé in cui riconoscersi ed a cui dare espressione. La decisione di occuparci di noi stessi, vedendo dentro i nostri valori, è il big bang della leadership. Questo vuol dire acquisire la vision. Come un uccello fuori dal nido, la vision ci spinge fuori dall’utero della frustrazione; è il desiderio la parola chiave della vision. Nel senso del latino de-sidera, quale capacità di dialogare con gli astri: alzare lo sguardo oltre l’immediato, al di là del buio a vedere le stelle.”

    Anche questo si riconnette con la mia esperienza della scuola di Counseling di Vincenzo Masini. L’avere scritto la mia autobiografia, è stata un’esperienza semplice a dirsi, ma forte per le conseguenze dentro e intorno a me; l’essere andata a trovare me stessa, o l’averci provato,  mi ha condotta a trovare anche il senso della mia esperienza di vita, l’unità della mia persona, a riconnettere i pezzi sparsi della mia vita e a ritrovare, forse, il bandolo della matassa, a trovare che quello che ho fatto non è avvenuto per caso, che non sono stata trascinata degli eventi, ma ho scelto, sempre. Questo mi dà forza interiore e apertura al cambiamento. Anche il mio lavoro è dentro questa dimensione personale, non è “altro” da me, dalla mia quotidiana avventura della vita. Qualche anno fa non avrei scritto queste cose.    Si, il mio centro è dentro di me….!

    E Fromm dice: mentre l’avere si fonda su qualcosa  che l’uso diminuisce, l’essere viene incrementato dalla pratica. E in effetti , dice F. Perillo, l’acquisizione di una visione personale fondata sull’essere genera l’orientamento all’esperienza e si alimenta l’apprendimento.

 Quello che un manager può vedere come perdita, per il leader diventa disponibilità ad acquisire nuove Skill complementari a quelle acquisite come manager. La dimensione delle nuove competenze non è né cognitiva né pratica, ma quelle del “saper essere” e del “saper far fare”. Ex-pertise, non Skill.

    Così si troverà a sperimentare il pensiero strategico per cambiare i processi e le architetture, deve sperimentare l’empatia e la capacità di ascolto per saper coinvolgere, deve sperimentare il lavoro attraverso gli altri, essere coach sviluppando e valorizzando il loro potenziale. In sostanza, fare empowerment, perdendo potere e facendo crescere i collaboratori. Queste Skill si apprendono soltanto spendendosi, esercitandole, rischiando di persona e sbagliando. E’ evidente, continua F. Perillo, che questo tipo di esercizio richieda di essere fondato su una salda continuità tra lavoro e vita, che, come si è detto, può trovare solo nei valori personali la sua ragione.

    L’avventura del leader inizia, afferma F. Perillo, nei luoghi dell’anima: una volta ritrovata la connessione con il sé autentico l’attività fluisce come acqua che ribolle, i propri valori si rendono visibili in comportamenti affrontando il contesto con spirito d’avventura: un andare verso “le cose che devono venire” (ad-ventura), incontro nel futuro con cose che devono accadere. Significa avere un approccio positivo alle cose, pensando che “si può fare”, andando oltre l’impostazione burocratica orientata al prodotto. Avventura significa avere qualcosa da raccontare di sé, da persone autentiche che sperimentano la propria autorealizzazione.

L’inter-esse è ciò che dà solidità al leader: dal latino esistere in mezzo, per mezzo, nella misura in cui sono-connesso-con-gli-altri che mi riconoscono. Attraverso la potenza delle relazioni, il leader scopre la dimensione organizzativa, quale possibilità di trasformare il modo con cui le persone lavorano insieme. Significa comprendere che i miei valori personali non bastano; possono e devono sintonizzarsi con quelli dell’organizzazione in modo che si cominci a remare tutti verso la meta. E’ solo l’inter-esse del leader che può dare un’anima all’organizzazione, indipendentemente dalla formale struttura formale gerarchica.

    In questo connettersi con la rete delle relazioni, il leader trova la sua capacità di riconoscere la differenza nelle persone, la loro unicità, il talento che portano dentro; persone comuni, che fanno lavori routinari e che possono essere messe in moto. Dall’indifferenza alla differenza: è questo che abilita il leader ad essere ascoltato. Le persone riconoscono la sua voce e rispondono, perché sotto la maschera del capo riconoscono la persona. Alla base della motivazione c’è questo “riconoscimento ” della sua personale credibilità perché egli è vero. Ricevendo la fiducia del leader e messe nelle condizioni di giocarsi una possibilità, le persone troveranno dentro di sé il proprio potenziale, facendo emergere risorse insospettabili…

Il fine ultimo della leadership è diventare leader di se stesso.

 

(1) cit.

(2) G. Kotter -  Guidare il cambiamento- ETAS Milano 1998

(3) E. Fromm - Avere o essere- Mondadori 1997

 

 

 

 

  

 

CAPITOLO IV

 

LA RISORSA DELL’EMPATIA

 

La “scoperta dell’equipaggio”, di cui si parla nel libro “La leadership d’ombra”, è la metafora dell’ascolto, della valorizzazione delle persone;  significa, per un dirigente leader, avere capacità di ascolto, mostrare apertura al coglimento empatico delle persone, delle loro caratteristiche personali, accogliere il loro vissuto emozionale, riconoscere la persona con le sue peculiarità cognitive. 

 Afferma Rollo May (1): “L’empatia scatta nel momento che un essere umano parla con un altro… Se ricerchiamo l’origine di questa capacità di agire e di sentire come se fossimo qualcun altro, potremo trovarla nell’esistenza di un innato senso sociale. Si tratta, di fatto, di un sentimento cosmico e di un riflesso dell’interdipendenza dell’intero cosmo che vive in noi; si tratta di una caratteristica ineluttabile insita nel nostro essere uomini…Non c’è dubbio che fra le persone abbia luogo un transfert psichico molto più intenso di quanto in genere non si ammetta… Gran parte della comunicazione umana avviene attraverso i piccoli gesti dei quali non siamo consapevoli, le variazioni impercettibili dell’espressione, i lievi trasalimenti all’apparire di pensieri sgradevoli, e il repentino illuminarsi dello sguardo di fronte ad un’idea piacevole. L’espressione facciale, variando lungo una gamma di infinite sfumature, riflette, per coloro che sanno leggerla, i pensieri reconditi; e i gesti, anche sotto forma di postura o di un tormentarsi con le dita, sono espressione di stati mentali. In questa espressione non vocale dei nostri simili noi leggiamo molto di più di quanto non ci rendiamo conto. Attualmente non siamo in grado di dire dove finisca il transfert fisico dei pensieri e dove inizi quello non fisico.”

Il concetto dell’empatia e le sue implicazioni nella comunicazione umana, è stato ampiamente affrontato, in maniera parzialmente differente da quello sopra menzionato da Edhit Stein (2) aprendo importanti orizzonti sul senso della comunicazione interpersonale. V. Masini (3) sostiene che l’empatia non è qualcosa di oscuro e misterioso, ma è la capacità di accettare e fare proprie le emozioni altrui evitando la fusionalità e mantenendo la differenziazione tra persone, senza confusione tra sé e l’altro.

“L’empatia spiega la comprensione dell’altro ( e la reciprocità) indipendentemente dal medium comunicativo (verbale, non verbale, posturale, espressivo…) come “sentire” che incontra e comprende un altro “sentire”… Quando l’attenzione verso altro non è strutturata ma aperta, quando non vi è immedesimazione o identificazione proiettiva e cioè quando l’altro è incontrato come persona e non come rappresentazione, diventa possibile penetrare nella sua soggettività e lasciarsi ricolmare  da ciò che l’altro sta vivendo nell’istante in cui lo vive. Perché questo accada è necessario che l’apertura interiore sia massima.

 Nel processo di empatia non c’è fusionalità come nelle situazioni di unipatia (dal tifo allo stadio al panico della folla, all’innamoramento…) perché ciascuno rimane se stesso.. L’empatia permette di provare emozioni con diversa intensità rispetto a quella personalmente conosciuta, ed anche sfumature di vissuti impensati ...o addirittura emozioni di base mai pienamente vissute con consapevolezza. La comunicazione empatica è un’esperienza immediatamente interiore, prelinguistica e prerazionale trasmessa su un medium comunicativo che sembra precedere l’espressione.

 L’empatia è facilitata dall’osservazione dell’espressione di un volto, di un’azione, di una postura fisica, di un’esclamazione o di qualunque atto linguistico, ma è da questi indipendente…La persona empatica sa comprendere l’altro. E la capacità empatica può accrescersi nell’arco dell’esperienza della vita. Richiede un attento addestramento all’ascolto dell’altro con la mente sgombra e con la disposizione ad accogliere il suo vissuto…Riguarda il modo di fare attenzione all’altro per cogliere dalla sua espressione qualcosa che lo contraddistingue come esperienza umana di persona. E poi analizzare dentro di sé come riecheggia quel qualcosa, il particolare vissuto a cui rimanda e le sensazioni che mette in gioco.

 La capacità empatica può diminuire o  perdersi specie in condizioni di chiusura emozionale, ma una parte rimane sempre accesa nel profondo dell’uomo e può essere evocata e diventare attiva…La chiusura al coglimento empatico è…fonte di disagio; in primo luogo perché costringe alla solitudine e produce incomprensione nelle relazioni, in secondo luogo perché non consente l’apprendimento e la gestione equilibrata delle emozioni di base.

La privazione di queste competenze umane è un vuoto che i più deboli cercheranno di colmare con vissuti fortemente riempienti ma impropri, artificiali, sovente devianti e destabilizzanti…L’empatia…consente di comprendere quel particolare movimento emotivo interno che connota quel soggetto.

Questo movimento interno centrato su qualche emozione di base esprime la natura di quell’io ed è la causa del procedere  ripetitivo nella dimensione interna dei vissuti e nella dimensione esterna dei comportamenti. Il superamento degli uni e degli altri può avvenire se quella persona acquista un altro movimento interno capace di controbilanciare  le sue tensioni orientate al disagio.

 Questa acquisizione  è l’assenza del processo educativo, la educabilità di un soggetto è strettamente correlata alla sua capacità di apertura al coglimento dei vissuti altrui, al riconoscimenti di tali vissuti e dalla sperimentazione di quei vissuto che ignora o ai quali non ha dato eccessivo spazio…

La Stein descrive tre momenti nel processo di empatizzazione:

1) l’emersione del vissuto,

2) la sua esplicazione riempiente,

3) l’oggettivizzazione comprensiva del vissuto esplicitato.

Nell’istante in cui il vissuto emerge improvvisamente innanzi a me, io l’ho dinanzi come Oggetto (ad esempio, l’espressione di dolore che riesco a “leggere nel volto di un altro”); mentre però mi rivolgo  alle tendenze in esso implicite e cerco di portare a datità più chiara lo stato d’animo in cui l’altro si trova, quel vissuto non è più Oggetto  nel vero senso della parola, dal momento che mi ha attratto dentro di sé, per cui io adesso non sono più rivolto a quel vissuto ma , immedesimandomi in esso, sono rivolto al suo Oggetto, lo stato d’animo altrui, e sono presso il suo Soggetto, al suo posto. Soltanto dopo la chiarificazione  cui si è pervenuto mediante l’attuazione  giunta a compimento, il vissuto stesso torna di nuovo dinanzi a me come Oggetto”…  (Stein, cit, p. 78).

Dalla Stein si impara che il processo di empatizzazione, da non confondere con la semplice trasmissione dei sentimenti, avviene sia sul piano delle emozioni che su quello cognitivo, tale che si possa cogliere l’esperienza come estranea.

“Gli uomini sono in grado, allora, di vivere emozioni attraverso il coglimento empatico del vissuto altrui, anche per emozioni mai vissute in precedenza. Gli atti di empatia che compiamo ci permettono di metterci nei panni dell’altro e far nostro il suo vissuto, a volte sconosciuto e strano per noi. Posso provare l’ebbrezza di un motociclista anche senza aver mai guidato una moto.

Così, se una persona è seduta di fronte a noi, riusciamo a percepire se è seduta in maniera comoda o meno, tanto che gli diciamo di mettersi più comodo. La mia presenza e la sua sono distinte, ma io avverto distintamente la mia presenza e la sua. Inoltre, se vedo l’altro in una posizione scomoda, riesco ad avvertire che, magari, è il suo vissuto che lo turba e che l’aspetto di scomodità è secondario rispetto al turbamento che percepisco in lui, pur non sapendo il contenuto di tale turbamento.

Appare chiaro che la capacità di empatia è indispensabile a chi si occupa di relazioni umane e di educazione.

(1)          Rollo May -  L’arte del counseling – Astrolabio 1989

(2)          E. Stein -  Il problema dell’empatia

(3)          V.Masini- L’empatia nel gruppo di incontro-Caltagirone 1996

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO V

 

IL PROBLEMA DEL BEN-ESSERE A SCUOLA

 

La mancanza del “riconoscimento” tra persone, la chiusura all’altro, al coglimento empatico, soprattutto in campo lavorativo, è ritenuta una delle cause importanti dell’emersione del fenomeno del burn-out nelle organizzazioni che si traduce in un diffuso crollo della motivazione nel lavoro e si propaga anche nelle altre sfere di esperienza della persona. (1)

Di Pietro e Rappazzo (2)) sostengono che, pur nell’assenza di dati statistici sull’incidenza dello stress tra gli insegnanti a livello nazionale o regionale, bisogna ammettere che vi sono degli aspetti nel sistema scolastico che rendono questa professione a rischio di stress tanto da far supporre che più del 50%  delle visite e consulenze mediche sia collegata a problemi di stress, come molte assenze per malattia. Gli autori individuano i diversi fattori che contribuiscono a spiegare perché la professione docente sia un professione particolarmente stressante:

·        La politica governativa, che influisce sullo svolgimento quotidiano della professione in termini di bassi stipendi, eccessiva numerosità dei cambiamenti, eccessive richieste che provengono dalla società.

·        L’organizzazione della scuola, inclusi gli stili gestionali dei dirigenti, i rapporti con i colleghi, il carico di lavoro, la mancanza di chiarezza degli obiettivi.

·        La classe, in termini di eterogeneità per la presenza di alunni con disagio affettivo, in situazione di handicap, demotivati, stranieri, poco disciplinati per carenza familiari.

·        L’insegnante stesso con i suoi atteggiamenti nei confronto di sé, degli altri, e della professione.

A ciò si aggiunga la scarsa rilevanza sociale della figura del docente, soggetto, anzi a frequenti critiche  e talvolta  a massicce campagne denigratorie finendo per essere capri espiatori delle inefficienze politiche e sociali.

Ma che cos’è lo stress? Bisogna ammettere che in ambito scientifico non c’è ancora abbastanza chiarezza sul concetto di stress.

Secondo il Dizionario essenziale di Counseling di Prevenire è Possibile, lo stress è “la risposta biologica aspecifica del corpo a qualsiasi  richiesta ambientale determinata dagli stressors (stimoli e agenti causanti stress). Lo stress può assumere una connotazione negativa, il distress, o positiva, l’eustress. Nelle organizzazioni è causato da mobbing o da cause interne al soggetto, ma anche da uno stato di sovraccarico emotivo individuale conseguente a contesti di vita complessi e verso i quali il soggetto non riesce ad effettuare efficaci strategie di coping. Precede sempre il burn-out ed è sempre conseguenza di mobbing anche se non necessariamente facente motivo ad entrambi”.(3)

Le reazioni allo stress si sviluppano a tre livelli:

·             Fisiologico

·             Psicologico

·             Comportamentale

Le reazioni fisiologiche sono governate dal sistema nervoso simpatico, responsabile della reazione di “attacco” o di “fuga”, e dalle ghiandole endocrine che sostengono l’attivazione del sistema nervoso centrale fornendo l’ energia all’azione.

Le reazione psicologiche riguardano reazioni emotive quali le sensazioni d’ansia, panico, rabbia, depressione, ma anche sentimenti di apatia, mancanza di fiducia in se stessi, eccessivi sensi di colpa e malinconia. Si possono includere anche  perdita di concentrazione, essere mentalmente confusi, perdere la capacità di risolvere problemi.

Le reazioni comportamentali riguardano gli effetti negativi che alcuni fattori legati all’insegnamento possono avere sugli insegnanti. Gli insegnanti esibiscono un rendimento peggiore, con un basso sostegno verbale agli alunni, un uso inefficace delle gratificazioni e delle punizioni, un comportamento autoritario. Altre conseguenze sono le assenze eccessive, i ritardi, l’uso di alcolici e psicofarmaci e l’abuso di cibo.

“La condizione risultante da livelli elevati e sostenuti di stress è stata identificata da Freudenberger(1975) come burn-out, una sindrome di forte esaurimento mentale ed emozionale riferita in particolare a chi lavora in professioni di aiuto, con un ingente investimento emotivo nelle relazioni con gli altri. Si tratta di una forma di adattamento allo stress attraverso un cambiamento negli atteggiamenti e nei comportamenti in risposta a esperienze lavorative impegnative, frustranti e poco o per niente gratificanti.” (4)

Il percorso individuato dagli autori riguarda:

·     La comprensione delle cause e degli effetti dello stress

·     Strategie per affrontarlo e gestirlo

·     Miglioramento dell’autostima

·     Strategie di natura organizzativa e riguardanti la gestione del tempo

·     Strategie relative ad affrontare rapporti difficili

·     Come condurre efficacemente una classe

·     Strategie di gestione dello stress relative allo stile di vita.

Senza voler entrare nella trattazione specifica di tali argomenti per i quali si rimanda al testo citato, viene da chiedersi quale possa essere, se c’è, il contributo professionale del dirigente scolastico nella questione del fronteggiamento del burn-out e nella sua prevenzione.

Vittorio Lodolo D’Oria (5) ritiene che la svolta aziendalistica della scuola, venutasi a determinare  con l’autonomia scolastica recente, ha alimentato ulteriormente la sofferenza degli insegnanti, non proponendo sviluppo della qualità attraverso l’investimento, in formazione alle relazioni umane e quindi in salute mentale, ma incentivando una cultura produttivistica del saper fare  e del saper dirigere.

L’autore si chiede: per dirigere basta un concorso o l’assegnazione di un budget e di un  gruppo di insegnanti? Che cosa fa di un dirigente un leader? Qual è l’articolazione tra leader e collaboratori? Qual è la differenza fra autorità e autorevolezza? Come  si dirimono le conflittualità in un gruppo di collaboratori?

Quale consapevolezza del proprio mondo interno è necessaria per non confondere i propri timori e desideri con quelli dei propri collaboratori? Quelle che seguono sono le riflessioni ricavate dal testo citato.

In un’organizzazione l’autorità rappresenta il diritto di rendere una decisione definitiva  e vincolante per i collaboratori. Essa si può originare dall’alto o dal basso.

L’autorità generata dall’alto deriva dal ruolo svolto in una organizzazione e viene esercitata nell’ambito di una struttura gerarchica.

Ma non sempre è così perché, anche in una situazione ben delineata di rapporti funzionanti attraversi rapporti delegati, è chiaro che il meccanismo della delega presuppone competenze emotive del manager, come l’autostima e la conseguente fiducia nell’altro. In assenza di ciò si produce accentramento  o pseudo delega che risulta, pertanto, demoralizzante per chi la esercita e disorientante per chi la riceve.

L’autorità scaturita dal basso è anch’essa espressione di componenti emotive coscienti o inconsce, non sempre gestibili e di cui non sempre si ha consapevolezza.

Un altro aspetto spesso trascurato è che l’autorità può scaturire anche dall’interno dell’individuo, dipende, cioè, dal tipo di rapporto che  il dirigente detiene con le figure genitoriali del suo mondo interiore.

Il sentirsi, ad esempio, svalutati internamente, attraverso una eccessiva severità con se stesso, può impedire una competente assunzione di responsabilità dirigenziale o condurre  ad uno stile dirigenziale seduttivo (manipolativo del consenso) e lassista. 

In ogni caso, la modalità top-down non viene più unanimemente riconosciuta come l’unica ed efficace modalità di management: con il tempo di sono affermati modelli organizzativi sempre più basati sugli aspetti emotivi del lavoro grazie alla sempre crescente connessione fra i saperi e le culture  e al crescente interesse per le scienze psicologiche.

 Sono noti  i testi di H. Gardner sulle sette intelligenze e il concetto di intelligenza multipla,  e di D. Goleman sull’intelligenza emotiva.

Per il dirigente appare sempre più necessario acquisire  “la capacità di osservare le proprie ed altrui  emozioni, di differenziarle e di usare tale informazione per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni”.

 Si tratta di competenze personali, sociali e interpersonali.

Le competenze personali determinano il modo con cui controlliamo noi stessi e si basano sulla consapevolezza di sé, sulla padronanza di sé, sulla motivazione.

La consapevolezza e la padronanza di sé si basano sulla consapevolezza emotiva (riconoscimento delle proprie emozioni e dei loro effetti), sull’autovalutazione e fiducia in se stessi, sulla capacità di dominare i propri stati interiori , i propri impulsi e le proprie risorse.

La motivazione si traduce in tendenze emotive (direi meglio adesione a valori) che guidano facilitano il raggiungimento degli obiettivi attraverso la spinta alla realizzazione, l’impegno, iniziativa, la costanza nel perseguire gli obiettivi nonostante ostacoli o insuccessi. 

La competenza sociale, l’empatia, si estrinseca nella consapevolezza dei sentimenti e delle esigenze altrui attraverso la comprensione degli altri.

Ciò significa saper cogliere i sentimenti e le prospettive altrui, interesse attivo per le preoccupazioni degli altri, promozione dello sviluppo altrui e capacità di mettere in risalto e potenziare le loro abilità, sapere coltivare le opportunità offerte dalle diversità, saper interpretare le correnti emotive e i rapporti di potere in un gruppo.

Il dirigente, purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha avuto questo genere di formazione.

Certamente al dirigente non si può chiedere di fare lo psicologo, ma di adoperare degli strumenti utili a saper cogliere i fenomeni complessi che si dipanano all’interno della leadership, in modo anche da poter leggere, sul loro sorgere, sia lo stato di demotivazione, sia lo stato di sofferenza, ridurre i conflitti, contribuire affinché l’organizzazione scolastica non sia generatrice di situazioni di burn-out.     

(1)            cfr. Dizionario essenziale di Couseling – Ed. Prevenire è possibile 2006.       

(2)            Di Pietro e Rappazzo-Lo stress dell’insegnante – Ed: Erickson 2003. 

(3)            Dizionario essenziale di Couseling – Ed. Prevenire è possibile 2006.       

(4)            Di Pietro e Rappazzo-Lo stress dell’insegnante – Ed: Erickson 2003. 

(5)            Vittorio Lodolo D’Oria-Scuola di follia –Armando 2007

 

 

 

 

 

CAPITOLO VI

 

LEADERSHIP E MODELLO TRANS TEORICO

 

Il dirigente scolastico si evidenzia specificamente come gestore di energie e la risorsa umana si afferma come valore centrale dal quale dipendono sia il funzionamento che le esigenze di sviluppo della stessa organizzazione, aspetti che si riconnettono direttamente alle possibilità di autorealizzazione delle persone che la costituiscono.

Il che richiede che si mettano in atto accortezze gestionali che riscontrino i bisogni psicologici delle persone, la loro esigenza di essere riconosciute.

Il dirigente è vincolato, da un lato,  verso la soddisfazione degli utenti esterni, dall’altro deve operare per la soddisfazione degli utenti interni.

L’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione, infatti, è strettamente legata alla motivazione del personale che, a sua volta, dipende dal modello organizzativo del lavoro, dallo stile di leadership e dalla sua coerenza verso gli obiettivi.

La gestione delle risorse umane non può essere intesa solo come l’espressione della bontà operativa della leadership, ma deve affermarsi come strumento organizzativo privilegiato che miri a dare valore e prospettiva di crescita alla professionalità individuale, inscrivendo il tutto nel quadro delle finalità dell’Istituzione.

Il comportamento gestionale del dirigente , perciò, si afferma come strumento operativo che indirizza  i comportamenti e le professionalità dei dipendenti.

E’ ormai indiscusso che la sua coerenza comportamentale, il riferimento ai valori etici che la indirizzano, la sua attenzione ai bisogni psicologici delle persone, la sua capacità di ascolto, la sua attenzione alle specificità individuali, il suo rispetto verso la dimensione personale di ognuno, il suo modo di guidare e di collaborare, la sua competenza tecnico-professionale,  costituiscono quegli aspetti che si evidenziano per il loro indiretto valore formativo e di orientamento.

Lorenzo Barbagli (1) ha costruito e sperimentato nella pratica e nella formazione, condotta con il prof. Vincenzo Masini e la dott.ssa Emanuela Mazzoni, sette differenti modelli di leadership  in connessione con le funzioni del leader: la leadership organizzativa, motivante, creativa, coinvolgente, opportunistica, invisibile, affettivo-relazionale.

 Ogni stile impone certi atti ed è utile per alcune funzioni e per alcuni gruppi.

Prima di affrontare la descrizione di tali differenti tipologie e di sviluppare il discorso intorno ai diversi approcci che esse richiamano, diventa necessario, per una questione di metodo, rivolgere l’attenzione al modello transteorico delle sette personalità idealtipiche costruite intorno alle emozioni di base, elaborato dal prof. Vincenzo Masini, frutto del lavoro di ricerca di “Prevenire è Possibile” nato per effettuare interventi semplici e efficaci per rimuovere il disagio giovanile, l’Artigianato Educativo.

 “ L’artigianato educativo cerca di fornire un’alternativa alla nostra cultura contemporanea caratterizzata  dai limiti del materialismo e che conduce al blocco delle potenzialità essenziali dello sviluppo umano: ed è proprio alla realizzazione di un percorso volto alla realizzazione dell’umanità racchiusa in ciascuna persona che si orienta l’artigianato educativo.

L’obiettivo che si pone è quello di attivare percorsi, esperienze, nuovi punti di vista da assumere  per costruire percorsi personali in piena assunzione di umanità; nella convinzione che nella maggioranza dei casi non ci siano patologie da rimuovere o malattie da curare.

L’elaborazione di personalità idealtipiche è centrata sul blocco di una singola emozione, divenuta il copione di fondo del processo di costruzione della personalità.

Il metodo è interessante perché offre didatticamente a chiunque la possibilità di auto comprendersi e di comprendere il senso dell’azione e del vissuto altrui; il fatto che poi i termini utilizzati siano efficacemente descrittivi ma non etichettanti, anzi in qualche modo generatori di simpatia, rende immediatamente comprensibili i copioni.” (2).

 La metodologia dell’Artigianato Educativo parte dall’espressione delle caratteristiche emozionali presenti nei soggetti e in base ad esse propone le strategie educative in modo da riequilibrare le disarmonie e da individuare le modalità di relazione, col singolo e col gruppo, più idonee a creare quel clima positivo, all’interno dei gruppi e delle classi, che consenta l’apertura alla comprensione del sé, dell’ascolto dell’altro e del superamento del disagio.

Il modello dell’Artigianato Educativo comincia con l’analisi delle emozioni di base (le prime esperienze emozionali vissute dal bambino) descrivendone sette: paura, rabbia, distacco, piacere, quiete, vergogna, attaccamento, come fattori fondamentali del sentire umano. In corrispondenza di queste si descrivono sette tipologie di personalità corrispondenti : l’avaro, il ruminante, il delirante, lo sballone, l’apatico, l’invisibile, l’adesivo.

 La letteratura psicologica non è concorde sul numero delle emozioni di base, ma certamente il numero, come afferma V. Masini, non è arbitrario e fornisce uno strumento  pratico abbastanza maneggevole che esprime, con  un buon  livello di complessità, i copioni corrispondenti.

Senza dilungarci sull’esposizione del percorso di ricerca intrapreso dal Prof. Masini, che lo ha condotto negli anni a maturare una complessa esperienza di lavoro sul campo in vari settori, dal disagio scolastico, alla formazione dei docenti, ai progetti per la gestione delle assemblee, al lavoro sull’orientamento lavorativo e scolastico, al lavoro con i giovani delle comunità di recupero, passiamo ad  accennare le emozioni di base anticipando che è proprio dalle emozioni che nascono i sentimenti e i valori della persona.

Masini dimostra che tutte le emozioni possono trasformarsi in sentimenti positivi o negativi in ragione dell’orientamento affettivo con cui si esprimono. Così, ad esempio, la carica della rabbia si può trasformare in impegno verso la realizzazione di obiettivi e la paura può evolvere verso una prudente responsabilità e la vergogna verso un sano pudore e una sensibilità per l’altro.

Dice V. Masini “Artigiani dell’educazione sono tutti quegli uomini che, nella semplicità della vita quotidiana, agiscono con interventi educativi rivolti al loro prossimo e trasferiscono, da un generazione all’altra, la cultura dei valori costruita dall’umanità nel corso dei secoli.

 Il loro è un sapere artigianale, come artigianale il sapere educativo genitoriale tramandato, quello del tutore o del mentore (figure la cui efficacia viene oggi riscoperta e rivisitata), degli animatori dei gruppi giovanili, quello degli insegnanti che non hanno abdicato alla loro vocazione educativa, nonostante la burocratizzazione dell’istituzione scolastica, quello di uomini e donne che esprimono la loro missione nel portare un messaggio di orientamento positivo nei più svariati contesti”.(3)

La metodologia educativa dell’Artigianato Educativo inizia dall’analisi delle caratteristiche emozionali, presenti nei soggetti, e in base ad esse propone le strategie  educative che possano riequilibrare eventuali disarmonie.

 L’analisi dei copioni del disagio, descritti attraverso le personalità dell’avaro, del ruminante, del delirante, dello sballone, dell’apatico, dell’invisibile e dell’adesivo, viene perfezionata mediante il Questionario di Artigianato educativo che permette di leggere il rapporto con le altre personalità affini o opposte e di individuare il percorso pedagogico più idoneo.

La conoscenza di questi copioni permetterà di analizzare le sette modalità di esercizio della leadership, consentendo al dirigente scolastico di riflettere sulla propria modalità consueta di lavoro e offrendogli stimoli e riflessioni su come si possa modulare il rapporto con l’altro in modo da uscire dalle secche di rapporti burocratizzati e impersonali poco rispondenti alle esigenze di un gruppo di lavoro soddisfatto, produttivo e motivato (l’equipaggio di Conrad…).  

 (1) Lorenzo Barbagli-Counseling Orientamento e classi-Tipografia L’artistica – Perugia 2006)

(2) Francisco Bruno Gnisci Vice Presidente I.P.P.N.W (Associazione Mondiale Medici per la Pace) Premio Unesco 1984 e Premio Nobel per la Pace 1985 nella presentazione del libro”Dalle emozioni ai sentimenti”ed. Prevenire è Possibile 2000).

(3) Vincenzo Masini – Dalle emozioni ai sentimenti – ed. Prevenire è possibile- 2000

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLOVII

LE EMOZIONI DI BASE E GLI IDEALTIPI

Afferma V. Masini “Le tre fasi dell’empatizzazione del vissuto altrui (percezione, fusionalità, distanziamento) sono la descrizione del processo dinamico attraverso cui si realizza l’ ’’esperire del proprio io vivente, interagente con l’altro vivente, e si costruisce la riflessività interna del soggetto, dunque il sé. Nella scia della teoria dell’empatia il processo generativo di quel particolare modello di sé, che contraddistingue ogni persona umana,  è connesso al processo attraverso cui quella persona sperimenta le emozioni di base….Le diverse emozioni di base sono l’innesco del “sentire”, di quel “sentire” che diventa il personale filtro di un individuo nel rapportarsi agli altri, al mondo, a se stesso”. (1).

 Le emozioni di base sono “emozioni primarie che possono essere riconosciute per prime nei bambini di pochi mesi attraverso l’osservazione della mimica facciale e del loro presentarsi nello sviluppo emotivo del bambino”. (2)In letteratura non esiste un unanime accordo sull’elencazione delle emozioni di base; esse vanno da cinque a dieci e le loro descrizione varia in relazione alla teoria evolutiva che le sostiene. Quello che è certo è che tutti gli uomini, possono vivere le emozioni di base, ma non tutti riescono a viverle pienamente. V. Masini individua “sette copioni desunti dall’ interpretazione dei vissuti dei soggetti in disagio, dei modi di essere della persona nel rapporto con gli altri, con il sé e con il mondo che corrispondono alla ripetizione delle emozioni di base prototipiche.” (3). Le Emozioni di base individuate da Masini sono: Paura, Rabbia, Distacco, Piacere, Quiete, Vergogna, Attaccamento. Esse nascono tutte entro il primo anno di vita come risposta ad un evento biologico, che, generalizzata, diventa un modo di sentire e comportarsi tipico. Vengono descritte le tipologie che Masini descrive nel suo testo “Dalle emozioni ai sentimenti” ponendole in connessione con le emozioni di base.

 

 

 La Paura – L’AVARO

La paura è il prodotto del dolore. La sensazione di dolore più comune nel neonato è quella legata allo svuotamento dell’intestino, che, in più, fa sentire il piccolo vulnerabile.Esiste anche un’altra paura che può essere vissuta dal neonato e può renderlo insicuro, cioè l’imprevedibilità nelle abitudini della madre. Per paura si intende l’emozione che si accende in presenza di un pericolo. Il pericolo è qualcosa che può far male, qualcosa che può produrre dolore. Il ricordo di un dolore già vissuto in certe situazioni produce la paura. La Paura si manifesta con la forma di attenzione, all’erta, controllo su di sé e sull’ambiente, valutazione del pericolo per decidere se fuggire o attaccare, studio della distanza relazionale da mantenere. La Paura non è né buona, né cattiva. Può diventare una risorsa o l’espressione di un disagio. Può, cioè, trasformarsi in attenzione, cura, responsabilità, attenzione, affidabilità, autocontrollo, metodo, organizzazione, oppure esprimersi con l’inquietudine, l’ansia, la tensione, l’insicurezza, la preoccupazione, la diffidenza, il possesso, le difese dell’io l’ossessione, la mania. La droga tipica è la cocaina.

  La Rabbia - IL RUMINANTE

La rabbia nasce quando il neonato non vede esaudito un suo bisogno affettivo o di nutrimento. La rabbia è una carica interiore, un’energia, che si autoalimenta e spinge all’azione; l’aggressività è il modo di esprimerla.La rabbia è una forza che la persona può continuamente rigenerare attraverso la creazione di ostacoli reali o nemici immaginari, contro i quali muoversi. Oppure, la rabbia viene diretta verso se stesso, a causa del senso di colpa per azioni aggressive compiute o immaginate. La rabbia ha lo scopo di esprimere il risentimento per bisogni non soddisfatti. Quando si trova di fronte ad un ostacolo, la persona può caricarsi di rabbia che la spinge a muoversi per superarlo. Se la persona non riesce a superare l’ostacolo, la sua rabbia viene spostata altrove, magari attraverso lo sfogo. Ma lo sfogo non soddisfa il desiderio e riempie di sensi di colpa, cioè di rabbia contro se stessi. Anche il controllo e l’autocontrollo non servono contro la rabbia, perché la incrementano. La rabbia, nella sua forma positiva, si trasforma in coraggio, carica interiore impegno ed entusiasmo, desiderio di giustizia, motivazione al lavoro. Nella sua forma negativa è lo sdegno, la reattività, la collera, l’aggressività verso gli altri, la mentalità paranoide, l’aggressività verso se stessi, la depressione; ma anche il pregiudizio razziale, il conflitto sociale.

 

Il Distacco – IL DELIRANTE

Il distacco nasce quando il neonato comincia a capire che la madre è un oggetto separato da lui. Oppure quando sperimenta situazioni di sorpresa (come una porta che si chiude), o di disgusto (un sapore diverso dal latte materno). Il distacco è l’emozione della separazione, della libertà da ogni vincolo. Nasce dalla capacità di prendere le distanze da una situazione, per analizzarla meglio e trovare una soluzione. E’ l’emozione della sorpresa di fronte ad una intuizione, che cambia i punti di vista delle cose.  Il distacco è prodotto dalla necessità di liberarsi da un eccessivo controllo del mondo esterno, o da limiti fisici della situazione che si vive. Questo bisogno porta a rifugiarsi in un mondo di pensieri e fantasie, che distaccano da una realtà troppo limitante. Nella sua forma positiva il distacco si esprime con l’intuizione, l’acutezza di ingegno, la libertà del pensiero, l’autosufficienza; nella sua forma negativa porta all’individualismo, allo snobismo, all’eccesso di autostima, alla presunzione, alla superbia del pensiero, al pensiero schizoide, alla dissociazione. Le droghe tipiche per queste tipologie sono gli allucinogeni.

Il Piacere – LO SBALLONE

Il piacere nasce dall’esperienza di fusionalità, di essere tutt’uno con la madre e si esprime nei sorrisi e nei gridolini di gioia. Il Piacere è l’emozione del benessere, è connesso intimamente con la perdita dei confini, di sentirsi tutt’uno con l’altro. Queste emozioni si vivono nel rapporto affettivo tra madre e neonato, oppure nel rapporto sessuale, oppure nell’eccitazione per un evento tanto desiderato. Tuttavia, gli oggetti che producono Piacere sono soggettivi, dal momento che il tipo di emozione vissuta dipende dalla personalità e dalla storia della persona. Nella forma positiva la ricerca del piacere conduce all’attrazione verso l’altro, alla fusionalità, alla generosità, allo slancio , alla tolleranza. Nella forma negativa la ricerca di Piacere costante può portare al bisogno continuo di eccitazione porta all’insaziabilità emozionale, alla ricerca dell’effimero e del superficiale, al narcisismo, all’edonismo, al vuoto esistenziale, all’angoscia, all’isteria. Le droghe tipiche sono quelle sintetiche.

 

 La Quiete – L’APATICO

La quiete nasce dall’assenza di qualsiasi bisogno o sensazione e viene vissuta dal neonato quando è appagato e tranquillo. La quiete è lo stato di spegnimento di ogni energia, conseguente, nella sua forma positiva, all’appagamento di ogni bisogno. E’ la situazione in cui si trova il bambino dopo aver mangiato, non troppo, o al risveglio in presenza dei genitori. Esiste una forma costruttiva di quiete che significa capacità di fare calma, accettazione , serenità, pace, placidità, mitezza. Esiste anche una forma distruttiva di quiete, che nasce quando la realtà perde importanza per la persona o quando la persona si sente impotente di fronte alle situazioni. In questi casi, la quiete può assumere forma negativa diventando noia, pigrizia, rassegnazione, svogliatezza, fuga dagli impegni, pigrizia. La droga tipica è l’eroina.

La Vergogna – L’INVISIBILE

La vergogna nasce dalla sensazione di essere gettati nel mondo, di essere travolti da tutti gli stimoli esterni. Il bambino vuole ritrarsi, nascondersi, perché si sente incapace di gestire troppe cose tutte insieme. La Vergogna è l’emozione che va dall’imbarazzo, al pudore, all’inibizione, collegata al sentirsi gettato nel mondo, al desiderio di scomparire e di ritrarsi. Per questo motivo la vergogna rende particolarmente sensibili agli stimoli esterni. Una caratteristica della Vergogna è quella di aumentare di intensità, fino a portare a vergognarsi di vergognarsi. Così, la persona vuole diventare sempre più piccola, tanto da scomparire o sprofondare. Nella sua forma positiva la vergogna può divenire pudore, sensibilità, riservatezza, capacità di stare in disparte, saper sostenere gli altri. Nella sua forma negativa la vergogna assume la forma di inibizione, senso di inadeguatezza, insufficienza del sé, senso di inferiorità, invidia e senso di colpa, fobie. L’alcool è la droga usata da queste tipologie di persone.

L’Attaccamento – L’ADESIVO

L’attaccamento nasce dalla sensazione piacevole di essere oggetto di cura, di essere avvolto affettivamente e riconosciuto dalla madre. L’Attaccamento è una sensazione biologica, che diventa emozione di base nel rapporto del piccolo con la madre. “La spinta biologica ad esistere lo porta a succhiare e, nel succhiare incontra l’altro. L’attenzione che empatizza diventa voglia di essere oggetto di attenzione, bisogno di attenzione, bisogno di nutrimento.” Quando l’Attaccamento è avvenuto con amore, si esprimerà nell’adulto attraverso la tenerezza,  la fedeltà,  la devozione,ecc. Quando l’Attaccamento materno è stato conflittuale verrà espresso da adulto con bisogno di dipendenza, avidità affettiva e alimentare. Infatti, l’eccesso di Attaccamento o la sua carenza rendono la persona insicura della propria capacità di farsi amare, ma anche della propria capacità di fare. Anche nel caso di questa emozione di base, quindi, essa può evolvere verso aspetti negativi quali la povertà affettiva, il bisogno di accettazione, l’insaziabilità affettiva, la bulimia, la disposizione al condizionamento e alla dipendenza. In campo di droghe tali soggetti sono portati ad usare droghe di ogni tipo, senza preferirne alcuna in particolare.

La trasmutazione delle emozioni

Attraverso le caratteristiche delle emozioni si può spiegare come gli eventi intorno a noi cambiano il nostro stato emotivo.

 Così la paura attiva la carica interna e motiva all’azione, sia nel senso della motivazione e dell’aggressività (rabbia) che nel senso dell' attaccamento.

La rabbia, come attivazione di processi di azione, può innescare processi di distanziamento rispetto alle cose attivate che non possono essere seguite contemporaneamente (distacco), oppure spostarsi verso la necessità del controllo per salvaguardare il prodotto.  

Dal distacco può prendere forma l’intuizione e la sorpresa che apre la porta all’emozione del piacere, oppure l’impegno e l’ energia, visto che è necessario trovare la carica necessaria per affrontare la complessità delle intuizioni.   

 Il piacere, quando diventa intenso e si spegne la fusionalità, porta alla tristezza, all’amarezza; per affrontare questa sensazione spiacevole si struttura l’emozione della quiete, che porta a non sentire il dolore del dispiacere, oppure si struttura il distacco che riporta la persona verso nuove potenziali scoperte e sorprese.    

La quiete spegne l’attivazione e può aprire le porte alla pigrizia per cui la persona non si mette più alla prova e cade nella disistima: ciò la conduce all’emozione della vergogna; la quiete, al contrario, quando viene accesa da situazioni coinvolgenti dal punto di vista relazionale, evolve verso la ricerca del piacere fusionale.    

La sensibilità e la richiesta di approvazione espressi nell’emozione della vergogna,  si possono tramutare in richiesta d’affetto in attaccamento oppure in indifferenza e apatia.

L’attaccamento  genera la necessità del mantenimento della stabilità del rapporto con gli altri; ciò può condurre alla paura di perdere l’oggetto dell’attaccamento o alla scarsa fiducia nella capacità personali che conduce alla vergogna .

Facendo leva si un’emozione data, intorno a cui si è costruito il copione ricorrente della persona, è possibile innescare trasmutazioni emozionali verso le emozioni ad esse adiacenti.

 (nella tabella delle adiacenze sotto riportata, tratta dal testo di V. Masini “Dalle emozioni ai sentimenti”, si evidenzia come si possa passare da un’emozione all’altra)

 

 

 

 

 

(1)          Vincenzo Masini -  Dalle emozioni ai sentimenti – ed. Prevenire è possibile 2000

(2)          Dizionario essenziale di counseling – Ed. Prepos” 2007

(3)          Vincenzo Masini -  Dalle emozioni ai sentimenti – ed. Prevenire è possibile 2000

 


 

CAPITOLO VIII

 EMOZIONI DI BASE E TIPOLOGIE DI PERSONALITA’

Dopo avere analizzato brevemente le emozioni di base che danno luogo alle diverse tipologie di personalità accennate, si ritiene utile analizzare gli idealtipi proposti da V. Masini in un’ottica che vede il nesso tra le emozioni di base, la tipologia e il valore che viene espresso da essa. L’analisi degli idealtipi, sotto riportata è una sintesi tratta dal testo di V. Masini “Dalle Emozioni ai Sentimenti”.

 La descrizione delle diverse tipologie, effettuata sulla base delle sette Emozioni di base, è utile perché offre una griglia di lettura capace di suggerire idee per una comprensione empatica dell’altro, pur nella consapevolezza che la personalità reale è sempre la risultante di elementi tipici dei copioni descritti. La consapevolezza dei tratti di personalità delle persone con cui abbiamo continue relazioni di vita e di lavoro costituisce un utile bagaglio conoscitivo ed esperienziale che continuamente si arricchisce, tale da favorire i rapporti tra le persone che abbiamo accanto e da tracciare il percorso migliore per valorizzare le risorse umane.    

Paura - Avaro – Affidabilità

La personalità dell’ Avaro, che si forma intorno ai diversi modi di respingere, controllare e gestire la paura, è conseguenza dell’esperienza del dolore. La strutturazione della personalità dell’Avaro è connessa con la fase anale, in cui il bambino può sperimentare una condizione di particolare vulnerabilità legata allo svuotamento dell’intestino; in tale fase il bambino scopre di potere ‘trattenere’ ciò che prima avveniva come un automatismo. L’Avaro è una persona che ha costruito le sue difese in modo che nulla possa penetrare dall’esterno ferendola. L’Avaro è preciso e meticoloso; cerca di avere il massimo controllo sulle proprie emozioni; tuttavia viene tradito dal corpo che può manifestare disturbi gastrointestinali anche gravi. Il suo mondo interiore è caratterizzato dal controllo sull’ambiente, sugli altri , su sé stesso; ciò lo porta ad essere chiuso, a non esprimere i suoi vissuti che, se problematici, vengono subito rimossi. La sostanza degli atti emozionali gli sfugge, ha difficoltà a comprendere veramente i vissuti altrui. L’Avaro è portato a valutare gli eventi in base ai suoi schemi mentali. Quando essi non funzionano, egli entra in confusione e torna ad effettuare ulteriori rimozioni e controlli; in tal modo il contatto con il sé si allontana. L’Avaro non tollera l’indecisione e il dubbio, è una persona che punta all’efficienza. Nonostante la sua costante ansia, può apparire equilibrato e controllato, in grado di gestire ogni situazione, anche se teso e contratto. Difficilmente sbaglia; ma quando accade, è sempre a causa della sua paura di commettere errori. E’ una persona orgogliosa in senso utilitaristico, che tiene al suo prestigio e raramente attribuisce a sé i suoi errori. Gli aspetti patologici riguardano i disturbi d’ansia, i disturbi ossessivi e compulsivi, le manie, le ipocondrie. Se L’Avaro riesce a rompere il guscio entro cui si è rifugiato e riesce ad accettare i sentimenti, impara la tolleranza e la generosità; così sarà una persona responsabile, affidabile. I suoi valori diventano la responsabilità e la cura: invece di imporre la sua visione delle cose si pone il problema di che cosa sia utile per l’altro. Un altro valore è la sua capacità di pianificazione e organizzazione.

 

Rabbia - Ruminante – Energia

Questa emozione primaria scaturisce dall’avere trovato un ostacolo che impedisce “l’andare verso la meta”. Dalla emozione di base della rabbia prende forma la personalità del Ruminante, caratterizzato da uno stile comunicativo carico di energia. E’ il bimbo che si carica di energia per scavalcare l’ostacolo che si frappone fra lui e la mamma. All’origine c’è l’attivazione che mobilita le risorse e motiva all’azione, ma nel momento che si verifica l’incontro con l’ostacolo, l’attivazione si esprime in rabbia. E più la rabbia è compressa più risulta esplosiva. Il Ruminante è come l’acqua cheta che ribolle. Il suo desiderio è stare acceso, perché questa è l’unica dimensione che sa vivere. E’ iperattivo e sa faticare per ciò che vuole ottenere. Gran lavoratore, è potente e riesce ad attivare gli altri con la sua energia, ma non ha pazienza ed è frettoloso. La crisi del Ruminante  si ha quando rivolge verso di sé la carica che, di solito, rivolge verso l’esterno, dando luogo ad un percorso depressivo. Far evolvere la depressione in modo sano è possibile solo attraverso l’apertura ad uno sfogo verbale del Ruminante, che finalmente incontra qualcuno cui raccontare le ingiustizie che ha subito. Questo processo può culminare nella paranoia, ovvero, nell’illusione di persecuzione e/o grandezza attraverso cui il Ruminante si inventa nemici per attingere ancora la carica con cui ruminare. Il Ruminante diventa evoluto con l’aiuto di qualcuno che ha assorbito la sua aggressività e che lo ha indirizzato verso impegni costruttivi. Quando è maturo, la sua personalità è contraddistinta dal valore dell’impegno e della giustizia, dalla  tensione protettiva, dalla carica interiore, dalla motivazione al lavoro e dal coraggio. E’ un trascinatore e un leader che sa motivare il gruppo.

 

 

Distacco - Delirante – Creatività

Il movimento del distacco assomiglia al ‘prendere le distanze’, ovvero ad un allontanarsi consapevole (anche se non necessariamente intenzionale) da qualche attaccamento…Sul piano delle sensazioni il distacco è connesso al trasalimento e la sorpresa che implicano una riorganizzazione delle precedenti sensazioni e che si determinano quando il percepito…non è congruente con le precedenti conoscenze…La sensazione di disgusto si forma nel bimbo quando egli sente un sapore diverso dal latte materno…L’eccesso di attaccamento della madre può produrre …o una struttura dipendente o una struttura eccessivamente indipendente…Quando al disgusto si accompagna l’affettività materna e le altre sensazioni della sua presenza, si attua una dissociazione compensata con una nuova associazione che consente la scoperta di un nuovo gusto, e cioè la sorpresa”. Dall’Emozione del Distacco prende forma la personalità del Delirante, che si esprime attraverso la libertà, creatività, l’intuizione, l’acutezza di ingegno. Questa persona vive soprattutto dei suoi pensieri; è una persona originale, che analizza i problemi in modo originale, ma appare spesso presuntuoso. Egli ritiene che la condiscendenza verso l’altro sia una perdita di sé perché, avendo sperimentato eccessi di avvolgimento, è portato a reagire con eccessi di distacco, di autonomia. L’eccessiva stima di se stesso lo porta ad una esagerata fiducia nelle sue possibilità, arrivando alla superbia e allo snobismo. Lo sviluppo nella direzione della patologia può condurre la persona verso il disturbo schizotipico della personalità, l’iperproduttività creativa, l’incapacità di pianificare il futuro, le difficoltà di adattamento, i disturbi dell’alimentazione quali l’anoressia.

    Il Delirante non ha un buon controllo sul suo corpo (che appare disarticolato), sui capelli (spesso scompigliati), sul suo comportamento non verbale (incoerente con il verbale). Spesso lo spazio in cui si muove, è disordinato e caotico, pieno di cose diverse, a cui cambia destinazione d’uso a seconda delle esigenze. Nella sua forma evoluta il Delirante è una persona libera, autosufficiente, capace di gestire la propria solitudine, dotato di un buon livello di autostima ed estremamente acuto e originale. E’ una persona che ha maturato nella direzione del senso di realtà e dell’umiltà. Se riesce a ad applicare il suo pensiero alla realtà il Delirante diventa capace di trovare soluzioni e strategie nuove. La libertà è il valore che esprime la forma evoluta di tale persona.

Piacere - Sballone – Coinvolgimento

La percezione del piacere è connessa solo a chi riesce a ‘lasciarsi andare’, a godere i diversi gusti della vita. Maggiore è il controllo e l’autocontrollo minori sono le sensazioni di piacere percepite. Dall’Emozione del Piacere deriva la personalità dello Sballone, che ha uno stile comunicativo coinvolgente. Questo tipo è alla continua ricerca di emozioni intense, in un’oscillazione costante tra angoscia e piacere. La spontaneità per lo sballone è il valore assoluto attraverso il quale interpreta il suo rapporto con il mondo. Lo sballone, quando la sensazione di piacere si attenua, cede nella malinconia manifestando esagerate oscillazioni nell’umore. Le patologie derivanti dall’esasperazione incontrollata di tali oscillazioni sono l‘isteria, il disturbo istrionico di personalità, i disturbi di identità di genere. Nella forma matura questa personalità si esprime con l’adesione al valore della generosità, con il carisma, con lo slancio e l’attrazione verso gli altri, la fantasia, l’entusiasmo e la simpatia. Nella forma immatura questa tipologia si esprime con narcisismo, incoerenza e volubilità, incontenibilità, scarsa capacità di concentrazione.

 

 

Quiete - Apatico – Flessibilità

La quiete viene perseguita come situazione ideale di stabile rilassamento, conseguente allo spegnimento delle tensioni. Quando i riflessi del neonato scompaiono, compare la quiete attiva e contemplativa attraverso la quale egli assorbe informazioni dal mondo ed entra in contatto con l’affettività. L’apatia è una condizione di assenza di stimoli che ripiega nell’indifferenza, nell’indolenza e nell’insensibilità anche affettiva. Il copione dell’Apatico può essere la conseguenza dell’indifferenza con cui un essere umano è stato accolto e trattato. Dall’Emozione di base della Quiete deriva l’Apatico, che si esprime con uno stile comunicativo flessibile, accomodante. L’Apatico è il tipo flemmatico, elegante, demotivato e indolente; può essere tanto pigro, da odiare i conflitti, solo perché lo agitano e disturbano la sua quiete. Nei casi negativi, è la fuga dagli impegni e dalla realtà attraverso l’incantamento,attraverso l’anestesia emozionale e l’indifferenza. I disturbi patologici della personalità dell’apatico si esprimono nell’abulia, nell’astenia, nel disturbo passivo di personalità, nel disturbo di depersonalizzazione. L’ Apatico evoluto è una persona che sa tranquillizzarsi e tranquillizzare, che si rilassa e dona pace a se stessa e agli altri. Per fare questo ha dovuto trasformare in positivo le diverse emozioni con cui è entrato in contatto, distinguendo tra apatia e quiete contemplativa. Il valore dell’Apatico è la pace.

Vergogna - Invisibile – Sensibilità

Si intende comunemente per  vergogna una emozione che va dall’imbarazzo, al pudore, all’inibizione. E’ probabile che l’emozione della vergogna prenda forma intorno ai sei mesi, periodo in cui si è soliti individuare il momento critico della differenziazione del bimbo dalla madre. Dall’Emozione di base della Vergogna si forma la personalità dell’Invisibile, che si esprime attraverso l’empatia e la sensibilità. L’invisibile è un introverso che non riesce a gestire la sua sensibilità perché i significati, che dà alle cose che succedono, sono troppo carichi di simboli inquietanti.  Per questo si sente piccolo e indifeso, inferiore agli altri e incapace, inutile e intrappolato nella vergogna o nel panico.  La sua incapacità a rapportarsi lo fa oscillare tra il senso di inferiorità e la superiorità. Le sue energie sono, così, attivate dall’invidia e dalla gelosia; ciò lo conduca ad assumere atteggiamenti di istigazione. Le patologie connesse con tale tipologia riguardano i disturbi di tipo autistico, il disturbo evitante di personalità, la fobia sociale, la agorafobia, le ipocondrie, i disturbi di balbuzie. L’alcool è la sostanza elettiva per l’invisibile. Nella forma evoluta l’Invisibile matura una grande capacità di aprirsi all’esterno con lo scopo di sollevare che sta vivendo una sofferenza. L’Invisibile è capace di coglimento empatico al punto che sa vedere la sofferenza altrui anche quando è nascosta. Umiltà e condivisione sono i suoi valori portanti.

Attaccamento- Adesivo – Socialità

La condotta di attaccamento ai cuccioli è un comando biologico, a protezione della vita neonatale. La sensazione di attaccamento diventa emozione nel sé quando è pienamente sperimentata nel duo bimbo-madre. Solo se gli attaccamenti sono su entrambe le parti, può essere avvertita la coesione. In caso contrario, separazione o perdita, si instaura il continuo bisogno di attaccamento che deriva dalla rottura di quello stato di grazia. L’Emozione dell’Attaccamento produce il tipo Adesivo. La caratteristica dell’Adesivo è l’attaccamento, che si esprime nella forma vicariante dell’appagamento attraverso il cibo. Ne può derivare una forma patologica del rapporto con il cibo, la bulimia. Questo tipo, in quanto sente il suo sé senza valore,  ha sempre bisogno di essere visto, guardato, riconosciuto. E’ quello che fa si mette in mostra fin da piccolo fino ad interpretare il ruolo del pagliaccio in un gruppo, pur di essere considerato. E’ la persona appiccicosa, invadente sempre pronta ad offresi per fare qualcosa. Per tale ragione rischia di essere dipendente e condizionabile.  E’ un po’ maldestro, perché mette molta energia nel fare le cose, per conquistare l’amore altrui. A questo tipo è mancato l’amore e lo cerca ovunque. La qualità principale di questa Tipologia di Personalità è la devozione, la fedeltà e la lealtà. Se l’Adesivo ha colmato il suo bisogno di affetto e di attenzioni, riesce ad essere affettuoso, sensibile e premuroso. E’ un ottimo gregario che sa tenere il gruppo. La fedeltà è il valore che sa esprimere l’Adesivo evoluto.

(1)          V. Masini -  Dalle emozioni ai sentimenti – Prevenire è Possibile 2000

 

CAPITOLO IX

STILI DI LEADERSHIP

Non si può non ammettere che il dirigente scolastico, come l’insegnante o il leader o chiunque abbia la responsabilità della guida  e della direzione di un gruppo di persone , svolge anche compiti educativi. Ciò risalta all’evidenza dei fatti se si pensa alle azioni che un leader attiva nell’ambito dell’organizzazione. Quando, ad esempio, deve motivare verso il raggiungimento degli obiettivi deve incoraggiare e coinvolgere le persone; se deve promuovere la creatività e la produzione di idee significa che deve saper insegnare l’espressività e la creatività; se vuole far crescere l’empowerment deve saper puntare sulla crescita della consapevolezza di sé e dello spirito di gruppo; se vuole far crescere la coesione deve saper anche gestire i conflitti ecc. L. Barbagli (1) individua le seguenti funzioni educative della leadership in connessione con le sette tipologie di personalità attinenti alle sette emozioni di base:

·               Area delle funzioni organizzative: questa è l’area della responsabilità, vale a dire delle funzioni burocratiche e dell’efficienza organizzativa e del controllo che attengono più specificamente al management.

·               Area delle funzioni e delle pratiche produttive: questa è l’area dell’impegno, che si sviluppa nello sviluppo dell’intraprendenza, della motivazione, del problem solving, del coraggio, del senso giustizia.

·               Area della creatività e dell’innovazione :  questa è l’area della libertà, cioè del riconoscimento delle potenzialità umane, dell’innovazione, delle strategie , della produttività di idee, delle intuizioni.

·               Area della comunicazione e dell’espressività: questa è l’area della generosità; in essa rientrano la partecipazione, il coinvolgimento nella vision, il senso della mission, la creatività, la fantasia, la capacità di marketing, la fiducia in se stessi e la disponibilità verso gli altri.

·               Area della diplomazia: è l’area cha si riferisce alla capacità di fare calma, di portare pace; ciò significa saper mediare e assorbire i conflitti, saper agire con discrezione e valutare le opportunità positive delle varie situazioni.

·               Area della conoscenza tecnica e della definizione degli obiettivi:questa riguarda l’umiltà  e il sacrificio; significa saper individuare i bisogni di tecniche e metodi, rendersi consapevoli della necessità delle conoscenze e delle competenze, significa anche individuare obiettivi realistici e sensati e fare in modo di perseguirli nonostante le difficoltà e la fatica.

·               Area della relazionalità e dell’affettività: questa è l’area della fedeltà, del senso di appartenenza, della coesione del gruppo, delle spirito di squadra, dell’unità interna, dell’attenzione verso gli altri, dell’amicizia.    

In questi ultimi anni, L. Barbagli, in collaborazione con il prof. Vincenzo Masini e la dott.ssa Emanuela Mazzoni, ha costruito e sperimentato nella pratica della formazione e della didattica scolastica alcuni stili di leadership e alcuni archetipi comportamentali di followership (personalità collettive) cercando una coniugazione pratica che consideri sia l’aspetto del leader che quello della leadership.

Egli distingue, per poi trattarne l’integrazione con i gruppi, sette differenti modelli di leadership, in diretta connessione con le aree di educabilità e le funzioni educative del leader:

“1) Leadership organizzativa (Avaro): è uno stile di leadership centrato sul controllo, sulla funzionalità e sulla responsabilità. Il leader organizzativo è colui che con fermezza e decisone, se pur con saggia oculatezza e diplomazia, ordina e struttura l’azione collettiva sentendosi responsabile degli eventi. Abbastanza freddo ed inespressivo, è affidabile e stabile. Tecnica e procedurale. Il suo rischio è di diventare decisamente oppressiva e/o ossessiva.

2) Leadership motivante(Ruminante): è uno stile centrato sulle dinamiche di attivazione, di produzione e sulla reattività primaria. E’ uno stile deciso e istintivo, netto e determinato, instancabile. Il leader motivante trascina il gruppo nelle imprese e di fatto svolge la funzione del rompi-ghiaccio, instillando nel gruppo coraggio e fiducia per l’impresa. Difende il gruppo con forza. Può diventare uno stile intimidatorio

3) Leadership creativa (Delirante): si caratterizza per una visone inventiva e creativa del gruppo e delle attività, riflessiva nella comprensione e acuta e geniale nelle soluzioni. Fortemente innovativa e brillante, carismatica è invece uno stile di leadership centrato sulle idee e sulla forza di queste. Fortemente ispirato ai valori della libertà, il leader creativo non dà incarichi ma raccoglie le libertà individuali e le riconosce e potenzia. Rischia però di diventare dispersiva e troppo blanda, aprendosi alle squalifiche interne ed esterne.

4) Leadership coinvolgente(Sballone): è questo invece uno stile decisamente carismatico e istrionico, narcisistico e centrato sulla figura del leader coinvolgente. Consensuale e seduttivo, il leader in questione conquista il gruppo come un suo pubblico, indirizzandone le energie e le azioni nelle necessarie direzioni, accendendo di passione e slancio gli animi del gruppo. Il maggior rischio è che dietro al carisma non si nasconda sostanza, lasciando spazio al suo interno a seduzioni per cui il fine reale del gruppo diventa la venerazione del leader.

5) Leadership opportunistica (Apatico): è molto blanda e leggera, potremmo definirla a maglie larghe, ma osserva e indirizza le energie con sapienza e attenzione. Ottimizza gli sprechi di energie e mantiene fermezza e stabilità con bassi costi anche nei momenti di tensione. Il leader opportunistico è una sorta di rimbalzista, non costruisce l’azione, ma la lascia evolversi dando qua e là aggiustamento e consigli procedurali e lasciando ampi spazi agli individui. Rischia però di diventare un’assenza di leadership, aprendosi a tutte le demotivazioni e le oppressioni da parte dei subordinati.

6) Leadership invisibile (Invisibile): anche questo è un modello di leadership a maglie larghe, metaforicamente richiama all’immagine delle eminenze grigie delle organizzazioni. Si imposta sulla libertà d’azione dei componenti del gruppo, offrendo però canali e obiettivi in cui canalizzare le energie come nel caso della leadership opportunistica. A differenza di questa ha però l’attenzione ed il sostegno degli individui,  ed un forte orientamento all’espressione e allo sviluppo delle individualità. Suggerisce e sostiene le azioni dei componenti, avvertendoli di eventuali rischi e di pericoli per il gruppo, percependo le intrusioni ed i nemici esterni ed interni. Al contrario, corre il rischio anch’essa di apparire come una non-leadership, di ottenere un basso consenso interno (poiché non coinvolgente) o di diventare istigante auto-distruttiva perché incapace di difendersi dalle oppressioni e dalle seduzioni o di non trasmettere fiducia al gruppo.

7) Leadership affettivo-relazionale (Adesivo):  l’ultimo modello, si centra infine sulle relazioni e sulle persone. L’obiettivo di tale leadership non è la gestione della produzione, dell’innovazione o la prontezza amministrativa e normativa ma l’affiliazione gruppale e l’unità interna, nel rispetto delle differenze e nella valorizzazione dei comportamenti socio-solidali interni al gruppo o di collaborazione. Trasmette il senso di squadra e di team, unisce e affilia i componenti verso una dimensione affettiva e quasi familiare, riassorbendo le intemperanze e gli eccessi. E’ dinamica e attiva, ma rischia di diventare invischiante e manipolatoria.”

Il lavoro di Barbagli presenta una tavola sinottica in cui il modello proposto, detto transteorico, viene messo in relazione diretta con i paradigmi sulla leadership vigenti in letteratura, mettendone in luce le caratteristiche relazionali:

 Modello Transteorico

Likert e Lewin

Fielder e coll.

Organizzativa

Autoritaria/autocratica

Autoritaria

Motivante

Autoritaria/autocratica partecipativo/Democratica

Autoritaria/partecipativa

Creativa

Partecipativo/democratica  permissivo/lassista

Autoritaria/partecipativa

Coinvolgente-consensuale

Partecipativo/democratica permissivo/lassista

Partecipativa/da taverna

Opportunistica

Permissivo/lassista

Lassa

Invisibile

Autoritaria/autocratica permissivo/lassista

Lassa/autoritaria

Affettiva

Autoritaria/autocratica partecipativo/Democratica

Partecipativa/da taverna/autoritaria

 

Nella tabella seguente Barbagli mette in relazione le tipologie del modello trans teorico e la valenza della funzione tipica per ciascuna tipologia:

 Modello di leadership

Funzione trasformazionale

Organizzativa

Credibilità – Guida

Motivante

Motivazione – Sfida

Creativa

Visione – Guida

Coinvolgente/consensuale

Fiducia – Sfida

Opportunistica

Empowerment – Guida

Invisibile

Esempio – Credibilità

Affettiva

Motivazione – Fiducia

 

Nella terza tabella, infine, si connettono gli stili di leadership con le funzioni educative a cui rispondono ed i conseguenti spazi di educabilità distinti in precedenza:

Modello di leadership

Funzioni educative

Organizzativa

Area delle funzioni organizzative

Motivante

Area della produzione

Creativa

Area della creatività e dell’innovazione

Coinvolgente/consensuale

Area della comunicazione e dell’espressività

Opportunistica

Area della diplomazia, della mediazione e della gestione dei conflitti

Invisibile

Area della competenza tecnica e della definizione degli obiettivi

Affettiva

Area della relazionalità

 

Appare evidente che non è  indifferente utilizzare uno stile di leadership piuttosto che un altro; non tutti i gruppi, infatti, necessitano degli stessi stili di leadership per crescere e svilupparsi.

Ma come si fa ad individuare volta per volta quale sia lo stile più adatto? Barbagli e i suoi colleghi affermano che ogni stile deve essere considerato come necessario al suo gruppo (personalità collettiva) opposto. Infatti se si  utilizza ad es. una leadership affettivo-relazionale all’interno di un gruppo unito, questo vuol dire farlo pian piano diventare invischiato, rinforzarne il copione. Invece, lo stile scelto dovrebbe avere l’obiettivo opposto che è quello di far uscire tale gruppo dall’invischiamento e dalla dipendenza, favorendo la libertà e l’ autonomia, la produzione delle idee, la valorizzazione delle risorse personali.

Il leader, insomma deve saper modulare in maniera articolata ed oculata il suo agire in vista dell’opportunità o meno di determinate scelte relazionali in funzione della vitalità e della produttività del gruppo. Ogni stile, utile per la personalità collettiva opposta, può essere dannoso per tutte le altre.

(1) Lorenzo Barbagli -  Counseling, Orientamento e classi – Tipografia l’Artistica 2006  

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO X

 

IL QUESTIONARIO SULLO STILE DI LEADERSHIP

 

Lo stile di leadership è il comportamento posto in essere dal leader allo scopo di gestire e sostenere i gruppi; esso diventa efficace se è appropriato alle funzioni del gruppo. Masini (1) distingue tra:

·   Potere empowered che si fonda sull’assunzione di responsabilità, sulla capacità di affrontare i problemi valorizzando e rispettando l’altro e riconoscendo che l’errore fa parte del processo di apprendimento, sulla valorizzazione della creatività e della libertà;

·   Potere convenzionale che si manifesta facendo appello all’autorità, alle norme, alla gestione calcolata delle relazioni, facendo leva sull’intimidazione, sui favoritismi, sull’arroganza.

E’ chiaro che il potere empowered  si fonda sulle competenze di gestione dei gruppi variamente differenziati:

a)     di fronte ad una struttura di gruppo amorfa sarà necessario iniziare con atteggiamenti  e obiettivi concreti e motivanti, semplici e chiari; In un secondo momento si potrà lavorare per attivare altre competenze nel gruppo che man mano comincerà a ritrovare l’affiatamento e la dimensione della consensualità.

b)     Di fronte ad una struttura di gruppo conflittuale sarà necessario, in primo luogo, fare in modo di ricompattare il gruppo attraverso una leadership consensuale per poi entrare nella fase strategica ed organizzativa e, in seguito, pervenire ad una fase di crescita delle capacità operative.

c)     Di fronte ad una struttura di gruppo fallita bisogna lavorare per comprendere il perché del fallimento al fine di fare emergere un progetto comune utilizzando la leadership consensuale; infine si deve passare alla fase della concreta realizzazione attraverso la leadership realizzativa e strategica.

L’empowered consiste, allora, nel sa saper adottare quel modello di leadership più adatto ai vari contesti, modellandosi alle relazioni interpersonali dei gruppi  e agli obiettivi da perseguire. Ciò significa che anche la pratica direttiva può essere funzionale a talune strutture di gruppo, mentre può essere disfunzionale in altre.

Una leadership priva di modelli, di schemi di azione e di conferme, non può che ricadere su vecchi modi di fare, su vecchie abitudini e non si può orientare al miglioramento delle relazioni interne della scuola.

Conoscere il proprio stile di leadership attraverso il questionario messo a punto dallo Studio PREPOS consente al dirigente scolastico di individuare le aree più carenti, il cui incremento consentirebbe, invece, di avere a disposizione un maggior ventaglio di possibilità comunicative e di intervento nei gruppi.

Il questionario di analisi dello stile di leadership elaborato dal Gruppo di Prevenire è Possibile consta di tre parti che analizzano:

- il rapporto con gli altri, cioè il proprio modo di considerare i valori su cui poggia il lavoro;

- il rapporto con il mondo, cioè il modo di entrare in relazione con gli altri;

- il rapporto con il lavoro, cioè il modo di affrontare gli aspetti pratici, organizzativi del lavoro.

Ogni settore contiene una serie di settanta domande, in gruppi di dieci, che corrispondono alle sette tipologie di leadership: organizzativa, motivante, creativa, coinvolgente/consensuale, opportunistica, invisibile, relazionale/affettiva.

Ciascuna di queste si ricollega idealmente alle tipologie di personalità corrispondenti e alle relative emozioni di base.

Il questionario, che si trova agevolmente sul sito www.prepos.it, va compilato segnando le affermazioni in cui il compilatore si riconosce: la compilazione deve essere semplice e veloce.

Le diverse affermazioni concorrono a formare un punteggio più o meno alto nelle caratteristiche che descrivono ciascun tipo di leadership. Al termine del questionario  i punteggi sono raccolti nella tabella finale  e successivamente  vengono trasformati in grafico attraverso il Programma Excel, scegliendo la modalità di tipo radar

. Una volta ottenuto il grafico, si può provare ad interpretarlo utilizzando, con i dovuti adattamenti, l’analisi delle tipologie di personalità corrispondenti e le relative emozioni di base (vedi tavola 1 tratta dal testo Di V. Masini “Dalle emozioni ai sentimenti”).

 

I sette raggi corrispondono  alle sette tipologie: Avaro, RuMinante, DElirante, SBallone, APatico, INvisibile, ADesivo. Il grafico “radar” darà 4 diversi perimetri, di cui uno è il totale, mentre gli altri, che si trovano all’interno di questo, rappresentano i punteggi realizzati nelle singole aree: Altri, Mondo, Sé.    

Una prima interpretazione del questionario è data dalla forma del perimetro del punteggio totale. Tanto più lo stile di leadership è armonico, tanto più il perimetro tende ad assumere una forma circolare. Se invece il perimetro appare con picchi in alcune direzioni corrispondenti ad alcune tipologie significa che si sta vivendo una situazione di particolare intensità per il ripetersi di quegli atteggiamenti in cui è alto il punteggio.

La leadership, sostiene L. Barbagli (2), è l’espressione più matura di una struttura di personalità.

La leadership organizzativa  è la più formale, basata sul controllo, sulla funzionalità, sulla responsabilità. Il leader organizzativo  (Analitico, Avaro) usa fermezza e decisione , sa essere diplomatico, si sente responsabile degli eventi. E’ affidabile e stabile, abbastanza freddo e inespressivo, ma può rischiare di divenire oppressivo e possessivo.

La leadership motivante  è centrata sulle dinamiche dell’attivazione, della produzione. Il leader (Pragmatico, Ruminante) è deciso e istintivo, sa trascinare il gruppo nelle imprese, difende il gruppo con forza; nelle degenerazioni può risultare intimidatorio.

Al contrario, la leadership creativa difficilmente riesce a favorire la progettazione. Invece è l’ideale quando c’è la necessità di un’ida nuova, di innovazione. Questo leader (Creativo, Delirante) non riesce a condensare le energie di un gruppo, ma si caratterizza per una visione inventiva , geniale; è un leader carismatico decisamente orientato verso la libertà: E’ una leadership che rischia di essere troppo blanda e dispersiva, bersaglio di squalifiche interne ed esterne.

La leadership coinvolgente (Sballone)  è uno stile carismatico ed istrionico, narcisistico, centrato sulla figura del leader. Questo leader sa conquistare il gruppo come se fosse un suo pubblico, accendendo passioni e slancio.  Ha buona capacità organizzativa, sa tessere contatti, stimola il benessere del gruppo.

La leadership opportunistica (Plastico, Apatico) conserva e impegna le energie con sapienza, sa economizzare le energie e mantiene bassi i livelli di emotività; non riesce a costruire l’azione, ma lascia che gli eventi accadano limitandosi a dispensare consigli. Rischia, nelle degenerazioni, di trasformarsi in assenza di leadership, bersaglio di demotivazioni o di oppressioni dei subordinati, perché non sa difendere il gruppo dagli attacchi interni ed esterni.

La leadership invisibile, tipica del percettivo, è a maglie larghe come quella dell’Apatico. E’ orientata al sostegno del gruppo, tendente alla libertà d’azione pur definendo obiettivi verso cui orientare l’azione. Tuttavia rischia di non apparire come una vera leadership perché non riesce ad ottenere consenso interno, diventa istigante ed autodistruttiva perché non sa difendersi dalle oppressioni e dalle seduzioni.

La leadership relazionale (Adesivo) è centrata sulle relazioni e sulle persone . L’obiettivo non è l’azione, ma la direzione del gruppo, la coesione interna. Trasmette il senso di squadra, affilia i componenti verso una dimensione familiare, assorbendo eccessi e intemperanze. Rischia, però, di diventare manipolatoria ed invischiante.

L. Barbagli (2) sostiene che quando sono presenti degenerazioni patologiche nelle strutture di personalità anche lo stile di leadership subisce delle interferenze. Glia analitici non evoluti, ad esempio, tendono a mettere in atto una leadership caratterizzata da un eccesso di controllo. La leadership motivante  può mostrare dei punti deboli nel caso sia presente un eccesso di aggressività per cui il leader può diventare una minaccia per il gruppo. La leadership creativa risulta inefficace quando il leader diventa dispersivo e con scarso contatto con la realtà, fino ad essere irresponsabile. L’eccesso di narcisismo è la minaccia della leadership coinvolgente. La demotivazione e la mancanza di identità sono le minacce per la leadership opportunistica. Nel gruppo guidato da un leader invisibile la minaccia sono le relazioni vittima-carnefice e le oppressioni subite. La leadership affettiva relazionale, infine, rischia di sfociare in svendita di sé, in comportamenti auto svalutanti, il leader si può trovare ad essere il capro espiatorio del gruppo e trovarsi invischiato in forme di dipendenza.

A mo’ d’esempio viene riportato di seguito il grafo relativo ad un  questionario di leadership e l’analisi che ne è scaturita.  

 

Esame del grafico

Il punteggio complessivo è 106, La linea del totale appare tondeggiante con il picco sull’AV, mentre il punteggio meno pronunziato è l’IN

Rapporto con il lavoro

Riguarda il proprio modo di considerare i valori su cui poggia il lavoro. La linea è quasi tondeggiante. Presenta le punte nello stile relazionale e consensuale/coinvolgente, significa che si ritiene importante fare gruppo e coinvolgere le persone usando l’affettività. La persona ritiene altrettanto importante le capacità di decidere e organizzare, di motivare le persone infondendo fiducia, di innovare e rilanciare l’immagine, come pure avere sensibilità per capire le persone, ma non tale da mostrarsi deboli e scoperti, e mantenere bassi i livelli di tensione, lasciando libere le persone di fare, ma in un contesto di responsabilità. Questo dirigente pensa che sia utile ottimizzare i tempi, ma senza lasciarsi travolgere dagli eventi. Il controllo è importante.

Rapporti con gli altri

Riguarda il modo di entrare in relazione con gli altri.

La linea non è dentro quella del lavoro. Rispetto al suo modo di considerare il lavoro e se stessi c’è differenza soprattutto per i punteggi superiori della L. organizzativa e motivante. Prevale cioè la parte dell’AV   e del RU, che sono  probabilmente caratteristiche personali. Significa che nel rapporto con gli altri riesce meno a coinvolgere come vorrebbe e a stabilire efficaci rapporti interpersonali. Prevale la paura di non riuscire a controllare le persone e la conseguente rabbia quando le cose non sono come dovrebbero. Anche se le strategie per trovare nuove soluzioni ci sono, come anche la capacità di mediare. C’è un conflitto interno di logoramento tra la ricerca dell’idea giusta per affrontare un problema e la convinzione che le cose non sempre dipendono da lui , che quindi quello che fa a volte non serve a niente , le cose vanno come devono andare… Le idee fanno fatica a connettersi, evaporano, si fa fatica a seguire passo dopo passo gli sviluppi delle idee., si teme il fallimento. L’IN è il punteggio più basso, significa che gli altri non si sentono sostenuti abbastanza e che non sa tenere bene il gruppo. Del resto è più alto il punteggio del RU.

Rapporto con il mondo

Riguarda il modo di relazionarsi con le cose pratiche.

La linea rossa è inclusa in quella gialla del lavoro. Significa che siamo dentro il percepito valoriale. La punta è sulla L. creativa e organizzativa.  Le idee non sempre trovano l’energia adeguata a portarle avanti: l’avvallamento del punteggio sul RU lo dimostra. C’è un’ansia di creare , innovare, risolvere problemi, che non sempre corrisponde ai risultati. C’è il conflitto interno dell’insofferenza cha porta alla rabbia verso se stessi per non saper armonizzare la necessità di ordine e di metodo con la necessità di lasciarsi andare, di trovare delle soluzioni anche in mezzo ad idee anche confuse. Gli altri punteggi sembrano più in equilibrio e dimostrano una certa capacità di concretezza e di saper attingere alle risorse delle persone.

 

 

 

 

(1)               V. Masini - La qualità relazionale e dell’apprendimento nella scuola – Ed. Prevenire è possibile 2001

(2)               L. Barbagli in “Dispensa su : leadership e modello trans teorico” sul sito www.Prepos.it

(3)               idem

 

 

 

 

CAPITOLO XI

 

GRUPPI, POTENZIALITÀ E CONFLITTI

 

Barbagli (1), sulla base delle Emozioni di base che danno luogo alle sette tipologie di personalità individuate ddl modello transteorico di PREPOS del gruppo di Vincenzo Masini, fa corrispondere ad ogni cultura e struttura valoriale nei gruppi alcune potenzialità che possono diventare risorse.

 Viene riportata la tabella che segue, in cui Barbagli mette in luce e riassume quello che possiamo identificare come risorse e punti di forza dei differenti tipi di gruppo; la tabella è stata completata con il riferimento alla tipologia di personalità (tra parentesi):

 

Tipo di gruppo

Punti di forza organizzativi

Organizzato/rigido (Avaro)

Organizzazione, stabilità, burocrazia

Intraprendente/conflittuale (Ruminante)

Intraprendenza, dinamicità, produttività

Creativo/dissolvente

(Delirante)

 

Innovazione, strategicità, libertà

Emozionale/inconcludente

(Sballone)

Consensualità, assertività, spirito di gruppo, carisma

Quieto/ anomico

(Apatico)

Diplomazia, adattamento, opportunismo, regolarità

Sensibile/fallito

(Invisibile)

Visualizzazione degli obiettivi, sostegno interno, rispetto delle individualità, precisione

Unito/invischiato

(Adesivo)

Relazionalità interna ed esterna, attivazione, consensualità

 

Bisogna , a questo punto, chiarire che cosa si intenda per personalità collettiva di gruppo. Traggo il concetto dal “Dizionario essenziale del counseling” Ed. Prepos  che la definisce come “quel modo di essere del gruppo centrato sulla qualità delle esperienze condivise, con una particolare struttura (e gerarchia)di relazioni interne, uno specifico stile comunicativo, valori ( o disvalori) di riferimento e, soprattutto, una qualità emozionale di base che è di sfondo al sentire collettivo del gruppo”.

L. Barbagli, allo scopo di rendere funzionale il suo modello in cui trovano spazio le varie differenziazioni idealtipiche dei gruppi, completa il suo lavoro individuando le dinamiche relazionali che si attivano in ogni gruppo, ciò che costituisce la caratteristica dominante di esso:

Tipo di gruppo

Dinamiche relazionali di affinità

Dinamiche relazionali di opposizione

Organizzato

Rigido

Integrazione; Complementarità

Insofferenza; Incomprensione

Intraprendente

Conflittuale

Incontro; Mediazione

Equivoco; Delusione

Creativo

Dissolvente

Riconoscimento; Dialogicità

Insofferenza; Logoramento

Emozionale

Inconcludente

Integrazione; Disponibilità

Delusione; Evitamento

Quieto

Anomico

Mediazione; Complementarità

Logoramento; Fastidio

Sensibile

Fallito

Riconoscimento; Incontro

Incomprensione; Evitamento

Unito

Invischiato

Disponibilità; Dialogicità

Equivoco; Fastidio

 

Infine, nell’ultima tabella riportata, Barbagli connette i modelli di strutturazione e di esercizio del potere espressi prevalentemente nei gruppi con le dinamiche di relazione di tipo negativo che possono produrre   disagio nei gruppi e che possono condurre a fenomeni di mobbing o di burn-out:

 

Tipo di gruppo

Tipo di potere esercitato

Disturbi relazionali

Organizzato

Rigido

Unilaterale,Unidirezionale,Logico/razionale

Oppressioni

Intraprendente

Conflittuale

Unilaterale, Unidirezionale, Logico/razionale

Intimidazioni

Creativo

Dissolvente

Trasformativo, Logico/razionale

Squalifiche

Emozionale

Inconcludente

Consensuale, Trasformativo

Seduzioni

Quieto

Anomico

Logico/razionale, Consensuale

Demotivazioni

Sensibile

Fallito

Logico/razionale, Consensuale, Unilaterale, Unidirezionale

Istigazioni

Unito

Invischiato

Consensuale, Unilaterale, Unidirezionale

Manipolazioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Barbagli, sulla base delle caratteristiche delle tipologie di personalità, distingue altrettante forme di relazionalità interne alle organizzazioni che le caratterizzano; l’analisi di tali caratteristiche risulta importante perché consente di comprendere quali possano essere le risorse dei gruppi e contemporaneamente, quali siano i punti di debolezza sui quali poter intervenire in termini di crescita e di sviluppo. Le descrizioni sono tratte dal testo “Counseling orientamento e classi” di Barbagli.

1.  Gruppi rigidi/organizzati: sono questi gruppi centrati sul controllo in cui può prendere forma il valore della responsabilità; la loro struttura relazionale si fonda principalmente sull’integrazione e la complementarietà interna ed esterna, sul raggiungimento degli obiettivi, sul mantenimento di ruoli e funzioni. IL loro punto di forza sono il realismo,  la stabilità, la capacità organizzativa. Il loro punto debole risiede  nella eccessiva burocratizzazione delle procedure che porta a lentezza, eccessiva precisione e forte gerarchia interna.

2.  Gruppi intraprendenti/conflittuali: questo gruppi si connotano come gruppi ad alto livello di energia interna, di attivazione e di dinamicità interna ed esterna. Hanno ottime capacità di problem solving. Il valore che sta alla base dell’azione è l’impegno e la produttività. In senso negativo, sono gruppi che possono degenerare in alta conflittualità per le dinamiche interne di equivoco e di delusione.

3.  Gruppi creativi/dissolventi: si fondano sulla differenziazione e sul riconoscimento del valore delle libertà individuali.  Sono gruppi che hanno ottime capacità di analisi e di ideazione creativa. Centrati sulle affinità della dialogicità e del riconoscimento, hanno ottime capacità di analisi e di riflessione sugli eventi. Questi gruppi, però, rischiano d dissolversi per l’allontanamento dei membri che vanno incontro  alle relazioni oppositive di insofferenza e logoramento.

4.  Gruppi emozionali/inconcludenti: sono centrati sull’espressività, sulla buona intuitività, sulla capacità di ottenere il consenso e di coinvolgere. Però , pur riuscendo anche a diventare funzionale, questo gruppo, rischia di incorrere in difficoltà organizzative per cui può andare incontro a delusioni oppure all’evitamento tra i membri.

5.  Gruppi quieti/anomici: questi gruppi  sono non-gruppi, a causa del loro spegnimento interno; hanno bisogno di un leader energico e direttivo che ne imposti l’azione. Il rischio è la disgregazione a causa delle dinamiche oppositive di fastidio e di logoramento.

6.  Gruppi sensibili/falliti: anche questo gruppo ha bisogno di una leadership strutturata e decisa. Sono gruppi che hanno un altissimo rispetto dei valori, sanno sostenere all’interno i membri a causa delle dinamiche relazionali di affinità di incontro e riconoscimento. Rischiano, però di non reggere a lungo per la scarsa stima di sé e per l’assenza di intraprendenza dovute alle dinamiche di opposizione di incomprensione e di evitamento.

7.  Gruppi uniti/invischiati: questi gruppi  presentano forti caratteristiche di affettività interna, dovuta alle dinamiche di disponibilità e di dia logicità. Rischiano,però, di diventare settari verso l’esterno e manipolatorio verso l’interno a causa delle dinamiche interne di opposizione di equivoco e fastidio.

      Nelle relazioni di opposizione si nascondono le radici dei diversi possibili conflitti che esplodono laddove le invidie, le antipatie, i rancori, le frustrazioni, le ansie, le amarezze, le insoddisfazioni non siano più contenute dal contesto attrattore del gruppo. Si descrivono brevemente, di seguito, le modalità di opposizione tra persone così come vengono individuate dallo Staff di  Prevenire è Possibile (2)  

 “L’INSOFFERENZA si verifica quando le persone si oppongono con costrutti articolati di comportamento. Quanto più uno è, intenzionalmente, ordinato, preciso, metodico, ripetitivo, tanto più l’altro è, intenzionalmente, confusionario, vago, innovativo e creativo. L’insofferenza intercorre tra il soggetto responsabile e controllato e il creativo indipendente e produce litigio.

La DELUSIONE si impianta stabilmente quando le persone avevano interpretato, illudendosi, il comportamento dell’altro in sintonia con le proprie aspettative. La delusione può manifestarsi  improvvisamente, a seguito di un inganno, ma cresce lentamente in piccole esperienze quotidiane, poco percettibili. La relazione di delusione reciproca corre tra le personalità intraprendente e quella espressiva. Conduce al risentimento espresso attraverso la calunnia o il tradimento.

Il LOGORAMENTO è frutto di rapporti superficiali con manifestazioni appariscenti ed estetizzanti. E’ una certa immagine, un tono sempre “sopra le righe”, che logora le persone costrette a dare risposte all’”altezza della situazione”, mai del tutto vere o del tutto chiare. Il logoramento si tipizza tra il creativo indipendente e le persone apatiche. La fuga dal logoramento si traduce nel tentativo di mantenersi indifferenti, ma l’accumulo conduce a manifestazioni di isteria

L’EVITAMENTO è precostituita indisponibilità alla relazione. I motivi psicologici  dell’evitamento sono: inibizione, incapacità di stabilire rapporti, eccesso di sensibilità, bassa autostima ma anche senso di superiorità, megalomania o superbia. L’espressivo ed il rassegnato si evitano reciprocamente. L’evitamento preclude ogni possibilità di vita comune.

Il FASTIDIO nasce dalla reattività di rifiuto “a pelle” di gesti, modi di fare, odori, rumori, sapori, immagini emanati da qualche persona. Conduce a rassegnazione e sopportazione ed al tentativo di mettere in atto l’allontanamento dall’altro. Il soggetto con forti propensioni all’attaccamento (adesivo) e l’apatico provano reciproco fastidio. Si manifesta in atti di vendetta: piccoli dispetti o vere e proprie violenze

L’INCOMPRENSIONE è l’incapacità di trovare il motivo del comportamento che l’altro mette in atto. Sebbene sia chiaro ed evidente ciò che l’altro fa, non si capisce perché lo faccia, come sia possibile che l’altro non capisca che ciò che fa non è quello che si deve fare in quella circostanza. Il confronto è sterile perché ciascuno pensa: “Possibile che non capisca che…?”. Aumenta così la necessità di osservazione e di controllo del comportamento altrui, con vere e proprie ossessioni e modelli di comportamento paranoici. Il rassegnato che il controllato vivono nella incomprensione reciproca.

C’è EQUIVOCO nei comportamenti delle persone quando le azioni non sono sinergiche ed orientate allo stesso fine o, se orientate allo stesso fine, sono svolte in modi e tempi diversi. L’intraprendente e l’adesivo (eccesso di attaccamento) equivocano sul significato dei loro comportamenti. L’equivoco rende impossibile l’intesa e conduce alla caduta della fiducia, alla diffidenza, al sospetto ed alla ripetuta attuazione di comportamenti che danneggiano se stessi e gli altri.

Il conflitto si può affrontare se si parte dalla comprensione dello squilibrio che si innesca quando le persone e i gruppi entrano in opposizione. Non si tratta di arrivare ad un compromesso , ad un arbitrato tra le parti, perché le contese in realtà sono atti comunicativi con cui le persone comunicano le ragioni psicologiche delle loro opposizioni. Invece si tratta di mettere in atto processi comunicativi illocutori, con cui l’espressione comunicativa tende ad attivare il cambiamento del vissuto altrui.

Le relazioni di affinità sono dimensioni della relazione interpersonale che attivano sviluppo di simpatie, interessi ed attrazioni socio solidali”.(3)

Anche in questo caso si riportano le definizioni riportate tratte dal “Dizionario Essenziale di Couseling già citato.

Il RICONOSCIMENTO porta a scoprire che gli altri vivono le stesse emozioni. Si insegna il riconoscimento attraverso espressioni del tipo: “ Ma lei non si è accorto che…” spiegando il motivo per cui una terza persona manifesta un certo comportamento. Il riconoscimento è l’antidoto dell’equivoco: si basa sulla comprensione delle aspirazioni, delle frustrazioni e delle difficoltà dell’altro. Il riconoscimento si tipizza tra il sensibile rassegnato e il creativo indipendente.

La DISPONIBILITA’ scaturisce dall’apertura verso l’altro che rende possibile un’azione positiva senza che ciò costi molta fatica. Spesso è valutata nell’intenzione più che nel risultato. Consente di superare l’insofferenza. La disponibilità nasce nell’incontro tra l’espressivo e l’adesivo.

La COMPLEMENTARITA’ nasce dalla consapevolezza che l’uno farà le cose che non possono essere fatte dall’altro. Si fonda sulla serena accettazione che gli altri stiano facendo esattamente ciò che c’é bisogno di fare perché è utile per tutti. Lo sfondo della complementarità è la tranquillità e il realismo ed è l’antidoto alla delusione perché non si fonda su aspettative fantastiche. La complementarità vige tra l’apatico e il controllato.

L’INCONTRO è l’antidoto del logoramento perché presuppone la assoluta diversità delle persone, compresa l’estraneità dei modelli mentali e degli schemi d’azione, ma le impegna nell’obiettivo di scoprire che le diversità sono una potenza a cui ciascuno può attingere. L’incontro produce unità. L’incontro avviene tra il sensibile rassegnato e l’intraprendente.

La DIALOGICITA’ è possibile quando ci siano “cose da dire” e ci sia un contesto in cui possono essere dette. Una relazione in cui si discute di ogni cosa, non si litiga perché, anche di fronte agli idee o alle opinioni più divergenti, sa che è possibile condurre a buon fine la discussione. E’ l’antidoto all’evitamento perché diminuisce le tensioni, supera le impressioni troppo superficiali o troppo appariscenti. La dialogicità intercorre tra il creativo e l’adesivo.

L’INTEGRAZIONE è la base per una buona organizzazione (e non il contrario). Vi è integrazione quando nessuno travalica o tradisce le aspettative che l’altro aveva riposto su di lui: il gioco delle parti, dei compiti, delle funzioni e dei ruoli è armonioso. L’integrazione è l’antidoto del fastidio perché rispetta l’identità di ciascuno e mette tutti nella “giusta distanza relazionale” reciproca. Si attua tra controllo ed espressione.

La MEDIAZIONE costruisce il “senso comune” perché modera gli eccessi e stimola le energie necessarie per raggiungere un obiettivo. E’ l’antidoto all’incomprensione perché negozia i significati e libera dal controllo reciproco. Produce accordo. E’ la relazione tipica tra intraprendenti e apatici.

(l) Barbagli – Counseling orientamento e classi – Tipografia l’Artistica –Perugia 2006

(2) Dizionario essenziale di counseling – Litigraf Editor- Cerbara Città di Castello 2006

(3) idem

 

 

 

 

 

CAPITOLO XII

INTERVENTI RELAZIONALI DI SPOSTAMENTO EMOZIONALE

Gli interventi più immediati attraverso cui riuscire a spostare un’emozione in un’altra adiacente, sono quelli che si attuano quotidianamente nei rapporti educativi e, in senso lato, nei rapporti con le persone con cui siamo in relazione. Succede, però , che tali interventi non siano adoperati correttamente in relazione alla situazione, dando luogo, così, a risultati opposti rispetto all’intenzionalità di chi li adotta in quel momento. Le modalità di intervento vengono elencate in: rimprovero, incoraggiamento, insegnamento, coinvolgimento emotivo, tranquillizzazione, sostegno e gratificazione.

Si riporta la tabella in cui, sinteticamente, sono riportate le modalità sopra espresse, poste in relazione con le tipologie di personalità descritte, in modo da avere chiare le situazioni in cui esse possono essere usate con successo, come quelle in cui sono inutili o addirittura deleterie.(1)

 

 

 

RIMPROVERO

Chi sa rimproverare è l’Avaro.

Il rimprovero è una comunicazione ingiuntiva e regolativa, fatta senza enfasi o tensione., con un tono fermo e deciso, autorevole. La comunicazione è breve e verte su fatti concreti. Dopo il rimprovero deve esserci un silenzio lapidario in attesa di risposta.

Sballone

Il Rimprovero è efficace perché lo sposta verso il Delirante (Emozione del Distacco). Serve a far si che un soggetto volubile e irresponsabile sia costretto a distaccarsi dal suo stato emozionale e a riflettere sul suo comportamento. Significa fargli pendere atto della concretezza dell’ambiente che non sostiene le sue performance. 

Apatico

Il Rimprovero è efficace perché lo sposta verso l’Invisibile (Emozione della Vergogna). Serve a far si che un soggetto demotivato e indifferente si vergogni del suo scarso impegno. Perché sia efficace deve spostarsi verso una sorgente terza rispetto a chi rimprovera: “devi rispettare gli impegni presi con il dentista, non ti vergogni?”. 

Invisibile

Non è efficace perché porta il soggetto ad auto commiserarsi. Se è necessario bisogna modulare la voce, analizzare i fatti e non la persona.

Delirante

Non è efficace perché si risolve in squalifica. Se è necessario il rimprovero, esso deve essere accompagnato dall’ordine di effettuare un’azione riparatrice

Ruminante

Non è efficace perché alimenta l’idea di subire un’ingiustizia. Se è necessario il rimprovero deve essere chiaro, analitico, preciso, pacifico, senza commenti espliciti o impliciti.

Adesivo

Non è efficace perché l’adesivo si affanna a farsi perdonare. Se è necessario il rimprovero deve essere connesso all’insegnamento, deve spingere il soggetto a pensare.

Avaro

Non è efficace perché si chiude di più. Se è necessario bisogna aggirare l’ostacolo affermando le caratteristiche del copione: guarda come sei scontroso non accetti nessuna critica, devi prenderti le tue responsabilità.


 

 

 

INSEGNAMENTO

Chi sa insegnare è il Delirante

Insegnare qualcosa vuol dire far prendere consapevolezza dei contenuti, far ragionare, far riflettere. E’ una forma articolata di comunicazione che comprende la comunicazione euristica, modelli e strutture di conoscenza. E’ finalizzata a porre la persona ad una giusta distanza da sé, a mettere in discussione precedenti convinzioni o impressioni

Adesivo

Con l’adesivo è efficace perché sposta l’attaccamento verso l’analisi della realtà. Bisogna far assumere il controllo della realtà senza che senta il bisogno di mettere in atto le sue tecniche per avere l’attenzione. “Che bel maglioncino hai oggi!” detto senza che se l’aspetti porterà il soggetto all’attenzione senza che si sia messo in mostra come al solito.

Invisibile

Con l’invisibile è efficace perché depotenzia la sua scarsa autostima  conducendolo verso una più serena accettazione delle cose. In pratica bisogna spostarlo verso l’atarassia dell’apatico. Trattarlo con distacco, favorisce l’oggettivazione del vissuto. “Guarda che non se n’è accorto nessuno”, detto senza empatia.

Avaro

L’insegnamento in genere porta l’avaro ad appiattirsi sulle informazioni ricevute. La loro superficialità non li rende padroni del loro sapere, per cui le informazioni fanno fatica a modificare gli schemi formati.

Apatico

Più che insegnamento hanno bisogno di motivazione; ciò significa che è necessaria una modulazione incoraggiante dell’insegnamento.

Ruminante

Non è efficace perché l’intuizione e le nuove idee accendono altri pretesti per l’azione; si rinforza il copione.

Delirante

Non è efficace perché il delirante immagina un nuovo schema ove collocare la disordinata massa di informazioni che arriva alla mente; si rinforza il copione. Invece si richiede il supporto della stabilità e della profondità.

Sballone

Non è efficace perché lo sballone si attiva contemplando un nuovo piacevole gioco da sperimentare; si rinforza il copione. Invece si richiede il supporto della stabilità e della profondità.

 

COINVOLGIMENTO EMOTIVO

Chi sa coinvolgere è lo sballone

E’ una comunicazione essenzialmente espressiva. il coinvolgimento è il luogo specifico dell’emersione dei carismi.

Adesivo

E’ efficace perché sposta l’attaccamento verso la sensibilità protettiva. “Accarezza l’orsacchiotto, si è fatto male”, questa frase sposta la richiesta di essere oggetto di attenzione verso l’oggetto transazionale. L’adesivo può diventare gregario ed essere facilmente manipolato diventando suo malgrado esecutore di ordini che possono far del male ad un altro. Sensibilizzare verso l’ambiente serva a prevenire questi atti negativi.

Avaro

E’ efficace perchè sposta l’ansia verso l’impegno, l’azione. “Dai botte al pavimento” quando il bambino cade sposta la paura in rabbia. Il coinvolgimento sposta da un copione difensivo ad un copione ruminante. Oppure si può creare una sorpresa nell’ambiente per distogliere il soggetto dall’attaccamento ossessivo verso azioni che solo lui pensa di saper fare.

Ruminante

E’ poco efficace perché il ruminante è troppo attivato per poter cogliere una comunicazione espressiva o, se la colgono, la utilizzano per una ulteriore attivazione. La comunicazione coinvolgente può funzionare solo se comunica pace, se porta a spegnersi.

Invisibile

E’ poco efficace perché una aperta comunicazione emotiva mette l’invisibile in imbarazzo. Il coinvolgimento deve contenere, nella forma e nei contenuti, anche l’incoraggiamento alla liberazione dei sentimenti, mostrando stima e comprensione per quello che significano per l’anima fragile dell’invisibile.

Delirante

E’ poco efficace perché rinforza il copione in quanto viene utilizzato per attivare altre possibilità di vita mentale.

Sballone

E’ poco efficace perché rinforza il copione, la sua volubilità.

Apatico

Poco efficace perché rinforza il copione inviando segnali da cui difendersi perché alimentano la percezione di sé.


 

 

 

TRANQUILLIZZAZIONE

Chi sa tranquillizzare è l’apatico

Tranquillizzare vuol dire spegnere le tensioni. Significa assorbire senza restituire alcun segnale, senza modificare il tono e il ritmo del tono comunicativo. Chi tranquillizza non contraddice, non cade nelle provocazioni inevitabili dell’altro, trasmette pace, non si accende, non si eccita.

Avaro

Con l’avaro è efficace perché spegne l’ansia. Affinché l’avaro possa disporsi all’attaccamento è necessario un evento capace di tranquillizzarlo. E’ necessario distoglierlo dalla paura orientando l’attenzione verso l’ambiente, verso una situazione o un oggetto che richiede la cura dell’avaro.

Ruminante

E’ efficace perché calma la tensione. La tensione si calma se il ruminante incontra nell’ambiente un limite che, volente o nolente, spegne la tensione o la contiene. (sorpresa nell’ambiente). Significa spostare la sua attenzione verso una situazione nuova. 

Delirante

Poco efficace perché il delirante è l’antitesi della pace, non è in grado di gustarla. La tranquillizzazione deve essere mescolata con il sostegno, empatizzando con il soggetto: ciò lo conferma e lo mette in grado di fermare i suoi conflitti interni.

Adesivo

E’ poco efficace perché l’affanno affettivo dell’invisibile non si spegne nell’apatia in quanto in essa non trova sazietà. La tranquillizzazione deve essere coinvolgente.

Invisibile

Con l’invisibile viene confermato il copione. La calma lo fa sentire ancora più impotente nei confronti degli stimoli del mondo.

Apatico

Viene confermato il copione: la calma rinforza la demotivazione.

Sballone

Viene confermato il copione: ogni occasione di spegnimento è utile per prepararsi ad una nuova eccitazione mentale.

 

SOSTEGNO

Chi sa sostenere è l’invisibile

Sostenere non è dar carica. E’ necessaria l’umiltà. Il sostegno è un rapporto fondato sulla discrezione e sulla disponibilità a perdere qualcosa di sé per favorire l’altro. La comunicazione del sostegno è a volte silenziosa. Il sostegno non esprime dubbi sulla riuscita e sulle capacità dell’altro. Mette le basi all’azione dell’orientamento.

 

Ruminante

Con il ruminante è efficace. Chi sostiene è calmo e ,pru non dando ragione al ruminante, mostra la sua comprensione per la sua sofferenza. Questo sostegno induce il ruminante a verbalizzare la sua aggressività. L’orientamento silenzioso e prudente gli trasmette prudenza, gli guarda le spalle.

Delirante

Il sostegno orientante deve essere finalizzato a far sbocciare qualche timidi pensiero di limitatezza o di personale condizione di vita. Bisogna puntare al contatto emotivo con il suo sé, ad esempio, con un gesto o un pensiero rivolto alla sua persona con delicatezza e penetrazione profonda. Tenere ferma la sua attenzione su qualche elemento presente nell’ambiente provocando in lui un’azione: spesso la confusione scompare se la persona è impegnata fisicamente in qualche cosa.

Sballone

Con lo sballone è inefficace perché si alimenta la sua angoscia. Bisogna invece chiamare in causa le sue responsabilità: è lui che deve decidere di far luce.

Apatico

E’ un controsenso: va invece rimproverato o incoraggiato.

Invisibile

Un sostegno mal comunicato funziona come rinforzo: semmai può essere solo una comunicazione funzionale a prendere un po’ più distanza da se stessi

Adesivo

Un sostegno mal comunicato funziona come rinforzo: semmai può essere solo una comunicazione funzionale a prendere un po’ più distanza da se stessi

Avaro

Sostenere l’ansia dell’avaro è pericolosissimo perché non può che aumentare. Semmai il sostegno può aprire una finestra sul benessere, sul piacere, sul positivo già fatto

 

GRATIFICAZIONE

Chi sa gratificare è l’Adesivo

La gratificazione fa entrare in contatto con la parte positiva di sé, quella parte di cui le persone non sono del tutto certe. I veri complimenti sono acuti e mai formali.

Delirante

Può essere utile gratificare il delirante su qualcosa di vecchio e usuale, in cui è riuscito ad avere successo o a divertirsi. Il delirante ha smarrito la via della semplicità e della determinazione, vive nella confusione mentale e nel disordine organizzativo. Può uscire dalla confusione attraverso sensazioni di piacere che l’ambiente produce. La comunicazione gratificante muove con lo scopo di far percepire qualcosa di sé che è l’innesco di un’emozione con valenza affettiva. 

Sballone

Per lui la pace è la fine delle emozioni e di questo è spaventato, ciò lo conduce all’angoscia. Un intervento di gratificazione serve a fargli conoscere altri gusti presenti negli stati vissuti, a rivivere con lui quanto è accaduto, dopo che il vissuto sembra ormai finito.

Avaro

Con l’avaro la comunicazione complimentosa rischia di essere formale, a meno che non coinvolga la sua emotività.

Adesivo

Con l’adesivo la gratificazione funziona efficacemente, ma ciò non lo aiuta a crescere e a trovare l’appagamento bastando a se stesso.

Invisibile

Può ricevere un incoraggiamento, ma se i complimenti non sono accompagnati dalla tensione verso ulteriori iniziative e miglioramenti, possono far esaurire la loro scarsa motivazione

Apatico

Può ricevere un incoraggiamento, ma se i complimenti non sono accompagnati dalla tensione verso ulteriori iniziative e miglioramenti, possono far esaurire la loro scarsa motivazione

 

I diversi copioni possono presentare affinità elettive con altri o possono essere in opposizione , a seconda delle loro specifiche proprietà di empatizzazione.

 L’empatia, come già detto, conduce alla comprensione esistenziale della persona; se il processo di empatia riesce ad oggettivare il vissuto della persona, essa ne ricava un maggiore equilibrio fra le parti del sé, altrimenti tende a chiudersi all’interno dei suo copione. Ciò significa che un copione, non è, in sé, un indicatore di patologia, ma può essere modificato attraverso la riapertura al cogli mento empatico. “La diversità di tipi è anche diversità di sintonizzazione empatica e, più specificamente, diversità dei modi di vivere ed avere dimestichezza con una o più delle tre fasi del processo empatico..Un ‘avaro’ è relativamente chiuso al coglimento empatico (trattiene la sua apertura emozionale per paura) nelle fasi del ‘sentire’ ed è centrato sulla costante oggettivazione dei tratti di comportamento che vede emergere nelle altrui espressioni. Perverrà, dunque, a conclusioni affrettate , tentando di utilizzare a proprio favore le caratteristiche dei copioni altrui. Al contrario un ‘invisibile’ precipiterà facilmente nel ‘sentire’ il vissuto altrui, a volte con intensità pari o addirittura superiore a quella di un vissuto proprio, e farà una grande fatica ad oggettivare il vissuto. L’apertura al vissuto e il bisogno di ‘fusionalità’ dello sballone gli renderà difficile districarsi nei sentimenti in cui precipita; la reattività del ruminante lo costringerà immediatamente a prendere posizione nei confronti dei vissuti che intuisce emergenti nell’altro e a produrre attribuzioni essenziali al suo copione di risentimento. L’apatico tenderà a non coinvolgersi, adattarsi, ed a apparire emozionalmente sordo; l’adesivo propenderà per processi di adeguamento imitativo; il delirante, eccessivamente distanziato, dai suoi personali vissuti, ad interpretare ed elaborare strategie multiple…” (2)

(1) tratto dal testo: “V. Masini - Dalle emozioni ai Sentimenti – Ed. Prevenire è possibile 2000)

(2)          V. Masini – Dalle emozioni ai sentimenti – Ed. Prevenire è possibile 2000

 

CAPITOLO XIII

RELAZIONI DI AFFINITÀ E DI OPPOSIZIONE

Imparare a conoscere le varie tipologie di personalità costituisce la base fondamentale affinchè si possano comprendere le relazioni che intercorrono tra le persone e che cosa le spinge ad attrarsi o a respingersi.

 Conoscere queste dinamiche relazionali vuol dire, per il dirigente, avere a disposizione una chiave di lettura che gli permette di capire gli altri e di porre in essere gli atteggiamenti e i comportamenti più consoni e produttivi sia dal punto di vista del rapporto umano che della qualità del rapporto di lavoro.  Che cosa spinge un soggetto verso un altro? Masini dice che c’è una corrispondenza intuitiva tra i bisogni, le emozioni di base, e i diversi copioni, sicché ognuno di noi è portato a incontrarsi con persone nei confronti delle quali si sente in sintonia, perché sono percepite simili o elettivamente affini. Sono elettivamente simili le persone che possiedono motivazioni complementari; l’altro possiede, cioè, quell’aspetto che vorremmo possedere perché ne siamo privi. Al contrario, le relazioni di opposizione si determinano quando provocano immediata antipatia. Nelle emozioni opposte noi troviamo quelle caratteristiche che ci hanno confinati nei nostri copioni: dubbi, incertezze, derisioni, delusioni, condizionamenti. Mentre, però la comprensione delle affinità e più immediata, la relazione con gli opposti non è così facilmente accessibile. Infatti, per comprendere gli opposti è necessario comprendere lo specifico valore di cui le persone sono portatrici. “ Le percezioni dei soggetti sono guidate dal loro copione che costruisce un particolare punto di vista che interpreta l’effetto alone che intorno alla persona di cui si empatizza il vissuto: sulla base di ciò viene costruita la congruenza tra i suoi diversi aspetti eliminando tutte le dissonanze cognitive. Il copione di ciascun soggetto tende infatti a rinforzarsi (attraverso relazioni di sintonia immediata o di indifferenza o di antipatia) ed a giustificarsi, almeno fino a quando non accada un incontro significativo con qualcuno che accenda in lui una simpatia elettiva. Le relazioni di simpatia elettiva si fondano su affinità, non su somiglianze: qualcuno che vive esperienze che a noi mancano e che manifesta caratteristiche per noi desiderabili. Quella persona diventa per noi essenziale perché ne abbiamo empatizzato il sapore. Lo stesso accade verso gruppi la cui personalità collettiva accende in noi il desiderio di frequentazione e appartenenza. Si tratta però, di comprendere che i vocaboli ‘frequentazione’  ed ‘appartenenza’hanno un significato ben diverso se letti dal punto di vista di un avaro, di un e un delirante, di un apatici, di un invisibile, di un adesivo. Inoltre, il modo stesso di empatizzare il vissuto dell’altro varia a seconda del copione soggettivo, sia in riferimento al grado di apertura  che nella rilevanza di una o l’altra fase in cui si articola il processo empatico. Il grado di sensibilità del soggetto ne determina la propensione all’apertura (I fase), il grado di attivazione conduce all’immedesimazione più o meno aderente al vissuto altrui,(II fase), il grado di controllo ad una oggettivazione più o meno repentina e precisa (III fase).” (1)  

“Le persone  umane sono affini proprio perché integrative delle loro modalità di sentire, esprimere ed essere nelle diverse emozioni della vita. La dimensione della paura, delle difese e del controllo trova la sua affinità elettiva nella realizzazione contemporanea della pace e della calma insieme a quella del piacere e dello slancio. La tensione al piacere delle emozioni intense e la malinconia della separazione trovano nell’avvolgimento affettivo e nella coerenza dell’agire responsabile il terreno ad esse elettivo. Il  bisogno di attaccamento viene superato attraverso la realizzazione del gusto di vivere e la disposizione a gestire con libertà la propria accettata solitudine esistenziale.  L’isolamento e la mentalizzazione di se stessi in una espansione diuturna, superba e schizoide, trovano compimento nella umiltà della concretezza e nell’accettazione di essere amati e avvolti dalla stabile fedeltà dell’attaccamento. Il senso di inferiorità, la vergogna, la disposizione a lasciarsi opprimere sono superabili solo attraversi gli incoraggiamenti all’impegno, la trasmissione di stimoli e di carica, mediante la disciplina e la fiducia in se sessi. L’energia di attivazione, che sospinge incessantemente verso l’azione, verso il superamento degli ostacoli e il conflitto contro chi si oppone a tali azioni, trova la corretta canalizzazione nell’impegno concreti della difesa degli oppressi e si spegne nell’incontro con che possiede la calma e la pace interiore. “ (2)

Vedi tavola 1 riguardante il grafico delle affinità così come riportato nel testo di V. Masini “Dalle emozioni ai sentimenti”

 

Il grafo delle opposizioni mostra gli opposti disposti in una rappresentazione e stella, in cui, però, le sequenze comunicative non sono in reciprocità. Non si tratta però di conflitto, perché esso appartiene alla tipica reattività dell’avaro; piuttosto, si tratta di opposizioni che sono determinate dalla natura dell’emozione che sta alla base dei comportamenti.  Ciò non vuol dire che le persone non possano andare oltre le caratteristiche dei copioni in opposizione. Se tali soggetti, però,  restano stabilmente ancorati ad un solo copione  e non sperimentano altre modalità di relazione modulando il loro modo di porsi in relazione con gli altri, non  riusciranno ad avere un rapporto soddisfacente ed equilibrato. Queste  persone hanno la necessità di scoprire altre modalità relazionali in grado di fornire loro altri mezzi per poter esprimere i loro vissuti,  di scoprire l’importanza di altri punti di vista.

“L’avaro è in opposizione con la dispersione del delirante e con la logica del suo pensiero che gli appare come quintessenza del disordine. Il delirante si oppone alla mancanza di intuizione e di vita mentale dell’apatico che tende a spegnere quei pensieri e quei problemi  che sono percepiti dal delirante come la unica e vera dimensione dell’esistenza. L’apatico non tollera l’affanno dell’adesivo e la sua petulante richiesta di attaccamento e di compagnia. L’adesivo è turbato dalla carica del ruminante che lo spaventa e non appaga il suo bisogno di considerazione. Il ruminante tiene lontano da sé il volubile sballone che non è in grado di portare a compimento nessuna iniziativa e che non tiene fede a nessun impegno. Lo sballone tratta con sufficienza l’invisibile vergognoso, timidi e pudico, che non sa gustare i piaceri  della vita. L’invisibile cerca di tenersi lontano dal potente e oppressivo avaro che non gli lascia spazio vitale mediante un atteggiamento da inquisitore.

Naturalmente anche le opposizioni hanno una lettura in senso contrario: l’avaro tende a schiacciare l’inconsistente invisibile da cui si sente provocato mediante quella che lui ritiene “la violenza della vittima”; non vuole , infatti, sentirsi in colpa per le modalità con cui sfrutta, schiaccia ed inquisisce il debole e sensibile invisibile e, non tollerando la possibile autocritica, trova motivazioni che definisce educative (lo faccio soffrire per il suo bene, così impara a reagire). L’invisibile non accetta le modalità di essere e di vivere dello sballone che definisce “spudorato e volgare”. Lo sballone non comprende e giudica inutile l’atteggiamento  carico di energia e di tensione del ruminante che, secondo il suo punto di vista,  non riesce ad apprezzare nulla dalla vita. Il ruminante considera l’adesivo una persona di poco conto, debole e mammone, lo accetta come gregario ma solo temporaneamente perché, alla resa dei conti,  gli è solamente di perso. L’adesivo valuta l’apatico un essere freddo e insensibile e cerca di non avere rapporti con lui; sente che nell’apatico non promana nessun calore e nessun interessamento ed allora smette di prenderlo in considerazione come oggetto delle sue tensioni affiliative. L’apatico sfugge all’inquieto  e creativo delirante e considera stancante tener dietro alle sue idee irrealizzabili. Il delirante ha un forte disgusto per il controllo, i calcoli e le difese dell’avaro. Detesta il suo senso ottuso e limitato dell’organizzazione e la sua mancanza di fantasia nell’individuare nuove logiche nelle cose, negli eventi e nelle persone.

 In termini di emozioni l’opposizione è ancor più chiara: il controllo non si sposa con la libertà, la libertà non si ottiene con la calma, la pace non è possibile se si è preda di fame affettiva, il bisogno affettivo non si lega con il desiderio di lotta e di impegno, la tensione e la carica non consentono di gustare il piacere, il piacere è impossibile se si è inibiti, e la vergogna è il contrario dell’arroganza difensiva e oppressiva.   

La conciliazione tra persone non è un intervento successivo ad un conflitto (quella è la riconciliazione che può essere operata mediante la mediazione); è il conflitto che, semmai, divampa quanto è interrotto il processo di conciliazione.” (3)

Vedi tavola 2 riguardante il grafico delle opposizioni così come riportato nel testo di V. Masini “Dalle Emozioni ai Sentimenti”

(1) V. Masini -  Dalle emozioni ai sentimenti – Prevenire è possibile 2000

(2)          V. Masini e E. Mazzoni - Psicologia relazionale transteorica – Università di Siena

(3)            V. Masini -  Dalle emozioni ai sentimenti – Prevenire è possibile 2000

 

 

 


 

CAPITOLO XIV

 

ASPETTI DELLA COMUNICAZIONE NELLA LEADERSHIP

  

La leadership non si manifesta nell’essere banalmente “carismatici”, intendendo per “carisma” l’essere seducenti o narcisisti, qualità che alcuni posseggono  ed altri meno.

Un carisma può essere inteso come qualcosa che può essere appreso, come una competenza da sviluppare, oltre che essere qualcosa di originario nella persona.

Se è vero che chi gestisce i gruppi ha uno stile di leadership che esprime con maggiore facilità perché connesso alla sua struttura di personalità, è anche vero che ogni persona, se accetta di mettersi in gioco con impegno e disponibilità a crescere e cambiare, può imparare se non tutto, molto più di quanto non possa immaginarsi.

Abbiamo visto che ogni stile di leadership impone un certo tipo di atti ed è utile per alcune funzioni e per alcuni tipi gruppi.

La comunicazione deve, però, essere visualizzata comunque come un mezzo di trasmissione di informazioni o di gestione di relazione utile alla funzioni ed agli obiettivi delle persone e dei gruppi. E’ importante quindi capire come la sola analisi dei processi comunicativi non sia utile fintanto che mediante essa non si producano modelli di gestione dell’interazione, differenziati a seconda delle funzioni e della relazionalità.

Vincenzo Masini (1), in analogia con le strutture di intelligenza, presenta sette modelli di comunicazione, sintetizzati in tre per favorire la comprensione e la problematica del rapporto tra stili, processi di comunicazione e metodi didattici. Il suo obiettivo è dimostrare che tutti i diversi stili di comunicazione possono essere efficaci e utili purché coerenti con i soggetti destinatari della comunicazione educativa. Si ritiene che tale consapevolezza sia una necessaria competenza per il dirigente scolastico, dal momento che , come leader che “sta in mezzo a..”  (2) è opportuno che conosca e impari a padroneggiare le modulazioni comunicative più efficaci e rispondenti alla tipologia dell’interlocutore.

“Le sette modalità comunicative individuate sono presenti nella comunicazione tra docenti e studenti, tra giovani e giovani e tra adulti. Il catalogo di queste modalità serve a far capire che il fatto di considerare “naturale” il proprio abituale modo di comunicare è frutto di superficialità o di rigidità mentale; adottare , in modo estemporaneo o occasionale altri modelli comunicativi, senza ben sapere  cosa si stia facendo e come si viene percepiti, dagli studenti e dai colleghi, espone a equivoci, fraintendimenti , se non a veri e propri conflitti.” (3)

Dopo avere affrontato la connessione tra le diverse tipologie di intelligenza di Gardner e le sette forme di comunicazione di Hallidaj e di Jacobson, Masini descrive un modello semplificato che riduce a tre le modulazioni comunicative: persuasiva, espressiva e immaginativa, collegandole con la schematizzazione delle intelligenze ordinativa, intuitiva e descrittiva nel senso che “una comunicazione persuasiva è quella più efficace per entrare in contatto con un’intelligenza schematica (ordinativa), quella espressiva (euristica) per entrare in contatto con l’intelligenza intuitiva e quella immaginativa per il contatto con l’intelligenza descrittiva”. (4)

Passiamo ad analizzare le tre tipologie di comunicazione. (5)

1.    Intelligenza ordinativa-Comunicazione interattiva, illocutoria, logico-persuasiva.

E’ una modalità comunicativa che si fonda sull’utilizzo dell’intelligenza ordinativa, concetto che unifica i criteri dell’intelligenza interpersonale (ADESIVI), di quella logica (AVARI) e di quella cinestetica (RUMINANTI)

Il termine richiama la sfera della comunicazione pubblicitaria, ma implica funzioni organizzative, promozionali e di cambiamento. Il limite della comunicazione persuasiva è quello di standardizzare le informazioni. La comunicazione logico-persuasiva serve a ingiungere e regolare, viene espressa senza enfasi con tono fermo, deciso, autorevole in comunicazioni brevi, forti e centrate su fatti concreti. Solitamente prende la forma di comunicazione tecnica, saggia e concreta… Le principali regole per una comunicazione logico-persuasiva sono:

-essere semplici e chiari; non dire con 40 parole ciò che si può dire con 10, non perdersi in divagazioni inutili , non usare parole troppo difficili o sconosciute per il piacere di farlo.

-essere sinceri  ; cercare di dire sempre cose vere e nelle quali si crede, non si convincerà mai nessuno su qualcosa in cui il parlante non crede. Volgere in positivo anche le comunicazioni spiacevoli; senza mai cominciare un  discorso con un argomento, una frase o una notizia in negativo.

-regolare il registro linguistico, il tono e il volume a seconda delle esigenze del pubblico o della persona…

La comunicazione persuasiva può assumere anche la forma di incoraggiamento e di motivazione . Incoraggiare significa dare carica e trasmettere motivazione ad altre persone. Per incoraggiare   è prima necessario costruire e dare forma all’energia dentro di sé e poi cominciarla in modo persuasivo per indurre all’azione. Bisogna evitare di commettere alcuni errori diffusi. Spesso chi incoraggia non lo fa con la necessaria energia e con la necessaria durata, per cui la comunicazione si perde nel nulla. Occorre indicare per nome che viene incoraggiato e, nel caso di un gruppo, occorre dare incoraggiamento ai singoli componenti. Basta un solo demotivatore all’interno di un gruppo che si esprima con qualche battuta squalificante che tutti perdano energia. Inoltre l’incoraggiamento deve essere puro , senza mescolarsi con critiche anche se motivate. Non si può incoraggiare e contemporaneamente rimproverare o dare consigli perché l’azione si disperde e si crea confusione nella mente del soggetto. Il soggetto che sa meglio incoraggiare è il soggetto volitivo, carico di energia e di entusiasmo. (Ruminante nella tipologia Prepos). Deve però trattenersi da sostituirsi nell’azione al soggetto destinatario del suo incoraggiamento. Motivare non significa aiutare e sostenere, ma trasmettere forza e coraggio. I soggetti elettivi per le comunicazioni di incoraggiamento sono gli Apatici e i demotivati oppure quelli che hanno scarsa stima di sé (Invisibili ), rinunciatari e poco fiduciosi nella personali capacità.

Ulteriore aspetto della comunicazione persuasiva è la sua capacità di trasmettere gratificazione. I complimenti sono la comunicazione più semplice e diffusa di gratificazione a patto che non siano adulativi perché inducono alla vanagloria, o contengano un inganno perché aumentano la diffidenza. Il complimento deve essere circostanziato e preciso diretto a far capire all’altro il vero motivo per cui è espresso. Le persone che sanno essere efficaci nel complimentarsi e nel gratificare sono le persone affettive, gli Adesivi, dal momento che questa competenza comunicativa nasce dal bisogno di affetto e dalle proiezioni sull’altro. La gratificazione, però, non è solo dire quello che uno verrebbe sentirsi dire, ma esprimere quel qualcosa in più che l’altro non vede in sé. La gratificazione può ottenere risultati in situazioni di confusione e fraintendimenti, specialmente quando i soggetti debbono gestire una grande quantità di informazioni che possono provocare confusione. La comunicazione gratificante persuade, attraverso ricompense estrinseche, e consolida il sapere posseduto dal soggetto mettendolo in ordine di priorità. Però è necessario che, nel corso della comunicazione gratificante, non si commetta l’errore di proporre nuovi contenuti che aggiungerebbero altra confusione.

La struttura comunicativa di tale tipo di comunicazione  si fonda su una concatenazione interna consequenziale e in una sequenza tra parlante e ascoltatore nella tripletta di presa di turno: Domanda-Risposta-Commento. Il suo scopo, infatti è quello di far compiere un’azione, mantenere l’ordine, gestire le dinamiche di un gruppo. Si fonda sul presupposto di conoscenza da parte dell’interlocutore che deve dare la risposta giusta che è nella mente di chi pone la domanda. Il limite di tale tipologia di comunicazione è l’impossibilità di produrre nuovi schemi (attraverso l’intuizione). 

 

2- Intelligenza intuitiva- comunicazione simbolico cognitiva, perlocutoria, coinvolgente ed euristica.

Il coinvolgimento emotivo è una modalità comunicativa che si fonda sull’utilizzo dell’intelligenza intuitiva, concetto che unifica i criteri dell’intelligenza cinestetica (RUMINANTE) di quella spaziale (DELIRANTE) e di quella linguistica (SBALLONE))

In tale forma di comunicazione ha grande peso la presenza di informazioni nel ricevente che consentano la sua riorganizzazione mentale e le creazione di nuove mappe concettuali

La competenza comunicativa coinvolgente ed euristica si fonda sul trasferimento dei contenuti al fine di far ragionare, far prendere consapevolezza, far riflettere. La comunicazione euristica induce alla formazione di processi mentali di scoperta  attraverso la trasmissione di schemi mentali generali che facciano leva sul distanziamento tra il sé e le cose, ponendole alla giusta distanza ed osservandole da u punto di vista più ampio. Il modello di comunicazione euristica cerca di porre il ricevente alla giusta distanza dal sé, dalle relazioni, dal mondo, a liberarsi, così, dai pregiudizi e mettere in discussione le precedenti impressioni, convinzioni e ragionamenti. Comunicare la capacità di distanziarsi dalle cose richiede duttilità coinvolgente con le persone ansiose, gli Avari, e innesco ed incoraggiamento motivazionale con gli Apatici. Gli ansiosi hanno necessità di controllare e di ordinare le informazioni e si appiattiscono su quelle informazioni che già possiedono. Il vincolo cognitivo di mantenere uno stabile ordine intero porta ad utilizzare la memoria a lungo termine e non li rende capaci di problem solving. La comunicazione a loro necessaria è dotata di coinvolgimento emotivo. In questo tipo di comunicazione emergono i carismi e la vibrazione emozionale del comunicatore che può avvalersi di effetti sorpresa, di stimoli incuriosenti, di espressioni seduttive, di eventi che commuovono, che provocano suggestioni. Per coinvolgere emotivamente occorre vincere le proprie inibizioni, caricarsi emotivamente , far sognare, improvvisarsi a raccontare una storia, a costruire un’immagine, un gioco o un disegno. In sostanza, il coinvolgimento emotivo fa crescere l’interesse e la sensibilità.  La sequenza più tipica è la tripletta di prese di turno composta da: Domanda-Risposta dell’altro-Ulteriore domanda. Lungi dall’essere minacciosa o persecutoria, tale sequenza costituisce il modello tipico delle comunicazione espressiva ed euristica che tende a far sviluppare l’intelligenza intuitiva. Bisogna precisare che la sequenza delle domande in successione implica un oggetto problematico reale, mentre  chi pone la domanda non ha nella sua mente la risposta al problema ma solo ipotesi. L’utilizzo di battute, di collegamenti e di salti logici o di paradossi sono tecniche proprie di questa competenza comunicativa.

L’articolo giornalistico o la comunicazione pubblicitaria sono le modalità di espressione connesse a tale modalità comunicativa. L’utilizzo di battute, collegamenti o salti logici sono tecniche di questa competenza comunicativa.

 

Intelligenza descrittiva- Comunicazione descrittivo-narrativa.

La narratività è una modalità comunicativa che si fonda sull’utilizzo dell’intelligenza descrittiva (concetto che unifica i criteri del’intelligenza intrapersonale (APATICO), di quella musicale (INVISIBILE) e di quella interpersonale (ADESIVO).

La metodologia della narrazione si fonda sulla reciprocità, in cui tutti gli attori possono costruire significati e discutere sulle proprie riflessioni Questa modalità comunicativa è estremamente utile per avviare processi di ascolto e interesse sull’oggetto. L’oggetto appare semplice e chiaro e le sue connessioni con altri oggetti portano a processi  immaginativi e fabulatori che non conducono ad un incremento delle informazioni ma consentono alla comunicazione di spaziare a tutto campo nel contesto, senza pervenire ad immediati risultati in termini di astrazione o di schematizzazione. Emerge nella comunicazione una dimensione soggettiva e personale, disponibile e discreta. Condurre un processo comunicativo in un contesto gruppale significa porsi nell’ottica di Sostegno verso chi in quel momento sta prendendo il turno nella conversazione. Le domanda da parte dell’ascoltatore in tal caso ha lo scopo di rendere meno anonimo chi sta parlando ed evita che lo stesso sia possibile bersaglio di critiche o squalifiche. La dimensione del sostegno, presente in un autentico contesto comunicativo fondato sul dialogo, è finalizzata alla costruzione del significato della relazione anche attraverso riferimenti autobiografici. Il comunicatore narrativo deve saper sostenere il suo pubblico e, per farlo, deve mettersi poco in vista. Chi sostiene sta alle spalle al soggetto  da sostenere. Infatti se chi sostiene si sostituisce alla persona da sostenere gli fa perdere forza perché o fa apparire un’incapace. Il sostegno può essere anche palese e dichiarato solo se diventa comunicazione di fiducia e investimento sulle capacità dell’altro e non esprime dubbi sulla riuscita di chi è sostenuto. Se si esprimono dubbi o incertezze invece di sostenere si avversa. Il dialogo di sostegno non assume le caratteristiche della comunicazione persuasiva, non vuole convincere, non insiste. Anzi è estemporanea, apparentemente disordinata e frammentaria: è il soggetto che farà suo il filo logico sotteso alle parole, usando la sua logica interna per unificare il messaggio. Il soggetto che riesce meglio a dare sostegno è l’INVISIBILE perché capace di umiltà e di comprensione.

Oltre al sostegno, la comunicazione narrativa si fonda su processi di tranquillizzazione con la funzione di spegnere le tensioni che impediscono decisioni lucide e obiettive. Il comunicatore che voglia tranquillizzare il suo pubblico deve riuscire ad assorbire tutte le tensioni comunicative  lui rivolte senza restituire alcun segnale critico, ma solo comprensione e apertura al dialogo, con la finalità di farlo proseguire il più a lungo possibile , senza modificare i tini e il ritmo. Il comunicatore deve fare assoluta calma dentro di sé e n on deviare dal percorso comunicativo scelto dall’altro, non deve contraddire l’interlocutore, pur smorzandone i toni, e non deve cedere nelle inevitabili provocazioni che l’altro può rivolgergli.   

Chi riesce efficacemente in una comunicazione tranquillizzante è il soggetto APATICO che non si accende e non si eccita ma si esprime trasmettendo pace. Queste condizioni comunicative consentono una ristrutturazione cognitiva che permette di riorganizzare  e reinterpretare le esperienze di conoscenza espresse, di connettere le informazioni sulla concretezza di avvenimenti e situazioni esperite, In tal modo tale comunicazione mostra le informazioni, le ricollega discorsivamente alle evenienze della vita e della cultura dando stabilità alla conoscenza.

La sequenza tipica  di tale modalità di comunicazone è data dalla tripletta: Domanda dell’altro-Risposta-Nuova domanda dell’altro con prese di turno mutevoli tra i parlanti. La risposta produce una nuova richiesta descrittiva che amplia il contesto senza andare verso il centro del problema o ricercare sintesi logiche.

Connessa a questo modello comunicativo è la produzione di articoli divulgativi o di racconti, con l’utilizzo di esempi,paragoni, aneddoti.

 

(1) V. Masini – Qualità educativa, relazionale e dell’apprendimento nella scuola-Prevenire è possibile-2001

 

(2) vedi “La leadership d’ombra” di F. Perillo op.cit.

 

(3) V. Masini – Qualità educativa, relazionale e dell’apprendimento nella scuola-Prevenire è possibile-2001

(4) idem

(5) Da: dispensa “Psicologia della comunicazione di V. Masini e L. Barbagli – Prevenire è Possibile” e da  “V. Masini – Qualità educativa, relazionale e dell’apprendimento nella scuola-Prevenire è possibile-2001”

 

 

 

 

CAPITOLO XV

 

LA COMUNICAZIONE EFFICACE

 

Secondo Watslawick (1) la comunicazione è efficace se raggiunge lo scopo che si era prefissata e quando i diversi codici (verbale, gestuale…) utilizzati contemporaneamente trasmettono lo stesso tipo di informazioni. Se ad esempio si dice: esci pure se vuoi! E contemporaneamente si usa un tono di voce ed una espressione mimica tesa, è chiaro che le parole vogliono dire l’esatto contrario.

Un altro aspetto importante nella comunicazione è la relazione tra gli interlocutori in funzione del loro rispettivo status: si hanno così le relazioni complementari o verticali, dove un interlocutore è dominante (up) e l’altro è sottoposto (down): pensiamo alla comunicazione padre-figlio, insegnante- alunno, medico-paziente; oppure le relazioni simmetriche o paritarie dove entrambi gli interlocutori sono sullo stesso piano: pensiamo alla comunicazione tra due amici e tra una coppia di innamorati. Una comunicazione efficace può avvenire all’interno di entrambi i tipi di scambio: l’importante è che si abbia la consapevolezza di trovarsi in una determinata situazione e posizione comunicativa e scegliere di volta in volta a quale tipo di relazione partecipare.

Per ottener e una comunicazione efficace bisogna avere chiaro se esiste un problema con l’interlocutore. A seconda che il problema appartenga a chi parla o all’interlocutore si possono avere a disposizione alcune strategie: l’ascolto attivo, la comunicazione assertiva, le strategie di gestione del conflitto. Si riportano tali strategie descritte da Silvia Andrich Miato e Lidio Miato. (2)

L’ascolto attivo è una modalità di andare in profondità, contrapposto all’ascolto passivo, che comporta un’interazione positiva con l’interlocutore. Questa strategia, che risulta utile quando il problema è dell’interlocutore, è volta alla comprensione delle sue esigenze che possono nascondersi dietro ad atteggiamenti a volte anche fuorvianti.  L’ascolto attivo si basa su alcune risposte :

Prestare attenzione

Concretamente significa accogliere la persona, cioè mettersi faccia a faccia, annuire, chinarsi, mantenere il contatto oculare, metterla insomma a suo agio.

 

Facilitare la comunicazione

Significa mostrare disponibilità e tempo. Si possono utilizzare espressioni verbali che facilitano l’interazione positiva con l’interlocutore: “mi vuoi dire qualcosa di più sul problema?   “ Continua, è interessante ciò che stai dicendo”. Con queste espressioni facilitanti la persona capisce che la si sta ascoltando ma ancora non sa si essere compresa ed è qui che intervengono le altre tecniche del’ascolto attivo.  

Il rispecchiamento o riformulazione (parafrasi)

Con il rispecchiamento si fa capire alla persona che deve trovare una soluzione al problema e che noi possiamo solo supportarla in questo percorso. Questa tecnica (Rogers 1970) serve a ridire con altre parole, in modo più conciso e chiaro, ciò che l’interlocutore ha appena detto. L’obbiettivo è quello di chiarire il problema, in modo da aiutare la persona ad assumersi  la responsabilità della soluzione. (La domanda dell’interlocutore: faremo presto una verifica? si può decodificare come un messaggio di preoccupazione e allora si può chiedere: sei preoccupato di aver presto una verifica? )

Le richieste di chiarificazione

Le richieste di chiarificazione sono dei rimandi per mettere a fuoco il problema dell’interlocutore; attraverso le richieste di chiarificazione si cerca di far capire all’interlocutore dove si colloca il problema, permettendogli così di vedere la natura della questione. (Ad una persona che afferma che tutto va storto si chiede ”perché affermi che tutto va male?” …”cosa intendi quando dici che le cose ti vanno storte?”)

Riassumere verbalizzando i sentimenti

Aiutare l’interlocutore ad esprimere i propri sentimenti portando a consapevolezza l’aspetto non verbale della comunicazione. (Lei si sente deluso perché non è stato preso in considerazione il progetto…mi sembra molto agitato e arrabbiato, vero?). Questa modalità permette di correggere il tiro se si è fuori pista, dando all’altro la possibilità di di precisare la sua condizione e il suo stato d’animo.

    Ipotizzare possibili interpretazioni dando informazioni pertinenti

E’ il tentativo di suggerire possibili cause alla situazione problematica in cui l’altro si trova in modo da portarlo ad individuare le direzioni su cui indagare e riflettere. (lei pensa che la sua collega la odi, non potrebbe essere una forma di gelosia nei suoi confronti?).

Con l’ascolto attivo il messaggio che passa all’interlocutore è quello di distinguere tra il “fare” e l’ “essere”. Può esserci il disaccordo sul “fare” e si può discutere anche in modo animato, ma non deve mai essere messo in discussione l’”essere” . (Ti riconosco, ti considero ok, ti accolgo anche se posso essere in disaccordo su un punto specifico. Anche nel disaccordo continuo a considerarti degno della mia attenzione e del io rispetto).

La comunicazione assertiva

Spesso è necessario rispondere in modo assertivo alle richieste, fornendo dati, suggerimenti, alternative (ad esempio rispondendo in modo pertinente alla domanda: come posso fare per aiutare mio figlio a studiare a casa). Molte volte si tratta di comunicare decisioni chiare e risolute che non lascino spazio a contrattazioni. Se ad esempio un docente ha un comportamento che non può essere tollerato (il telefonino che squilla durante una riunione) vale la pena che lo modifiche subito perché non può essere ignorato, né tantomeno tollerato. Viceversa si può discutere un comportamento alternativo condiviso da tutti. In questo modo si creano degli accordi, cercando di evitare comportamenti oppositivi che possono portare ad un “braccio di ferro”. Per essere assertivi occorre rispettare alcune condizioni:

·               Cercare il contatto visivo con la persona

·               Parlare solamente quando si ha la completa attenzione

·               Parlare in modo pacato, ma chiaro, fermo e risoluto

·               Formulare la richiesta in positivo(anziché dire: non si telefona durante la riunione, si può dire : spegni il telefono, segui la discussione)

·               Il messaggio deve essere diretto e normativo, non lascia spazio a margini di contrattazione

La gestione assertiva dei conflitti

Le modalità di gestione dei conflitti possono rientrare in tre ampie categorie, ognuna delle quali corrisponde all’equivalente stile comunicativo: modalità passiva (stile rinunciatario- individualistico), modalità aggressiva (stile competitivo aggressivo) e modalità assertiva (stile assertivo cooperativo).

Tre sono i passi fondamentali nella soluzione assertiva dei conflitti. L’idea di fondo è quella di cercare di modificare il proprio comportamento e non quello degli altri:

1.     il rapporto empatico (io ti capisco), cioè sviluppare la capacità di intuire e provare le stesse emozioni dell’interlocutore , accettandolo e mettendosi nei suoi panni per capirlo meglio. Questa comprensione può essere facilitata dall’ascolto attivo: dimostrare attenzione, chiedere di chiarificare, ecc;

2.     la comunicazione e difesa dei propri bisogni e diritti /anche tu cerca di capirmi, mettiti nei miei panni, capisci le mie esigenze); richiede la capacità di esprimere sensazioni e sentimenti, di sapersi etero centrare, di controllare la rabbia, di evitare giudizi e conclusioni affrettate, di chiedere aiuto all’altro per risolvere il problema;

3.     le negoziazione (approfondiamo insieme il problema e cerchiamo una via d’uscita) come ricerca della mediazione che vada incontro alle esigenze di entrambi gli interlocutori, con loro reciproca soddisfazione. Per trovare una soluzione al problema occorre che entrambi gli interlocutori siano disponibili a cedere una parte delle loro posizioni, per fare un passo di avvicinamento alla posizione dell’altro. Occorre una ricerca cognitiva della soluzione migliore senza aver paura di idee anche stravaganti perché potrebbero rivelarsi le migliori. Si giunge alla soluzione condivisa quando la comunicazione è su un piano di parità e una persona non vuole prevalere sull’altra pretendendo una soluzione a proprio vantaggio. Nella comunicazione assertiva non c’è né vincitore né vinto: si è entrambi vincitori perché la soluzione soddisfa entrambe le parti.  

Come abbiamo visto, una componente importante nella comunicazione assertiva è la capacità di esprimere le proprie emozioni e i propri bisogni. Un possibile copione per evitare l’escalation del conflitto potrebbe essere: io mi sento…quando…; “io mi sono sentito rifiutato quando hai detto che non volevi fare il progetto”. In questo modo si permette all’altro di capire come ci si è sentiti e di promuovere la discussione che porti ad un chiarimento, a delle scuse o ad un impegno di non ferire nel futuro i sentimenti degli altri. Queste sono le cosiddette “frasi io” che vengono solitamente interpretate come richieste di chiarimento, di aiuto e quindi non vissute come attacchi personali. Diversamente, le “frasi tu” (tu mi hai detto che… tu vuoi che me ne vada…tu sei un despota…) risultano colpevolizzanti ed aggressive e vengono perciò vissute come attacchi alla persona, con la conseguenza di scatenare conflitti.

 Le affermazioni “io” possono essere  strutturate in quattro parti: “io mi sento… (espressione del sentimento personale) quando tu…(esplicitazione del comportamento problematico), perché penso …(dichiarazione delle regioni che motivano il sentimento espresso) e vorrei che tu (dichiarazione positiva su ciò che si vorrebbe che l’interlocutore facesse).

Concludiamo l’argomento sulla comunicazione efficace affrontando il problema relativo alla modalità di conduzione di un gruppo, in modo da essere credibili e convincenti, “persuasivi” e dunque efficaci nella trasmissione di informazioni nelle situazioni in cui ciò è necessario

Secondo L. Barbagli (3) sono necessarie alcune regole essenziali:

1. Avere cose importanti ed interessanti da dire 

2. Mantenere viva l’attenzione degli astanti.

3. Osservare tutti i presenti nell’aula

4. Mantenere integra la “cornice”

5. Rispettare gli stili cognitivi e d’apprendimento.

 Avere cose importanti ed interessanti da comunicare.

Sembra qualcosa di scontato ma non sempre lo è; si tratta anche di usare un linguaggio comprensibile e compatibile con il contesto affrontando il discorso dal punto di vista di chi ci deve seguire.

E’ pertanto necessario a tal scopo modulare il proprio linguaggio sulle caratteristiche del gruppo con cui dobbiamo interagire ed altresì toccare con esempi e connessioni logiche eventi o situazioni vissute dai partecipanti che siano utili per rendere vicini i temi che si devono affrontare.

Mantenere viva l’attenzione degli astanti.

Come si fa? Utilizzando non solo la comunicazione simbolica o narrativa ma anche quella dinamica muovendosi costantemente lungo tutto il “palcoscenico”.

Ovviamente si deve stare in piedi, gesticolare ampiamente, avere una mimica facciale e fisica marcata e considerare che chi ci sta di fronte deve essere interessato anche a noi, non solo a quello che diciamo.

In secondo luogo è necessario utilizzare un linguaggio emozionante ed evocativo, che trasmetta emozioni e coinvolga i partecipanti, ad esempio con una battuta.

Osservare tutti i presenti.

Ognuno dei presenti deve sentirsi direttamente coinvolto, deve sentirsi come diretto destinatario dei concetti esposti. Alcuni si riconoscono subito perché fanno mille domande e sono seduti in prima fila, hanno addirittura bisogno di essere riconosciuti.

Mantenere integra la “cornice”.

Durante una lezione ben fatta o una riunione collegiale si crea un certo livello di attenzione e di tensione che è bene mantenere. Quest’ambiente viene definito nei contesti formativi come “cornice”,ovvero il perimetro che delimita questo contesto.  Mantenerla vuol dire assicurarsi che i più esterni della stanza stiano seguendo e quindi rivolgere a loro una maggiore attenzione.

Se i più esterni stanno seguendo quasi certamente lo staranno facendo anche gli altri.

Rispettare gli stili cognitivi e d’apprendimento.

    Con stile cognitivo si intende, generalmente, una modalità preferenziale di elaborazione delle informazioni. Gli stili sono propensioni e preferenze nell’uso delle proprie abilità: non tutti apprendono nella stessa maniera, non tutti hanno lo stesso tipo d’intelligenza poiché quest’ultima è frutto di una precisa struttura mentale. Mettendo a confronto i contributi di Gardner e Jacobson si individuano sette tipi di intelligenza alle quali corrispondono sette modalità di comunicazione:

 

Gardner

Jacobson

Intelligenza logica

Comunicazione fatica

Intelligenza cinestesica

Comunicazione conativa (persuasiva)

Intelligenza spaziale

Comunicazione informativa (obiettiva

Intelligenza linguistica

Comunicazione espressiva (metalinguistica)

Intelligenza intrapersonale

Comunicazione poetica (suggestiva)

Intelligenza lessicale

Comunicazione immaginativa (fotografica)

Intelligenza interpersonale

Comunicazione descrittiva (contestualizzante)

Questo schema abbastanza complesso  può racchiuso in un modello a tre (4), per cui avremo lo stile “ordinativo”, cioè l’intelligenza schematica, il bisogno di metodo e di ordine; lo stile “intuitivo” che tende ad un sapere più profondo, non ordina, ma si coinvolge in nuovi problemi; il tipo “descrittivo” che tende ad avere una visione d’insieme, a concatena re gli elementi tra di loro, il che impedisce di afferrare il centro del problema.   

Naturalmente ogni individuo sviluppa tutte e tre le modalità , ma  può avere una predominanza in uno stile piuttosto che in un altro.

Ciò porta a comprendere che nel corso della gestione di una gruppo sia necessario fare leva su varie modalità comunicative che possano rendere efficace la comunicazione e l’interazione tra le persone e l’interlocutore. E’ importante, cioè, sapere che l’ordinativo ha bisogno di dati tangibili e spiegazioni, mentre l’intuitivo, all’opposto, ha bisogno di spiegazioni brillanti, di salti logici che stuzzichino la sua creatività e il suo interesse e il descrittivo necessita di legare la comunicazione ad esempi, aneddoti, farà mille domande rischiando essere dispersivo.

 

(1)          Watzlawick in Pragmatica della comunicazione umana – Astrolabio – Roma

(2)          Silvia Andrich Miato e Lidio Miato - La didattica inclusiva – Erikson

(3)          L. Barbagli  - Counseling, orientamento e classi – Casentino 2006

(4)          idem

Convegni

Archivio

Aggiornatore appuntamenti

Chi Siamo

Federazione PREPOS

Vincenzo Masini

Staff

Curriculum

Archivio

Mappa del sito

Links amici

Area Università

Area Medico - Sanitaria

Area Aziendale Organizzativa

Area Scolastica

Progetti scuola

Personalità collettive di classe

Counseling scolastico

Bullismo e burocrazia

Esperienze nella scuola

Area Convegni

Area Comunità

Area Famiglia

Area Orientamento

Area Formazione

Area Ricerca

Volumi

Articoli

Saggi

Tesi

Presentazioni

Presentazione clownterapia

Questionari

Contatti

Scuola Counseling Relazionale 

Programma

Regolamento

Calendario generale

Struttura dei corsi

Dispense

Laboratori

Consulenza amministrativa per counselor

Libera Università del Counseling

Associazione dei Counselor Professionisti