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l’educazione allo sport - lo sport come educazione

 

                                                                                   

documento per la promozione dello sporto nelle comunità

C.O.N.I.     ROMA  

  Vincenzo Masini

 

Al centro del lavoro educativo delle comunità di recupero sta un modo di relazione interpersonale che favorisce l’apertura di sé, la comprensione del vissuto degli altri, la scoperta delle affinità e delle differenze, l’emersione dei sentimenti, la loro esplicitazione e la loro gestione con equilibrio.

In tutte le comunità, pur con stili diversi e metodi di lavoro apparentemente molto lontani tra di loro, c’é  il gruppo di persone su cui si costruisce l’intero impianto dell’esperienza comunitaria.

Nella relazione guidata educativamente i residenti riscoprono la ricchezza della vita, verificano che anche gli altri soffrono gli stessi disagi e imparano che l’uguaglianza tra gli uomini è determinata dalla eguale possibilità di vivere gli stessi sentimenti. Il residente non si sente più diverso e percepisce che ciò che egli vive è sperimentato alla stessa maniera anche dagli altri. Vince così la sua solitudine, coglie empaticamente la presenza di altri accanto a lui e può iniziare con loro un progetto di cambiamento della sua vita.

Nuovi modi di sentire sono per lui una  scoperta: Egli sente emergere quegli stati d’animo e di mente che andava cercando negli effetti delle sostanze stupefacenti : l’euforia della cannabis, l’incantamento degli oppiacei, la potenza della cocaina, etc. La droga non è più una via magica per vivere emozioni particolari: quelle stesse emozioni possono essere sperimentate nella naturalità della vita purché quel giovane, portatore di un disagio più o meno profondo, scelga di aprirsi ad un nuovo modo di intendere e di vedere la vita.

E così all’interno del gruppo scopre lo scatenarsi  di quella giocosa e contagiosa ridarella che cercava nello sballo della marijuana, nella magia di un tramonto in campagna trova la pace che cercava nell’eroina, nel  resistere alla fatica di un incontro sportivo riconosce dentro di sé l’energia che aveva attribuito alle anfetamine, nel successo di un lavoro impegnativo realizza di avere quelle possibilità che attribuiva alla cocaina. L'intervento  educativo di comunità tende ad aprire alle emozioni più diverse per far scoprire ai residenti la possibilità di attivare autonomamente dentro di sé i vissuti ricercati nelle sostanze. Da questa apertura prende il via il programma di recupero che consiste nell'aprire personalità fissate su un ripetitivo copione  centrato su una, o poche, emozioni di base verso la crescita.

Strumento centrale di questo lavoro è il gruppo d’incontro, rilevato costantemente presente in ogni tipo di comunità seppur con diversa denominazione.  La  costruzione del gruppo di comunità è infatti il fulcro su cui ruota il processo di recupero: dall'accoglienza fino al suo reinserimento il residente è circondato ed è parte integrante del gruppo. La sua vita di relazione lo porta a confrontarsi, a modificare il suo comportamento ed a costruire il suo  progetto di vita.

Nelle diverse comunità di recupero, terapeutiche, educative, ma anche nelle case famiglia nei laboratori protetti, etc., sono rilevabili tre forme di gruppo: il gruppo di animazione-lavoro, il gruppo di formazione ed il gruppo di incontro. Il  gruppo di animazione e lavoro ha l'importante funzione di motivare  alla responsabilità, all’organizzazione, alla  progettazione della propria vita ed al controllo di sé mediante le regole introiettate; il gruppo di formazione e apprendimento sociale conduce alla differenziazione del sé ed all’accettazione dell’altro poiché apre al proprio percorso educativo finalizzato al reinserimento nella società, il gruppo di incontro produce e determina il senso di affiliazione, la dinamica dell'accoglienza, della comprensione empatica del vissuto altrui e della propria ed altrui identità.

In comunità esistono tutti e tre questi modelli di gruppo e le diverse riunioni che scandiscono il programma settimanale e giornaliero sono momenti che possono essere ricondotti a questi diversi tipi di gruppo. Le situazioni di gruppo di lavoro, animazione, apprendimento e formazione sono momenti diffusi  nei modi contemporanei di vivere: svolgono infatti importanti funzioni per i processi educativi e di socializzazione, il gruppo di incontro è invece diventato una modalità di stare insieme sempre meno diffusa.  E' infatti chiaro cosa sia un gruppo ben organizzato che riesce a lavorare insieme ed a produrre,  un momento di scambio e di animazione, è altrettanto chiaro cosa sia  una classe scolastica che efficacemente studia o un gruppo di formazione ed addestramento, ma è molto meno chiaro cosa oggi possa essere una comunità di persone che produce armonia  relazionale e che da vita ad un clima sociale carico di affettività, di comprensione e di autenticità.

L'aver individuato il gruppo di incontro (o con qualunque altra denominazione possa presentarsi) al centro delle strategie di recupero in comunità  ha consentito di elaborare un progetto di intervento educativo e preventivo che scaturisce dall'esperienza comunitaria ed è in grado di fare comunità tra le persone dei più diversi contesti sociali di aggregazione.

La strategia di lavoro muove dalla necessità di comprendere il disagio dei giovani e di farlo esprimere costruendo a questo fine gruppi di incontro frequentati da chi sente il bisogno di un gruppo affiatato ed accogliente dove far emergere i diversi sentimenti vissuti e dar loro significato. La attivazione dei primi gruppi di incontro ha immediatamente consentito la comprensione dei tanti momenti di difficoltà dei giovani: paure, tensioni, angosce, ansie, incertezze, sensi di inadeguatezza, incapacità a comunicare, ...sensazioni che se espresse, possono trasformarsi in crisi superabili e, invece di diventare condizione di rischio, possono trasformarsi in momenti creativi e propositivi di iniziative ed attività.

I connotati di un gruppo di incontro possono essere descritti come quelli di un modo di relazione tra persone che, in sé, fornisce strumenti par mettere in contatto esperienze umane anche lontane e aiuta a  comprendere come sia possibile superare il disagio,  entrare in confidenza, rispecchiarsi nell'altro e vicendevolmente crescere. Così come la comunità non è un luogo ma un modo di stabilire rapporti, il gruppo di incontro non necessita di particolari tecniche di psicoterapia di gruppo per essere acceso e condotto, ma solo di  alcuni accorgimenti educativi e di una profonda sensibilità e disposizione al coglimento empatico. Dote questa indispensabile a qualunque educatore. Il metodo e lo stile di conduzione di un gruppo di incontro educativo può dunque essere appreso da chiunque e la diffusione del modello del gruppo di incontro è stata inevitabile per la sua semplicità e logicità. Il gruppo di incontro ha così sortito alcuni interessanti risultati oltreché nelle scuole, nelle associazioni, nelle parrocchie anche all'interno delle formazioni sportive.

 

Lo sport come educazione

L'attività sportiva è diffusamente indicata come un importante strumento per la crescita delle persone, la partica però frequentemente smentisce tale affermazione. Il generico richiamo alla salute, all'armonia ed alla  relazione con altri rischia di falsificarsi, ad esempio,  quando con sviluppo fisico si intende la specialistica individuazione del singolo fascio muscolare a cui  un certo esercizio dona sviluppo e corroborazione.

Per parlare di salute dal punto di vista educativo  è necessario aprirsi al quadro di valori a cui le discipline sportive possono introdurre e, contemporaneamente, difendersi dai disvalori che possono circolare nei contesti sportivi. Vediamoli.

Lo sport ha valore in sé come educazione alla disciplina. Specialmente per  giovani che sperimentano sensi di inferiorità, vergogne eccessive, timidezze esasperate e sfiducia nelle proprie possibilità  lo sport può rappresentare una pratica che eleva l'autostima. Una persona sfiduciata può infatti trovare nella discipline e nell'allenamento un metodo attraverso cui ottenere risultati visibili. Un buon educatore-allenatore sa riconoscere i bisogni del giovane sportivo, sa dosare tempi e tappe dell'allenamento e sa indicare la strada per raggiungere i primi risultati concreti. La verifica di un risultato è un traguardo indispensabile per chi non ha fiducia in se stesso. "Vedi, se vuoi ce la puoi fare!" può essere per molti  la frase che sancisce il cambiamento di vita ed il cambiamento dell'immagine del sé.

Lo sport conduce alla scoperta di sé e del proprio corpo. L’intima connessione psicosomatica dell’esistenza dell’uomo trova nella pratica di attività sportiva la più esplicita verifica. Un buon rapporto con la fisicità di persona nel mondo consente una buon equilibrio psichico: sentirsi in forma non è relativo alla sola condizione di benessere dell’organismo ma conduce ad uno stato psichico positivo sia per la vita di relazione che per le attività produttive. Spesso nei sistemi correnti di educazione è sottovalutato il corpo per porre eccessiva attenzione ai processi psichici ed alle capacità mentali. L’attenzione al proprio corpo porta ad ascoltare le diverse parti dell’organismo sentendo il tono muscolare, il battito del  cuore, il respiro e l’energia che si è in grado di esprimere; la conoscenza del corpo e la scoperta dei segnali che lancia conduce anche ad  attribuire il giusto peso al dolore. E’ tipico della cultura post-moderna l’incapacità di tenere sotto controllo il dolore; lo sport può insegnare a riconoscerlo, ascoltandolo per individuarne la precisa provenienza, per valutarne l’autentica intensità  e per  intervenire su di esso con analgesici solo laddove esso sia davvero insopportabile.  Lo stesso dicasi per la fatica fisica,  per la fisiologia del proprio organismo, per il metabolismo, etc. Il corpo trasmette segnali attraverso la sudorazione, gli odori, le caratteristiche delle feci, la pelle, etc. che indicano la qualità dei bioritmi e degli equilibri della nostra salute.

Lo sport ha valore come apertura al senso di responsabilità  ed al controllo sulla realtà. Non solo la responsabilità verso il proprio corpo ma tutto il senso di responsabilità può essere coltivato mediante lo sport. Specie nei giochi di squadra ciascun partecipante sente il ruolo che riveste nella competizione sportiva, avverte la posizione che deve assumere, tiene allerta  i  riflessi per cogliere al volo le occasioni, esercita un attento controllo sull’avversario e sul terreno di gioco imparando così a valutare, con senso di realtà, il contesto in cui è inserito.  Nella cultura dell’immagine, della  produzione del fantastico e dell’immaginario lo sport può insegnare l’osservazione delle cose, degli spazi e degli altri valutandoli per quello che effettivamente sono.

Il gioco di squadra è inoltre un efficace strumento per comprendere il punto di vista degli altri, il rispetto, la lealtà, l’umiltà e per apprendere il senso di socialità indispensabile nella maturazione individuale.

Lo sport come educazione ai sentimenti.  L’educazione a vivere e gestire le emozioni di base (piacere/disagio, ira/calma, vergogna/autostima, gusto/disgusto, entusiasmo/apatia, gioia/tristezza, paura/coraggio) può trovare un efficace strumento di lavoro nell’aggregazione sportiva. Gli allenamenti, le competizioni e il lavoro di squadra  sono veicolo di sperimentazione di tali emozioni e, se queste, oltreché essere vissute, diventano anche interiorizzate, discusse e comprese si perviene ad un maturo equilibrio nella vita delle persone cresciute nella attività sportiva.

 

L'educazione allo sport

La breve ricognizione sulle emozioni di base ha già implicitamente aperto molti interrogativi. Quanta consapevolezza vi è nel mondo dello sport  del ruolo di questi sentimenti vissuti in chi lo pratica?   Che esplicito progetto di educazione ai sentimenti ed all’equilibrato vivere le emozioni  viene formulato all’interno delle aggregazioni sportive?

In genere la consapevolezza di questa dimensione educativa è affidata al buon senso ed all’intuizione degli allenatori che, nel relazionarsi con i giovani, assumono spesso il ruolo di educatori, di amici e di consiglieri anche per questioni della vita che esulano dalle strette competenze sportive. Il senso di gruppo tra i giovani, l’adulto che li guida e la spontanea comunicazione che scaturisce dal comune vissuto e dalla condivisione degli obiettivi riescono fanno dell’esperienza sportiva una positiva esperienza educativa.

Ma, in ragione dei messaggi contraddittori e negativi che circolano nella nostra società, non sempre il buon senso educativo riesce ad avere successo. Ed allora  la sana competizione si trasforma in un duello per la propria affermazione e per sentirsi migliore dell’altro, l’entusiasmo diventa aggressività contro l’avversario, il successo è perseguito ad ogni costo tanto da trasformare il gioco in uno scontro sleale  e l’arbitraggio in una sfida psicologica e regolativa per interpretare le intenzioni più che gli eventi; infine  l'immagine sociale e la rappresentazione del sé divengono un obiettivo   su cui  si gioca in modo  totalizzante la vita.

Tali scivolamenti educativi inquinano la vita e la mente dei giovani sportivi che, se privi di guida e di orientamento, non riconoscono più lo spirito cavalleresco e sportivo  insito nella gara. Spesso la tifoseria (anche di adulti genitori) concorre alla trasgressione delle regole di lealtà, di rispetto e di confronto trasmettendo quei sentimenti di aggressività contro l’avversario che i giovani in competizione finiscono per accettare a fare propri come normali. C'è un sottile crinale che divide l’incoraggiamento dall’aggressività, la voglia di vincere dalla sopraffazione arrogante, la fierezza per la vittoria dall’umiliazione dell’avversario, il dispiacere per la sconfitta dalla depressione, la sicurezza di sé dal delirio di onnipotenza. Per scegliere il versante giusto è indispensabile l’educazione allo sport.

Il  processo educativo attuato mediante l’introduzione del gruppo di incontro tra i giovani sportivi, è implicitamente un efficace strumento di prevenzione del disagio e di quella particolare tossicodipendenza che nel mondo sportivo si chiama doping.

"Il doping consiste nella somministrazione o  assunzione, da parte di soggetti in buona salute, di sostanze di ogni tipo che sono estranee all'organismo, oppure di sostanze fisiologiche non naturali od  utilizzate in  modo abnorme, allo scopo di incrementare artificialmente e  scorrettamente la  prestazione in una manifestazione sportiva; sono inoltre  da  considerarsi come doping anche un certo numero di interventi psicologici atti a  migliorare la prestazione." Così viene definito il doping dal  Consiglio d'Europa  nel 1973. La definizione mostra la difficoltà della definizione teorica del  significato  del doping,  soprattutto  nell'individuazione della soglia tra  uso  legittimo  ed illegittimo  di  diete  particolari, di farmaci e  di  interventi  terapeutici rivolte  a  migliorare  le prestazioni fisiche in generale  o  in  riferimento all'agonismo sportivo. Una maggiore precisione si può avere associando alla ricognizione dal punto di vista strettamente medico degli effetti indesiderati e patologici dell'uso di doping l'analisi degli effetti sociali, psicologici, comunicativi ed educativi.

Sono infatti molto evidenti le controindicazioni mediche all’assunzione degli stimolanti, degli steroidi anabolizzanti, dei diuretici, degli analgesici, dell'ormone della crescita, dell'auto-emotrasfusione, dell'eritropoietina, dell’EPO, dell’ACTH, dell’HCG o dell’ormone IGF-1. Meno evidenti sono gli effetti dei prodotti  iperproteici integratori  della  dieta  dello sportivo per ipertrofizzare la massa muscolare che finiscono col produrre insufficienze renali. 

Poco evidente è invece il danno psicologico e fisico  legato alla mancanza di rispetto del proprio corpo che, come per il culturisti fisici, diventa un andare  contro natura sviluppando in modo esagerato alcuni  fasci  muscolari per puro esibizionismo per ritrovarsi un corpo molliccio e cadente con l’andare degli anni.

Ancora meno evidente è il danno educativo connesso alla abnorme  motivazione  al  successo,  nei suoi risvolti economici, psicologici e culturali. Il divismo può diventare la struttura psicologica attorno a cui ruota tutta la personalità  dell'atleta e può produrre effetti relazionali molto difficili da gestire: dalla mancanza di legami con la realtà del concreto vivere quotidiano al senso di fallimento quando il divo sente di non essere più nessuno. La attrazione che esercita come modello è poi molto forte e può diventare per soggetti con bisogni educativi il simbolo da imitare, con la destabilizzazioni conseguenti all'adesione ad un modello educativo negativo.

C’è da dire che molti autentici campioni hanno mostrato di possedere elevate doti morali e un alto grado di motivazione verso gli altri e che, per fortuna, sono diventati modelli positivi per molti giovani che si identificano in loro. Da questo punto di vista non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza della comunicazione su temi sociali in cui molti campioni si sono impegnati. Non bisogna comunque sottovalutare il divismo negativo e la forza di attrazione che riesce ad esercitare e, ove quest’ultimo sia connesso all’uso di  doping, gli effetti sul piano dell’innesco di situazioni a rischio per giovani sportivi sono molto pericolosi.

Il danno sociale che è prodotto dall’assenza di educazione allo sport può poi essere legato alla componente di affermazione sociale attraverso il  raggiungimento delle mete sportive ed alla  ricerca di cambiamento dello status mediante il  coinvolgimento  del  business dello sport. Il  contesto  di relazioni  economiche che si costruisce   intorno ad un simile modo di  intendere  lo  sport contribuisce a costruire una sub-cultura che si apparenta con la cultura del doping. Al di là della diffusione concreta delle sostanze  è una sorta di implicita promozione all'uso di sostanze il fatto stesso che circolino affermazioni sull’uso di cocaina da parte dei corridori di Formula 1, di Betabloccanti nel tiro a segno e nella  prova  di tiro  del  pentathlon  moderno per aumentare la fermezza del polso, degli steroidi tra i velocisti di pista e i canottieri, degli  anfetaminici nelle gare sportive che richiedono sforzi notevoli  e prolungati, dei diuretici tra i pugili, i lottatori e i sollevatori di  pesi, e così via. Siamno di fronte a messaggi subdoli e penetranti che inquinano la mentalità dei giovani sportivi che, anche per i consigli di qualche preparatore, finiscono ad accedere all’uso di tali preparati. Il danno per lo sport è evidente così come il danno per quel soggetto che impara ad affidarsi alla chimica per risolvere i  problemi della sua vita.

 

Il compito di educare

Il lavoro di prevenzione scaturito dalla possibilità di estendere il gruppo di incontro a sfondo educativo al di fuori delle comunità ha prodotto buoni risultati nei contesti in cui è stato applicato. Nelle scuole ha consentito l’innesco della progettualità dei giovani che, dopo il reciproco riconoscimento personale, hanno  iniziato a discutere a fondo della loro motivazione allo studio, della loro mancanza di metodo, dei problemi di relazione all’interno delle classi, dell’accoglienza dei nuovi e, complessivamente, sono  riusciti a modificare il clima relazione di molti istituti. La motivazione a vivere in modo più autentico la relazione con i giovani ha inoltre restitutio ai docenti la funzione educativa che avevano a volte perduto. Nelle associazioni ha prodotto una più viva partecipazione agli interessi collettivi andando a scavare le autentiche motivazioni alla partecipazione e mettendo alla luce la radice del bisogno personale a cui corrispondeva quel particolare processo associativo. Applicato al mondo dello sport il gruppo di incontro, seppur sperimentato in modo non ancora sufficiente, ha consentito di fronteggiare il senso di delusione vissuto dopo un insuccesso, sia personale che di squadra. Ha permesso momenti di scarico della tensione psicologica accumulata nell’attesa e nel corso dell’incontro. Ha evitato l’insorgenza di quel angoscioso senso di vuoto che può emergere dopo l’intensità di una gara  e che può portare a disagi psicologici importanti se vissuto in solitudine. Ha acceso confronto leale e concreto sul comportamento dei singoli atleti sia nel corso della gara sia nella vita di relazione smussando alla nascita le possibili  antipatie, le invidie ed i conflitti  e favorendo la relazionalità ed il clima di squadra.

La conduzione di un gruppo di incontro a sfondo educativo richiede però una particolare competenza da parte dell’allenatore: non si tratta di “insegnargli” qualcosa di nuovo ma di portare alla luce le sue intuizioni e le sue tecniche dando ad esse maggior precisione e penetrazione educativa rispetto ai bisogni del giovane atleta. Negli anni a venire la sfida dell’educazione sarà incentrata sulle capacità di relazione tra persone ed il mondo dello sport è assolutamente al centro di questa sfida.

 

 

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