GLI ARCHETIPI COME CANALI RELAZIONALI
Abbiamo dedicato tre convegni per analizzare gli archetipi de
I
link rimandano alle discussioni specifiche su ciascuno di questi
CANALI RELAZIONALI.
Li
abbiamo definiti canali perché in ciascuno di essi ha cominciato a
scorrere una banda di frequenze di onde empatiche connotate da
diverse proprietà dell’affettività.
I
canali archetipi sono prototipi che, nelle svariate combinazioni
delle culture, continuano ad avere come base l’archetipo specifico.
Gli archetipi sono inconsci e ci guidano nel comportamento sociale e
nella costruzione della nostra identità. Gli archetipi di base della
paternità, della maternità e della fraternità sono pilastri inconsci
che individuano le prime forme di relazione affettiva.
L’analisi svolta su ciascuno di loro ha raggiunto l’obiettivo di
mostrare sia le ambivalenze da cui debbono essere purificati per
poter influire sui riferimenti virtuosi e valoriali in essi
contenuti, sia le strutture su cui si fondano.
L’archetipo materno si presenta con la forma esplicita di un canale
affettivo emozionale. L’amore materno nutre e rende sazi se non è
troppo avvolgente e se non è
troppo distaccato. La forma dell’attaccamento sicuro è quella di
un’onda emozionale che coinvolge e rilascia e che, come tutte le
emozioni ha una durata. Si innalza per poi esaurirsi ed innalzarsi
di nuovo.
L’archetipo paterno è quello di un canale attraverso cui passa la
dinamica delle azioni. Consente o non consente un atto. Ciò che c’è
in potenza nella relazione paterna può realizzarsi o bloccarsi. La
dinamica avviene o non avviene, si realizza o viene impedita. Si
potenzia o si estingue. Non ha durata, o c’è o non c’è.
L’archetipo fraterno è centrato sul riconoscimento e sull’intesa
cognitiva. tra fratelli si formano i concetti, i linguaggi ed i
simboli. E sulla base di tali simboli condivisi cresce la
collaborazione o la competizione. Se i simboli sono concettualmente
chiari e condivisi restano saldi nel tempo.
Questi tre canali relazionali rappresentano le vie di base
attraverso cui l’uomo si esprime nelle relazioni con gli altri:
emozioni, atti, cognizioni. Tali atti sono tipici del nostro agire
come madri, come padri o come fratelli a seconda del tipo di
affettività che mettiamo in gioco. La liberazione dalle ambivalenze
tocca dunque questo costrutto di fondo da cui parte l’esperienza
umana della relazione consapevole e poi evoluta.
Diventare soggetti relazionali significa interrogarsi sulla natura e
sul senso delle relazioni per sviluppare alcune specifiche ed
essenziali competenze relazionali che, in sintonia con quanto detto
sulla relazione emozionale, dinamica e simbolica, vertono sulla
capacità di gestire la scena relazionale ed i suoi tempi e flussi
emozionali (il materno), relazionarsi sui valori condivisi e non
sulle passioni (il paterno), relazionarsi con la propria voce
interiore e le altre voci che ascoltiamo dentro di noi (il
fraterno).
L’esperto in relazioni evolute sa comprendere la specifica qualità
con cui le persone stanno in relazione con lui e la modulazione
relazionale di cui hanno bisogno. Va da se che ciò superi il
concetto di ruolo per come è inteso in sociologia (l’insieme
di aspettative reciproche cristallizzate nelle norme sociali tipiche
di una specifica posizione sociale). Tal concetto
funzional-strutturalista descrive la relazione come un prodotto del
sistema sociale preesistente ed è il motore della burocratizzazione
delle relazioni falsificate dall’ipocrisia.
Aver posto come origine gli archetipi relazionali ribalta la teoria
dei sistemi e rimette sulle sue gambe la possibilità di far evolvere
i modi di stare insieme che ci possiamo concedere, con autenticità.
La socializzazione relazionale primaria non è prodotta dal sistema
sociale, ma nasce come conseguenza di relazioni biologiche
riproduttive primarie. Questo assunto ha bisogno di essere
sottolineato e fortificato nella trasformazione del postmoderno in
web society quando le relazioni primarie perdono
identità a seguito di profonde modificazioni dei ruoli: l’idea di
coppia e di famiglia, di maschile e di femminile, di paterno e
materno, di fraterno, di amico, di parente, di collega possono
assumere significati plurimi, spesso ambigui.
L’ambiguità del postmoderno non può però annullare il senso
originario delle forme relazionali archetipiche del matrimonio,
della paternità, della maternità e della fraternità, le più antiche
e fondative dell’identità umana. Tali archetipi sono i primi canali
relazionali di quelle particolari forme di amore: rispettivamente
quello coniugale, quello paterno, quello materno e quello fraterno.
Le
caratteristiche ambivalenti degli archetipi, già presenti e ben
descritte dai miti antichi (basti, a titolo di esempio, il mito di
Caino e Abele), derivano dalla perversione introdotta nella
relazione per insufficienza di capacità affettiva. Dal fatto cioè
che l’irradiazione affettiva che percorre i canali relazionali ha
subito blocchi, cadute, o si è congelata a causa di modalità
relazionali non adattative oppure di modalità che sono rimaste, o
ritornate, primitive.
Quando le modalità relazionali sono polarizzate sull’affettività,
l’irradiazione affettiva della coppia evolve dalla pulsione sessuale
verso l’innamoramento coniugale, l’attaccamento biologico della
madre verso il figlio si trasforma in affettività materna e la
scoperta della propria continuità genetica nei figli del maschio
evolve verso la realizzazione relazionale della paternità.
Ciascuno degli archetipi studiati in questi tre anni da Prepos si è
rivelato fonte di grandi informazioni e di comprensioni
antropologiche di vasta portata soprattutto in funzione della
autenticità umana che l’antropologia ci fa riscoprire.
Con
questo indirizzo il percorso di crescita personale e professionale
comincia ad avere degli obiettivi condivisibili sul piano
sociopolitico e non solo su quello professionale.
Mi
spiego. Nel modello professionale del counselor si era intravista,
studiata e verificata la dimensione dell’umanizzazione di tale
professione in senso relazionale, scardinando molti orpelli di ruolo
e tendendo a costruire relazioni di aiuto le più chiare e semplici
possibile con il massimo possibile di incontro umano tra il
counselor ed il cliente.
Ciò
che riguarda però la professione va oggi diffuso anche sul piano dei
comportamenti relazionali non necessariamente professionali per un
miglioramento generalizzato delle relazioni. L’esperto relazionale
diventa dunque un cavaliere nel suo modo di porsi e la dimensione
cavalleresca, con tutti gli impliciti romantici che non guastano, è
forse la via per porgere uno stile di vita e di relazione che fa
bello e nobile il vivere.
La
dimensione cavalleresca può mostrare uomini che testimoniano la loro
capacità di relazioni evolute attraverso alcune scelte etiche e di
comportamento fondamentali:
1)
Il
rifiuto delle regressioni primitive considerate passioni di follia.
E, viceversa, le malattie mentali non organiche, considerate come
regressioni al primitivo.
2)
la
scelta di destrutturare l’ipocrisia sistematicamente incontrata. Sia
essa connessa alle relazioni di scelta che alle relazioni
burocratiche.
3)
la
professione di autenticità nella relazioni con la scoperta
dell’appagamento conseguente.
Questa realizzazione nell’essere relazionale è possibile come
strategia per qualunque essere umano che voglia intraprendere nella
quotidianità una simile esperienza di liberazione e di gioia. Quando
ci si incammina verso la consapevolezza relazionale i primi passi
sembrano difficili finché non si realizza che dirsi la verità sullo
stato dei nostri rapporti è liberante e ci fa sentire attori del
possibile cambiamento. Ed anche quando tale cambiamento non sia
possibile si è ugualmente liberi dalla dimensione depressiva che
l’ipocrisia altrui cerca di contagiarci. Il mondo degli ipocriti
appare ridicolo e meschino e lo si può osservare dall’alto con
distaccata benevolenza senza subirne il contagio.
Non
è poco. Significa essere cavalieri.
Vincenzo Masini