In pubblicazione su Sociologia e politiche sociali
RELAZIONI DI PERSONALITA’ COLLETTIVA, EQUILIBRIO, EMPATIA SOCIOSISTEMICA E
GOVERNANCE
Vincenzo Masini
Empatia e
dinamica nelle relazioni gruppali
La distinzione tra processi empatici e dinamici all’interno dei gruppi, un
importante tema della ricerca psicosociologica struttural-funzionalista rimasto
aperto, può essere rivisitato con i moderni strumenti dell’analisi dei reticoli
sociali. L’empatia riguarda il primario e naturale
coglimento del vissuto altrui (pur se moderato nella distinzione psicologica tra
empatia affettiva ed empatia cognitiva o distribuito nella sua fenomenologia nei
suoi diversi gradi di percezione, immedesimazione riempiente ed oggettivazione);
la dinamica descrive la processualità degli scambi sulla base di schemi o di
copioni, intrapsichici o relazionali[1].
La dinamica si attua nelle articolazioni dei ruoli sociali nel gruppo, ma la
configurazione e funzionale culturale dei ruoli, anche più strutturati è
contaminata da simpatie, antipatie ed apatie (le tre essenziali configurazioni
relazionali di base in cui si declina l’empatizzazione); di contro ogni
coglimento empatico del vissuto altrui s’implementa attraverso frames
conversazionali fino ad assumere una specifica tipizzazione dinamica.
Nella tradizionale distinzione tra dimensione empatica e dimensione dinamica
possono essere lette come empatiche
le tipologie di gruppo fusionale (un
gruppo molto poco strutturato, con poche norme interne e senza ruoli definiti:
la folla, la comitiva, ecc.), di gruppo
affiliativo (accettazione incondizionata in un’esperienza d’amore che
soddisfa i bisogni individuali). Il gruppo
centrato sul controllo e sull’istituzione è, invece, un gruppo fortemente
dinamico per la forte direttività
e l’importanza dell’aspetto normativo. Il
gruppo confliggente si configura come gruppo dinamico coalizzato
internamente in ragione di interessi comuni e chiuso dentro un rigido confine.
Ha caratteristiche dinamiche anche il
gruppo centrato sulla differenziazione: un gruppo rarefatto con legami
deboli in cui il sistema di relazione è fondato sulla conferma vicendevole nella
differenziazione individuale.
Il richiamo al tema dell’empatia e della dinamica per discutere di processi
gruppali è necessario per basare la discussione sulla struttura equilibrata dei
gruppi, dei loro sistemi di relazione e sull’interconnesione tra questi. Ciò che
si vuole sostenere, infatti, è che un sistema di relazioni in equilibrio
favorisce l’empatia e, di contro, l’empatia favorisce lo sviluppo equilibrato
del sistema di relazioni. Anche attraverso i processi dinamici si perviene
all’equilibrio, ma la loro proprietà è quella di elicitarsi in relazioni più
strutturate; la loro minor duttilità rende più fragile il sistema di relazioni
gruppali di fronte alle perturbazioni intervenienti. In condizioni di rigidità
dinamica i membri del gruppo hanno minori possibilità di cocostruire la
personalità collettiva del gruppo e di condividerne il significato.
Per guardare da un’altra angolatura il problema (che è una delle diverse
sfaccettature di fondamentali questioni sociologiche come gruppo primario e
secondario, comunità e società, mondi vitali e sistemi, gruppo nascente e
istituzioni) mi sono impegnato a cercare di costruire un ventaglio idealtipico
di relazioni, dal cui incrocio (con le relative diverse prevalenze) si potesse
desumere la qualità della personalità collettiva di un gruppo.
L’obiettivo del modello delle personalità collettive è quello di leggere le
diverse modulazioni dei gruppi attraverso la loro riduzione in 14 relazioni
interpersonali, qualitativamente diverse, tutte coprensenti, ma intervenienti in
diversa misura a seconda dell’identità del gruppo e delle relazioni tra i
membri. L’identità, cui le persone debbono necessariamente conformarsi
attraverso processi dinamici, concerne il tipo di gruppo; il coglimento empatico
innesca le disposizioni relazionali in doppia contingenza che forniscono
specifica personalità collettiva del gruppo.
Empatia e dinamica non sono, comunque, appannaggio esclusivo della dimensione
dell’identità o della personalità collettiva di un gruppo; il fatto di averli,
in passato, considerati come due qualità ben distinte e polarizzate (ad esempio
processi di effervescenza collettiva di movimento e processi dinamici di
organizzazione e di istituzionalizzazione) ha diminuito la loro funzionalità
euristica perché non ha consentito la coniugazione dei due processi sia
all’interno dell’attrazione sociosolidale sia della repulsione socioantagonista.
Ciò che viaggia nelle relazioni sociosolidali eleva il grado di empatia, fa
crescere le persone nell’orientamento della loro apertura emozionale e, a
catena, anche nella loro cognizione e disposizione socioaffettiva. La
cocostruzione della personalità di gruppo è un percorso, nel ciclo di vita del
gruppo, cui concorrono diverse modulazioni relazionali: sia il riconoscimento
dell’alterità, l’incontro tra aspettative reciproche, la crescita
dell’affettività e la dialogicità, sia i processi di mediazione, di
complementarità e di integrazione. Questi ultimi tre sono già afferenti ai
processi cosiddetti dinamici.
I processi dinamici s’intendono assoggettati a schemi reattivi ripetuti nei
frame
comunicativi e relazionali: le simmetrie antagoniste dell’insofferenza, che
interpreta in chiave egocentrica le azioni altrui, sono prive d’empatia,
parimenti l’incomprensione o l’equivoco o il logoramento, mentre l’evitamento
implica qualche processo d’empatizzazione. La delusione, in molte occasioni
frutto d’illusioni proiettive, ed anche il fastidio, più immediato ed
epidermico, mettono in gioco la protomodulazione empatica dell’antipatia.
La sociabilità
Il fatto che oggi possa essere ripresa un’analisi dei sistemi di relazioni,
produzione di legami e di beni relazionali si deve alla possibilità di
misurazione della sociabilità, (Simmel, 1917; Gurvitch, 1957; Gemelli, Malatesta, 1980;
Maccarini, 1966) attraverso il calcolo dei reticoli sociali proposto dalla
network analysis. Distanza intersoggettiva, pressione, attrazione, cointeressenza
e interdipendenza possono diventare fattori della morfogenesi della diversità
delle reti gruppali. Se per sociabilità
s’intende “la proprietà relazionale delle
reti che costituiscono una forma associativa, in base alle quale esse sono
capaci di generare determinati beni sociali” (Maccarini, 1996, p. 100), il
suo studio richiede livelli d’analisi plurimi. La riflessione sui fattori di
sociabilità, amplificata alla luce dell’empatia e della dinamica, non può più
condurre ad una semplicistica disposizione dei gruppi in qualche punto del
continuum
tra il polo dei gruppi primari e il polo dei gruppi secondari o della
Gemeinshaft
e Gesellshaft, ma impegna in una loro
dislocazione spaziale per le differenziazioni delle disposizioni relazionali
intersoggettive (la forma “spaziale” del gruppo), dei cicli di vita gruppali
funzionali alla sua dinamica, (la finalizzazione temporale del gruppo) e nelle
disposizioni di personalità dei suoi membri.
La dimensione della
sociabilità non può dunque prescindere dall’analisi multilivello del gruppo: non
solo gli indicatori di quantità delle qualità di relazioni (distanza e la
densità) ma anche l’area di sovrapposizione dei campi psicologici dei suoi membri. Tale area, che denota in modo
visibile il gruppo nascente, rimane presente nel gruppo latente, ed è distintiva
della tipologia di un gruppo nel suo configurarsi come focus
attrattore delle diverse personalità individuali, o, meglio, degli aspetti di
personalità che sono messi in gioco in quello specifico gruppo. Gli individui
sono attratti da un tipo di relazione gruppale, piuttosto che un’altra, per
bisogni relazionali non saturati in altri gruppi cui appartengono.
Gli
elementi da prendere in considerazione, in un modello d’analisi multivello di
tal tipo, sarebbero così numerosi da invogliare a desistere dalla sfida, a meno
di non scegliere la scorciatoia praticata, e ben frequentata, dai maestri della
sociologia: fondare l’analisi su idealtipi. In pratica costruire una
modellistica idealtipica multilivello in grado di comparare tipi di disposizioni
di personalità, tipi di relazione intersoggettiva, tipi di “personalità
collettiva di gruppo” e tipi di “identità collettiva di gruppo”. La successiva
difficoltà sarà di pervenire ad una comparazione tra i diversi livelli che
richiede un procedimento di ricerca qualitativa a base dati per quantificare le
diverse qualità idealtipiche presenti in ciascun oggetto concreto d’analisi.
La
riflessione svolta in quest’articolo tende ad ipotizzare il modo in cui tal
sistema d’analisi potrebbe essere applicato al Terzo Settore. Tale ambito è
particolarmente affascinante alla luce degli argomenti di Donati: le proprietà
“sociali” delle formazioni di privato sociale[2]
possono essere considerate la “matrice generativa delle altre dimensioni
(politiche, giuridiche, culturali, economiche)”[Donati, 1996:15]. “Sociale,
continua Donati, è ciò da cui si origina un fenomeno di sociabilità
(relazionalità), prima che esso assuma una specifica connotazione economica,
culturale, giuridica o politica. Il contesto delle relazioni, le loro dinamiche,
la loro emergenza, le loro interazioni proprie fanno nascere qualcosa che innova
l’agire economico, i modelli culturali, le regole giuridiche e l’assetto
politico in cui il fenomeno avviene” [Donati, 1996:15]. Leggo in Donati una
sostanziale convergenza intorno al fatto che i processi d’empatia siano
l’innesco della trama di relazioni e che da loro sorgano le altre dinamiche di
strutturazione gruppale.
La ricerca multilivello si
può applicare a tutte le formazioni sociali ma, proprio perché il terzo settore
ha una
natura esplicitamente relazionale, si offre come un oggetto, arduo ma
coinvolgente, per esporre alcune tesi sulle identità e sulle personalità
collettive. L’uso del termine collettivo non deve, però,
far pensare a riferimenti politici o economici ma alla sua cruda
etimologia, da colligere, e cioè raccolto insieme; le personalità
individuali sono espressione delle modulazioni d’orientamento all’azione, alla
percezione e alla conoscenza da parte della singola persona, la personalità
collettiva “raccoglie l’insieme” delle disposizioni individuali, che si
esprimono attraverso relazioni, in un orientamento qualitativo gruppale
complessivo.
Le personalità e identità di gruppo
Con il concetto di personalità collettiva si intende
la specifica forma di un gruppo prodotta dall’incrocio tra le relazioni dei
diversi membri, la sua stabilizzazione in una particolare modulazione
relazionale e i suoi esiti organizzativi. Le variabili influenti sul
comportamento organizzativo della personalità collettiva sono: 1) la
soggettività degli attori, data dai copioni di personalità (inclusi interessi e
valori), 2) le pressioni tendenti a conformare i soggetti al loro ruolo per dare
al gruppo la struttura più idonea per il raggiungimento dei fini. Il concetto di
personalità collettiva è limitato, per così dire, in “basso” dalle personalità
individuali ed, in “alto”, dalla pressione culturale e funzionale sistemica.
La forma è sovradeterminata dal contesto specifico di
norme, rappresentazioni collettive ed autocomprensioni del significato del
gruppo da parte dei suoi membri che scolpiscono l’identità singolare del gruppo
in un blocco di “identità tipologiche”: famiglia, gruppo di lavoro, pattuglia,
classe scolastica, ecc. anch’esse, a loro volta, determinate
dall’implementazione di un particolare modello relazionale che le ha
storicamente costituite.
Se il livello relazionale “basso”, è influenzato
dagli atteggiamenti individuali in affinità (o in opposizione), il livello
“alto” si determina dalla relazione tra “identità gruppale socialmente
costituita” e “personalità gruppale relazionalmente cocostruita”.
La dinamica tra personalità gruppale e identità
gruppale può ancora essere efficacemente rappresentata con le parole di Bales e
della Klein[3]: “Quando l’articolazione
di uno qualsiasi di questi aspetti (adattamento, decisione o espressività, nel
modello di Bales, n.d.a) non è più sufficiente, per qualsiasi motivo, a
conservare o sostenere il flusso totale del processo in corso, oppure quando vi
sia un movimento affettivo abbastanza forte, si ha una modificazione del flusso,
o processo, cognitivo-affettivo-conativo, nel senso di un restauro o ulteriore
sviluppo degli aspetti insufficienti, o dell’espressione dell’eccesso d’affetti.
Corretta quella deficienza, o tolto quell’eccesso, il processo si modifica per
correggere un altro difetto o superare un’altra barriera che sia di ostacolo al
suo fluire” [Bales, 1952: 51]. I termini utilizzati da Bales “cognitivo”,
“affettivo” e “conativo”[4]
designano le forze relazionali che imprimono alle relazioni, potenziali e
latenti, quel particolare tipi di forma al gruppo e lo conducono verso fasi
adattative, di decisione o espressive . Quando una di queste “categorie di
attività …tende al massimo…il gruppo percepisce il bisogno di passare ad una
diversa categoria di interazione. Se il gruppo non si accorge della necessità di
cambiare il tipo di interazione si trova di fronte al problema della
sopravvivenza: con cui si deve intendere, o la sopravvivenza di quel gruppo
particolare, o la sopravvivenza di quel tipo di gruppo” [Klein, 1956: 193].
Attraverso la somministrazione di un test è possibile
individuare l’articolazione delle relazioni dà una forma singolare ad ogni
gruppo[5]; il modello viene
rappresentato in un grafo a radar con sette assi graduati a seconda del
punteggio che il gruppo ottiene nell’espressione delle sue caratteristiche di
personalità collettiva. L’emersione del modello latente di soggettività sta
nello scarto tra le linee delle disposizioni medie di personalità individuale
dei membri e quelle delle relazioni. Il test sulle relazione gruppali può
estendersi ad ogni tipo di gruppo, purché si ottenga la media del più alto
numero possibile di gruppi dello stesso tipo a cui rapportare i dati del gruppo
in esame.
La struttura delle linee obbedisce a criteri posti su
due diversi livelli epistemologici:
1° Livello: le formazioni gruppali codificate (ovvero
definite nella loro storia come raggruppamenti con norme, fini e
rappresentazione sociale condivisa) hanno strutture, funzioni, cornici di
definizione e significato e privilegiano certi tipi di relazione interpersonale
piuttosto che altre in ragione dei loro fini[6].
Queste formazioni hanno nomi di senso comune che esprimono la loro identità di
funzioni (famiglia, squadra, pubblico, gruppo di lavoro, ecc., alla quale si fa
corrispondere uno stato emozionale originario condiviso che le contraddistingue.
2° Livello: all’interno delle tipologie di famiglia, pattuglia, gruppo di
lavoro, ecc. c’è una ampia oscillazione di stili di relazione che modellano i
gruppi nelle illimitate possibili sfumature di esistenza. Esistono tanti modi di
essere famiglia, gruppo di lavoro ecc. nei quali si manifestano modulazioni
relazionali diversamente orientate. Ed ecco che: “Quel padre è così autoritario
che ha trasformato la sua famiglia in una caserma!”, “E’ un imprenditore così
aperto e generoso che la sua azienda è una famiglia!”, ecc.
-
Nel 1° livello epistemologico si può collocare quell’ampio spazio d’attributi la
cui riduzione, in lessico corrente, designa le tipologie “pure” delle formazioni
sociali[7]. La riflessione di Simmel
sulla determinatezza quantitativa del gruppo è qui rovesciata in senso
qualitativo. A designare la personalità collettiva del gruppo, nel senso della
forma storicizzata che i modelli di gruppo hanno assunto, sono gli specifici
fini cui si è conformata la struttura di relazioni tra i membri. All’interno
degli idealtipi ci sono differenze quantitative nel numero dei membri del gruppo
ma ciascun tipo manifesta, al suo interno, funzioni di controllo, d’attivazione,
di rappresentatività, di fusionalità, d’indifferenza, di passività e
d’attaccamento[8].
In tabella 1 sono compendiate, in verticale, tali propensioni mentre, al centro
di ogni riga, vi sono uno o più termini pertinenti al nucleo del campo di
significato della propensione. In alcuni casi si utilizzano termini che
designano il luogo, o la struttura fisica dove le persone concrete si riuniscono
per dar vita a tal tipo di formazione:
Tabella 1
1.
ordinamento-costituzione
-organizzazione-gruppo
di lavoro-ufficio-squadra-collegio-carcere-
2.
esercito-plotone-ciurma-squadriglia-commando-pattuglia-cellula-sindacato
(advocacy)-
3.
assemblea-riunione-consulto-comitato
-consiglio-commissione-sinodo-adunanza-
4.
meeting-spettacolo-festa-comitiva-compagnia-gruppo
di amici-incontro-coppia-
5.
crocchio-capannello-assembramento-agglomerazione-folla-aggregazione-gente-insieme-
6.
common people-maggioranza
silenziosa-seduta-pubblico-condominio-ricovero-mutua-parentela-
7.
domestico-corte-famiglia-comunità-confraternita-sodalizio-unione-associazione-
56 espressioni linguistiche, tra le tante rintracciabili nel nostro lessico, che
designano categorie di raggruppamenti sociali disposte, con beneficio di
inventario, in sette tipi[9].
Si può notare anche un percorso che lega questi termini, in un progressivo
cambiamento di tipo logico, con il cambiamento delle caratteristiche delle
funzioni e dei rapporti conseguenti.
I termini presentati corrispondono agli orientamenti
delle identità collettive che sono esercitati sottoforma di ruoli sociali
prevalenti in quel tipo di raggruppamento. Il ruolo sociale principale di un
sistema tecnico di ruoli è il controllo, della famiglia è affiliativo, di una
squadra è la competizione, di un Consiglio è “tener insieme nella
differenziazione”, di una comitiva è la fusionalità, di un “insieme” è l’assenza
di legami, di un pubblico è la recettività[10].
L’identità collettiva di un raggruppamento è qui
vista come il prodotto dello stabilizzarsi di una personalità collettiva
storicamente costruita e culturalmente trasmessa; essa si è determinata
dall’instaurarsi di un certo tipo di relazioni di affinità, o di opposizione,
referenti di taluni raggruppamenti umani.
Le relazioni di affinità, o opposizione, scaturiscono
dagli atteggiamenti delle personalità individuali, afferenti al raggruppamento,
espressive delle emozioni caratterizzanti vissute. Le relazioni assumono diversa
conformazione in funzione dei copioni, in affinità, in opposizione o di
rinforzo, che qui assumiamo riduzionisticamente incentrati su sette emozioni di
base[11];
contemporaneamente le relazioni attivate inducono per socializzazione il
mutamento nei copioni.
Può essere utile, a questo punto, elencare le
propensioni emozionale delle personalità collettive, per interpretare la chiave
di lettura del precedente elenco di identità collettive:
1.
Personalità collettiva tipologica di gruppo orientata al controllo
versus oppressione. Il gruppo si unisce intorno alle norme, produce norme
stabili. Nei suoi eccessi il gruppo è rigido e rallenta ogni cambiamento
attraverso controllo e autocontrollo.
2.
Personalità collettiva tipologica di gruppo di attivazione strumentale
versus competizione e confliggenza. Il gruppo è energico ed intraprendente,
portatore di grande motivazione. Nei suoi eccessi sfocia nell’aggressività verso
coloro che impediscono la realizzazione dei suoi obiettivi. Il punto d’arrivo è
il bisogno di nemici esterni per non spostare il conflitto al suo interno.
3.
Personalità collettiva tipologica di differenziazione versus
individualismo. Si tratta di raggruppamenti con poca unità interna; ciascun
membro tende a sottolineare la sua specifica identità. La garanzia della
continuità del gruppo è data dalla cornice che lo contiene. Può essere una
cornice proiettata dai membri che consente loro di definirsi sulla base di
un’appartenenza ad una élite. Oppure concertata socialmente ed
istituzionalizzata come nei gruppi di rappresentanza elettorale dove i membri,
pur essendo uniti dalla stessa condizione di eletti, sono portatori di identità
e di interessi differenti.
4.
Personalità collettiva tipologica di gruppo fusionale versus
simbioticità. Il gruppo può essere una sola coppia o diventare molto
numeroso. I membri sono alla ricerca di un contatto personale per rispondere al
desiderio di provare le emozioni dell’occasionale fusionalità e
dell’incorporazione.
5. Personalità collettiva tipologica centrata sull’apatia versus
indifferenza.
Si presenta come un insieme di persone con una struttura inesistente o debole; a
seconda dei rapporti che si innescano, può evolvere in direzioni molteplici.
6. Personalità collettiva tipologica dissolvente versus sottomissione.
Gruppi poco visibili, formati da soggetti con rapporti anche intensi ma non
attivi per eccesso di inibizione o per scelta o per mancanza di iniziativa. Pur
se maggioranze possono rimanere sempre silenziose e invisibili
7.
Personalità collettiva tipologica affiliativa versus dipendenza.
Richiede una forte adesione al gruppo e un processo di duraturo attaccamento. Il
legame tra le persone tende alla dipendenza reciproca e consente poca
differenziazione.
-
Nel 2° livello epistemologico si collocano le risultanti tra le relazioni
in atto e le disposizioni di personalità che compongono quel singolare gruppo
famigliare, di lavoro, ecc. La trasmissione culturale, l’accomodamento e la
pressione normativa si costituiscono in identità collettive, ma tali identità
assumono molte forme particolari in funzione delle relazioni in atto in ciascun
specifico gruppo.
Questo è il luogo dove è appropriato il termine di personalità collettiva;
l’identità precede la coscienza e di essa si ottiene l’autocomprensione
attraverso processi di riflessività, possibili solo se la personalità giunge a
particolari livelli di equilibrio. Le personalità collettive, nel senso
descritto in questo secondo livello epistemologico, sono l’oggetto proprio di
questa ricerca relazionale qualitativa tendente a descriverne le
caratterizzazioni particolari e, attraverso esse, ad individuare le ulteriori
sottocategorie che possano funzionare come modelli per lo studio della
comunicazione e dell’azione. Sul piano metodologico è utile indicare alcuni
prolegomeni. Le ricognizioni possibili per un’indagine sulle personalità
collettive sono: l’analisi delle personalità individuali e dei ricorrenti
copioni di comportamento dei singoli, l’analisi della qualità dei reticoli
relazioni, la quantificazione dei prevalenti e dei più rari, l’analisi
organizzativa sulla struttura dei gruppi. Quest’ultima non è però funzionale
alla comparazione con i precedenti livelli, se non nello studio delle relazioni
intergruppi. Il processo di lavoro, per la costruzione di comparazioni tra
l’identità gruppale e la sua personalità collettiva specifica, ha comportato la
raccolta di dati per alcune formazioni gruppali[12].
La raccolta di tali dati è servita all’analisi di qualità delle relazioni. La
diagnosi sull’equilibrio interno di una singolare personalità collettiva porta,
infatti, a riconoscere i punti critici ed i possibili correttivi delle relazioni
per condurre il gruppo a maggior armonia con beneficio di tutti i suoi membri.
Le personalità collettive sono, infatti, il luogo specifico della socioterapia e
della sociologia clinica.
In sintesi la personalità collettiva di un gruppo si può disegnare su un grafo
formato da alcune linee: la prima rappresenta la media delle propensioni di
atteggiamento dei membri del gruppo, la seconda è la risultante tra le relazioni
presenti in quello specifico gruppo, moderata attraverso l’inverso della media
delle relazioni proprie di quello specifico tipo di gruppi. L’identità della
formazione gruppale è rappresentata dalla linea delle medie, il gruppo latente
dalla linea della media degli atteggiamenti, il gruppo concreto sta nella linea
delle relazioni in atto in quel gruppo, moderato dall’inverso delle linee della
media. La personalità collettiva sta nello scarto tra le due ultime linee.
La citazione della Klein (la sopravvivenza di quel gruppo particolare, o la
sopravvivenza di quel tipo di gruppo) ha ora due contesti chiari a cui
riferirsi. Infatti, a seconda del tipo di gruppo, la sua identità collettiva
“tipologica” presenta valori ben differenti. Se una pattuglia di assaltatori
manifesta tratti di personalità collettiva configgente non fa altro che obbedire
al suo compito, ben diverso se ciò accade in una famiglia, dove sono mediante
più alti i valori dell’affiliazione, la quale ha valori medi più bassi in un
gruppo di lavoro, che, invece, ha valori più elevati nell’asse del controllo, e
così via. In quest’ottica anche il concetto di frame
non si presenta più come una nicchia e può arricchirsi di varie modulazioni
nelle sequenze conversazionali: esso non è, infatti, equivalente in tutti i
raggruppamenti ma esistono entro certi range dei frame al di
sotto, o oltre i quali, la personalità collettiva si frantuma e il gruppo perde
il suo significato, si contamina con relazioni improprie, modifica i suoi scopi
o si scioglie.
Link tra micro e macro
Il privato sociale è un importante luogo di ricognizione sociologica per verificare il significato delle relazioni intersoggettive nella personalità collettiva. Prima di tutto perché è laboratorio di nuovi equilibri relazioni, in secondo luogo perché in esso sono più evidenti le connessioni tra microrelazionale e macrosistemico[13].
La ricerca “La cultura civile in Italia: fra stato,
mercato e privato sociale” di Ivo Colozzi e Pierpaolo Donati [2002] propone una
distribuzione equilibrata delle diverse modulazioni simboliche di “società
civile” polarizzate o verso i valori istituzionalizzati dalla evoluzione della
società politica, o verso quelli scambiati nello sviluppo attuale del mercato, o
verso quelli della relazionalità interpersonale migliorata in senso
sociosolidale.
“Coloro
che identificano il civile con la cultura del privato sociale sono circa il 35%
dei soggetti intervistati...l’altro 65% si divide tra le altre grandi culture:
quella della società civile intesa come realtà politica che si invera nello
Stato (che prende all’incirca il 30%) e quella della società civile intesa come
mercato (che prende all’incirca il 25% essendo il rimanente – grossomodo 10% -
totalmente incerto o non rispondente)” [Donati, 2002: 31].
Gli atteggiamenti delle persone intervistate appaiano
random, distribuiti indipendentemente dalle loro appartenenze o non
appartenenze; ed è suggestivo osservare che gli orientamenti culturali si
distribuiscano così emblematicamente in modo equilibrato nel campione.
Nell’infanzia delle ricerche sul terzo settore,
quando G. Myrdal [1960] lo definiva per esclusione come una porzione di società
non coperta né dallo stato né dal mercato, la teoria evolutiva del welfare
state disegnava il mix tra le sue tre componenti, con un bilanciamento tra
le oscillazioni – modello di Burton Weisbord [1980] – descritto come
l’incrociarsi, in fasi alterne di sviluppo, di tre sinusoidi. Nell’adolescenza
delle ricerche sul terzo settore, Bauer suggerisce una lettura della società in
cui i tre ambiti di azione (mondo vitale, stato e mercato) presentano una zona
di sovrapposizione in cui si combinano gli scopi sociali delle singole aree. La
tesi di Bauer è riduzionistica poiché, nella sua visione morfogenetica, il terzo
settore non è rappresentabile teoricamente come un sottosistema specifico, ma
solo come esito della sovrapposizione dei precedenti ambiti, ma presenta un
modello interessante sotto il risvolto della relativa attrazione subita dal
sottosistema delle relazioni verso uno o più poli sistemici. Nell’attuale fase
di maturità degli studi del terzo settore compare sempre più spesso il tentativo
di trovare link concreti tra modelli e realtà empirica e link tra
macrosistemi e microsistemi.
Ciccare su un link significa però cambiare la
focalizzazione. Mi sia permessa la seguente metafora: quando il critico d’arte
accorcia la distanza dal quadro che vuole analizzare, la sua immagine sfuoca e
ciò che da lontano appare come uno splendido paesaggio, diventa un insieme
disordinato di macchie di colore. In altre parole la specificità del
sottosistema scompare per far posto ai singoli attori. Il link tra micro
e macro non è diretto, ma richiede salti logici: non è detto che la specificità
delle caratteristiche, individuabili come componenti essenziali di quel
sottosistema, non ci sia, ma essa non può essere letta come una componente
esplicita.
Il passaggio logico tra livelli di analisi suggerisce
di affinare le intuizioni delle teorie dell’equilibrio considerando le azioni
sociali come processi concorrenti alla costruzione della cultura, la quale però
si realizza, con un altro livello di equilibrio, nelle concrete relazioni e non
negli atteggiamenti individuali.
Il citato concetto di “gruppo latente” di Bales
[1952], quasi un fantasma che sta alle spalle del gruppo reale e che ne
determina le possibilità d’esistenza, aiuta a comprendere il processo di
equilibrio tra le personalità collettive e le identità collettive. Se un gruppo
fosse formato da individui con gli stessi tipi personalità, e le stesse
propensioni, perderebbe la sua dinamica possibilità di plasmarsi diversamente a
seconda delle perturbazioni, ridisegnando i ruoli e rimodellandoli.
Affinché in un gruppo si realizzi un armonico
equilibrio è necessario che al potenziamento di un atteggiamento corrisponda
l’aumento di un atteggiamento antidotico. All’aumento della tensione aggressiva
di alcuni membri deve, ad esempio, crescere l’aumento della capacità di
mediazione in altri; altrimenti il gruppo cessa di esistere come “quel tipo di
gruppo” o cessa di esistere in assoluto. L’equilibrio interno del gruppo aumenta
la differenziazione degli atteggiamenti dei suoi membri, che debbono disporsi in
posizioni di articolata e complessa corrispondenza[14]
reciproca. Attraverso la teoria delle emozioni di base e delle propensioni delle
personalità collettive il concetto di equilibrio si disegna come una
distribuzione armonica delle propensioni nel gruppo. Maggiore è l’equilibrio
interno in un gruppo, attraverso la copresenza di tutte le sue diverse
disposizioni, maggiore sarà la sua elasticità e la sua duttilità nell’assumere
la conformazione più idonea agli eventi che accadono o agli obiettivi che vuole
raggiungere.
Sistemi in
equilibrio e miglioramento
Con il concetto di governance si intende un
modello di governo con un’equilibrata cooperazione tra soggetti che aumenta il
consenso sulle decisioni attraverso uno stile partecipativo. Con governance
si intende un’evoluzione verso la democrazia matura, aperta alla circolazione
delle informazioni, responsabile, coerente, negoziata, efficace e partecipata
attraverso il coinvolgimento nell’elaborazione e nell’attuazione delle
politiche. In ragione di queste sue diverse componenti la
governance è un modello efficace per discutere di miglioramento in
condizioni di equilibrio. Pur essendo il “miglioramento” un concetto vago, ove
non sia dichiaratamente connesso ad alcuni specifici valori condivisi, e pur
essendo un tipo di mutamento sociale verificabile solo a posteriori del suo
avvenire nella storia, esso è logicamente connesso all’equilibrio.
Se, infatti, il mutamento sociale induce un
particolare squilibrio tra le parti del sistema, che altre parti tendono a
riequilibrare, il miglioramento, per essere riconosciuto come tale, richiede
come esito un nuovo equilibrio, più complesso e raffinato di quello iniziale.
L’attivazione di miglioramento relazionale, come parte del processo di produzione di società civile, è stato attribuito alla specificità sub-sistemica delle formazioni di privato sociale ipotizzandole come il luogo elettivo per il miglioramento relazionale e per la produzione di nuovi valori. In linea teorica (ovvero sul piano della descrizione modellistica dei sottosistemi) questo processo è possibile, ma, sul piano empirico, è impossibile in ragione delle interpenetrazioni tra i sottosistemi, tra le formazioni sociali che formano i sottosistemi, tra i singoli raggruppamenti e i singoli individui. Il passaggio tra government e governance, il “miglioramento”, ha il suo luogo teorico ideale nella I di AGIL, ma la sua realizzazione pratica stempera, in tutto il sistema societario, la diffusione di valori, di atteggiamenti e di cultura civile in senso relazionale.
Se è vero che il terzo settore come sottosistema ha
dato equilibrio alle dinamiche tra stato e mercato, contenendo i conflitti tra
la G e la A di AGIL ed equilibrando il sistema, se è vero che svolto un ruolo
specifico di sussidiarietà nella risposta ai bisogni, se è vero che lo si può
presumibilmente individuare nelle formazioni di privato sociale, non è però
necessariamente vero che i singoli aderenti, a queste formazioni, presentino
tratti di personalità con spiccati atteggiamenti di cultura solidaristica e
comunitaria, ascrivibili alla cultura di privato sociale e non anche allo stato
e al mercato. Se così fosse all’interno del gruppo non ci sarebbe equilibrio
poiché il gruppo latente sarebbe fortemente spostato nella direzione
affettivo-affiliativa. L’equilibrio tra le personalità consente uno scarto
limitato tra gruppo latente e personalità collettiva. Lo spostamento possibile
dall’equilibrio intragruppale è minimo altrimenti l’equilibrio del gruppo
latente si rompe. Ed è l’equilibrio che consente la flessibilità delle relazioni
tra i membri ed il conseguente manifestarsi del gruppo in modo congruente
all’identità collettiva di formazione di privato sociale. Tra ciascuno di questi
livelli c’è però un salto logico; l’equilibrio di ogni livello consente la
cocostruzione relazionale del livello più alto, ma non è possibile trovare, nel
grado superiore di lettura, le caratteristiche che ne determinano socialmente
l’esistenza. Se si analizza la personalità collettiva non si può trovare
l’equilibrio delle personalità che formano il gruppo latente che, a sua volta,
rende possibile la personalità collettiva stessa.
Rispetto al modello AGIL, applicato nella ricerca
empirica, ciò significa che all’interno dei sottosistemi non può rendersi
evidente la singola specificità autoriflessiva del sottosistema: non è possibile
analizzare I cercando al suo interno le componenti di I medesimo. Se così fosse
questo sottosistema acquisirebbe, per una sua troppo marcata specializzazione
funzionale, anche una sua visibilità strutturale incompatibile con la sua
funzione[15].
All’interno di I possono essere trovate singole
tensioni verso A, verso G e verso L oppure miscele combinate di tali tensioni[16].
Concettualmente il problema è quello della
riflessività[17] dei sottosistemi: il
sistema culturale è funzionalmente autonomo ma questo non significa che sappia
di esserlo. Può darsi che una parte di una società riesca a trascendere dalle
strutture orientate condizionalmente ed impegnarsi nel cambiamento, può darsi
che il criterio di universalismo, per esempio, crei una differenziazione e
sviluppi il volontarismo sostanziale che induce cambiamento, ma questo processo
non ha comunque a che vedere con la riflessività, semmai con la “riflessione”
sul funzionamento complessivo del sistema.
“La cultura può essere concepita analiticamente come
esistente fuori dalla mente individuale, ma il suo status superindividuale
dipende da prestazioni mentali degli individui” [Alexander, 1990: 197].
Non c’è sede esterna alla coscienza dell’uomo per la
metacognizione coscienziale (la coscienza di essere coscienti) né nelle
applicazioni di Intelligenza Artificiale, né nei reticoli sociali.[18]
Due considerazioni:
- Un sistema, la cui tensione verso il miglioramento
relazionale è teoricamente attribuibile alle funzioni del sottosistema
relazionale “comunitario”, nella parte che gli compete all’interno del
sottosistema culturale, è tenuto in equilibrio dall’interpenetrazione delle
parti. Conseguenza attesa di tale equilibrio è che la consapevolezza riflessiva
sui valori sociosolidali, sempre veicolati dalle relazioni interpersonali, sia
disseminata in singoli individui qua e la, nei gruppi e nelle strutture e non
marcatamente distribuita in specifiche formazioni.
- La via teorica che porta a coniugare “non
riflessività” e “modello latente” appare idonea a salvaguardare l’impianto dei
sistemi sociali dalle critiche di blindatura antisoggettiva lanciate su Parsons.
Le teorie micro e le teorie macro sono in posizioni di relatività reciproca le
une con le altre: ciò che conta è il punto di partenza e la consapevolezza che,
nel momento della saldatura, qualcosa cambia. Nello scendere si perde il senso
del contesto che non è più meccanicamente ritrovabile come porzione del
significato complessivo. Nel salire, dall’individuo al contesto, si perde
quell’impronta soggettiva ed intersoggettiva che rimane alle spalle delle
configurazioni relazionali e cioè il gruppo latente. La soggettività, invisibile
nel sottosistema, è lo sforzo del gruppo latente che spinge una porzione di
sottosistema verso il suo esterno, verso le interpenetrazioni generate dalla
tensione ad “andare verso” un’altra parte, un altro sottosistema. L’insieme di
questo articolato reticolo di tensioni – che nell’andare verso inverano la loro
esistenza - è un sottosistema che si invera quando “va verso” altri
sottosistemi. All’interno del privato sociale la cultura delle relazioni
solidaristiche “va verso” lo stato, il mercato e le famiglie. Il polimorfismo
dipende dal mix
di contaminazioni e conduce allo schema di sette modelli.
La governance, nella sua accezione di governo
più democratico che indirizza il miglioramento verso un nuovo equilibrio del
sistema societario, attraverso una maggiore articolazione dei processi messi in
gioco (di controllo, di efficacia, di libertà, di coinvolgimento, di pace, di
consenso e di partecipazione), necessità del contributo specifico del terzo
settore, il quale possiede, nella sua struttura di relazioni, quel quantum
di specificità che migliora l’equilibrio del sistema complessivo. Tale
quantum è nelle relazioni e non necessariamente negli individui.
Formazioni gruppali e relazioni intergruppali nel privato sociale
La riflessione sul modello delle personalità
collettive ha avuto lo scopo di mobilitare alla comprensione del rapporto tra
personalità individuali e strutture di gruppo, introducendo nella lettura delle
formazione gruppali un passaggio logico intermedio: la personalità individuali
costruiscono relazioni diverse tra di loro a seconda delle affinità e delle
opposizioni scaturite dai loro copioni di comportamento; le relazioni producono
la personalità collettiva di un gruppo (risonanza intragruppale). In ragione del
tipo di formazione gruppale vi è una diversa pressione relazionale sui singoli
affinché si conformino; l’identità di significato di un gruppo lo colloca in
zone più o meno prossime ai diversi poli di AGIL; le relazioni tra i gruppi
(attribuzione intergruppo), viste nella loro forma concreta di relazioni tra
membri dei diversi gruppi, costituiscono il luogo specifico della costruzione di
cultura all’interno di un sottosistema. Così come le relazioni tra i membri di
un singolo gruppo determinano il clima gruppale complessivo di quello specifico
gruppo, le relazioni tra membri di diversi gruppi vanno a costituire la cultura
condivisa di un sottosistema sociale.
Per cogliere lo specifico del privato sociale nel suo
processo di costruzione di cultura di società civile è dunque necessario portare
il campo dell’analisi al di là dello studio dell’atteggiamento dei singoli,
verso l’analisi delle relazioni.
L’ipotesi è che la tipologia delle relazioni possa
indicare, in modo più pertinente dell’analisi degli atteggiamenti individuali,
la struttura della “identità di personalità collettiva” delle formazioni di
privato sociale[19]. In assenza di dati circa
la qualità delle relazioni interpersonali tra attori del privato sociale, specie
di diverse formazioni, ho utilizzato i dati della ricerca di L. Tronca [2003]
per valutare se possa emergere uno specifico relazionale nel privato sociale.
Tronca discute il processo di networking nelle associazioni partecipanti al Forum delle
Associazioni Famigliari come forma di cooperazione orizzontale fra i membri che
costituisce reti pluricentriche, formate da partecipanti autonomi, e si pone
l’obiettivo di analizzare la governance di un’associazione di
associazioni. Nella discussione sugli stili decisionali partecipativi Tronca
osserva che “ben il 42.86% degli intervistati si colloca nello stile della
decisione con consultazione informale e ratifica formale, il 32.14% in
quello della decisione con consultazione formale, il 10.71% nello stile della
decisione attraverso delega, un altro 10.71% in quello della
decisione con-divisa ed il 3.57% (un solo caso) nello stile della
decisione co-ordinata. In buona sostanza, lo stile decisionale che gli
intervistati giudicano implementato all’interno del Forum è collocabile, nel
continuum
centralizzazione/partecipazione, in una zona centrale tendente però verso una maggiore centralizzazione della
decisione. Ciò dimostra certamente l’altissimo livello di fiducia di cui godono
gli organi direttivi del Forum, …Dallo stile partecipativo della
decisione con-divisa, delineato nelle fonti scritte e che richiederebbe un
elevato grado di accordo e di partecipazione a tutti i processi decisionali, si
è infatti passati, nella prassi, a uno stile decisionale piuttosto centralista,
che vede l’Assemblea del Forum intervenire nell’individuazione degli obiettivi
generali e nella ratifica delle deliberazioni di vertice. Questo fenomeno è
spiegabile, dal punto di vista normativo, con la previsione di decisioni assunte
attraverso procedimenti d’urgenza; molti intervistati dichiarano poi che il
Forum ha necessità di agire velocemente, al fine di rispondere in maniera
efficace alle sollecitazioni e/o alle problematiche sollevate dal sistema
politico. Tale procedura non è però mai giudicata, dai membri del Forum
intervistati, come non democratica, poiché è sempre data notizia delle decisioni
da prendere e si tiene sempre conto della volontà di tutti, anche se non
attraverso una discussione assembleare approfondita” [Tronca, 2003: 11].
In ordine al principio di legittimazione Tronca
riferisce che: “il 50% si riconosce nel
principio della funzionalità, il 25% in quello del progetto , il 14.29% in quello della volontà generale, il 7.14% nel
principio della competizione corporata e il 3.57% in quello dell’ispirazione. Complessivamente, l’82.14% (percentuale aggregata
relativa ai principi prevalentemente partecipativi) degli intervistati ritiene
opportuno che nel Forum tutti i membri abbiano la possibilità di ritagliarsi un
proprio spazio nell’assunzione di decisioni” [Tronca, 2003: 12].
Lo stile fiduciario e centralista e i
principi della funzionalità, del progetto e della volontà generale indicano una
democrazia non formalista ed uno stile decisionale rivolto alla produzione di
senso. Solo in contesti in cui si abbia una forte condivisione del fine ultimo
delle azioni collettive è possibile un “centralismo democratico” tipico delle
formazioni sociali di “movimento collettivo”. Al di fuori di una dinamica
relazionale coinvolgente e partecipata il processo decisionale e le forme di
legittimazione debbono fondarsi elusivamente su processi normativi definiti e
standardizzati. L’insorgenza di questi ultimi farebbe scivolare verso la
burocrazia i modelli organizzativi di privato sociale, cancellando la snellezza
e l’elasticità funzionali agli scopi di sussidiarietà che sono caratterizzanti
questi gruppi.
Questi processi decisionali debbono,
però, vivere in un ambiente reso fiduciario da frequenti contatti
interpersonali, da forti scambi e da un’elevata conoscenza tra gli attori. In
luogo di una nuova piramide burocratica sembra possa descriversi un modello di
associazioni in costante ascolto di se stesse con numerosi flussi comunicativi,
orientati verso il centro ma anche diagonali e trasversali, tra organizzazioni
diverse e tra territori diversi. Comunicazioni e relazioni, si suppone, di
diverso tenore e connesse a molteplici forme e occasioni di incontro, non solo e
necessariamente all’interno dei ruoli rivestiti nei gruppi.
In effetti, per quanto non sia
differenziata per tipo di contatti, la densità della struttura reticolare analizzata da
Tronca fa emergere significative osservazioni, che riporto per intero: “La
densità della rete, (tra le diverse associazioni partecipanti al Forum, nota
mia)… è uguale a 0.84 ed è, quindi, piuttosto elevata. L’elevata densità del
grafo è testimone del buon livello di partecipazione e della
volontà di auto-coinvolgimento, nella vita associativa del Forum, proprio
delle formazioni sociali che lo compongono.
Se, infatti, si dà uno sguardo al grado
di ogni nodo,
ossia alla sua centralità locale,
notiamo che ogni punto del grafo ha avuto l’opportunità di condividere un evento
associativo con la quasi totalità degli altri attori della rete… si nota che la
maggioranza dei membri del Forum ha avuto l’opportunità di porsi in interazione
diretta con oltre il 60% dei nodi che formano la rete” (Tronca: 2003,14).
Applicando poi alla rete uno scaling multidimensionale e
“osservando la distribuzione complessiva dei casi ottenuta per mezzo dello
scaling, si nota che essa dà luogo ad una figura ellittica. Questa
particolare conformazione del network induce ad escludere l’ipotesi che, nel Forum, si siano
creati dei clusters (grappoli) con
elevati livelli di connettività: i nodi della rete tendono ad aggregarsi, al
contrario, intorno ad un nucleo centrale di attori con esperienze associative
molto simili fra loro” [Tronca, 2003:15].
Il dato è molto elevato e propone due significati:
1) la conferma del modello di democraticità
partecipativa ci spiega una della precondizioni della governance e cioè
la qualità relazionale che si attua tra i partecipanti. Forse suggerisce, però,
che il modello di governance possa essere solo applicato solo a processi
aggregativi all’interno dei quali sia possibile un buon equilibrio della qualità
delle relazioni: dalla collaborazione sul lavoro, alla frequentazione informale
fino alla condivisione di momenti significativi dell’esperienza di vita. Persone
che s’incontrano non solo per lavorare ma anche per divertirsi, condividere un
pranzo, assistere ad uno spettacolo, una conferenza, ecc. ma anche persone che
hanno un elevato numero di conoscenze ed una aperta disposizione alle relazioni
interpersonali (non sono imprigionate in copioni di intimismo o solitudine o di
eccesso di controllo). O, comunque, formazioni gruppali a connessione lasca che
consentono di recitare al loro interno una molteplicità di ruoli senza forti
barriere tra la realtà delle reti famigliari dei partecipanti e la realtà del
luogo di lavoro. Il che presuppone una qualche forma di ricomposizione della
pluralizzazione dei mondi della vita.
2) Il processo comunicativo e relazionale non crea ristagni in coalizioni tra
gruppi pur associando persone con esperienze similari tra di loro. Non ci sono
dati per spiegare come avvenga questo processo. Si potrebbe ipotizzare che lo
spazio relazionale sia uno “spazio di vita” riempito con spontaneità e
naturalezza dai membri delle associazioni; se così fosse si dovrebbero poter
trovare elevati valori nelle relazioni di riconoscimento, di dialogicità e di
disponibilità, e bassi valori di relazioni oppositive di equivoco, di evitamento
e di insofferenza. Se così fosse e se, dunque, il clima sociale fosse
caratterizzato da una naturale socievolezza potrebbe anche risolversi il
risultato paradossale indicato da Donati nella ricerca sulla società civile:
“Ciò che colpisce, scrive Donati, è il fatto che, mentre gli associati si
affidano allo stato ed alle sue garanzie, i non associati considerano il civile
come più legato alla capacità delle persone ed ai loro scambi e relazioni…ci si
sarebbe potuti attendere il contrario, in base all’idea che siano gli associati
coloro che mettono l’enfasi sul civile come contributo di persone attive e
responsabili. Invece non è così” [Colozzi e Donati, 2002: 304]. Le spiegazioni
psicologiche di questi atteggiamenti valutativi sono molteplici: gli associati
probabilmente considerano la creatività della loro dimensione relazionale un
naturale mare di relazioni nel quale vivono e, in ragione della loro forza
associativa, riescono a dialogare con pezzi dello stato al quale chiedono
maggior rispetto, partecipazione e coinvolgimento. I non associati, al
contrario, sentono forte la distanza dallo stato e percepiscono, con chiarezza,
il significato dello stile di vita e di lavoro di chi ha scelto di lavorare, e
magari vivere, all’interno di formazioni di privato sociale, anche se è
probabile che siano trattenuti, dall’operare scelte di vita in tale direzione,
per molti motivi, a partire da quello della bassa retribuzione in tali
formazioni.
Un altro elemento emerge significativamente dalla ricerca di Tronca. Lo studio
dei reticoli nei Gruppi di Lavoro “mostra un Forum in cui le associazioni non
riescono ancora a collaborare molto all’interno dei Gruppi di Lavoro e, quando
lo fanno, si limitano a concentrare il proprio impegno solo in alcuni di loro…
Come mostrano gli indici di betweenness,
alcuni nodi sono riusciti ad occupare delle “posizioni strategiche” nella
rete-Forum limitata ai Gruppi di Lavoro. Quattro attori, infatti, fanno
registrare indici d’interposizione puntuale che vanno da 38.61 a 73.85, mentre i
restanti membri dei Gruppi di Lavoro, pur essendo dotati di livelli di
centralità locale e relativa non trascurabili, occupano delle posizioni
sostanzialmente marginali all’interno della rete (hanno, cioè, livelli di
betwenness
sensibilmente più bassi). ..Escludendo dalla rete parziale i quattro attori
meglio connessi (e, conseguentemente, le loro relazioni) si riescono a calcolare
delle densità, cosiddette, “ego-centriche”…
privata di tutti e quattro i nodi contemporaneamente, la densità (della rete
parziale) è quasi dimezzata” [Tronca, 2003: 17]. L’analisi di Tronca verte poi
sulle aree di alta coesione individuando in esse una ulteriore significatività
dei 4 nodi già menzionati che fanno “registrare livelli di presenza che superano
di gran lunga quelli degli altri membri del network: i quattro fanno
parte, mediamente, di 13.25 cliques, contro le 2.90 dei restanti punti
(facendo apparire alta) l’importanza, per il grado di connessione della rete,
dei quattro nodi più volte menzionati…Senza le connessioni garantite dai questi
attori, in sostanza, i membri dei Gruppi di Lavoro subirebbero una sorta di
“allontanamento” reciproco.
Il tipo di relazione sociale che si attua nei Gruppi di Lavoro è di qualità
diversa rispetto a quella della cultura associativa letta nelle relazioni
allargate delle formazioni. La struttura del gruppo di lavoro non è, infatti,
specifica del privato sociale ma è mutuata dal contesto dell’impresa, si fonda
sulla divisione dei compiti, sui ruoli, sulla motivazione anche competitiva,
sulla produzione di risultati, sulla analisi dei costi e benefici (anche in
ordine all’impiego del tempo). Inoltre il gruppo di lavoro è il luogo dove si
elicitano le ambizioni personali, di carriera, la selezione dei migliori fino
alle contese ed al mobbing[20].
All’interno dei gruppi di lavoro sono più forti le relazioni di integrazione e
di complementarità e le opposizioni di incomprensione e di insofferenza, legate,
queste ultime, ai processi competitivi innescati dalla cultura del profitto,
degli obiettivi concreti da raggiungere, delle risorse da investire. Chi vive
nella pratica della produzione di beni relazionali generalmente si ritrae da
tali procedure solitamente delegando a qualcuno, più competente o
intraprendente, tali compiti. Il fatto che il privato sociale si estranei alla
cultura del “gruppo di lavoro” è confermato anche dalla scarsa importanza
attribuita alla cultura organizzativa da parte degli intervistati appartenenti
al privato sociale, nella citata ricerca di Colozzi e Donati sulla cultura del
civile. “Rispetto al prospetto generale delle risorse, sia gli associati che i
non associati mostrano di attribuire più importanza alle motivazioni, e poi in
misura alquanto inferiore al denaro ed alle abilità organizzative, ma mentre per
gli associati la capacità di gestire una organizzazione è più significativa
rispetto al denaro, per i non associati il denaro ha la precedenza sulle
competenze e sulle abilità organizzative” scrive Cevolini [Cevolini, 2002: 135]
nel capitolo sui mezzi e le risorse della ricerca sulla cultura civile.
Qualità relazionali, empatia ed equilibrio
I due diversi modi relazionali all’interno del Forum sono aspetti delle
modulazioni di personalità collettiva del sistema relazionale complessivo del
Forum; le diverse articolazioni relazionali, funzionali agli scopi, s’incarnano
nei rapporti concreti tra alcuni individui e alcuni gruppi, piuttosto che in
altri. Se si possedessero dati su tutte le articolazioni relazionali implicate
nella personalità collettiva complessiva, diverrebbe evidente la prevalenza di
qualche particolare propensione dell’intero Forum verso alcuni stili relazionali
prevalenti.
Nel modello delle sette personalità collettive, frutto d’incroci tra 14 tipi di
relazioni, l’ipotesi di articolazione relazionale all’interno di un Forum la
mosterà inequivocabilmente diversa da quella che si può riscontare tra addetti
di diverse filiali di un’azienda, per esempio, tra i militari che formano una
divisione, tra gli studenti di diverse classi di un’istituzione scolastica, tra
i membri di diverse famiglie che costituiscono un condominio, ecc. E’ abbastanza
evidente che la qualità dei reticoli relazionali, ben più esplicativa rispetto
agli atteggiamenti individuali, si modelli diversamente a seconda dell’identità
gruppale.
La necessità di mettere in atto un percorso di analisi e di ricerca all’interno
delle formazioni di privato sociale, attraverso la modulazione delle relazioni[21],
scaturisce da una doppia necessità. La prima è mettere a punto una
organizzazione metodologica multilivello che colleghi atteggiamenti individuali,
personalità collettive dei gruppi e identità collettiva delle formazioni.
La seconda riguarda la teoria dell’equilibrio gruppale e ci riconduce ad ultima
riflessione sul rapporto tra empatia e dinamica.
Pur nella sovrapposizione di due processi basici di relazione individuati
attraverso questi due concetti, ciò che si conosce della correlazione tra
empatia e superamento dell’egocentrismo [Gladstein, 1986; Goldstein, 1985;
Feshbach, 1982] porta alla valutazione che l’apertura al coglimento
empatico sia una disposizione naturale che può inibirsi, o svilupparsi, a
seconda dei processi educativi e relazionali vissuti dalla persona. La
possibilità di sviluppo del coglimento empatico, di tipo affettivo o di tipo
cognitivo, caratterizza le relazioni e le difende dal precipitare o verso
eccessi di fusionalità o di affiliazione, o di controllo o di dinamicità, o di
differenziazione [Masini, 1996]. Il modo in cui è stata descritta la personalità
collettiva di un gruppo ed un possibile modello teorico di realizzazione
dell’empatia in gruppo, hanno in comune lo stesso concetto di equilibrio
richiamato per la discussioni sui sistemi.
Il concetto di equilibrio relazionale è anche sottolineato da ricercatori
[Bonino, Lo Coco, Tani, 1998] che hanno messo in guardia da un’eccessiva
enfatizzazione sul ruolo positivo dell’empatia; vi è una empatia negativa nei
casi di eccesso di fusione, di dipendenza, di imbroglio, di contagio. A ben
vedere E. Stein [1985] operazionalizza il processo empatico in tre fasi, senza
l’ultima delle quali – l’oggettivazione[22], che sancisce il distacco
dall’esperienza – il processo non è da considerarsi pieno coglimento del vissuto
altrui e, dunque, le precedenti discussioni sull’empatia negativa non avrebbero
fondamento dal punto di vista fenomenologico. In ogni caso l’oggettivazione apre
alla dinamica e, cioè, alla formulazione di schemi d’azione, di ripetizioni per
raggiungere scopi, definire norme e produrre adattamenti.
Nella direzione di comprendere il significato dell’"empatia sociosistemica",
ipotizzata da Ardigò [1988], non è possibile prescindere dall’empatia cognitiva
discussa dagli psicologi.
A seconda della struttura emozionale di base della persona si possono
sviluppare, o meno, diverse modalità di comprensione empatica, le quali pongono
il soggetto di fronte a diversi snodi delle sue possibilità di comprensione e di
rapporto con gli altri. Lo sviluppo della capacità empatica muove dalle forme
più semplici (la somiglianza del vissuto con quello altrui e l’immedesimazione
conseguente) fino alla generalizzazione del coglimento empatico verso tutti i
copioni. I fenomeni di empatia rivolti ai gruppi sociali si fondano su un
processo inverso che parte dall’oggettivazione del vissuto altrui, passa
attraverso l’immedesimazione e perviene al coglimento: l’empatia è, in questa
prospettiva, un esplicito atto intenzionale che muta il punto di vista
autoreferenziale e si sforza di rendere intellegibile l’azione altrui anche
laddove essa possa apparire, in un primo momento, priva di senso. Solo se si
accetta l’idea che i processi dinamici siano la ripetizione di schemi di vissuto
stabilizzati, alla cui base si è verificato un innesco di empatizzazioni e
controempatizzazioni, può essere esercitato uno sforzo cognitivo, verso
percezioni incomprensibili di vissuto altrui, che le categorizzi come esiti di
schemi con radici emozionali simili alle proprie[23],
ma costituitesi con connotazioni molto diverse.
Tale tipo d’empatia cognitiva non è apertura
volontaristica ma frutto dell’esperienza relazionale di una gruppalità
equilibrata. La rete relazionale gruppale (che è tanto più complessa quanto più
è equilibrata, giacché senza equilibrio la complessità dissolverebbe la
personalità collettiva del gruppo per le pressioni divergenti del gruppo
latente), è una potente antenna in grado di ricevere segnali con le bande più
diverse. Fino alla possibilità di comprensione
interpersonale assoluta: quella dell’uguaglianza tra esseri umani sulla base
della possibilità di sperimentare le stesse emozioni e gli stessi sentimenti,
purché posti nella condizione di comunicare il proprio vissuto ed aprirsi al
vissuto altrui.
Ciò che vale nell’esperienza personale
all’interno di raggruppamenti equilibrati, vale anche all’interno dei sistemi:
il sapere ingenuo sui “sistemi”, ovvero sull’organizzazione logico-concettuale
del mondo sociale in cui stiamo vivendo, nasce attraverso “narrazioni” di altri
o “discorsività simboliche” interiori. Le narrazioni della cultura presentano
congruenze o dissonanze cognitive; quanto più le narrazioni sono congruenti ed
equilibrate, tanto maggiore è la complessità che possono contenere. Solo quando
un sistema culturale è in equilibrio può aprirsi alla comprensione di altri
sistemi culturali. E’ innegabile il relativismo culturale ma non è relativo il
grado di equilibrio interno di una cultura più o meno capace di empatizzare, nel
concreto dei suoi singoli rappresentanti, per via sociosistemica, la cultura
altrui. Anche un sistema culturale può essere letto nella stessa prospettiva
delle personalità collettive, anche se non è possibile affrontare qui tale
discussione.
La personalità collettiva di un gruppo,
che vive in equilibrio le proprio relazioni in affinità possiede anche la
proprietà di proteggere i suoi membri da scariche emozionali nevrotizzanti. Tali
scariche sono frutto di relazioni di opposizione che si potenziano in funzione
dello sbilanciamento delle relazioni di affinità verso una, o poche,
modulazioni. Ad esempio un eccesso di attaccamento porta un gruppo verso
l’invischiamento interno ed una conseguente diminuzione dell’identità: tale
gruppo trova un riequilibrio mediante sviluppo di opposizioni, attraverso
processi d’identità per differenziazione ed aumento di tratti confliggenti con
l’esterno. Un gruppo demotivato produce relazioni oppositive di insofferenza
conseguenti alla astenica necessità di riequilibrarsi; un gruppo estremamente
differenziato, incapace di trovare complementarità o integrazione tra gli
atteggiamenti, soffre il logoramento e il fastidio; un gruppo conflittuale,
incapace di disponibilità, vive nella delusione e nell’equivoco; ecc.
Se il controbilanciamento nell’assetto
delle relazioni gruppali non avviene attraverso nuove relazioni di affinità, si
sviluppano relazioni di opposizione le quali garantiscono la sopravvivenza del
gruppo o la continuazione di quel tipo di gruppo. Naturalmente un gruppo
riequilibrato dalle opposizioni non sarà in grado di afferrare empaticamente le
strutture relazioni di altri gruppi perché impedito dalle giustificazioni
culturali prodotte per difendere le opposizioni relazioni interne. L’equilibrio
mediante conflitti è regressivo per l’empatia sociosistemica.
Sul piano dei processi di società civile
lo sviluppo di governance è
dunque indispensabile per comprendere le altre culture ed individuare le vie non
autoritarie per la diffusione delle democrazie nel mondo, condizione questa
indispensabile per ulteriori sviluppi della stessa governance.
Relazioni, empatia sociosistemica,
equilibrio e governance sono i termini che descrivono, in questa
prospettiva di ricerca, le componenti indispensabili per il miglioramento.
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[1] Con il concetto di «dinamica» si intende l’orientamento del gruppo verso un compito da realizzare attraverso processi di strutturazione e destrutturazione dei ruoli. Il carattere dinamico si esplica nei cambiamenti e riequilibramenti strutturali necessari al raggiungimento degli obiettivi, come spiega K. Lewin che lo prese in prestito dalla meccanica: “il termine «dinamico» si riferisce qui al concetto dynamis=forza, a una interpretazione cioè del cambiamento come risultato delle forze psicologiche” (Lewin, 1972: 88).
[2] La denominazione terzo settore è qui usata quando si pone l’accento su una prospettiva più economica o politica (in senso corrente) del ruolo delle formazioni di privato sociale; quest’ultimo termine è invece utilizzato laddove è più marcato il significato relazionale di tali formazioni.
[3] Il motivo del ricorso alla originale teoria struttural-funzionalista (con qualche contaminazione) è dovuto al tentativo di riprendere un filo di discussione interrotto anche per la mancanza di strumenti di elaborazione dati capaci di fronteggiarne la complessità interna. Ciò non significa che il modello delle personalità collettive non possa essere letto in chiave costruzionista o soggettivista.
[4] Le linee di azione conativo, espressiva e affettiva, ove disposte sul grafo, agiscono settorialmente su gruppi di lati adiacenti e descrivono l’azione dei tre principali strumenti di lavoro sui gruppi: le tecniche del gruppo di lavoro, del gruppo di formazione e del gruppo di incontro. Nella analisi dei gruppi non sembra però possibile ricondurre a sole tre dimensioni lo studio. Il richiamo alle tre figure di Parsons e Bales è però importante ai fini dell’intervento pratico sui gruppi giacché, in linea di massima, le strutture di intervento poste in essere dai diversi tipi di leadership si riconducono a tali tre categorie ed a miscele tra le suddette. Nel modello delle p.c. la leadership è considerata solo nei suoi risvolti di funzionalità per l’adattamento del gruppo potenziale verso le caratteristiche della configurazione gruppale richiesta. Il leader, che ha la sua personalità computata tra le linee delle disposizioni, colloca il suo ruolo nello scarto tra le linee delle disposizioni e delle relazioni.
[5] La costruzione di questo modello è passata attraverso l’elaborazione di due strumenti: il primo è un test di atteggiamenti da cui si ricava in punteggio del singolo in sette copioni (ricavati dalle emozioni di base), il secondo è un test che studia 14 tipi di relazione in reciprocità, di affinità e di opposizione. (I sette copioni hanno tra loro 42 relazioni univoche e cioè 21 biunivoche, escludendo le 7 relazioni di ciascun tipo con i tipi adiacenti nel perimetro del grafo, che funzionano da rinforzo e conferma dei copioni per le somiglianze, restano 14 modelli di relazione. I due tipi di test possono essere comparati tra di loro attraverso due grafi (il modello è discusso in V. Masini [2000].
[6] Per comprendere l’ottica in cui porsi nello studio delle personalità collettive occorre l’atteggiamento del ricercatore che analizza ciascun gruppo con lo stesso atteggiamento di un marziano che, caduto sulla Terra, osservasse gruppi di 5, 6, 8, 10 persone e dovesse trovare i criteri per riconoscere in essi: una famiglia?, un insieme di persone che aspetta un autobus?, una pattuglia militare?, un gruppo di lavoro? una comitiva di amici? una giunta comunale? un consiglio di amministrazione?. Quali indicatori per capire il tipo di relazioni e la dinamica gruppale interna? E, nella fattispecie dell’analisi di personalità collettiva di un gruppo di lavoro, qualora quel marziano avesse scelto che quel gruppo è “un gruppo di lavoro”, come individuare le proprietà organizzative e relazionali di quello specifico gruppo in quel momento della sua storia. Quale il suo equilibrio interno? e quali caratteristiche mancano (o eccedono) in quel di gruppo e come fare per migliorarlo? deve essere più “famiglia-comunità”?, deve aumentare le relazioni amicali vivendo qualche momento come comitiva? deve aumentare la differenziazione interna perché tutti i membri hanno gli stessi atteggiamenti e impediscono la crescita? o, al contrario, deve mitigare la differenziazione per far crescere l’identità di gruppo, l’unità, la motivazione finalizzandosi al raggiungimento degli obiettivi prefissati?
[7] G. Simmel, discute della determinatezza quantitativa del gruppo proponendo una riflessione, senz’altro attuale, sulle grandezze numeriche che agiscono come forma di organizzazione. “A ogni numero determinato di elementi corrisponde, secondo lo scopo e il senso della loro unificazione, una forma sociologica, un’organizzazione, una stabilità, un rapporto del tutto con le parti ecc.. Poiché noi non possediamo un’espressione particolare per designare ognuno di questi stati sociologici infinitamente numerosi, anche quando esso è osservabile nel suo carattere, spesso non rimane altro da fare che concepirlo come composto da due stati, il primo che ci dice, per così dire, di più e l’altro di meno… Dove i concetti coniati per designare le unità sociali – come quelli di incontro e società, compagnia e esercito, cricca e partito, coppia e banda, seguito personale e scuola, gruppetto e assembramento di massa – non trovano un’applicazione sicura perché il materiale umano sembra essere troppo scarso per l’uno ed eccessivo per l’altro, esiste tuttavia una formazione sociologica altrettanto unitaria, altrettanto corrispondente in maniera specifica alla condizione numerica come in quei casi più netti. Soltanto la mancanza di un concetto particolare per queste innumerevoli sfumature ci costringe a designare le loro qualità come una mescolanza delle forme che corrispondono alle formazioni numericamente più esigue a quelle numericamente più cospicue” [Simmel, 1998: 66].
[8] Queste funzioni corrispondono alle propensione di azione connesse ai copioni di comportamento che gravitano sulle emozioni di base: paura, rabbia, distacco, piacere, apatia, vergogna, attaccamento. Le emozioni, a loro volta, sono miscele dei controlli valutativi dello stimolo studiati dalla neuropsicologia: arousal, attivazione e controllo che presentano una stimolante analogia con l’azione espressiva, di attaccamento e strumentale di Parsons.
[9] Può essere efficace leggere le analogie delle formazioni gruppali, indicate come luoghi oggettivati in cui prende forma la direzione dell’”andare verso” o del movimento psicologico che sta alle spalle della azione o dello “sforzo”, nella terminologia di Parsons, con la tabella di classificazione dei tipi di fusione e separazione delle componenti paradigmatiche (tabella 1 in Il Sistema Sociale di Parsons a pagina 94 dell’edizione citata). Nell’elenco si trovano le corrispondenze tra il mix dei processi di azione e le personalità collettive (PC) oggettivate nei raggruppamenti sociali in buona sintonia con le indicazioni di Parsons:
1) La separazione di interessi catetico-espressivi da attaccamenti e aspettative strumentali corrisponde alla PC6, il pubblico.
2) La fusione di interessi catetico-espessivi in attaccamento diffuso corrisponde alla PC4, la coppia.
3) Interesse catetico-espressivo da parte di una prestazione strumentale asimmetrica, può essere visto nella partecipazione individualizzata ad un contesto di tipo rappresentativo e corrisponde alla PC3, il consiglio.
4) Fusione di attaccamento con prestazioni strumentali corrisponde alla PC7, la parentela.
5) La separazione di prestazioni strumentali da orientamenti catetico-espressivi e di attaccamento, tipica dei ruoli tecnici, corrisponde ala PC1, l’ufficio.
6) La fusione di funzioni strumentali con compensi specificamente appropriati corrispondente ai ruoli esecutivi o artigianali, corrisponde alla PC2, la squadra.
7) La fusione di interessi espressi in attaccamento diffuso verso un oggetto culturale astratto, l’amore universale corrisponde alla PC5, ovvero ad un insieme senza legami relazionali specifici.
[10] Nella teorizzazione di Fichter [1957] ho ritrovato una tassonomia dei raggruppamenti sociali in forma organizzativa, economica, politica, ricreativa, educativa, religiosa, famigliare che, nel dettaglio della descrizione, ha numerosi punti di contatto con la proposta delle personalità collettive.
[11] E cioé: paura (che conduce al controllo), attivazione (che ha la sua radice della rabbia), distacco, piacere fusionale, quiete e vergogna (che è sensibilità recettiva passiva), attaccamento, cfr. Masini [2000].
[12] Si tratta di individuare i principali tipi di modelli relazionali che possono intercorrere nelle relazioni di affinità in una personalità collettiva (integrazione, incontro, riconoscimento, disponibilità, complementarità, mediazione, dialogicità) e nelle relazioni di opposizione (fastidio, incomprensione, equivoco, evitamento, delusione, logoramento, insofferenza). Queste tensioni relazionali sono state investigate dallo scrivente all’interno di gruppi di lavoro dei servizi [Masini, 2003], all’interno delle classi scolastiche [Masini, 1996, 2002], all’interno di comunità di recupero [Masini, 1994], all’interno dei condomini [Masini, 2003]. Tali relazioni possono essere quantificate attraverso item relazionali che investigano, oltre alla qualità del contatto, anche il tipo di contatto e di conoscenza. Nello studio sui servizi sono stati item come: Quanti sono i membri del suo gruppo che ritiene professionalmente più competenti di lei? Di quanti è stato a casa? Quanti sono riusciti a capirla fino in fondo? Con quanti ha litigato (almeno una volta ed anche molto tempo fa)? Con quanti non vorrebbe collaborare gomito a gomito? Con quanti lavora bene e volentieri? Di quanti conosce almeno un familiare? Con quanti si è incontrato qualche volta al di fuori dell’orario di lavoro? Di quanti ha il numero di telefono o telefonino? ecc. Item di questo tipo, scelti da un paniere di atteggiamenti relazionali (ricavati dall’analisi delle storie di vita) che ne contiene un centinaio, servono a quantificare ben 14 tipi di relazione di affinità o di opposizione.
[13] Basti pensare all’innovazione istituzionale che sta dietro il concetto di governance.
[14] Con il termine corrispondenza s’intende il modo in cui gli individui si relazionano gli uni agli altri, a volte in reciprocità, a volte mediante scambio anche simbolico, a volte per dono, a volte per affinità, a volte per opposizione. “Il concetto di reciprocità non significa do ut des, ma scambio simbolico, in cui si dà all’altro nell’aspettativa che l’altro, quando, se e come potrà, darà ciò che può, in termini d’equivalenza simbolica, non materiale o di prezzo monetario” [Donati, 1996:33]. La molteplicità delle corrispondenze richiede la comprensione delle modulazioni della reciprocità. L’aggressività non si spegne solo con la pace ma anche nella sensibilità, l’attaccamento affettivo non si spegne solo con la sazietà emozionale ma si supera con la libertà dalla dipendenza, l’indipendenza orgogliosa trova il suo limite nell’umiltà e nell’unione, l’emozionalità desiderante si stabilizza attraverso il controllo responsabile e la fedeltà, la responsabilità ansiosa si rasserena con la tolleranza e l’ottimismo, la mancanza di autostima e il senso d’inferiorità scompaiono attraverso l’impegno e la dignità.
[15] E’ lo stato ad aver bisogno di bandiere e simboli per sostenere il suo codice normativo. Se poi è vero che il mercato ha bisogno di pubblicità per potenziare lo scambio, la cultura relazionale ha bisogno di potenziare la sua narratività per testimoniarsi e implementarsi nelle relazioni interpersonali.
[16] Le soggettività concrete di I possono essere rappresentate solo attraverso il concetto di “modello latente” a cui si perviene attraverso un ragionamento opposto (top down) rispetto a quello utilizzato dallo strutturalismo (che è bottom up). All’interno di I si possono dunque trovare 7 diverse configurazioni, a seconda della loro propensione verso: A, G, L, AG, GL, LA, AGL = il mercato, lo stato, le reti primarie famigliari, il mix tra lo stato e il mercato, mix tra stato e reti, mix tra reti e mercato, mix tra mercato e reti e stato, con la società civile come sfera di privato sociale sullo sfondo.
[17] La riflessività ha a sempre a che fare con la coscienza. L’azione sociale concreta del singolo individuo si elicita con una distanza più o meno grande dalla coscienza, la relazione sociale con altri socializza la coscienza ed orienta i percorsi dei reticoli sociali costruendo nodi e connessioni, permeandoli di comunicazioni espressive, di attaccamento o strumentali ma non rende, ovviamente, tali reticoli dotati di coscienza. Ai fini del lavoro sociologico, possiamo usare espressioni che li descrivono come soggetti collettivi, ma, anche se immersi nella più densa capacità di empatizzazione, interindividuale o sociosistemica, ed anche se le loro azioni sono coordinate all’unisono, non vi è il luogo concreto in cui possono diventare autoriflessivi. Manca loro l’unitarietà sostanziale mente-corpo psicologicamente e spazialmente definita.
[18] Problemi connessi alla riflessività sono presenti anche in molti passaggi di Parsons quando, ad esempio, nell’analizzare la struttura del contesto relazionale degli orientamenti valutativi in vista dell’azione, realizza “alcune fonti di tensione tra i modelli culturali e le condizioni reali di funzionamento di un sistema sociale” [Parsons, 1951: 92]. Le tensioni riguardano l’analisi (delle obbligazioni strumentali, gli interessi catettico-espressivi e le tensioni di attaccamento) inserita in una delle ripetute tabelle a otto riquadri divisa tra particolarismo e universalismo, neutralità e affettività, specificità e diffusione, seguita da una classificazione a sette dei ruoli concreti che derivano dagli incroci tra espressività, strumentalità e attaccamento; oppure in tabelle, sistematicamente corrette, ma tautologiche in una casella (ad es. quella della classificazione dei tipi di attaccamento). Sul piano teorico la classificazione parsonsiana non è mai problematica, lo diventa quando scende nell’analisi empirica.
[19] Assunto che le personalità collettive presentino al loro interno orientamenti che sono frutto delle “propensioni verso” ne discende che, una volta applicato lo schema alle formazioni di privato sociale, la prima PC sia quella in cui v’è una tensione verso lo statalismo, la seconda PC si manifesti più vicina all’intraprendenza del mercato, la terza PC contenga in ugual misura tensione verso la stato e verso il mercato, la quarta sia tutta protesa verso le reti primarie, la quinta sia in equilibrio tra stato, mercato e reti e non manifesti una sua specificità tensionale caratterizzante, la sesta verso le reti e lo stato, la settima verso le reti e il mercato. In un precedente lavoro di ricerca [Masini, 1998] avevo individuato nelle tipologie organizzative del privato sociale un riscontro possibile tra queste sette combinazioni: cooperative di solidarietà sociale, cooperative sociali, associazionismo sociale, self-help spontaneo e associato, volontariato singolo o associato che opera nei servizi pubblici, volontariato associato non registrato, volontariato associato registrato. Non è però possibile individuare, in forma chiara, la specificità culturale e valoriale sulla base della attestazione formale della struttura organizzativa; un riscontro culturale concreto può essere trovato solo nel momento della costituzione delle diverse formazioni che ha fatto propendere verso l’una o l’altra forma associativa.
[20] E’ utile osservare come il disagio del singolo operatore dia luogo al suo burn out e che il mobbing sia il corrispettivo relazionale intragruppale del burn out.
[21] Nella logica delle personalità collettive i dati necessari dovrebbero tenere in considerazione i seguenti orientamenti relazionali: 1) le relazioni organizzative, centrate sui ruoli, sulle comunicazioni ufficiali, sulla quantità dei contatti tra i membri dei gruppi che rivestono cariche; 2) le relazioni centrate sui compiti operativi, sull’articolazione dei gruppi di lavoro e sui contatti funzionali all’intraprendenza, sulla progettazione e sulla realizzazione delle attività; 3) le relazioni mirate alla discussione, alla creatività, alla crescita ed al cambiamento; 4) le relazioni di condivisione fusionale, assembleari, di festa, di manifestazione; 5) le relazioni interpersonali di tipo convenzionale, non partecipative e coinvolgenti, gli scambi di auguri; 6) le relazioni centrate sull’ascolto, sul sostegno, sull’aiuto, nel senso più comune di relazione solidale tra la gente; 7) le relazioni associative, l’appartenza ai gruppi, l’unione tra persone.
[22] L'analisi più chiara ed efficace dei tre gradi del processo di empatia la abbiamo trovata in Edith Stein: emersione del vissuto altrui, esplicazione riempiente e oggettivizzazione comprensiva., Ma questi tre gradi presentano modulazione in ordine alle età, allo sviluppo o alla regressione della capacità empatica o al copione di personalità che è più o meno aperto alla comprensione empatica di un vissuto o di un altro.
Hoffman, Feshbach, Strauyer, Davis, Hogan hanno studiato le proprietà di tale sviluppo attribuendo gradi diversi di complessità e di evoluzione affettivo - cognitiva alla empatia a partire da: contagio emotivo, empatia per condivisione parallela, empatia per condivisione partecipatoria, empatia per condizioni generali. La processualità di sviluppo dell'empatia sembra che muova dal contagio emotivo (chi empatizza esprime l'adesione immediata al vissuto altrui), alla rappresentazione dell'evento (chi empatizza riesce caratterizzare la situazione dell'evento), alla rappresentazione del vissuto (chi empatizza partecipa allo stato emotivo dell'altro e sa descrivere lo stato interiore dell'altro), alla emersione delle risposte di aiuto (chi empatizza mette immediatamente in atto atteggiamenti di aiuto o proposte per risolvere le situazioni critiche), all’indifferenza (chi empatizza non è coinvolto più di tanto ), alla presa di distanza dalla situazione (chi empatizza cerca di spegnere le emozioni che ha sentito e si tira indietro per difesa), alle risposte convenzionali (chi empatizza non ha coinvolgimento emotivo e risponde al vissuto altrui con frasi fatte) [Bonino et alii, 1988:146].
[23] Ho discusso, in “Idealtipi di religiosità e dialogo interreligioso”, in Berti A. e De Vita R. [2003], alcuni possibili schemi per comprendere le forme di religiosità di diverse religioni comparati all’interno di modelli di atteggiamenti equivalenti.