DOCUMENTO FINALE SAN VALENTINO 2001 AREZZO
Gli attentati ai sentimenti
A partire dall’accertamento delle emozioni che scivolano nel flusso delle relazioni si è giunti a capire il significato dell’empatia e, attraverso l’empatia, è venuto alla luce come i legami nascano dal contatto con le altre persone. Il contrario di un legame è un vincolo che si oggettiva nel comportamento di un copione nato da incomprensioni, fraintendimenti, equivoci e prigionie affettive che si incarnano nel sé, luogo psichico dove risiede l’"altro da me". La crescita personale libera dai copioni ripetivi di emozioni e consente di trovare, attraverso il valore comune dei sentimenti, nell’altro un essere umano come noi. I sentimenti hanno la proprietà di adagiarsi nelle profondità dell’anima. Si è così posto a fondamento di un programma di ricerca la definizione di anima, differenziandola dal concetto di psiche.
L’ambizioso programma vuole percorrere anche un altro pezzo di strada: come difendere i nostri sentimenti dagli attentati e dalle tentazioni che quotidianamente li scuotono o li inquinano? "Attentato" è un’azione esterna, agita nella relazione, con lo scopo, deliberato o involontario, di frammentare i sentimenti, "tentazione" è il processo di distruzione del valore del sentimento agito, intenzionalmente o inconsapevolmente, dal sé che si replica attraverso i suoi copioni.
Ultimo oggetto della riflessione è dunque una analisi dei vissuti di sentimento frantumato per individuare gli antidoti e le difese opportune dagli attentati esterni. Non dalle tentazioni interne operate dal sé, giacché lo studio dei copioni ha già indicato la necessità della "persona essenziale" per liberarci dalle tipizzazioni del comportamento. Una volta che la persona umana sia riuscita ad entrare in contatto con la sua anima ed abbia sperimentato il valore dei sentimenti quali sono le vie di difesa dall’oppressione, dall’intimidazione, dalla squalifica, dalla seduzione (delusione-disillusione), dalla demotivazione, dall’istigazione e dal condizionamento-manipolazione?
Il tema è complesso perché richiede di entrare dal punto di vista dell’anima. Quando i sentimenti di cui la persona ha accertato il valore nella sua definita e chiara profondità non sono più connessi in modo diretto alla relazione con l’altro ma vivono di vita propria nell’interiorità del soggetto hanno perduto la loro connotazione di esperienze temporali. Una volta conosciuti sono stati colti nella loro caratteristiche di invarianza. L’uomo scopre che già li conosceva, da tempo, senza individuare una data di origine ed una loro evoluzione. Scopre così di essere stato a volte lontano, a volte vicino alla loro essenza e che il luogo stesso dove risiedono, l’anima, è stato a volte in forte contatto con il suo sé, a volte assolutamente lontano.
Tale contatto, con le caratteristiche di accertamento della pienezza di essere, è interrotto dall’insorgenza di vecchi copioni e questi ultimi sono riaccesi da ambiti di relazioni i cui messaggi si incuneano nelle percezioni e producono fratture tra il sé e l’anima. Gli attentati ai sentimenti sono dunque comunicazioni esterne infiltrate nel sé (che si esprimono anche mediante fantasie o immaginazioni) che distaccano il sé dall’anima fino a rendere impossibile la percezione e l’accertamento di esistenza di quest’ultima. "Perdere l’anima" significa dunque perdere il contatto con essa da parte del sé. Per mantenere il contatto occorre elaborare strategie di difesa dagli attentati. Non si tratta più solo di lavorare per ottenere l’equilibrio del sé, bilanciandolo tra i diversi copioni di rinforzo, in affinità o in opposizione, ma di disporsi a modelli di razionalità e di modulazione dei sentimenti paradossali rispetto ai semplici vissuti di relaziona tra il sé e gli altri o tra il sé e l’anima. Gli altri, il sé e l’anima sono contemporaneamente in gioco e le diverse insidie debbono essere depotenziate senza danneggiare né gli altri, né il sé, né l’anima. Qualsiasi danno è perdita di contatto con una parte indispensabile dell’esistenza umana.
Oppressione
L’oppressione nasce sempre attraverso un pretesto: una forma, un decoro, uno status. E’ una malizia che rimanda alla circostanza in cui avviene ed alla quale attribuiamo noi stessi importanza. Spesso fa leva sul bisogno di appartenere e sulla incapacità di autonomia. L’oppressione arriva avvolgente come certezza di un luogo sicuro in cui si percepisce come "bello" il fatto di lasciarsi opprimere.
L’oppressione è esercitata nel rapporto a due, dove il contesto funziona sempre da pretesto o da causa per giustificare il significato dell’oppressione. In questo senso l’oppressore trasforma l’amore in un’arma e non cede di fronte alla realtà del suo agire negativo perché "lo fa per il bene dell’altro". Nell’oppressore c’è una sorta di voluta ottusità che gli impedisce di vedere l’effetto autentico della sua azione, nell’oppresso c’è la compiacente remissione ai voleri dell’oppressore, da cui l’oppresso ricava l’unica definizione possibile di sé. L’oppresso dunque non ha identità personale se non in funzione dell’oppressore. L’azione dell’oppressione determina la caduta delle possibilità di scelta e l’effetto finale è quello di una frattura interna nella persona che non sa più riconoscersi come soggetto e non sa più entrare in contatto con la sua anima. Le strade per la libertà passano attraverso il riconoscimento della propria debolezza sospendendo le valutazioni continue sul fatto che l’oppressione dia esiti negativi o positivi, questo dialogo interno avvolge ancor più nell’oppressione. Ma per pervenire all’accertamento della propria identità occorre relativizzare il rapporto a due, tipico dell’oppressione e relativizzarsi. Non pensarsi più come "figlio di quella madre", "marito di quella moglie", "suddito di quel re", ecc., ma in funzione di altro. La difesa dai perenni attentati dell’oppressione sta nel non esistere più in funzione di quel solo rapporto, spezzandone così il ritmo ed accettando la separazione e la solitudine affettiva conseguente. Solo così si perviene alla possibilità di "sapersi sentire da soli" ed ascoltare la compagnia dei sentimenti della propria anima, accettarla ed amarla.
Intimidazione
Intimidazione e istigazione sono due azioni rivolte al soggetto al fine di produrre una "non azione" o una "azione". Appartengono a due specie di categorie di azione dotata di senso diverse tra di loro con il denominatore comune di "non lasciare tempo".
L’intimidazione paralizza ed impedisce il pensiero e le scelte, mettendo in campo una violazione brutale dei sentimenti della persona, per renderla incapace di reagire. La violenza psicologica dell’intimidazione è sottovalutata rispetto alle caratteristiche relazionali dell’abuso a cui si accompagna. Le vittime degli abusi descrivono un vissuto di separazione profonda da sé stessi prodotta non tanto dal dolore e dalla violenza fisica subita, ma dalla lacerazione della loro interiorità. La frattura provocata dall’intimidazione è dentro il sentimento del sé, diviso da una scissione. Gli occhi guardano, la mente registra ma non c’è reattività, né esteriore, né interiore. All’esterno non si produce nessun movimento di resistenza, all’interno nessuna elaborazione attraverso la percezione del dolore, della rabbia o dello sconforto. A volte l’unica elaborazione è quella depressiva; ciò accade spesso nei bambini che, attribuendo ancora all’adulto una connotazione positiva, si autoattribuiscono la responsabilità dell’essere vittime e, successivamente, rivolgono contro se stessi l’aggressività. Dal loro punto di vista la colpa è loro, perché un adulto non può essere così cattivo da far loro così tanto male.
Nei casi di abuso fisico sono più evidenti gli effetti dell’intimidazione, agita per rendere l’altro annichilito e passivo di fronte all’azione. Ed è l’intimidazione la vera protagonista della frattura interna, molto più della violenza in sé. In persone colpite da violenza anche più grandi non si riscontrano disastri emotivi come in chi ha vissuto paralizzato un abuso. La struttura della comunicazione di intimidazione è dirompente e progressiva, senza cedimenti e titubanze; può esistere senza esercizio di violenza fisica, ed anche senza esplicite minacce, nella sola qualità di invasione psicologica della mente altrui. Sono catalogabili come intimidazioni tutte le pressioni di potere su soggetti vittime agite a scopo di estorsione o di mobbing (il mobbing è una patologia sociale originata da aggressioni, per lo più di genere psicologico, da parte di colleghi e/o superiori gerarchici sul posto di lavoro. Tra i diversi comportamenti di mobbing l’intimidazione è presente nelle condotte aggressive tendenti ad impedire alla vittima di esprimersi attraverso urla, rimproveri, critiche, improperi, terrorismo telefonico, ecc.).
L’effetto dell’intimidazione è distruttivo della dimensione profonda della persona perché si insinua come frattura tra il sé e la percezione profonda del valore dei sentimenti; il risultato è quello di non riuscire più ad avere un contatto con la propria personale identità. Questo tipo di azione può dunque "portar via l’anima", impedire cioè per lungo tempo l’ascolto della parte più sensibile e sensitiva dell’interiorità umana.
L’antidoto agli attentati intimidatori è il possesso del proprio tempo vitale. Solo che possiede il senso interno del tempo può respingere tali assalti, tenendosi saldamente al suo essere nel tempo, al senso della durata, alla incontestabile certezza che quanto avviene intorno a noi è comunque un’esperienza transitoria, e, in ogni caso, ha un dopo. La durata consente di riconoscere l’azione esterna e quando tale azione viene riconosciuta, riemerge la consapevolezza della propria identità e svanisce la paura. "Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio trovò il tempo per andare ad aprire e non c’era nessuno".
Istigazione
Anche l’istigazione ha a che fare con il tempo. Chi istiga pretende una risposta immediata, non tanto perché tal risposta sia subitaneamente agita verso altri, quanto al fine di far assorbire immediatamente il contenuto specifico di quell’istigazione. L’istigazione è un processo, a volte duraturo, costituito da tappe e da passaggi con calcolata progressione strategica volta a determinare una nebbia conoscitiva e valutativa intorno al soggetto istigato dalla quale egli può uscire solo dando credito ad un suggerimento, a volte nemmeno profferito in forma compiuta, alla cui luce tutto si rischiara. La persona istigata non sa esattamente cosa fare e cosa pensare ed il suo tempo è stretto e limitato poiché sente impellente il bisogno di agire e di sistemare le cose con giustizia. L’istigato è prigioniero della confusione e del conflitto interiore a cui vuol por fine senza avere più il tempo per pensare o per decidere. Il possesso del proprio tempo è l’antidoto all’istigazione utilizzandolo sulla base delle personali scadenze, precedentemente decise: "domani si vede", "lunedì prossimo analizzo il da farsi", "dopo Pasqua ne parliamo", ecc. L’essersi dati scadenze e progetti rassicura e mantiene forte la serenità interiore ed il contatto interno, corroborando l’ottimismo giacché chi è amico di un tempo galantuomo non si sente obbligato a rispettare le scadenze imposte da altri mediante l’assillo dell’istigazione.
Squalifica
La svalutazione, la derisione, la ridicolizzazione umiliante, il discredito pubblico e la disconferma brutale sono i principali metodi con cui opera la squalifica. Nella mente delle vittime collassa l’autostima sia per la percezione della propria impotenza, sia per il fatto di sentirsi umiliato ed emarginato. I due processi si rinforzano vicendevolmente e la persona non riesce più a comprendere l’essenza della sua identità. Egli si sente un nulla e qualunque cosa faccia per liberarsi da tale condizione, la peggiora. Le reazioni di sdegno o di collera vengono utilizzate da chi squalifica per rinforzare l’immagine negativa dello squalificato. Progressivamente vengono disprezzati valori di riferimento della persona che, perdendo questi ancoramenti, perviene ad una grande fragilità interiore. Il suo contatto con l’anima è un filo sempre più tenue che può rompersi se ciò in cui crede viene ulteriormente calpestato. La squalifica mette infatti in discussione la dignità della persona per quello che è, per quello che ha costruito e per quello in cui crede. La risposta alla squalifica consiste nella autodichiarazione, anche priva di azioni o di comunicazioni di accompagnamento, di ORA BASTA!. Ora basta significa la riappropriazione dell’identità e della dignità, anche in assenza di moti di azione o di reazione alle altrui denigrazioni. "Tu non puoi toccare la dignità della mia anima perché viene da così in alto che per te è inaccessibile e irraggiungibile!". Questa dichiarazione di conferma è l’unica strada certa e consolante che dissolve gli equivoci interni alla persona e riapre alla fiducia in se stessi. Si fonda sulla ferma opposizione al logoramento interiore prodotto dagli attentati al sentimento di dignità della persona umana e, dunque, non si aggrappa a nessun riferimento alle qualità del soggetto ed al suo agire. E’ una dichiarazione umile che non cerca di difendere le posizioni sociali o relazionali cadendo nella trappola di svendere ulteriormente la dignità personale. Infatti ogni discussione sul proprio valore personale, professionale o di competenza rischia di far scivolare la persona negli equivoci del difendersi da accuse mai formulate esplicitamente perché costantemente pretestuose. Il prendere atto della propria piccolezza come persona, ma della grandezza della propria interiorità, è un atto umile, non squalificabile da nessuno e soprattutto non mercificabile con nessun compromesso sulla sostanza di sé. L’agire della squalifica non riesce così a raggiungere l’effetto della separazione del sé dall’interiorità; la decisiva difesa dell’interiorità mediante l’affermazione della sua dignità invece che allontanare dalla propria anima, riavvicina e la rende inattaccabile.
Seduzione
Il seduttore agisce sui sogni e non sui bisogni e cattura la vittima attraverso l’immagine della vittima che viene restituita dal rispecchiamento nel seduttore. La seduzione offre al soggetto qualcosa che non ha, o meglio fa apparire al sedotto di essere quello che non è e che sogna di essere. Il seduttore recita all’interno dei sogni della vittima, quegli stessi sogni che la vittima non ha mai ammesso a se stessa di avere. Il terreno su cui muove la seduzione è sempre irreale e le pressioni esercitate sull’anima la portano ovunque alla ricerca di un posto che non c’è. Il processo di estraniazione avviene mediante l’allontanamento dell’anima e la illusione che i suoi sogni possano essere reali e soddisfatti. Tali sogni sono però lontani dalla identità della persona, appartengono ad un mondo che la persona ha forse immaginato o ne ha un ricordo o ha costruito su questo le sue pretese di completezza. L’illusione ha come esito la disillusione, così come la seduzione ha come esito la delusione. Il processo più grave è quello dell’illusione/disillusione giacché la persona ha paura di farsi raggiungere dall’angoscia di separazione. Fino a che era sedotta entro la cornice dei suoi sogni poteva coltivare il desiderio di unità e di fusione gratificante e finalmente totalizzante, quando si disillude avverte di tradire i suoi sogni e teme di non poterli possedere più. Dunque scappa dall’angoscia e, animatamante agitata (isterica) cerca di raggiungere ciò che non esiste. L’antidoto ai sogni della seduzione è la terra: i piedi per terra e la coscienza delle cose di cui si ha davvero bisogno. Meglio ancora della terra l’immagine a cui rifarsi è quella del fango: spesso i sogni da cui attinge energia la seduzione sono quelli nascosti nella persona che non sono mai stati pienamente considerati, accettati pur nella loro impurità, compresi ed elaborati. In essi vi è il seme della futura delusione che rimanda esattamente quello che si è investito nel processo di acconsentimento alla seduzione.
Demotivazione
Le aspettative sull’esito delle nostre azione sono una trappola per chi attende risposte direttamente congruenti ai comportamenti espressi. L’impegno non paga mai in termini meccanici e congruenti, ma produce effetti di effetti che tornano alla persona per vie complicate, ma non misteriose. Spesso la demotivazione dipende da aspettative troppo alte e da eventi vissuti come sconfitte delle quali è difficile scoprire il perché. Il demotivato si sente sotto esame e non accetta di essere sempre impreparato. Allora sospende l’interesse e chiude le sue energie. Il demotivatore si esprime con un agire intenzionale volto a togliere la voglia del fare attraverso una sequela di piccoli atti invisibili che fiaccano la volontà. Così la persona demotivata sente su di sé il peso dell’insuccesso, si attribuisce la colpa e si ritaglia limiti entro cui stare che, col tempo, diventano sempre più stretti. Perde forza ed intenzionalità e ulteriormente si sente insufficiente ed incapace. La sfida alla demotivazione parte dalla riscoperta della propria innocenza. Il demotivato non ha colpa poiché ha fatto quanto poteva, ha reagito, si è impegnato, si è anche battuto ma qualcosa o qualcuno hanno impedito che le sue imprese avessero successo. L’innocenza dell’anima è la risomministrazione a se stessi di un nuovo battesimo che riapre alla vita. Tale è il significato del rinnovato contatto con l’anima e l’effetto dell’innocenza è la visione di sé in possesso della forza per andare avanti.
Imbroglio
La trasparenza e la comunicazione sono gli antidoti all’imbroglio nelle diverse forme di ricatto affettivo, manipolazione e condizionamento. Chi imbroglia induce all’azione con l’inganno senza rispettare l’altro, consapevole di agire secondo il principio del fine che giustifica i mezzi. E il fine a cui l’imbroglione si riferisce è sempre un fine "nobile" che lo conferma e lo sostiene nel suo agire o, almeno, è un fine significativo per i suoi interessi legittimi o, addirittura, per i veri interessi della vittima che solo lui sa interpretare e raggiungere. La condizione dell’imbrogliato è una sospensione della chiarezza e del contatto con la realtà intima dei suoi veri bisogni. La frattura tra il sé e l’anima è determinata dalla incapacità di riconoscere con trasparenza ciò l’interiorità chiede e desidera da quanto viene detto, interpretando, dall’altro che agisce nell’imbroglio. Ottiene così un’immagine falsificata di sé e dei suoi bisogni, del suo dialogo interno, delle sue aspettative. La stessa voce interiore appare falsa alla superficie della coscienza e viene progressivamente fatta tacere. Il contatto è interrotto perché ciò che l’imbrogliato sente è da lui stesso dichiarato non vero. Uscire dall’imbroglio richiede un testimone esterno capace di ridare consapevolezza e di oggettivare la situazione di vita e di pensiero che viene drammaticamente vissuta nel corso dell’imbroglio.
L’uscita dall’imbroglio è liberazione trasparente ed inequivoca attraverso la quale si restituisce respiro all’interiorità. L’antidoto è dunque l’aria, trasparente e rarefatta. Così come l’imbroglio vive sulla pesantezza dei ragionamenti e delle operazioni formali, la trasparenza vive sulle percezioni, sulle sensazioni e sulle intuizioni rimandate al soggetto direttamente dalla realtà del suo vivere.