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Di seguito:

1  la sentenza della cassazione

2 la mail di Rolando Ciofi

3 il link al non luogo a procedere a Prevenire è Possibile

 

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La sentenza della cassazione

IN ATTESA DI CLASSIFICAZIONE » Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-03-2011) 11-04-2011, n. 14408

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente

Dott. SERPICO Francesco - rel. Consigliere

Dott. PAOLONI Giacomo - Consigliere

Dott. CITTERIO Carlo - Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) G.A. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 4021/2009 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 12/05/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/03/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERPICO Francesco;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FODARONI Maria Giuseppina che ha concluso per: Annullamento senza rinvio perchè il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili; Rigetto nel resto;

Udito, per la parte civile, l'Avv. GIAMPAOLO M.C. in sost.ne Avv. GIAMPAOLO G. che conclude per l'inammissibilità del ricorso con condanna ulteriori spese alla p.c.;

Udito il difensore Avv. LUCIO LUCIA che insiste.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Sull'appello proposto dal PG presso la Corte di Appello di Bologna e dalla parte civile C.M. nella qualità di pres.te pro tempore dell'Ordine degli Psicologi della Regione Emilia Romagna avverso la sentenza del Tribunale di Ravenna in data 26-11-2008 che aveva assolto G.A. dal reato di cui agli artt. 81 e 348 c.p. in relazione alla L. n. 56 del 1989, artt. 1, 2 e 34 per prestazione abusiva della professione di psicologo e di psicoterapeuta, in (OMISSIS), perchè il fatto non sussiste, la Corte di Appello di Bologna, con sentenza in data 12-5- 2010, in riforma del giudizio assolutorio di 1^ grado, dichiarava l'imputata colpevole del reato ascrittole e, concessele le attenuanti generiche, la condannava alla pena di Euro 340,00 di multa, con risarcimento danni e spese in favore della costituita parte civile.

Avverso tale sentenza l'imputata G. ha proposto ricorso per cassazione deducendo a motivi del gravame, a mezzo del proprio difensore, sostanzialmente ed in sintesi:

1) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 348 c.p. e L. n. 56 del 1989, artt. 1, 2 e 3 segnatamente riferita all'ambito ed atti tipici della professione di psicologo ed attività di psicoterapeuta. Esercizio della psicanalisi, con articolata rappresentazione delle sfere di operatività clinico- diagnostica di tali discipline, con ribadita sussistenza di quella relativa alla psicoanalisi, come esattamente individuata dal giudice di 1^ grado;

2) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per mancanza di motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato, posto che l'imputata, anche alla luce di autorevoli interpretazione della materia in oggetto, poteva dirsi ragionevolmente portatrice "della tranquilla convinzione di porre in essere un'attività lecita e di non esercitare abusivamente la professione di psicologo nè l'attività di psicoterapeuta".

Si chiedeva, in ogni caso, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

Con motivi nuovi ex art. 585 c.p.p., comma 4, la difesa della ricorrente ha ulteriormente dedotto l'inosservanza di norme stabilite a pena di nullità ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), per mancata correlazione tra accusa e sentenza, con conseguente nullità della stessa ex artt. 521, 522 e 598 c.p., non risultando essere stata contestata all'imputata la ritenuta condotta di metodo di colloquio quale terapia delle sedute e, come tale, integrante il reato contestato.

Dal canto suo la difesa della costituita parte civile Ordine Psicologi Regione Reggio-Emilia ha depositato memoria difensiva ex art. 121 c.p.p. con invocata declaratoria di inammissibilità del ricorso e, in caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, con condanna alle spese in favore di detta p.c., fermo restando le relative statuizioni.

Dato atto dell'apprezzabile impegno profuso dalle difese dell'imputata e ella costituita parte civile nel rappresentare, secondo i rispettivi interessi, i termini del non agevole tracciato del problema di diritto attinente la configurabilità, nella specie, del contestato reato di cui all'art. 348 c.p. in relazione alla L. n. 56 del 1989, va preliminarmente rilevata:

a) la comprovata decorrenza del termine massimo prescrizionale alla stregua del novellato art. 157 c.p.;

b) la insussistenza di condizioni ictu oculi legittimanti pronuncia nel merito ex art. 129 cpv. c.p.p.;

c) la conseguente corretta dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione;

d) l'altrettanto conseguente conferma delle statuizioni attinenti interessi civili, con aggravio di ulteriori spese alla costituita p.c..

Ed invero, esclusa ogni eccepita violazione di cui all'art. 521 c.p.p. stante il tenore "di ampio raggio" della contestazione mossa alla ricorrente, va ribadito il principio di diritto già richiamato da questa Corte di legittimità (cfr. Sez. 3, 24-4-08 n. 22268, Caleffi) secondo cui, ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 348 c.p., l'esercizio della attività di psicoterapeuta è subordinato ad una specifica formazione professionale della durata almeno quadriennale ed all'inserimento negli albi degli psicologi o dei medici (all'interno dei quali è dedicato un settore speciale per gli psicoterapeuti). Ciò posto, la psicanalisi, quale quella riferibile alla condotta della ricorrente, è pur sempre una psicoterapia che si distingue dalle altre per i metodi usati per rimuovere disturbi mentali, emotivi e comportamentali. Ne consegue che non è condivisibile la tesi difensiva della ricorrente, posto che l'attività dello psicanalista non è annoverabile fra quelle libere previste dall'art. 2231 c.c. ma necessita di particolare abilitazione statale.

Di tanto l'imputata era comprovatamente sprovvista. Nè può ritenersi che il metodo "del colloquio" non rientri in una vera e propria forma di terapia, tipico atto della professione medica, di guisa che non v'è dubbio che tale metodica, collegata funzionalmente alla cennata psicoanalisi, rappresenti un'attività diretta alla guarigione da vere e proprie malattie (ad es. l'anoressia) il che la inquadra nella professione medica, con conseguente configurabilità del contestato reato ex art. 348 c.p. in carenza delle condizioni legittimanti tale professione (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 17702 del 2004, Bordi).

Di qui l'insussistenza di condizioni legittimanti, a favore della ricorrente, declaratorie di non punibilità ex art. 129 cpv. c.p.p..

Ne consegue, intuibilmente, la corretta conferma delle statuizioni attinenti la parte civile, con condanna in favore della stessa delle ulteriori spese liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili e condanna l'imputata al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile costituita che liquida in complessivi Euro DUEMILA,00 oltre IVA e CPA come per legge.

 

 

 

2

La lettera di Rolando Ciofi

Quando si perde una battaglia occorre anzitutto avere l'onestà intellettuale di ammettere la sconfitta. Bene. Così è andata, per me e per quella parte della psicologia professionale italiana che ritengo di rappresentare, con la sentenza n. 14408 del 11 aprile 2011 sulla psicoanalisi laica. Non è la prima battaglia persa. C'è stato il passaggio della vigilanza sull'Ordine degli Psicologi dal Ministero della Giustizia a quello della Salute, c'è stato il caso dell'Accademia medica che pone "sotto la propria ala" l'Accademia psicologica. Ormai è un trend.

Non è mia intenzione qui entrare nei dettagli. Le Istituzioni vanno rispettate. Se la magistratura decide che la psicanalisi è una psicoterapia "medica" occorre prenderne atto. Lo stesso vale quando Parlamento o CUN assumono decisioni rilevanti per la professione o per la disciplina.
Dunque con sempre maggiore chiarezza la psicologia è una questione "sanitaria". E sanitaria significa, anche nel linguaggio usato dalla Cassazione, di impronta inequivocabilmente medica.

Ecco le parole precise della Cassazione:

Né può ritenersi che il metodo "del colloquio" non rientri in una vera e propria forma di terapia, tipico atto della professione medica, di guisa che non v'è dubbio che tale metodica, collegata funzionalmente alla cennata psicoanalisi, rappresenti un'attività diretta alla guarigione da vere e proprie malattie (ad es. l'anoressia) il che la inquadra nella professione medica.....

Io non mi riconosco nella psicologia come così la si va disegnando. Con me non si riconoscono in questa visione molti colleghi.

Sono un gestaltista. Il mio modello di psicologia è quello umanistico. Il mio concetto di salute è olistico, sempre di salute parlo, ma non è la salute così come la intende un medico. Analogamente se parlo di clinica di un'altra clinica si tratta rispetto a quella medica. Credo inoltre che ci sia una terapia non clinica. Che non abbisogna del passaggio lineare anamnesi, diagnosi, trattamento. Nel racconto della storia, unica, di un soggetto al suo terapeuta, si forma concordemente la diagnosi che è, se condivisa, al contempo terapia. L'antiquato concetto di consapevolezza insomma per me ancora ha il suo fascino. E ancora credo che ogni soggetto sia unico, ed indebita ogni generalizzazione. E che nessuno psicoterapeuta "curi" attraverso "ricette" "trucchi" "tecniche" "protocolli". Credo che la "cura" psicologica sia questione di relazione, all'interno della quale certo hanno un ruolo sia i fenomeni transferali che quelli di setting. Ma i fenomeni transferali e di setting hanno un ruolo in tutte le relazioni umane, la differenza è che gli psicologi e tutti quegli operatori che vi si richiamano, ne hanno contezza.

Credo altresì che la ricerca, rigorosa e scientifica, sia utilissima. Ma che questa stia alla terapia come la critica sta all'arte. Non vi può essere arte senza critica severa, ma raramente i critici sono anche artisti.

Siccome la psicologia Italiana ha ormai imboccato la strada della medicalizzazione (guidata da un sindacato che da questo fenomeno ha da guadagnare la parificazione del trattamento tra psicologi e medici all'interno dei servizi pubblici), io che non lavoro nel pubblico, sono disposto a lasciare sul campo il mio titolo. Che gli psicologi diventino dei paramedici, se così fa loro piacere. Per quanto mi riguarda faccio fatica a considerarmi psicologo quaqndo allo psicologo si vogliono dare tali connotati. Mi inventerò un nome nuovo pur rimanendo (poichè così mi obbliga la legge, per ora) all'interno della stessa comunità.

Comunità dalla quale al contempo ritengo ormai inevitabile, mantenendo intatti i diritti derivanti dalla mia storia, dai miei titoli, dal mio percorso, separarmi, divorziare. Il problema è che per siffatto divorzio non esistono ancora le procedure. Occorrerà allora lavorare per costruirle tali procedure.
 
Non ho nulla a che vedere con un Ordine Professionale al quale devo per legge essere iscritto ma dal quale non mi sento minimamente rappresentato. La psicologia, subito un gradino sotto la filosofia (sotto nel senso che maggiormente collegata al pragmatico) è cultura, ovvero una scienza umana, subito un gradino sopra (sopra nel senso che si occupa del soggetto nella sua globalità) della medicina che è tecnica. Una psicologia che diventi tecnica ammette il "terzo", la parte malata, che giustifica appunto le tecniche intervenienti sul nucleo scisso dall'insieme. Quando vedo un cliente non vedo una parte malata, vedo il cliente, nella sua unicità, nella sua soggettività... e non ci sono protocolli che mi aiutino nè atti tipici che mi abilitino.

E allora chiamatemi maestro, chiamatemi poeta od artista, chiamatemi maieuta, ma per carità basta, non chiamatemi psicologo. Ho questo ultimo titolo poiché ne ho diritto, ma in questa situazione mi infastidisce usarlo. Non trovo né illegittimo né insensato il fatto che la maggioranza del mondo della psicologia professionale abbracci con decisione un modello "scientifico". Nella storia delle nostre discipline, sin dagli esordi, si sono contrapposti e scontrati il modello "scientifico" e quello "umanistico". Il dramma di oggi è che il primo, politicamente più forte, sta "strozzando" il secondo.
Rivendico alla psicologia come io la intendo, come disciplina di area vasta, l'arte maieutica. Ovvero quella per cui attraverso il dialogo, le verità sedimentate nella coscienza vengono portate alla luce e palesate dagli interlocutori con i propri mezzi in ragione dei passaggi logici propri del discorso.
E se essendomi ridefinito maieuta ed essendo almeno da un punto di vista nominale uscito da una comunità asfittica mi guardo intorno, mi ritrovo ad appartenere ad una comunità professionale ben più vasta di quella degli psicologi (o di quella medico-psicologica). Sì perché comprende oltre un milione di soggetti, insegnanti, filosofi, pedagogisti, counselor, psicoanalisti laici, mediatori, coach, consulenti matrimoniali e familiari, sino ad arrivare perché no ai consulenti spirituali.... Questa la mia grande famiglia all'interno della quale certo ho le mie specificità, di percorso, di studi, di attitudini, con la quale però condivido una visione dell'essere umano e della sua "salute". "Salute" che è nella disponibilità e nella responsabilità del soggetto, "salute" non delegabile rispetto alla quale il tecnico è strumento e non agente primario.

Dunque identificandomi con questo mondo più che con la corporazione alla quale mi tocca di appartenere, lancio ai miei colleghi, ma non solo ai miei colleghi, ma anche a tutti coloro che appartenendo al mio modello culturale di riferimento intendono appoggiarmi, una proposta semplice: divorziamo. Da una parte la psicologia delle ASL, la psicologia che insegue il modello medico. Dall'altra parte la psicologia del modello maieutico, umanistico.
 
Attenzione, troppo facile dire se vuoi andare vattene. Il divorzio è una cosa seria. Si discute in Tribunale.
E il nostro Tribunale sarà il Parlamento che è deputato a legiferare. La legge 56/89 è arrivata ormai a capolinea. La sua interpretazione ha portato ad una insanabile spaccatura. Anziché unificare una disciplina sul piano professionale ha creato i presupposti per una definitiva scissione. E dunque, dal mio punto di vista almeno, che si cominci a parlare di un superamento di tale legge.
 
Vi sono due misure semplici che possono essere assunte e che possono dare spazio, ugualmente dignitoso, alle due diverse anime della psicologia professionale italiana.

1.          Abolizione dell'Ordine degli Psicologi e sua trasformazione in Associazione
Gli psicologi potranno così scegliere liberamente l'ambito culturale e professionale all'interno del quale inserirsi.

2.          Statuto autonomo, associativo, (così come nella maggior parte degli Stati Europei) della psicoterapia
Gli psicoterapeuti, liberi dalla sudditanza politica nei confronti di medici e psicologi, potranno così autonomamente definire la loro professione.

Del resto che si stia arrivando ad una faticosa riforma delle professioni intellettuali è un fatto. Cogliamo l'occasione per chiedere, all'interno di tale riforma, la rivisitazione della legge 56/89

"Rolando Ciofi - Movimento Psicologi Indipendenti"

 

 

 

3

delibera della commissione deontologica dell'ordine degli psicologi

http://www.prepos.it/commissione%20deontologica%20ordine%20degli%20psicologi.htm

 

 

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