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                                                                                  ARTICOLI RECENTI

 

Tiziana Cirillo

  

Sindrome del  “Culture Shock” nei Militari USA

in Transito nelle Basi Oltreoceano

 

                                                       

 

I see my Light come shining

                                                      From the West unto the East,

                                                        Any day now, any day now

                                                        I shall be Released..

                                                         

 Vedo la mia luce risplendere

                                                                        da Ovest verso Est,

                                                                        da un momento all’altro,

                                                                        sarò liberato…                                                                                                         

                                                                                Bob Dylan

 

 

 

 

Indice

 

- INTRODUZIONE                                           p. 4

 

- MA CHE COSA SI INTENDE PER CULTURA?                            6

      

- CULTURE NELLE CULTURE                                     8

- DIFFERENZE CULTURALI (parte I)                                 10 

    

- UN ESEMPIO DI ETNOCENTRISMO                               12

 

- STEREOTIPI CULTURALI                                      16

 

- DIFFERENZE CULTURALI (parte II)                           19

 

- BASI USA E PERSONALE MILITARE OLTREOCEANO                 26

 

- CULTURE SHOCK                                             29

 

-              Sintomi del Culture Shock                                  31

-              Le fasi del Culture Shock                                  32

 

- LA SINDROME DEL “BURN OUT”                                34   

 

- PREVENIRE E’ POSSIBILE, ANZI AUSPICABILE. L’ICRT,    

  il programma preventivo delle U.S. Forces                 36

 

   - Qual’è la medicina o l’antidoto al Culture Shock?        37

- Chi è lo Specialista Interculturale?               

 

- ITALIA – USA, CULTURE A CONFRONTO                         40

 

- ITALIA – USA, GRAFICI A CONFRONTO                         45

 

- IL DISAGIO DEL CULTURE SHOCK APPLICATO AI 7 ARCHETIPI       49

 

- IL RUOLO DI SUPPORTO DEL COUNSELING                            51

 

-              Origini del Counseling                            

-              Significato del Counseling

-              Chi è il Counselor

 

- QUELLO CHE I COUNSELOR DEVONO SAPERE SUL CULTURE SHOCK    58

 

- COUNSELING MULTICULTURALE                                 60

 

- C’Era un Ragazzo che Come Me…                             65

 

- Bibliografia                                              69

 

- Ringraziamenti                                       72

 

 

Introduzione

 

   Sono le 0715 del mattino e sono ferma davanti al cancello aspettando un cenno della guardia che mi dica che posso avanzare. Finalmente alza un braccio e io, con la mia auto, lentamente, mi avvicino. E’ importante che mi fermi proprio alla sua altezza. Se non rallento in tempo potrei essere nei guai. Le misure di sicurezza qui sono altissime.

Guarda il mio badge, controlla la foto e poi mi fa segno di andare. Riparto e sempre lentamente guido fino al parcheggio dinanzi al mio ufficio.

Sono dentro una Base Navale Militare USA. Qui dentro è un altro mondo, molto diverso da quello che ho lasciato pochi minuti fa. Qui si ha a che fare con un’altra cultura, un altro sistema, una differente organizzazione.  Se non accetti questo puoi impazzire. Il militare inoltre, è una subcultura con diverse codificazioni. Persino la lingua è parzialmente diversa. Lo slang militare è veloce, pieno di codici, abbreviazioni. L’inglese dei libri serve a poco qui dentro, bisogna re-imparare molte cose.

Sono all’interno di questa base da quasi 20 anni. Per questi 20 anni ho avuto modo di osservare queste due culture a confronto, quella italiana/napoletana e quella americana/militare. Due mondi che sembrano andare insieme paralleli. Si  muovono entrambi verso le stesse finalità ma, apparentemente, senza incontrarsi mai. Come mai? Cosa evita l’integrazione di queste due culture?

 

L’adattamento culturale non è cosa semplice. Ne sanno qualcosa i nostri nonni che furono costretti ad emigrare agli inizi del ‘900.

Avere a che fare con un’altra cultura vuol dire dover rimettere in gioco tutto cio’ che abbiamo appreso e dato per certo: la nostra lingua, il cibo, il modo di rapportarsi agli altri, l’uso dello spazio e del tempo e, massimamente, i nostri valori culturali.

La mancanza di adattamento può portare disagi anche gravi e, prima di tutto, quello che si chiama ‘withraw’, vale a dire l’abbandonare tutto per tornare nella propria realtà, nel proprio paese.

Ogni anno un certo numero di impiegati italiani abbandona il lavoro perchè non riesce a gestire (copying) il cambiamento. Allo stesso modo, intere famiglie di militari chiedono il rientro in patria perchè il militare o il dipendente (sposo/a) non è riuscito ad adattarsi. Considerato che ogni rientro in patria di un militare, accompagnato o meno dalla famiglia, costa al governo americano moltissimi dollari, è stato deciso che ogni militare, obbligatoriamente, al suo arrivo in base, partecipi all’ICR Training. 

L’ICRT (Intercultural Relations Training) è un corso di 3 giorni dove viene discusso il ‘culture shock’ (sintomi e problematiche), le differenze culturali, come gestire e alleviare lo stress ed evitare il burn out, introduzione alla nuova cultura (informazioni generali, lingua, trasporti, ricreazione, etc.).

Io sono uno dei trainers che conduce queste classi da 17 anni. In questo lavoro siamo affiancati dai counselors. Significa che se il nostro intervento non è sufficiente, è possibile rivolgersi ai counselors.

Prendendo spunto dal mio lavoro di questi anni e i migliaia di casi osservati, ho deciso di trattare questo tema del “culture shock”, cosa comporta la mancanza di adattamento culturale: il disagio, lo stress, il burn out.

 

 

 

 

 

 

            

MA CHE COSA SI INTENDE PER CULTURA?

 

 

Ma cosa intendiamo esattamente per cultura? Vediamo alcune

 

definizioni date:

 

La Cultura comporta una serie di modelli condivisi fatti di comportamenti e interazione, costrutti cognitivi e affettivi che vengono appresi attraverso un processo di socializzazione. Questi modelli condivisi contraddistinguono i membri di un gruppo culturale e al tempo stesso contraddistinguono quelli appartenenti a un altro gruppo.

 

Culture is the acquired knowledge people use to interpret experience and generate behaviour. (La cultura e’ la conoscenza acquisita che la gente usa per interpretare l’esperienza e generare un comportamento) J. Brantley, antropologist

 

Culture is the shared assumptions, values, and beliefs of a group of people which result in characteristic behaviours. (La cultura consiste in una serie di presupposti, valori e credenze condivisi da un gruppo di persone che dà origine a un caratteristico comportamento) Craig Storti

 

La cultura regola, in un modo, ogni aspetto della nostra vita

 

e noi ne siamo spesso totalmente inconsapevoli.  Se chiediamo

 

ad un italiano o europeo cos’è la cultura, probabilmente

 

risponderà: l’arte, la musica, la pittura, la letteratura. In

 

fondo questa risposta non è del tutto sbagliata ma neppure

 

totalmente giusta. Questi aspetti, infatti, sono propri della

 

nostra cultura ma non necessariamente di altre.

 

Per cultura intendiamo tutta la conoscenza che si accumula di

 

generazione in generazione, tutto ciò che possiamo imparare

 

da altri e che quindi possiamo anche trasmettere ai nostri

 

simili, tutto quell’insieme di comportamenti e di costumi, di

 

modi di pensiero e di espressione, di conoscenze e di

 

tecnologie, di cui ogni gruppo umano dispone.

 

La trasmissione culturale avviene sia in verticale, da

 

generazione in generazione, sia in orizzontale.

 

La trasmissione orizzontale può portare cambiamenti anche

 

rapidi. Lo vediamo nella veloce diffusione di nuove

 

tecnologie (internet, cellulare, pod, etc) o di mode, di

 

atteggiamenti, di parole nuove, di stili di pensiero.

 

 

 

 

 

 

CULTURE NELLE CULTURE

 

Quando ero bambina vivevo nei pressi di un grosso spazio aperto dove frequentemente venivano ad accamparsi gli zingari.  Mia nonna mi portava spesso li per giocare e farmi prendere un pò d’aria. Ricordo che io le chiedevo sempre chi fossero quelle persone dagli abiti multicolori che vivevano in quelle roulottes e avevano quei grossi macchinoni neri. “Gli zingari” rispondeva puntualmente mia nonna. “E chi sono gli zingari?” chiedevo io. “Gli zingari sono persone che vanno sempre in giro. Non hanno una fissa dimora, la casa se la portano dietro e vivono un pò qui e un pò li.

Che bello, pensai, vivere così, girare il mondo. Chissà quante cose hanno visto che io non vedrò mai. Si gli zingari sono fortunati non sono costretti a stare sempre nello stesso posto come noi, fare sempre le stesse cose, vestirsi come noi.  Loro possono fare quello che vogliono. Anche io voglio diventare una zingara..mi dissi. (Quel giorno non sapevo che stavo scrivendo un capitolo fondamentale del mio copione…)

 

Noi Rom abbiamo una sola religione: la libertà.  In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza, al potere, alla scienza e alla gloria.  Il nostro segreto sta nel godere ogni giorno le piccole cose che la vita ci offre e che gli altri uomini non sanno apprezzare: una mattina di sole, un bagno nella sorgente, lo sguardo di qualcuno che ci ama.  E’ difficile capire queste cose, Rom si nasce. Ci piace camminare sotto le stelle, la nostra è una vita semplice, primitiva. Ci basta avere per tetto il cielo, un fuoco per scaldarci e le nostre canzoni quando siamo tristi.

    (Un popolo sconosciuto, gli Zingari - Marco Cagol)

 

Culture sedentarie e culture nomadi. Quale la differenza

 

sostanziale? La cultura sedentaria tende a prendere per

 

scontato che i valori e gli assunti della propria gente, del

 

proprio paese siano in qualche modo universalmente

 

riconosciuti e/o accettati.  La cultura nomade si sposta

 

aknowledging (riconoscendo) le diversità culturali ma

 

mantenendo più o meno intatta la propria.

 

 

Siamo nel ventunesimo secolo e l’immigrazione è in aumento

 

dovunque, anche nel nostro Paese. Ogni anno centinaia, a

 

volte migliaia di clandestini arrivano da ogni dove. Questi

 

clandestini portano con sè un bagaglio culturale.  Sanno che

 

dovranno adattarsi alla cultura dominante(mainstream) ma

 

cercano di mantenere intatti i valori della cultura

 

d’origine. Ne è stato un esempio l’America e la sua melting

 

pot dove sono occorsi moltissimi anni prima che le varie

 

culture si amalgamassero nel tentativo di fondersi.

 

Siamo ancora lontani da una realtà multiculturale.  La

 

cultura dominante tende spesso a vedere l’ospite come un

 

invasore e ciò crea una conflittualità iniziale. 

 

La gente ha paura dello straniero e in generale dei diversi.

 

Questa paura genera spesso pregiudizi e incomprensioni che

 

possono portare alla nascita dell’odio e dell’intolleranza.

 

Come dichiara Sue Derald Wing: L’etnocentrismo è una strada che la maggioranza segue con successo perche’ le regole sono state imposte principalmente dalla cultura dominante del Paese. E’ una strada che è tornata utile a molti e continua a farli sentire a loro agio e al sicuro.

 

 

 

 

DIFFERENZE CULTURALI (parte I)       

 

Ecco un racconto interessante di un Counselor nigeriano

 

durante un Workshop di Counseling Multiculturale:

 

Un’insegnante bianca di una scuola elementare degli Stati Uniti un giorno fece alla sua classe questa domanda di aritmetica: “Supponiamo che ci sono 4 merli sopra un ramo e un cacciatore spara ad un uccello, quanti ne rimangono?”

Un ragazzino bianco prontamente rispose “Se colpisce un uccello, quattro meno uno fa tre. Restano tre uccelli sul ramo”. 

Un bambino di colore, figlio di emigranti africani rispose con la stessa sicurezza “Zero”.

La maestra spiegò che il primo studente aveva ragione, che 4 meno 1 fa tre e, guardando il piccolo africano, aggiunse che avrebbe dovuto impegnarsi di più nello studio.

“Non ho sbagliato”, gridò il piccolo africano guardando la maestra “Ho ragione io. Se colpisci un uccello gli altri volano via e non rimane nessun merlo sul ramo”. 

 

Questa piccola storia insegna parecchie cose sul

 

multiculturalismo. Primo, non ci sono risposte giuste e

 

risposte sbagliate. Infatti, entrambi gli studenti avevano

 

ragione dalla loro prospettiva culturale. Secondo, c’è sempre

 

più di una risposta a un problema e, probabilmente, più di

 

una strada per arrivare alla soluzione. Infine, molto

 

importante, l’incapacità di comprendere una diversa

 

prospettiva può avere serie conseguenze. In questo caso il

 

bambino può sentirsi inferiore e percepire che essere diversi

 

è inaccettabile.

 

Oggi il Counseling si trova a un bivio. Fino ad ora si è

 

sempre percorsa una strada, quella del

 

monoculturalismo/etnocentrismo.

 

Il multiculturalismo riconosce e valuta la diversità. E’ la

 

strada che ci sfida a studiare diverse culture e ad insegnare

 

ai nostri figli come crescere sviluppando prospettive

 

diverse.

 

WHAT IS DIFFERENT IS DANGEROUS! (Ciò che è diverso è

 

pericoloso)

 

E’ questa una sorta di equazione comune all’interno delle

 

nostre società. L’etnocentrismo fa sì che un gruppo dominante

 

guardi alla propria cultura come quella giusta, quella

 

superiore.

 

Per un indiano, il cui paese è vecchio di 5000 anni, la

 

giovane Europa sembra piuttosto ‘incivile’.

 

L’etnocentrismo ci acceca, porta molti a considerare altri

 

gruppi culturali come inferiori, di serie B (class B

 

citizens).

 

L’etnocentrismo fonda le sue radici nella difficoltà di

 

relazionarsi con persone di una cultura diversa in termini di

 

parità. Siccome siamo quasi tutti etnocentrici, ecco che

 

abbiamo bisogno di prepararci prima di scegliere di vivere in

 

una cultura diversa dalla nostra.

 

 

 

Una volta, durante un’intervista, un giornalista americano chiese a Ghandi: “Lei cosa ne pensa della civiltà occidentale?” e Ghandi, dopo una pausa interminabile, rispose “Penso che sarebbe una magnifica idea”.

 

 

 

 

UN ESEMPIO DI ETNOCENTRISMO?

 

 

Tratto da una piccola guida che lessi anni fa di un eminente giornalista americano, Arthur Gordon, che si prese la briga di girare gli Stati in lungo e in largo intervistando studenti stranieri residenti in USA. Ecco, più o meno, cosa gli studenti pensavano della cultura dominante:

 

Questi americani rappresentano meno del 6% della popolazione

 

mondiale ma a volte sembrano fare il 60% del rumore.

 

Sono una nazione giovane ma il loro impatto sulle altre

 

nazioni e culture è enorme. Piuttosto socievoli in superficie

 

ma difficili da conoscere intimamente. Sono convinti che per

 

essere uno che riesce ad ottenere successo bisogna essere uno

 

che fa! Gli americani sono molto meglio nel fare che

 

nell’essere. Infatti è noto che non appena privati dal fare,

 

si deprimono.

 

Se si è abituati a un ritmo leggermente più comodo, si

 

troverà il ritmo americano stressante ma la maggior parte

 

degli americani lo apprezza.

 

Non importa da quale parte del mondo arrivi, ti sembrerà che

 

un americano ha sempre fretta. Sono tremendamente time-

 

conscious. Hanno un fortissimo senso della puntualità e

 

odiano sprecare tempo in attese inutili. Se chiedete a un

 

europeo quanto è lontana Parigi da Bordeaux, vi risponderà in

 

Km, un americano in ore.

 

Sono strafelici quando ciò che realizzano è misurabile. Un

 

businessman vuole i suoi grafici rigorosamente aggiornati. Un

 

libro viene giudicato in base al numero di copie che vende.

L’ossessione americana per le statistiche spesso stupisce i

 

non-americani. Loro desiderano esattamente sapere quanti

 

fanno cosa.

 

E’ facile rendersi conto che l’americano è molto più

 

interessato alle cose materiali che spirituali. L’uomo non è

 

visto come una parte passiva di uno schema (fato, destino) ma

 

come un organizzatore e riorganizzatore di quello schema.

 

Sono individualisti, credono nella legge e nell’ordine. I

 

loro figli sono spronati fin dall’infanzia a divenire

 

indipendenti. I ragazzi non possono bere prima dei 21 anni ma

 

possono comprare una pistola facilmente.

 

 

E vediamo ora cosa aggiunge la divertente ‘Xenophobe’s Guide

to the Americans’ di Sthephanie Faul:

 

 

 

Gli americani sono come bambini: rumorosi, curiosi, incapaci

 

di mantenere un segreto. Questo è il Paese dove la più

 

importante relazione sociale è una conoscenza casuale.

 

Solo il 10% degli americani possiede un passaporto. Un

 

americano può viaggiare per una settimana ed essere ancora a

 

casa.

 

Siccome visitano paesi stranieri molto raramente, tendono ad

 

assumere che tutto il mondo sia come loro con la sola

 

eccezione che non parlano inglese e non hanno delle docce

 

decenti.  Anzi, credono che in realtà tutti conoscono

 

l’inglese perché lo studiano a scuola ma si rifiutano di

 

parlarlo.

 

Hanno un’idea piuttosto confusa dell’Europa. Spesso, quando

 

fanno un tour in Europa tendono a coprire 5 nazioni in 7

 

giorni e così confondono la torre di Pisa con la torre

 

Eiffel.

 

Being number ONE is very important to an American. Gli

 

americani considerano il loro Paese l’unico in grado di

 

VINCERE. Vincere per loro è fondamentale, li fa star bene.

 

(ma se gli abbiamo dovuto regalare un goal ai mondiali???

 

N.d.R.)

 

Incredibile ma vero, l’americano convive con molte paure: La

 

paura di perdere il lavoro, la paura di essere derubati, la

 

paura che i figli possano diventare dei criminali, la paura

 

di mangiare ostriche crude, la paura di morire di cancro, la

 

paura di non sposarsi… e se si sposano, la paura di

 

divorziare, etc. 

 

Per evitare questi tristi eventi vanno a vivere fuori città,

 

installano allarmi alle auto e alle case, evitano i frutti di

 

mare, sono perennemente in terapia, si iscrivono ai clubs per

 

singles e, dopo il matrimonio, vanno dai counselors

 

familiari.

 

In alcuni paesi, politici corrotti si ammazzano. In America

 

si candidano come presidenti.

 

Gli americani possiedono migliaia di attrezzi specifici che

 

possono essere utilizzati per qualsiasi necessità umana.

 

Questo è il paese dell’ asciuga-lattuga elettrico,

 

dell’apriscatole elettrico, dell’arriccia capelli elettrico,

 

del profuma-ambienti elettrico, dello sbattitore di uova in

 

guscio… elettrico e non vado oltre…

 

Quando vanno in vacanza gli americani diventano ancora più

 

americani del solito… se possibile.  Portano degli shorts

 

dalle fantasie assurde, magliette dagli slogan offensivi, le

 

solite scarpette da tennis e l’immancabile cappellino da

 

baseball.

 

L’America è una melting pot ma ogni ondata di immigranti è

 

guardata con ostilità da quella precedente.

 

L’auto, insieme con la casa col giardino è un elemento

 

essenziale del sogno americano.

 

Gli americani sanno che qualsiasi tipo di sesso fanno,

 

potrebbe essere meglio. Le librerie sono piene di libri su

 

come migliorare le proprie performances e solitamente entrano

 

con disinvoltura in qualsiasi pornoshop. Nel frattempo la

 

nudità è illegale nella maggior parte degli stati e in

 

spiaggia le donne portano costumi ascellari tre volte più

 

castigati di qualsiasi costume da bagno castigato europeo.

 

 

…E tutto questo per introdurre il prossimo capitolo sugli stereotipi culturali.

 

 

 

STEREOTIPI CULTURALI   

 

Americans have no capacity for abstract thought and make bad coffee.                             

                                           George Clemenceau

 

Cosa è uno stereotipo?  Lo dice l’etimologia del termine:

 

Stereo deriva dal greco e significa “rigido” e tipo, in

 

greco, vuol dire “modello” = modello rigido.

 

Lo stereotipo si basa su un processo di semplificazione. Esso

 

orienta la ricerca e la valutazione dei dati dell’esperienza.

 

Ci serve per mettere persone e avvenimenti dentro categorie.

 

E`un processo di generalizzazione definito come tendenza

 

costante della mente umana ad estendere ad ampie serie di

 

eventi le osservazioni effettuate sui pochi eventi

 

disponibili.

 

Gli stereotipi culturali vengono considerati piuttosto

 

pericolosi anche se inevitabili.  Persino gli stereotipi

 

positivi sono considerati tali in quanto supportano un intero

 

sistema di stereotipi.

 

La minaccia che segue la disseminazione di stereotipi nella

 

società di oggi, e il modo di rapportarsi ad essi, sono stati

 

oggetto di studi da parte di molti autori.  Negli Stati Uniti

 

l’espressione “stereotipo etnico” è divenuta sinonimo di

 

“pregiudizio etnico”. Stereotipi e/o pregiudizi culturali

 

all’interno di un Paese conducono a conflitti e animosità fra

 

i diversi gruppi.

 

E` ovvio che gli sterotipi influenzano negativamente il

 

processo di comunicazione poichè impongono una certa

 

percezione e attitudine  che porta a impliciti assunti,

 

spesso errati, sul come comunicare coi membri di un’altra

 

cultura.

 

In un’ indagine condotta nel 1991 da A. Pavloskaya, docente

 

dell’ Università di Mosca, su un gruppo di studenti russi,

 

vengono fuori i più comuni stereotipi culturali.

 

Agli studenti fu chiesto di scrivere le prime 5 associazioni

 

con il nome dei Paesi riportati sul foglio. Interessante

 

notare che la maggior parte degli studenti non aveva mai

 

visitato quei paesi:

 

USA: hamburger, coca cola, dollaro, New York, grattacieli

 

G. Bretagna: nebbia, Regina, Londra, Sherlock Holmes, thè

 

Francia: Parigi, amore, Napoleone, champagne, ingannare

 

Germania: birra, Berlino, guerra, Goethe, Mercedes

 

Italia: Roma, rovine, donne, pizza, emotività

 

Spagna: corrida, sole, danze, passione, vino

 

Russia: vodka, ospitalita`, Mosca, vastita`, inverno

 

 

Ma qual è la differenza fra uno stereotipo e una

 

generalizzazione?

 

Lo stereotipo si applica a tutti in tutte le situazioni senza

 

eccezioni. La generalizzazione è soltanto un’idea iniziale

 

che viene poi scartata quando non si rivela più utile o

 

accurata. Non si applica mai a tutti e a tutte le situazioni.

 

 

Da circa 20 anni lavoro in una base U.S. Navy a Napoli.

 

All’interno di questa base convivono circa 10.000 americani

 

(militari e civili) e 1000 italiani. La difficoltà ad

 

integrarsi è da ambo le parti. Gli americani devono

 

apprendere il nostro sistema culturale e noi dobbiamo

 

imparare il loro. Essendo una Specialista Interculturale, da

 

anni mi occupo di migliorare l’adattamento culturale per il

 

personale USA del Comando. Nelle mie classi ho sviluppato

 

vario materiale didattico fra cui un questionario ‘caccia-

 

stereotipi’ che ho sottoposto a oltre 3000 U.S. che include

 

le seguenti domande:

 

-  Giunto in Italia, quali sono le differenze che hai osservato fra Italiani e Americani?

 

-  Nella tua breve esperienza in Italia ha mai notato un comportamento che potresti definire tipicamente italiano?

 

-  Secondo te cosa pensano gli americani degli italiani?

 

-  Se un americano dovesse attribuire dei pregi o difetti agli italiani, cosa direbbe?

 

-  Se un italiano dovesse attribuire dei pregi o difetti agli americani, cosa direbbe?

 

 

Quando sottopongo un questionario ai partecipanti di una

 

classe, dico loro che la firma è optional, se vogliono

 

possono restare anonimi.  Questo mi assicura la veridicita`

 

delle affermazioni.

 

Ecco un sommario di quanto è venuto fuori statisticamente

 

dalle loro risposte:

 

- Gli italiani hanno un’attenzione eccessiva per l’immagine. Sono ossessionati dal dover essere alla moda e dalla ‘bella figura’.

 

- Il concetto di tempo è diverso. Hanno un’idea del tempo molto vaga. La puntualità non esiste. Rimandano impegni. Se vai in un ufficio devi sempre tornare domani.

 

- Mancano di disciplina, troppa flessibilità riguardo le norme sociali. Casinisti, poco affidabili, guidano come pazzi, non rispettano i semafori e gli stop.

 

- Sono dei mammoni, degli eterni adolescenti. Restano in famiglia fino a 40 anni.

 

- Il cibo è ottimo ma l’importanza data alla cucina e al cibo è eccessiva. Siedono a tavola per ore.

 

- Gli italiani direbbero di noi che siamo stupidi, che ci vestiamo male e lavoriamo troppo.

 

In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno", disse la volpe.
"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo…."
"Chi sei?" domandò il piccolo principe, " sei molto carino…"
"Sono la volpe", disse la volpe.
" Vieni a giocare con me", disse la volpe, "non sono addomesticata".
"Ah! scusa ", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
" Che cosa vuol dire addomesticare?"
" Non sei di queste parti, tu", disse la volpe" che cosa cerchi?"
" Cerco gli uomini", disse il piccolo principe.
" Che cosa vuol dire addomesticare?"
" Gli uomini" disse la volpe" hanno dei fucili e cacciano. E' molto noioso!
Allevano anche delle galline. E' il loro solo interesse. Tu cerchi le galline?"
"No", disse il piccolo principe. " Cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare?"
" E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…"
" Creare dei legami?"
" Certo", disse la volpe. " Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo."
" Comincio a capire", disse il piccolo principe. " C'è un fiore…. Credo che mi abbia addomesticato…"
"E' possibile", disse la volpe "capita di tutto sulla terra…"
"Oh! Non è sulla terra", disse il piccolo principe.
La volpe sembrò perplessa:
" Su un altro pianeta?"
" Sì"
" Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?"
" No"
" Questo mi interessa! E delle galline?"
" No"
" Non c'è niente di perfetto", sospirò la volpe.

 

                      …dal Piccolo Principe, A. De Saint Exupery

 

 

 

DIFFERENZE CULTURALI (parte II)

 

Durante il Trattato di Lancaster, in Pennsylvania (1744), fra il Governo della Virgina e le Sei Nazioni, la commissione del governo della Virginia, offrì l’opportunità a 6 giovani indiani, di essere educati e istruiti secondo il sistema dei bianchi.

Il capo degli Indiani rispose:

“Siamo convinti che voi intendete farci del bene con la vostra offerta e vi ringraziamo di cuore ma voi, che siete saggi, dovreste sapere che nazioni diverse hanno concezioni diverse rispetto alle cose e voi non la prenderete personalmente se vi faccio notare che la vostra idea di educazione e di istruzione non coincide con la nostra.  Abbiamo già avuto esperienza, in passato, quando alcuni dei nostri ragazzi hanno frequentato il vostro college. Erano istruiti in tutte le materie ma quando tornarono agli accampamenti erano diventati dei pessimi corridori, ignoranti per tutto quello che concerne il vivere nella foresta, incapaci di sopportare il freddo o la fame, incapaci di mettere su una tenda, cacciare un cervo o uccidere un nemico. Parlavano male la nostra lingua e non erano più abili né come cacciatori, né come guerrieri, né come consiglieri. Erano dei buoni a nulla.

Apprezziamo molto la vostra offerta anche se ci sentiamo obbligati a rifiutarla ma, per dimostrare la nostra riconoscenza, il governo della Virginia può mandarci una mezza dozzina di ragazzi bianchi e noi ci prenderemo cura di loro e della loro educazione trasformandoli in veri uomini..”

 

Studi Cross-culturali si basano sul paragonare e

 

differenziare le culture. Studi Inter-culturali si occupano

 

invece dell’interazione fra gente di diverse culture. Oggi

 

sappiamo che comunichiamo soprattutto con il non verbale

 

(93%): l’espressione del viso o degli occhi, il tono di voce,

 

la postura, la prossemica, etc.

 

Il modo in cui noi usiamo questo ‘Silent Language’ produce

 

una comunicazione che può avere effetti diversi a seconda

 

della cultura.  Prendiamo ad esempio le due culture di cui ci

 

stiamo occupando, quella italiana e quella americana.

 

In Italia, quando passeggiamo per strada consideriamo normale

 

guardare la gente intorno a noi e stabilire un contatto

 

visivo. Questo è inaccettabile nella cultura americana, viene

 

considerata un’invasione. 

 

In Italia, quando parliamo con qualcuno, stiamo più o meno a

 

un braccio di distanza. Gli Americani hanno bisogno di più

 

spazio, almeno 150 cm.

 

Gli americani usano vestiti che noi consideriamo a volte

 

osceni. Troppo cheap! Pantaloncini, flip flop ai piedi

 

(infradito) e t-shirt. Gli italiani danno molta importanza

 

all’eleganza e allo stile e non si sognerebbero mai di

 

camminare in città in quelle condizioni (Valori di base:

 

comfort v/s eleganza).

 

Gli americani mostrano sempre un perfetto self-control anche

 

quando parlano di eventi tragici della propria vita. Gli

 

italiani parlano con veemenza, a volte urlando e agitandosi

 

anche quando discutono di una partita di calcio.

 

Gli americani considerano che è stupido passare 2 ore a

 

cucinare qualcosa che ingurgiti in 5m, più pratico comprarlo

 

già fatto.

 

Gli italiani, nella classifica delle sciagure, dopo il cancro

 

ai polmoni e i loro politici, mettono senza esitazioni al

 

terzo posto i fast food.

 

Dovunque un americano si insedia, porterà con sè le sue brave

 

bandierine a stelle e strisce. In qualsiasi città americana,

 

le abitazioni private, oltre agli uffici pubblici, ostentano

 

stendardi di ogni dimensione.

 

Gli italiani associano la bandiera italiana e l’inno

 

nazionale alle partite di calcio degli azzurri. Finiti i

 

mondiali, le bandiere finiscono nelle pattumiere.

 

 

L’impatto tra due culture diverse provoca trasformazioni

 

culturali significative, irrigidimenti, conflitti,

 

incertezze, disorientamento.

 

Secondo Gary Weaver, (School of International Service, American

 

University, International Communication Division), entrare in

 

contatto con un’altra cultura è come avere due iceberg in

 

collisione. Sulla superficie si vedono solo le due punte

 

(comportamento) ma la collisione avviene sotto la superficie

 

dove i valori, le credenze, i presupposti e i modelli di

 

pensiero entrano in conflitto.


 

Analizziamo ora quali sono gli aspetti più profondi delle

 

differenze culturali, quello che accade sotto la superficie:

 

Concept of Self

 

     US     UK            India    Middle East  Italia   SE Asia

     ____________________________________________________

    Individualist                                          Collettivist

 

Individualist:  Indipendente, conta sulle sue forze, sta in

 

piedi da solo, preferisce lavorare per conto suo o fare le

 

cose da solo piuttosto che essere parte di un team. TO DO

 

(fare)

 

Collectivist:  Fa riferimento alla famiglia, cerca protezione

 

e aiuto dagli altri, orientato verso il gruppo. TO BE

 

(essere)

 

 

Personal v/s Societal Responsibility

 

       US   UK                Japan                  Italia   Middle East

     ____________________________________________________

    Universalist                                         Particularist

 

 

Universalist:  Quel che è giusto è sempre giusto, ci sono

 

verità assolute. La legge è uguale per tutti senza eccezioni.

 

Tutti dovrebbero essere trattati allo stesso modo

 

Particularist: Non ci sono verità assolute, dipende dalle

 

circostanze, ci possono sempre essere delle eccezioni. Ognuno

 

va trattato a seconda della situazione e delle circostanze.

 

 

Subjective & Objective

 

      US   UK              Japan                   Italia   Africa China

   ____________________________________________________

  Logic of the Head                             Logic of the Heart

 

 

 

Logic of the Head: Niente favoritismi. Le persone non devono

 

portare i loro affari personali all’interno del setting

 

lavorativo. Il successo dipende da ciò che fai e non da chi

 

conosci.

Logic of the heart:  Il favoritismo è accettato e fa parte

 

del sistema. Le connessioni, chi conosci, conta più di ciò

 

che sai fare. Si favoriscono amici e parenti. I sentimenti

 

personali possono interferire con gli affari.

 

 

Le culture possono anche essere low context oppure high

 

context:

 

 

Nelle culture low context (U.S.) i messaggi sono molto

 

espliciti. La parte verbale contiene quasi tutte le

 

informazioni. Gli appartenenti a una cultura low context sono

 

massimamente individualisti. Vivono in maniera più

 

indipendente e hanno meno esperienza di condivisione e di

 

conseguenza c’è meno comprensione intuitiva. Il messaggio non

 

va interpretato poichè è contenuto totalmente nel verbale. 

 

 

Nelle culture high context la parte verbale contiene solo

 

parte dell’informazione perchè essa si trova massimamente nel

 

contesto (Giappone, Arabia, Italia).  In questo tipo di

 

comunicazione, si tende a interferire, suggerire, usare

 

metafore piuttosto che dire le cose direttamente.  Queste

 

culture sono più collectivist, orientate verso il gruppo.

 

Tendono ad evitare un confronto diretto. La comunicazione 

 

contiene messaggi non verbali e intuizioni. Lo scopo

 

principale della comunicazione è preservare e rinsaldare le

 

relazioni con gli altri.

 

 

Ed ancora, le culture si dividono in Monocronic e Polycronic.

 

 

        Germania, US                              Paesi mediterranei,

        Scandinavia                                 latini, arabi 

 _______________________________________________

    Monocronic                                 Polycronic

 

 

Monocronic: Una cosa alla volta

            Il tempo è una risorsa limitata

            Schedule e pianificazioni sono importanti

            Gli schedule sono seguiti rigorosamente

            Modo di ragionare induttivo, basato su fatti

            Non c’è coinvolgimento personale nel parlare

            Razionali

            Orientati al confronto

            Le circostanze non devono interferire con le

            pianificazioni

            La puntualità è molto importante

            Impegni importanti includono il tempo,le date, la

            durata e i soldi

            locus of control interno

 

 

Polycronic: Fanno più cose contemporaneamente

            Il tempo è una risorsa illimitata

            Le persone sono più importanti degli schedule

            Interruzioni e cambiamenti nei programmi sono 

            consentiti

            La puntualità non è essenziale

            Il modo di ragiornare e` deduttivo o concettuale.    

            Il concetto prima

            Non è necessario terminare un progetto prima di 

            iniziarne un altro

            Gli eventi dipendono anche dalle circostanze

            Coinvolti e passionali nel parlare

            Orientati all’accordo

            Intuitivi

            Gli impegni più importanti hanno a che fare con 

            le persone

            Locus of control esterno

  

 

BASI USA E PERSONALE MILITARE OLTREOCEANO

 

“Potrebbe dirmi per cortesia quale strada dovrei prendere da qui?”

“Questo dipende molto da dove vuoi andare” disse il gatto

“Non è che mi importi molto” disse Alice

“E allora non importa neanche da che parte vai”

 

                                     Alice nel Paese delle Meraviglie

 

Sin dalla fine della seconda guerra mondiale i militari

 

americani sono andati “overseas” (oltreoceano), come si dice

 

in gergo, in numero sempre maggiore. Nelle loro basi si sono

 

portati un pezzo di America.

 

Molte analisi sono state condotte per comprendere

 

l’efficienza degli americani nel portare a termine la loro

 

missione oltreoceano, per capirne l’impatto sulla popolazione

 

locale e l’immagine che ne sarebbe derivata di questi

 

abitanti della “Little America” (anche definiti ghetti

 

dorati).  Queste basi rappresentano delle comunità etniche

 

esistenti all’interno di una cultura ma nello stesso tempo

 

separate da essa. Molti hanno osservato che vivono in maniera

 

piuttosto isolata rispetto alla cultura locale. 

 

Una base militare è un’unità indipendente. All’interno vi si

 

trova di tutto: negozi, scuole, ospedale, chiesa, ufficio

 

postale,  veterinario, piscina, ristoranti, l’Intelligence, i

 

servizi legali, i vigili del fuoco,la sicurezza, etc. Una

 

base è totalmente autosufficiente. Una piccola città nella

 

città. Una volta varcati i cancelli di una base sei sul

 

territorio americano. Non importa se la base si trova in

 

Indonesia o in Spagna o in Giappone, una volta dentro sei

 

soggetto alle loro regole.  Ovviamente c’è un accordo con il

 

governo locale sui punti più salienti. Prendiamo ad esempio

 

la base di Napoli. Il governo americano e quello italiano

 

hanno stipulato anni fa un accordo, SOFA (Status of Forces

 

Agreement).  Questo accordo sancisce diritti e responsabilità

 

degli Stati Uniti verso il Paese che li ospita. Per fare un

 

esempio il Sofa stabilisce che un LN (local national), in

 

questo caso un italiano che lavora per il governo americano,

 

abbia un contratto che sia anche conforme alle regole del

 

proprio Paese. Il Sofa stabilisce lo spazio aereo da

 

destinare ai piloti, etc.

 

 

In una base lavora un folto gruppo di militari, un numero

 

minore di US civili e un numero ancora minore di LN (locali).

 

I militari e civili USA possono portare con sè la famiglia. 

 

Chi sceglie la carriera militare e` sogetto a delle rotazioni

 

per cui ogni 2 o 3 anni deve cambiare sede. Nelle basi

 

overseas possono restare due anni, al massimo tre dopodichè

 

vengono riassegnati.

 

Quando un militare arriva overseas, Zio Sam (il governo USA)

 

gli spedisce tutte le sue proprietà: auto, mobili, etc. Ogni

 

spostamento di militare costa al governo migliaia di dollari.

 

Una volta arrivato nella nostra base, il militare può

 

scegliere un appartamento o vivere in base se ci sono le

 

strutture adatte come da noi.

Cosa accade nella maggior parte dei casi quando un militare

 

viene assegnato ad una base fuori del suo Paese?  Quando, per

 

esempio, viene in missione nel nostro Paese senza conoscerne

 

lingua, usi e costumi? A cosa va incontro?

 

 

Vediamolo nel prossimo capitolo..

 

 

 

CULTURE SHOCK.   

 

Life is what you focus on.

          Anthony Robbins

 

Anno dopo anno il numero di gente che viaggia, lavora o

 

studia all’estero è in costante aumento. La mancanza di

 

equilibrio che la persona avverte quando si sposta da un

 

contesto familiare, dove è abituato a muoversi con successo

 

ad uno dove non vi riesce, determina il Culture Shock.

 

Il termine ‘Culture Shock’ (shock culturale) fu inizialmente

 

coniato da un antropologo, Kalvero Oberg nel 1955. Kalvero lo

 

definì un disagio occupazionale che riguarda tutte quelle

 

persone che sono state trapiantate in culture diverse.  Il

 

culture shock si traduce in una forma ansiosa che deriva dal

 

perdere tutte le nostre indicazioni sociali e culturali.

 

Olberg lo considerava un vero e proprio disturbo con dei

 

sintomi specifici e cura. 

 

Oggi il termine culture shock viene applicato a qualsiasi

 

forma di disagio fisico e/o psichico sperimentato da coloro

 

che devono adattarsi ad un nuovo ambiente.

 

I sintomi del Culture Shock possono andare da un disordine

 

emozionale di media intensita` a svariati tipi di disturbi

 

psicologici subordinati allo stress fino alla psicosi.

 

L’intensità del disagio e la durata dipendono massimamente

 

dal tipo di situazione e dalle strategie di copying

 

dell’individuo.

 

La risposta al culture shock è diversa da individuo a

 

individuo.  Alcuni tollerano meglio la stress dato dal

 

cambiamento e cercano di integrarsi nel nuovo ambiente, altri

 

si pongono sulla difensiva, rifiutandosi di accettare la

 

diversità dando origine a seri disagi psicologici che possono

 

sfociare nell’alcolismo, nella violenza o addirittura nel

 

suicidio.

 

Nel militare il culture shock si misura anche con il “drop

 

out rate”, vale a dire il numero di persone che fa rientro in

 

patria prima di aver completato il mandato overseas. In

 

alcuni casi il ‘drop out rate’ può arrivare fino al 30/40%.  

 

Anni fa fu stimato da Leweis Griggs, co-produttore della

 

serie di film “Going International”, che il rientro prematuro

 

di una coppia con due bambini costa all’organizzazione circa

 

$250.000.

 

La severità del culture shock è di gran lunga maggiore quando

 

è richiesto un adattamento a una cultura totalmente diversa

 

dalla propria. Un militare americano potrà trovare maggiore

 

difficoltà nel doversi adattare in una base in Guam o

 

Giappone piuttosto che in Italia.

 

Poche cose nella vita riescono a turbare più del cambiamento.

 

Adattarsi a un nuovo Paese non significa adattarsi e

 

comprenderne la sua cultura. Adattarsi al cappuccino non

 

significa adattarsi alle persone che bevono il cappuccino!!

 

L’adattamento deve avvenire in due sensi. Mentre noi

 

cerchiamo di abiutarci al comportamento dei locali che ci

 

disturba, confonde e turba, al contempo dobbiamo adattare il

 

nostro comportamento in modo da non disturbare, confondere o

 

turbare i locali.

 

Mentre Oberg considerava il culture shock una vera e propria

 

malattia, Adler (1975) diceva invece che il culture shock è

 

una reazione totalmente normale in un processo di transizione

 

culturale. Come in ogni processo di crescita o di adattamento

 

c’è un disorientamento iniziale, una sofferenza ma, conclude

 

Adler, se ne può venir fuori più forti e centrati di prima.

 

 

Sintomi del Culture Shock

 

 

Il sintomo più comune del culture shock è il sentirisi

 

incapace di controllare le situazioni, il senso di impotenza,

 

la mancanza di risorse, il sentirsi indifeso. 

 

Il culture shock è inizialmente un processo inconscio. Le

 

persone non hanno alcuna idea del perchè si sentono in un

 

certo modo o perché stanno sperimentando alcuni stati

 

d’animo.

 

Altri sintomi comuni sono:

 

 

- Nostalgia di casa e del proprio Paese (cibo, amici,    

  attivita`)

 

- Malesseri fisici (mal di testa, nausea, diarrea,

  stanchezza)

 

- Rabbia

 

- Il bisogno di stereotipare il nuovo ambiente e le persone

 

- Desiderio di mangiare o dormire troppo o troppo poco

 

- Bere o fumare di piu`

 

- Allergie

 

- Voglia di fuggire, di tornare a casa

 

- Irritabilità

 

- Ipersensibilità

 

- Solitudine

 

- Paura di essere truffati, feriti, derubati (diffidenza)

 

- Depressione

 

- Burn out

 

 

Le fasi del Culture Shock

 

Adler ha classificato il Culture Shock in 5 fasi:

 

1.     Honeymoon (luna di miele): Comporta un’euforia iniziale (prime 3 settimane). La persona è entusiasta e ha delle forti aspettative, spesso poco realistiche. In questa fase tende a mettere a fuoco le somiglianze con la propria cultura e ad essere molto positiva (questo stadio viene anche definito: del turista)

 

2.     Disintegration:  Comincia quando la persona viene a contatto con le differenze culturali e inizia a sentirsi diverso e incapace di interagire. Questo porta lentamente a una mancanza di autostima e vulnerabilità.

 

 

3.     Reintegration:  In questo terzo stadio (culture shock) le differenze culturali vengono rifiutate (dopo i primi 3 mesi). Avviene una sorta di ribellione e la persona è in contatto con rabbia e frustrazione. Questo atteggiamento, che include lo stereotipare e criticare la nuova cultura, serve a ridimensionare i propri sentimenti di incapacità e fallimento.

 

 

4.     Autonomy:  Questo stadio subentra quando si cominciano ad accettare somiglianze e differenze culturali e la persona ha iniziato a familiarizzare con l’ambiente, gli usi e i costumi della nuova cultura diventando più autonomo.

 

 

5.     Indipendence:  Quando la persona ha assimilato la nuova cultura ed è in grado di comprenderne i concetti e differenze e di accettarli. La persona può anche preferire cose della nuova cultura alla propria e si rende conto che ci sono modi diversi di vivere la propria vita e che un modo non è migliore di un altro.

 

Il Culture Shock si ripresenta una volta che il militare fa

 

rientro nel proprio Paese e si accorge di essere cambiato e

 

che anche le cose intorno a sé sono cambiate.

 

 

   Imparare a conoscere un’altra grande cultura vuol dire arricchire la propria vita, comprendere meglio la propria cultura, sentirsi a casa in ogni luogo e, indirettamente, aumentare la benevolenza cosi` che, di generazione in generazione, si potra’ moderare l’uso cinico del potere nazionale.

                                              V. Seth

 

 

 

 

LA SINDROME DEL “BURN OUT”

 

I militari conoscono molto bene cos’è il burn out ma fanno

 

una distinzione. Burn out è qualcosa che ha a che fare

 

soprattutto con lo stress lavorativo mentre il burn out che

 

deriva da una missione di guerra viene chiamato battle

 

fatigue’ (stanchezza da combattimento). Questa ‘stanchezza da

 

combattimento’ come è stata gentilmente definita, è ben nota

 

a moltissimi reduci del Vietnam, della guerra del golfo e,

 

ultimamente, della guerra in Iraq.

 

Un militare affetto da battle fatigue riporta sintomi quali:

 

eccessiva irritabilita`, depressione, senso di colpa (per

 

essere sopravvissuto mentre altri sono morti), incubi

 

ricorrenti, flashback degli scenari di guerra e reazione

 

spropositata ai rumori. Molti di questi militari non

 

rispondono alle terapie e sono costretti a convivere con

 

questo inferno.

 

Un esempio clamoroso fu quello di un valorosissimo top gun,

 

uno dei migliori piloti militari USA durante la II Guerra

 

Mondiale, che dovette scortare il B-29 (Enola Gay) che

 

avrebbe sganciato la prima bomba atomica su Hiroshima. La

 

‘stanchezza da combattimento’ lo ha portato alla follia e ha

 

finito i suoi giorni in un ospedale psichiatrico.

 

 

 

 

Dopo questo breve ‘fuori pista’ rientriamo per definire il

 

burn out. Negli USA, il termine burn out (bruciato,

 

incenerito) si applica a qualsiasi forma di esaurimento

 

psico-fisico dovuto ad un eccesso di stress. E` considerata

 

una forma di affaticamento,  logoramento, una patologia

 

comportamentale che più che la personalità, intacca il ruolo

 

lavorativo.

 

Allo stadio conclamato si manifesta di solito attraverso tre

 

categorie di sintomi che possono essere sequenziali o

 

combinati fra loro:

 

-          Comportamenti che dimostrano un forte disinvestimento sul lavoro

 

-          Eventi autodistruttivi (disturbi psicosomatici o del comportamento, diminuzione delle difese immunitarie, incidenti)

 

-          Comportamenti eterodistruttivi (indifferenza, spersonalizzazione, crudelta’, violenza).

 

Nelle nostre basi in Europa o overseas, il burn out è una

 

possibile conseguenza del Culture Shock. In questo caso,

 

prendendosi cura del Culture Shock automaticamente si

 

riducono i sintomi del burn out.

 

 

 

PREVENIRE E’ POSSIBILE ANZI AUSPICABILE: L’ICRT, Il programma preventivo delle U.S. Forces 

 

 

Per molti anni il governo americano ha dovuto fare i conti

 

con le vittime del Culture Shock fra i militari. In passato i

 

tassi di divorzio, alcolismo, violenza e suicidio erano

 

altissimi a causa della mancanza di adattamento culturale e

 

al senso di isolamento.  Ancora oggi il Natale viene definito

 

in base: “Suicide Season” (stagione dei suicidi), questo

 

perché durante questo periodo il senso di solitudine si

 

acuisce maggiormente.  

 

Al fine di ottemperare a queste incresciose situazioni, il

 

governo USA ha stabilito che nelle basi overseas (fuori i

 

confini nazionali), sia obbligatorio che il militare, entro

 

due, tre settimane dal suo arrivo, partecipi all’

 

Intercultural Relations Training (ICRT).

 

L’ ICRT è un training di 3 o 4gg che viene sviluppato da

 

professionisti locali seguendo un canovaccio che deve essere

 

simile in tutte le basi overseas. L’Istruttore deve essere al

 

contempo anche coach e counselor. In questi 3 o 4gg viene

 

trattato il Culture Shock, sintomi e disagio, le differenze

 

culturali, cenni generali sul Paese che ospita e consigli

 

pratici (trasporti, posti da visitare, lingua, etc.). L’ICRT

 

include una visita di orientamento in città così che i

 

partecipanti possano praticare quanto appreso in classe e

 

possano sentirsi a proprio agio nell’uscire dai confini della

 

loro “Little America”.

 

Qual è la medicina o l’antidoto al Culture Shock?

 

 

Cercare di conoscere il Paese che ci ospita.

 

Imparare un pò la lingua per riuscire a comunicare.

 

Partecipare ad attività.

 

Andare in giro, viaggiare, entrare nei ristoranti.

 

Fare amicizia con gente del posto.

 

Non aver paura di assaggiare il cibo.

 

Informarsi sul clima, sul modo di vestire, sulle regole

sociali e specialmente sui valori.

 

Mantenersi in contatto con gli amici e la famiglia di origine.

 

Fare un pò di sport o di movimento.

 

Avere una mentalità aperta.

 

Non aspettarsi di essere perfetto.

 

Tenere basso lo stress, se necessario cercare il supporto di un counselor.

 

 

Chi è lo ‘Specialista Interculturale’?

 

Lo Specialista in Relazioni Interculturali è il Trainer che

 

conduce l’ICRT. E’ obbligatorio che sia del posto, un

 

Italiano (se la base è in Italia), che abbia una conoscenza

 

approfondita della propria cultura e della città ospitante

 

(in questo caso Napoli). E’ necessario che abbia una buona

 

conoscenza della cultura americana e militare e dei loro

 

valori fondamentali. E’ preferibile che abbia vissuto per un

 

periodo negli Stati Uniti ed è fondamentale che abbia avuto

 

esperienza personale di Culture Shock.

 

L’ICR Trainer deve essere addestrato in USA da specialisti

nel settore, deve possedere doti di empatia, esperienza come

 

trainer e come coach e, a seconda delle situazioni,

 

interagire come trainer, coach o counselor.

 

E’ importantissimo che l’ICR Trainer sia accogliente, che

 

pratichi l’ascolto attivo, che non giudichi e che interagisca

 

con il gruppo creando uno spazio utile alla riflessione.

 

L’empatia è fondamentale in quanto le problematiche e i

 

disagi del gruppo sono amplificati dallo shock culturale. La

 

capacità empatica consiste principalmente nel riuscire ad

 

aprirsi al vissuto altrui. Essere in grado di ascoltare,

 

accettare e comprendere quanto gli altri stanno vivendo

 

sospendendo il giudizio. L’empatia, come dice il Prof. V.

 

Masini, è lo strumento centrale del gruppo di incontro e,

 

aggiungerei, rappresenta per alcuni una dote innata.

 

Il Trainer che, ripeto, è anche coach e counselor deve

 

mostrarsi per quello che è, senza maschera.

 

Nei primi 5m si farà osservare dai partecipanti, poi sarà il

 

suo turno di fare Audience Analysis. E’ necessario avere

 

delle buone doti di public speaking alternare una

 

comunicazione dinamica con una comunicazione simbolica e

 

narrativa. E’ importante adottare qualche tecnica di ricalco

 

e di integrazione delle parti unita a messaggi non verbali.

 

E’ fondamentale coinvolgere il gruppo cognitivamente ed

 

emotivamente. E’ inoltre importante, parlando del Culture

 

Shock, adottare una tecnica di normalizzazione e spiegare che

 

quello che sta succedendo è assolutamente normale e che è una

 

fase che attraversano tutti.

 

 

 

 

ITALIA – USA, culture a confronto       

 

 

Si sa che nella vita è fondamentale avere un Logos, una sorta

 

di scopo, di significato, una missione.  Il cervello lavora

 

per obiettivi e se lo lasciamo in balia delle onde non si sa

 

dove ci ritroviamo.

 

Delle innumerevoli missioni che mi ero proposta nella mia

 

vita, da brava delirante, mai avrei creduto che quella

 

principale sarebbe stata di aiutare i militari a superare il

 

disagio culturale, mitigare la loro rabbia e a volte il loro

 

disprezzo per le nostre ‘nefandezze’, quella di divenire

 

ambasciatrice della mia cultura e una sorta di stendardo

 

tricolore che gli si pianta li di fronte agli occhi.

 

Io, che amavo ed amo la libertà più della mia vita, come ho

 

fatto a trovarmi rinchiusa in un forte militare per otto

 

interminabili ore al giorno, lontano da Dio e dagli uomini?

 

Che se è vero che di tutte le strade ho sempre preso quelle

 

meno percorse (come diceva un poeta), chi avrebbe immaginato

 

che uno di questi sentieri mi avrebbe condotto al fianco o ai

 

piedi della Superpotenza?

 

Una pacifista come me, un’ex figlia dei fiori, una ex

 

anarchica fondamentalista…

 

E’ Karma o Sfiga??

 

Scherzi a parte, quando sono entrata qui dentro volevo solo

 

fare una consistente e interessante esperienza lavorativa. Ho

 

sempre considerato un arricchimento imparare dagli altri e

 

anche e soprattutto dalle culture straniere. Non e’ per caso

 

che faccio questo lavoro! Non è per caso che da quando avevo

 

22 anni ho cominciato a viaggiare toccando circa 35 paesi.

 

Avevo in programma di restare non più di 5 anni e invece sono

 

qui da quasi  20 anni. Come mai?

 

 

Mi tengono prigioniera? Nooooooooooooooooo

 

La CIA ha intenzione di farmi sparire misteriosamente mentre

 

l’Intelligence tiene tutti i miei files in un cassetto con su

 

scritto X-files? Noooooooooooooooo

 

George W. ha minacciato che se lascio i suoi ragazzi mi

 

considererà un’arma di distruzione di massa e sarà costretto

 

ad attaccarmi e distruggermi? Nooooooooooooo

 

La verità è che amo il mio lavoro e lo considero anche una

 

missione inoltre, inutile nasconderlo, mi rendo conto di

 

essere affetta da un sottile condizionamento (Skinner box?).

 

Il condizionamento nel militare è fortissimo: Bandiere, inni

 

nazionali, uniformi, paroloni come GIUSTIZIA, MISSIONE,

 

UGUAGLIANZA… Sei tagliato fuori dal resto del mondo e, di

 

conseguenza, da altre influenze. Giorno dopo giorno tutto ciò

 

si trasforma da pensieri in credenze, da credenze in

 

convinzioni, da convinzioni in valori.

 

Se a Pavlov bastò solo un campanello per condizionare il suo

 

cane, all’interno del militare ci sono strumenti molto più

 

potenti.

 

L’addestramento e il condizionamento, per i

 

militari, saranno maggiori a seconda del ruolo che

 

svolgeranno, della loro missione. 

 

L’americano è piuttosto etnocentrico, se poi è pure

 

militare…è la fine. Zio Sam gli ha inculcato che appartiene a

 

una grande terra, la più grande in assoluto e che lui dovrà

 

salvaguardare la Sua libertà e quella degli altri popoli.

 

Molti americani hanno una cognizione molto vaga della

 

geografia e della storia di altri Paesi. Anche se non lo

 

ammetterebbero mai, danno per scontato che tutto il mondo

 

dovrebbe uniformarsi al loro stile di vita e parlare la loro

 

lingua.

 

L’Italia, per un americano medio che non ha granchè

 

viaggiato, è il Paese della pizza , degli spaghetti e della

 

mafia. In alternativa, il Paese di Versace e Gucci. Per i

 

militari, L’Italia è anche un alleato che non lo contrasterà

 

mai su nulla.

 

Ritornando all’analogia degli Iceberg di G. Weaver,(mio

 

adorato maestro. Sono stata sua allieva a Washington e ho

 

partecipato a molte sue conferenze in USA), quali sono le

 

punte dell’Iceberg italiano e quello americano?

 

Il problema maggiore che incontrano gli americani qui da noi

 

è la cognizione del tempo diversa. Per loro il tempo è

 

qualcosa di preciso e misurabile, per noi un’ indicazione.

 

Un’altra cosa inaccettabile per loro sono i favoritismi e il

 

nepotismo. Un concetto base della legge americana è l’EO,

 

Equal Opportunity. Tutti devono avere le stesse opportunità.

 

Non importa se sei figlio di un contadino o del Primo

 

Ministro. Da noi, non è esattamente così.

 

Un ultimo problema è lo spazio. Gli americani hanno un

 

concetto di spazio personale ben diverso dal nostro. La loro

 

bolla prossemica, come diceva Hall, fa si che per sentirsi a

 

loro agio debbano stare almeno a 1,50m dall’interlocutore.

 

 

SPAZIO RELAZIONALE

 

                             

 

LA ZONA PUBBLICA = (quella più distante da sé).  Si è parte

 

della massa. Non si ha il controllo sugli eventi ma il

 

controllo di te stesso in quegli eventi. Qui il centro

 

dell'attenzione è l'evento, ciò che succede intorno a noi.

      

 

LA ZONA SOCIALE = (quella in cui operiamo

 

professionalmente). Siamo poco vulnerabili emotivamente in

 

questa zona, perché portiamo una “maschera” che identifica

 

il ruolo che abbiamo nel sociale.

 

Si è nella zona sociale quando il centro dell'attenzione è

 

l'attività che si sta svolgendo. Qui ci sono persone che

 

condividono questo spazio e momento e vi è un basso rischio

 

dì vulnerabilità emozionale.          

 

   

LA ZONA PERSONALE/PRIVATA = (condividiamo in modo

 

spontaneo). Cuore. Qui si stabiliscono e si sviluppano le

 

amicizie. In questa zona ciò che fai ha un'importanza

 

minore rispetto all'esperienza di farlo con qualcun altro.

 

Qui si condivide in modo spontaneo. Si è in questa zona

 

quando sì è se stessi e di conseguenza, si e`vulnerabili.

 

      

LA ZONA INTIMA = (siamo molto vulnerabili). E' dove si

 

trovano le relazioni e le condivisioni più profonde: il

 

rischio emozionale è maggiore, ma ci sono anche le massime

 

gratificazioni. Si è veramente nella zona intima quando tra

 

due persone non vi sono né difese né barriere.

    

 

 

E per concludere vediamo le differenze “alla base dell’iceberg” ?

 

Gli americani, come abbiamo visto in precedenza, sono

 

generalmente Individualisti, Universalisti, Monocronici e

 

usano la cosiddetta Logica della Testa.

 

Gli italiani sono tendenzialmente Collettivisti,

 

Particolaristi, Policronici e usano la Logica del Cuore.

 

Praticamente sono agli antipodi!!!

 

 

 

ITALIA – USA, GRAFICI A CONFRONTO.

 

 

Grazie alla scuola Prevenire e Possibile del Prof. Vincenzo

 

Masini, ci è stato fornito un utile strumento di indagine: il

 

Questionario di Artigianato Educativo. Un test con relativo

 

grafico per l’analisi dei copioni nei gruppi di incontro che

 

fornisce dati per la comprensione e l’interpretazione del

 

modo d’essere. Nel questionario vi sono 210 domande

 

contraddistinte da AV (avaro), RM (ruminante) DE (delirante),

 

SB (sballone), AP (apatico), IN (invisibile), AD (adesivo).

 

Queste 7 categorie rappresentano i 7 Archetipi di riferimento

 

e sono accompagnate da Altri, Mondo, Sé e cioè il rapporto

 

che ogni tipologia ha con gli altri, con il mondo e con sé

 

stesso. Il grafico che si costruisce con i punteggi del test,

 

rappresenta una foto del copione di quel momento.  Nel

 

compilare il questionario è necessario marcare solo le

 

domande nelle quali ci si riconosce pienamente.  Al termine

 

del questionario, i punteggi vengono raccolti in un’apposita

 

tabella e su un foglio Excell si costruisce il grafico a

 

radar. La prima lettura, quella generale, è data dal

 

perimetro dei punteggi totali. Quanto più la personalità è

 

armonica, tanto più il perimetro si avvicina a una forma

 

circolare.

 

 

 

 

 

Ogni archetipo ha un valore e un’emozione dominante,

 

vediamoli:

 

TIPOLOGIA          EMOZIONE           VALORE

 

AVARO:             Paura              Responsabilità

 

RUMINANTE:         Rabbia             Giustizia

 

DELIRANTE:         Distacco           Libertà

 

SBALLONE:          Piacere            Generosità

 

APATICO:           Quiete             Pace

 

INVISIBILE:        Vergogna           Umiltà

 

ADESIVO:           Attaccamento       Fedeltà 

 

Io ho una mia convinzione e cioè che oltre ai copioni

 

personali, esistano dei “copioni culturali”. Anche in una

 

cultura, come abbiamo visto, ci sono presupposti,

 

convinzioni, valori. Così mi sono detta, perché non provare a

 

creare un grafico di queste due sub-culture? (altrimenti

 

questo copione delirant-ruminante a cosa mi serve??)

 

Ho creato i due grafici basandomi sulle risposte ipotetiche

 

che avrebbe dato la maggioranza della popolazione militare

 

che ho conosciuto nella base di Napoli nell’arco di quasi 20 

 

anni e quella di buona parte dei cittadini napoletani.

 

Naturalmente è una generalizzazione ma può esserci utile per

 

paragonare e contrastare le due culture.

 

 

Vediamo cosa ne è venuto fuori:

 

 

            USA                           ITALIA

    Militari Oltreoceano              Napoletani

 

  

 

 

 

Militari Usa oltreoceano: Senso di responsabilità e ottima

 

organizzazione.  Molto autorevoli, poco empatici verso gli

 

altri. Piuttosto rigidi, non mostrano i loro punti deboli.

 

Tendono a voler mantenere il controllo su tutto. Danno molta

 

importanza a norme, regole e gerarchia. Poco emotivi.

 

Sono degli attaccanti, persone che si attivano e sono sempre

 

in prima linea. Hanno bisogno di fare, si creano molti

 

obiettivi e vanno fino in fondo. Testardi, tendono a

 

sovraccaricarsi e a diventare aggressivi. Non si fanno

 

sottomettere, forte leadership. Emotività e affettività molto

 

basse. Hanno bisogno di liberarsi.

 

Molto indipendenti, individualisti, poca umiltà.

 

Non si danno pace, sono sempre impegnati in qualcosa.

 

Il copione si mantiene piuttosto invariato nel rapporto con

 

sé, il mondo e gli altri.

 

Hanno bisogno di sviluppare empatia verso gli altri, di

 

alleggerirsi, di sviluppare emotività e affettività, di

 

rilassarsi, di mollare la presa.

 

 

Napoletani (caratteristiche generali):  Inseguono il piacere.

 

Amano stare in gruppo, divertirsi.  Hanno bisogno di

 

attenzioni, di sentirsi amati. Spesso incostanti, non portano

 

a termine quanto iniziato. Abbastanza creativi, non amano la

 

solitudine. Hanno bisogno di toccare, abbracciare e possono

 

essere vissuti un po’ come invadenti.

 

Non si attivano molto e a volte cadono nell’apatia. Hanno

 

difficoltà a prendere azione o a prendersi delle

 

responsabilità. Peccano nell’organizzazione.

 

Allegri, affettuosi ma a volte inconcludenti, hanno bisogno

 

di responsabilizzarsi, di darsi da fare, di imparare a

 

difendersi, di impegnarsi.

 

Anche in questo caso il rapporto col sé, il mondo e gli altri

 

è molto simile.

 

 

 

IL DISAGIO DEL CULTURE SHOCK APPLICATO AI 7 ARCHETIPI

 

 

In che modo i 7 archetipi reagiscono al disagio del Culture

 

Shock una volta esposti a una nuova cultura?

 

Avari:  Soffriranno della perdita di controllo, aumento

 

dell’ansia e della paura. Tendenza ad essere oltremodo

 

autoritari e intolleranti. Possibilità di sviluppare manie o

 

ossessioni.

 

Ruminanti:  Amplificazione dell’autocarica, eccessiva

 

reattività; sdegno e possibile squalifica verso la nuova

 

cultura, rabbia. Possibilità di reazioni violente verso gli

 

altri (famiglia, peers).

 

Deliranti:  Soffriranno inizialmente della mancanza di

 

libertà dovuta al non sapersi muovere in una cultura diversa.

 

Possibilità di squalifica verso la nuova cultura e snobismo.

 

Pericolo di dissociazione e tendenza all’alcol e le droghe.

 

Sballoni:  Apparentemente fra quelli che si adattano più

 

velocemente perchè alla ricerca del piacere, del

 

divertimento, dello sballo. Possono tendere all’alcol, alle

 

droghe e possono finire coinvolti in incidenti stradali.

 

Apatici:  Possibile demotivazione, mancanza di iniziativa,

 

apatia. Sono quelli che restano chiusi dentro la base e non

 

entrano in contatto con la nuova cultura. Rischio di

 

depressione.

 

Invisibili: Aumenta la mancanza di autostima, la vergogna, la

 

voglia di essere invisibile. L’adattamento culturale è

 

particolarmente doloroso per gli invisibili. Rischio alto

 

alcolismo,abbandono o suicidio

 

Adesivi:  Sono quelli che una volta arrivati, soffrono

 

maggiormente la solitudine e la mancanza di affetti. Gli

 

adesivi si sentiranno particolarmente soli, vulnerabili e

 

tenderanno a sostituire la fame affettiva con uno smodato uso

 

del cibo o di alcol. Rischio alto: abbandono o suicidio

 

 

IL RUOLO DI SUPPORTO DEL COUNSELING

 

Origini del Counseling

Il Counseling nasce negli Stati Uniti intorno agli anni '50

quanto l'APA (American Psycological Association) dà vita alla

“Division of Counseling Psychology”.

Lo sviluppo del counseling negli USA è stato influenzato da

varie correnti anche di molti anni antecedenti la sua nascita

ufficiale:

  • movimento di orientamento
  • movimento psicoterapeutico
  • movimenti orientati alla cura della salute olistica

Il movimento di orientamento

 

Il movimento di orientamento e guida professionale fu un

 

tentativo di migliorare la scelta professionale di chi

 

terminava le scuole superiori. Il primo programma fu varato

 

negli USA nel 1885 ed ebbe un tale successo che stimolò una

 

serie di sforzi legislativi che incoraggiarono e promossero

 

il movimento stesso.

 

Fin dal 1917 si svilupparono test di abilità mentale per

 

valutare l’idoneità dei soldati impegnati nella prima guerra

 

mondiale. Più tardi, nel 1920, iniziarono a circolare i primi

 

test attitudinali volti a misurare i reali interessi

 

professionali.

 

Nei primi anni ’50 si assistette al tentativo di spiegare i

 

processi di sviluppo e di gestione della carriera e le

 

modalità con cui gli individui prendevano una certa direzione

 

piuttosto che un’altra. Il passo fu breve: si arrivò a

 

studiare i meccanismi decisionali: perché un individuo compie

 

la scelta che compie.

 

 

Il movimento psicoterapeutico

 

E' grazie allo sviluppo delle teorie della personlità

 

promosse dalla ricerca psicoterapeutica, soprattutto

 

psicoanalitica, che il counseling inizia a diventare un

 

intervento per i problemi personali e sociali. Ma è intorno

 

agli anni ’50, grazie ad autori come Carl Rogers  e Rollo

 

May, che il counseling prende forza. Complice ne è lo

 

sviluppo della psicoterapia ad orientamento umanistico.

 

Intorno a quegli anni, infatti, le teorie e le metodologie

 

applicate in campo psicoterapeutico, facevano riferimento

 

principalmente al modello psicoanalitico e a quello

 

comportamentista.

 

Molti studiosi tuttavia cominciarono a pensare che tali

 

paradigmi non potessero essere esaustivi. Rimasero

 

affascinati da alcuni temi cari al movimento esistenzialista:

 

la libertà di scelta dell’individuo, l’importanza del dialogo

 

io-tu (dialogico), l’impegno dell’individuo, la

 

responsabilità.

 

Tali tematiche vennero sviluppate sia in un contesto

 

culturale diverso (la psicologia) che in un contesto sociale

 

(l’America degli anni ’50). Questa corrente di pensiero si

 

organizza formalmente solo nel 1962 con la nascita del

 

 

movimento di psicologia umanistico esistenziale.

 

Movimenti orientati alla cura della Salute

 

Nel 1963 una legge sancì il principio e la necessità di

 

riorganizzare terriorialmente i servizi psichiatrici. La

 

finalità risiedeva nel prevenire i problemi psicologici non

 

solo negli ospedali, ma anche nei centri di igiene mentale

 

delle piccole comunità da poco costituiti.

 

Tali centri (paragonabili ai nostri quartieri piuttosto che

 

circoli ricreativi) avevano la piena accessibilità da parte

 

dei residenti in una certa zona ed offrivano contestualmente

 

una serie di servizi.

 

Il vantaggio principale era quello di poter essere accolti e

 

sostenuti all’interno della propria comunità, ma soprattutto

 

quello di sottolineare l’importanza della prevenzione.

 

Su quali assunti si basava tale legge:

  • prevenire è meglio che curare;
  • i fattori ambientali influenzano il comportamento per cui un intervento a livello comunitario può aiutare sia il comportamento del singolo che la società nel suo complesso;
  • i problemi di salute mentale diventano evidenti in relazione a stress sociali (povertà, razzismo, etc.)

Il cambiamento di lì a poco sarebbe stato epocale: si stava

 

passando da un modello centrato sulla malattia ad un modello

 

orientato alla salute dell’individuo.

 

Ma è negli anni ’70 che inizia a svilupparsi e a diffondersi

 

la così detta “psicologia del benessere” alla cui base vi è

 

una concezione sostanzialmente positiva dell’essere umano.

 

Una concezione di tipo evolutivo.

 

Il concetto di “crisi” perde quel suo aspetto negativo e si

 

focalizza maggiormente sul concetto di “transizione”: ovvero

 

alternativa possibile e occasione di cambiamento.

 

A tutt’oggi l’obiettivo della psicologia della salute è

 

quello di migliorare la qualità della vita nonché di

 

accrescere la competenza della società in relazione alla

 

salute.

 

 

In Italia

 

Il Italia potremo provare a rintracciare le origini del

 

counseling nella storia dell’assistenza sociale che ebbe

 

inizio intorno agli anni ’20. Tuttavia le iniziative

 

assistenziali in Italia (formalmente costituitesi nel 1929)

 

avevano un carattere prettamente filantropico e volontario.

 

Solo negli anni ’60, grazie ad impulsi provenienti dalla

 

Francia, iniziò a formarsi il concetto di prevenzione.

 

Intorno agli anni ’70 alcune scuole di formazione in

 

psicoterapia iniziano a formare figure professionali

 

orientate alla relazione e centrate sull’individuo, pur

 

tuttavia non avendo ancora una definizione di competenza. E’

 

solo a partire dagli anni ’90 che la definizione di

 

“counselor” inizia ad essere utilizzata.

 

Lo sviluppo della professione, invece, parte dai primi anni

 

’90 quando iniziano a strutturarsi le prime associazioni di

 

Counseling con l'intento di regolamentare l'esercizio della

 

professione. Il 18 maggio 2000 il CNEL - Consiglio Nazionale

 

dell'Economia e del Lavoro, inserisce il Counseling tra le

 

professioni così dette non regolamentate.

 

Significato di Counseling

Il termine counseling deriva dal verbo latino consulo-ere

nella sua accezione etimologica di "venire in aiuto, avere

cura". E' importante non procedere ad effettuare la

traduzione del termine counseling con consulenza. In

italiano, infatti, il consulente è "un esperto, o perito,

capace di dare una soluzione ad un quesito di ordine

rigorosamente tecnico". Il counselor, invece, può essere

definito come "la figura professionale che attraverso le

proprie conoscenze e competenze è in grado di favorire la

soluzione ad un quesito che crea disagio esistenziale e/o

relazionale ad un individuo o un gruppo di individui"

(S.I.Co. -Società Italiana di Counseling).

A sostegno di quanto sopra riportato si ricorda come la

pratica del counseling vieti, da un punto di vista etico, il

"dare consigli" piuttosto che il "dare pareri" ovvero

l'attività tipica del consulente.

 

Il counseling è un intervento professionale orientato alla

prevenzione del disagio individuale e sociale. Si occupa di

problemi specifici come prendere decisioni, sviluppare la

conoscenza di sé, migliorare il proprio modo di relazionarsi

agli altri.

Il counseling ritiene che ogni individuo sia autonomo e il

suo intervento è mirato ad incentivare il concetto di

responsabilità individuale. Per questo il counselor ha nei

confronti del proprio cliente un atteggiamento attivo,

propositivo e stimolante le capacità di scelta.

Il counseling si configura dunque come un intervento di tipo

psicopedagogico, e non psicologico in senso stretto. Non è

dunque una prerogativa dello Psicologo.

 

Chi è il Counselor

 

Il counselor è quel professionista che eroga la prestazione

 

di counseling. Il counselor è adeguatamente formato alla

 

gestione della relazione con interlocutori che manifestano

 

situazioni di disagio (emotivo, esistenziale, etc.)

 

Il counselor non va confuso con lo Psicologo.

 

Cosa non fa il Counselor:

  • non fa terapia
  • non fa psicoterapia
  • non opera "cure" di alcun genere
  • non somministra farmaci
  • non fa consulenza psicologica
  • non fa diagnosi

Se consideriamo il counselor come "il professionista che

 

favorisce lo sviluppo e l'utilizzazione delle potenzialità

 

già insite nel cliente, aiutandolo a superare quei problemi

 

di personalità che gli impediscono di esprimersi pienamente e

 

liberamente nel mondo" possiamo dire che è possibile operare

 

il counseling in qualunque contesto.

 

 

Avremo dunque:

  • counseling individuale, di coppia, familiare, di gruppo
  • counseling scolastico
  • counseling aziendale
  • counseling sessuologico (relativo alla coppia e alle varie tendenze sessuali o alle violenze e agli abusi sessuali)
  • counseling per persone in stato avanzato di malattia (AIDS, cancro, etc.)

E' quindi possibile operare in diversi ambiti:

  • comunitario (scolastico, religioso, interculturale, etc.)
  • lavorativo (aziendale, socio-lavorativo, etc.)
  • socio-sanitario (artistico, filosofico, esistenziale, sociale, sportivo, etc.)

Il counseling, come altre discipline, prende le proprie

 

tecniche di intervento dai grandi modelli della psicologia

 

(orientamento psicoanalitico, sistemico-familiare,

 

fenomenologico-esistenziale, cognitivo-comportamentale, etc.)

 

 

Requisiti sostanziali

 

Da un punto di vista sostanziale, invece, per esercitare il

 

counseling è necessario aver completato un’adeguata

 

formazione sia teorica che pratica. E' inoltre opportuno che

 

il counselor si sottoponga a un training personale,

 

individuale e/o di gruppo, per evitare di esercitare un

 

counseling "sulla base dei propri più o meno rigidi

 

pregiudizi" (Rollo May). Detto training dovrebbe cioè far

 

superare al counselor quella tendenza dell'Io definita

 

etnocentrismo ovvero la tendenza ad utilizzare la propria

 

cultura come paragone per le altre.

 

 

 

QUELLO CHE I COUNSELORS DEVONO SAPERE SUL CULTURE SHOCK

 

Cristina Casanova, psicologa, counselor e docente alla

 

Columbia University, sostiene che la nostra identità si

 

sviluppa in un contesto culturale. Chi siamo e come ci

 

comportiamo dipende massimamente da elementi sociali, etnici,

 

educativi e culturali del gruppo di appartenenza. Individui

 

che abbandonano la cultura d’origine per spostarsi in un

 

altro Paese, sperimentano uno stress culturale. Quanto più si

 

è in grado di percepire le differenze tanto maggiore sarà il

 

Culture Shock. E’ fondamentale per il counselor comprendere

 

che il Culture Shock non è soltanto negativo. Puo’ essere

 

un’opportunità e incoraggiare la crescita personale. Se

 

opportunamente guidato, lo stress culturale, può diventare

 

uno strumento per scoprire risorse e abilità che non sapevano

 

di possedere.  Il Culture Shock può ispirare una metamorfosi

 

che può condurre a una maggiore consapevolezza e stima di sè

 

stessi.

 

Poiché il Culture Shock può essere una grande opportunità di

 

crescita personale, a volte richiede una dolorosa autoanalisi

 

e introspezione. La persona è costretta a guardare a sé

 

stessa e al mondo da una prospettiva diversa dalla propria.

 

Impara da sfide ed errori a trovare le giuste risposte alle

 

diverse situazioni, incrementando la creatività e

 

l’immaginazione.

 

Il counselor può aiutare l’immigrato/espatriato e la sua

 

famiglia, educandoli sul Culture Shock:

 

Aiutando il cliente a riconoscere che i problemi di

 

adattamento sono comuni e normali e lo stress è una parte

 

inerente alla fase di adattamento

 

Aiutando il cliente a mantenere l’integrità personale e

 

l’autostima. Gli immigranti spesso devono affrontare una

 

sorta di perdita di identità in una cultura dove i costumi,

 

la lingua e le norme sociali sono sconosciute.

 

Aiutando il cliente a comprendere che l’adattamento a una

 

nuova cultura è un processo e ogni persona sviluppa secondo i

 

propri tempi.

 

Etichettare i sintomi del Culture Shock aiuta il cliente a

 

gestire le sue risposte emozionali allo stress

 

 

 

COUNSELING MULTICULTURALE

 

Il Counseling Multiculturale nasce negli Stati Uniti dove,

 

già da tantissimi anni, le grandi città sono multi-etniche.

 

Dopo una prima differenziazione dal Couseling generale, oggi

 

si è venuti alla conclusione, come dice C. H. Patterson, che

 

il Counseling Multiculturale è generico e, di conseguenza,

 

tutto il counseling è multiculturale.

 

Il Movimento Multiculturale nel Counseling, nacque circa 40

 

anni fa. Uno dei primi a scrivere un articolo su questo

 

argomento fu Wrenn: The Culturally Encapsulated Counselor. 

 

Fu osservato che clienti appartenenti a minoranze etniche

 

ricevevano un trattamento inadeguato.  Immaginiamo un gruppo

 

di clienti formato da bianchi americani, neri, indiani,

 

asiatici, messicani, etc. Ovviamente le strutture sociali e i

 

paradigmi culturali sono molto diversi.  A questo va

 

aggiunto, come riassumono Mays and Albee, che membri di

 

minoranze etniche non fruiscono di psicoterapia o counseling

 

nella stessa proporzione della cultura dominante. Le

 

minoranze etniche sperimentano un alto livello di stress

 

dovuto alla povertà e all’adattamento culturale. Nonostante

 

ciò, le minoranze etniche spesso hanno meno accesso a servizi

 

di counseling e psicoterapia.

 

Fu presto chiaro che il tipo di counseling sviluppato negli

 

Stati Uniti per i bianchi dell’ upper-middle-class era

 

inappropriato per gli altri gruppi persino all’interno della

 

stessa cultura. Il problema è che molti terapisti non hanno

 

familiarità con lo stile di vita e il background sociale di

 

altre culture.  E’ evidente che il counselor non è preparato

 

ad interagire con individui di diversi gruppi etnici non

 

conoscendone i valori, le attitudini e lo stile di vita.

 

E’ fondamentale, oggi, che il counselor sappia che diversi

 

gruppi culturali e subculturali hanno bisogno di approcci

 

diversi.  Il nuovo counselor è culturalmente sensibile,

 

culturalmente competente e culturalmente appropriato. La

 

conoscenza delle altre culture è necessaria ma non

 

sufficiente per un trattamento efficace. La conoscenza va

 

trasformata in strategie e trattamenti concreti.

 

Molti psicoterapeuti americani concordano nel dire che la

 

soluzione al problema di fare counseling multiculturale sta

 

nell’enfatizzare il “rapport” fra cliente e counselor. Pande

 

e Wohl scrissero che la terapia è un rapporto speciale di

 

amore e di vicinanza e enfatizzarono l’importanza del calore,

 

della genuinita’ e specialmente dell’empatia. Definirono il

 

“rapport” come il ponte emozionale fra il cliente e il

 

counselor basato sulla fiducia e stima reciproca.

 

D.W. Sue aggiunse che qualità quali il rispetto e

 

l’accettazione dell’individuo, il comprenderne i problemi

 

dalla sua prospettiva, il permettere al cliente di esplorare

 

i propri valori e arrivare a una soluzione individuale sono

 

qualita’ che prescindono ogni cultura.

 

Molti di questi counselors si rifanno ai 3 principi

 

fondamentali del counseling enunciati da C.Rogers:

 

Rispetto per il cliente:  Questo include l’avere fiducia nel

 

cliente e assumere che il cliente sia capace di prendersi la

 

responsabilità per sè e in grado di fare scelte o prendere

 

decisioni.

 

Autenticità:  Il counselor non assume un ruolo ma è se

 

stesso. Non è professionale, freddo, impersonale ma una

 

persona reale.

 

Empatia:  La comprensione empatica significa che il counselor

 

sa cogliere e sentire le emozioni vissute e percepite del

 

cliente e sa essergli vicino

 

Alcuni terapisti americani, Myers, Cox, Highlen, affermano

 

che tutto il counseling può definirsi multiculturale in

 

quanto tutti gli esseri umani sono diversi in temini di

 

background culturale, valori e stile di vita. Questo si

 

applica principalmente agli Stati Uniti, un pò meno alla

 

nostra realtà in Europa o in Italia dove solo recentemente,

 

con l’avvento dell’immigrazione, si sono create delle

 

correnti subculturali. La strada verso il multiculturalismo è

 

ancora lunga e tutta da spianare e comincia con il rispetto

 

della diversità.

 

L’Italia oggi si trova ad un incorocio. Una strada è quella

 

percorsa fino ad oggi del monoculturalismo/etnocentrismo.

 

Questa strada pone le culture Ovest-europee al di sopra delle

 

altre. E’ anche la strada che conduce al nostro modo di fare

 

counseling o pscicoterapia e stabilire cosa è normale e cosa

 

non lo è. 

 

Molte norme monoculturali sono parte rilevante delle nostre

 

istituzioni e organizzazioni. L’etnocentrismo è una pratica

 

molto diffusa in quanto si attiene a norme create

 

appositamente e unicamente per la cultura dominante.

 

L’altra strada, il multiculturalismo, riconosce e valuta la

 

diversità. Valuta il pluralismo culturale e riconosce una

 

nazione come un mosaico culturale piuttosto che un pentolone

 

con vari ingredienti (melting pot). E’ la strada che ci sfida

 

a studiare varie culture, a sviluppare prospettive multiple e

 

ad insegnare ai nostri figli come evitare pregiudizi e

 

stereotipi e a crearsi una mentalità più elastica ed aperta.

 

E’ attraverso questa strada che cominciamo un processo e

 

sviluppiamo nuove strutture, concetti e pratiche e diveniamo

 

più liberi e più disponibili alla comprensione e la

 

tolleranza di esseri appartenenti ad un’altra cultura, un

 

altro genere o un altro orientamento sessuale.

 

Per i counselors e gli psicoterapeuti la strada meno battuta

 

non è facile da scegliere in quanto ancora impervia e piena

 

di difficoltà e incertezze. Nonostante tutto, le realtà

 

demografiche non ci permettono di rimandare le nostre

 

decisioni. Oggi in Italia si calcola che ci siano almeno

 

3.000.000 di extracomunitari e il numero è destinato a

 

crescere velocemente. Il Paese sta cambiando e nei prossimi

 

20 anni ci troveremo anche noi a dover affrontare una società

 

multietnica: Spaghetti e cous cous.

 

I nostri figli e poi i nostri nipoti saranno seduti nei

 

banchi con piccoli africani, cinesi, polacchi e se noi non

 

avremo fatto un buon lavoro su di noi nell’accettare questo

 

cambiamento non potremo passare alle generazioni future una

 

mentalità finalmente libera da condizionamenti, razzismo e

 

discriminazioni.

 

 

Lei ha il suo biglietto

 

Lei ha il suo biglietto.

Penso che lo userà,

penso che volerà via.

Nessuno deve cercare di fermarla,

convincerla con la forza.

 

Lei dice che ha proprio deciso.

Perchè non partire?

perchè non andare via?

Troppo odio corruzione e ingordigia.

Dai la vita e in cambio ti lasciano

sempre con niente.

 

Lei non ha speranze,

non ha radici per tenersi forte.

Ha perso ogni illusione

di esserne parte un giorno.

 

Alcuni la chiamano vagabonda,

un fallimento della razza.

Ma lei sa dove la porta il suo biglietto

e troverà il suo posto al sole

e volerà.

 

                    Tracy Chapman

  

C’era un ragazzo che come me.....

 

Erano gli inizi degli anni 70, noi ragazzi respiravamo aria di Rivoluzione. I tempi stavano cambiando e noi con loro.

 

Abitavo nello stesso parco dove vivo tuttora, sulla collina di Posillipo. In fondo alla stradina di casa mia c’era un muretto dove noi ragazzi ci riunivamo: Io, Mario, Eleonora, Marina, Enrico, Giuseppe, Enzo, James e altri ancora.

 

James era un ragazzo americano. A quel tempo il mio parco era invaso da americani che arrivavano nelle basi USA di Napoli. 

James era qui con la famiglia.  Il padre, un colonnello dell’aereonautica, assegnato a Napoli in missione. La mamma, una bella donna,  si occupava di volontariato in base. C’era poi F., Il fratellino piu’ piccolo biondo e riccioluto e Daniel, il fratello maggiore, anche lui nel militare negli Stati Uniti.

 

James, che noi chiamavamo Jimmy, era un ragazzo che ci piaceva tanto.  Capelli biondi lunghissimi, abbigliamento hippy e uno spirito libero. 

A quel tempo, avevo quasi 15 anni, ero una bella ragazza, grintosa, spirito ribelle, fermamente convinta di poter cambiare il mondo.

 

Un giorno James ci disse se volevamo salire da lui. Era arrivato il fratello dall’America per qualche giorno e voleva presentarci e stare un po’ tutti insieme. Salimmo su e, inutile dirlo, fra patatine e coca cola, cominciammo a familiarizzare con Daniel che, ovviamente, non parlava italiano.

 

Daniel aveva circa 21 anni, capelli corti castano chiaro, un bellissimo viso e dei profondi occhi grigi. Anche lui, come James era un bellissimo ragazzo. Io mi sentivo un pò in soggezione perche’ lo vedevo grande, un uomo. A un certo punto James prese la chitarra e comincio’ a intonare delle canzoni americane, Daniel cantava con lui divertendosi. Piano piano si creò  un bellissimo feeling fra tutti noi. Daniel prese la chitarra e fu il suo turno di suonare e cantare. James rideva e cantava con lui. Noi facevamo un coro stonato massacrando quelle poche parole d’inglese che ricordavamo.  Fu una giornata bellissima. Nessuno fece più caso al fatto che Daniel non parlasse la nostra lingua e noi la sua.

Quella settimana passò in fretta e un paio di giorni prima che Daniel partisse si ebbe notizia che stava per essere chiamato in Vietnam. Furono due giorni tremendi per la famiglia e noi ragazzi eravamo sconvolti. James non diceva nulla e noi non osavamo chiedere nulla. Arrivò il giorno della partenza di Daniel. Il padre lo portò all’aereoporto, doveva rientrare con un volo militare.  Noi ragazzi eravamo tutti giù, sul muretto, sotto casa sua, quando lui scese.  Era in divisa. Sembrava un’altra persona, diverso da quel ragazzo spensierato e crazy che avevo conosciuto.

Ci salutò ad uno ad uno, con un sorriso quasi accennato. Mi salutò per ultima. Mi abbracciò e per un attimo i suoi occhi si fermarono nei miei. Un attimo interminabile dove quegli occhi grigio cielo lasciarono presagire qualcosa. Un attimo che rimase stampato nei miei occhi.

Poco più di un anno dopo, Daniel tornò in Patria in un sacco di juta. Una delle tantissime vittime di quella maledetta guerra.

Come si fa a descrivere cosa si prova in un momento così. La disperazione silenziosa della famiglia, gli occhi assenti di James. La rabbia di noi tutti. Quel giorno io giurai che il giorno più bello della mia vita sarebbe stato la fine di quella dannata guerra.  Quel giorno arrivò nel ’75.

Da allora passarono tantissimi anni quando un giorno, era più o meno marzo del ’99, mi trovai a Washington DC per una conferenza.

Ero già  stata a Washington e non l’amavo tanto. Di sicuro preferisco i marciapiedi di New York dove si respira arte, musica e follia mista all’odore dei fast food.

Dopo la conferenza ero solita prendere la metro e andare in giro.  Quello era l’ultimo giorno prima della partenza e, sfogliando le pubblicità in albergo, notai che c’era un bus tour che toccava varie zone della città compreso i Constitution Gardens, un parco nel quale era stato costruito il Vietnam Wall (il muro del Vietnam) in onore dei caduti.

Decisi di fare questo tour che cominciava nel tardo pomeriggio.

Washington era buia e umida quella sera. C’era anche un pò di nebbia. Ogni tanto scendavamo dal bus per vedere qualche cosa..poi, finalmente, dopo circa un’ora arrivammo in prossimità del parco.

Scesi dal bus insieme agli altri ma la gente si trattenne li intorno. Era buio, e in giro non c’era nessuno ed eravamo in America dove non puoi quasi mai sentirti al sicuro.  Nonostante questo io mi avventurai da sola nel parco per raggiungere il Muro.

Dopo tantissimi anni stavo ripensando a Daniel. “Daniel, sto venendo a salutarti, finalmente posso salutarti” pensavo, e questo mi faceva sentir bene.

Arrivai finalmente davanti al muro e mi prese lo sconforto.  Migliaia di nomi scolpiti su freddo granito grigio. Con ansia cominciai a scorrere quei nomi uno ad uno, non ce la facevo, non riuscivo a  trovarlo, mi avvilii. “Come farò? Non posso andarmene di qui se non lo trovo”, pensavo.

Era un’ impresa impossibile. Vedevo tutti quei nomi e mi veniva male allo stomaco. Faceva freddo, era buio e avevo paura ma non mollavo.  All’improvviso, alla mia sinistra vidi dei grossi libri sotto una luce fioca. Capii!!! “Sono i libri con i nomi delle vittime.  Mio Dio, quanti!!” Erano enormi come dei grossi dizionari.

Era sempre buio, non c’era in giro un’anima. Il bus mi sembrava lontanissimo ma io restai. Non mi sarei mossa di li neanche se fosse sceso Dio dal cielo. Anzi! Se Lui fosse stato li gli avrei gridato con tutta la mia rabbia “Come hai potuto permettere tutto questo. TU dov’eri?”

Mi avvicinai ai libri, li aprii. Inorridii!

Decine e decine di piccoli nomi uno dietro l’altro. Erano in ordine alfabetico e cosi cominciai a cercare nella D, Daniel D.

“Non lo trovo, non e` possibile”. Andai in confusione, ero agitata quando all’improvviso mi resi conto che avevo sbagliato lo spelling. Il cognome si scriveva in un altro modo, ma come avevo fatto a sbagliarmi, era così facile..??

LO TROVAI! Ecco il suo nome li, sulla carta, sotto i miei occhi: Daniel D.

Scoppiai a piangere, un pianto disperato a singhiozzi, come quello di un bambino o forse come quello di una ragazzina di 15 anni.

Mi tornarono in mente i suoi occhi grigio cielo.

Tornai accanto al muro, poggiai la mia mano su di esso, “Ciao Daniel, riposa in pace. Ti chiediamo scusa per questo. Perdonaci, per favore”.

 

Feci ritorno al bus appena in tempo. Era sempre buio ma io non avevo più paura. Avevo chiuso un cerchio. Mi sentii finalmente sollevata.

 

Ed ora mi chiedo, è per caso che sono finita a lavorare in una base USA?  Ed è sempre per caso che dopo aver finito di scrivere questa storia sono scesa al bar e sono letteralmente sbattuta contro F., il fratello più giovane di Daniel che non vedevo da tantissimi anni?? Chi potra` mai dirlo....

 

 

C'era un ragazzo                            
che come me amava i Beatles
e i Rolling Stones
girava il mondo, veniva da
gli Stati Uniti d'America.
Non era bello
ma accanto a sé aveva mille donne se
cantava «Help» e «Ticket to ride»
o «Lady Jane» o «Yesterday».
Cantava «Viva la libertà» ma
ricevette una lettera,
la sua chitarra mi regalò
fu richiamato in America.
Stop! coi Rolling Stones!
Stop! coi Beatles.
Stop!
Gli han detto vai nel Vietnam
e spara ai Vietcong...
Ta ta ta ta ta ta ta ta ta...
C'era un ragazzo
che come me amava i Beatles
e i Rolling Stones
girava il mondo, ma poi finì
a far la guerra nel Vietnam.
Capelli lunghi non porta più,
non suona la chitarra ma
uno strumento che sempre dà
la stessa nota ratatata.
Non ha più amici, non ha più fans,
vede la gente cadere giù:
nel suo paese non tornerà
adesso è morto nel Vietnam.
Stop! coi Rolling Stones!
Stop! coi Beatles.
Stop!
Nel petto un cuore più non ha
ma due medaglie o tre...
Ta ta ta ta ta ta ta...

                       

 

 

The Vietnam Veterans Memorial Wall, Washington D.C.

                                

 

 

Bibliografia 

 

Arthur Gordon - Those Mystifying Americans – F.A.Inc.

 

Stephanie Faul - Xenophobe’s Guide to the Americans – S.A.Inc.

 

Gary R. Weaver - Culture, Communication and conflict: Readings in Intercultural Relations – Ginn Press

 

G. Weaver - Readings in Cross-Cultural Communication - Ginn Press

 

G. Weaver - Understanding the Influence of Culture – Ginn Press

 

G. Weaver - Working with a Multicultural Staff – Gannon

 

P.S. Adler – “The Transitional experience: An Alternative View of Culture Shock – Journal of Humanistic Psychology

 

C.W. Allport - The Nature of Prejudice – Addison Wesley

 

C.H. Patterson - Multicultural Counseling: from diversity to universality – Journal of Counseling and Development

 

P. Pedersen – A Handbook for Developing Multicultural Awareness – American Counseling Association, Alexandria, VA

 

K. Oberg – Culture Shock and the Problem of Adjusting to the New Cultural Environments”-

 

Craig Storti - The Art of Crossing Cultures – Intercultural Press

 

Craig Storti - Figuring Foreigners Out – Intercultural Press

 

P. E. Balboni - Problemi di Comunicazione Interculturale con Allievi Stranieri Adulti – Marsilio

 

M. Neovius - Adattamento Culturale e Coppie con Carriera Parallela – Helsinki School of Economics and Business Administration

 

SIETAR Europe - Heritage and Progress – D. Lynch, A. Pilbeam

 

B. Mazzara - Stereotipi e Pregiudizi – Il Mulino

 

P. Watzlawick - La Realtà Inventata - Feltrinelli

 

Marco Cagol - Un Popolo Sconosciuto, gli Zingari – Ass. per i popoli minacciati

 

Mirella Tarpati - I Figli del Vento, gli Zingari – La Scuola

 

S.T. Meier - S.R. Davis, Guida al Counseling – Franco Angeli

 

F. Rogers  - Moving – NY: Putnam

 

R.W. Brislin - K. Cushner, C. Cherrie, M. Young, Intercultural Interactions, A Practical Guide – Sage

 

R. Kohls - H. L. Brussow, Training Know-How for Cross Cultural and Diversity Trainers – A.L.System Inc.

 

Prevenire è Possibile - Dizionario Essenziale di Counseling, Prepos

 

C.R. Rogers - B. Stevens, Da Persona a Persona – Astrolabio

 

C.R. Rogers - I Gruppi di Incontro – Astrolabio

 

C.R. Rogers - La Terapia Centrata sul Cliente – La Nuova Italia

 

E.A. Garcea – La Comunicazione Interculturale. Teoria e Pratica -  Armando Ed.

 

Claudio Neri - Gruppo – Borla

 

R. Bandler - J. Grinder, La Metamorfosi Terapeutica – Astrolabio

 

E. Spalletta - F. Germano, Microcouseling e microcoaching – Collana Edoardo Giusti

 

V. Masini - Dalle Emozioni ai Sentimenti – Prepos

 

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E. Hall - The Silent Language, Garden city N.Y.: Doubleday

 

E. Hall - The Hidden Dimension, Garden city N.Y.: Doubleday

 

C. Wolf - Garrison Community, A Study of an Overseas American Military Colony – Greenwood Publishing Corporation

 

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Dudley, G.R., Rawlins – Psychotherapy with Ethnic Minorities – Psycotherapy Journal

 

Sue. E.W. Counseling the Culturally Different. Theory and Practice – New York: Wiley

 

Wikipedia – Origini del Counseling - Articolo

 

Scuola Artigianato Educativo – Progetto dell’Uso e dell’Abuso di Sostanze Stupefacenti e Psicotrope nelle Forze Armate – Articolo

 

 

RINGRAZIAMENTI

 

E così siamo arrivati alla fine ed è giusto che concluda salutando e ringraziando i miei compagni di viaggio.

 

Namastè, caro Guglielmo! Mi sono imbattuta per caso (ma io non credo al caso), oltre un anno fa, nello stand del Siddharta durante una fiera. Lessi di questo corso di Counseling, qualcosa che avevo sempre pensato di fare prima o poi, ed eccomi qui…

Una scuola col nome del Buddha, non poteva essere altrimenti. Un percorso non deve escluderne un altro anzi, è l’insieme delle strade principali e secondarie che ci conduce alla meta.

Grazie per averci ospitato e per averci dato questa opportunità, te ne sono grata e soprattutto grazie per i tuoi insegnamenti.

 

Prof. Masini, è stato un piacere conoscerla e seguire le sue lezioni. Grazie al Siddharta ho avuto la possibilità di conoscere Lei e il suo staff e di apprendere, fra le tante cose,  due strumenti di analisi molto potenti come i 7 archetipi e il questionario di Artigianato Educativo. Colgo l’occasione per ringraziare anche la carissima Manuela e Lorenzo. Non siamo stati un gruppo facilissimo e magari, dopo averci conosciuto, potrebbe considerare la messa a punto di un 8vo archetipo.. Grazie ancora!

 

Ringrazio i miei compagni di corso per la rocambolesca condivisione. In special modo ringrazio il mio amico e collega Corrado che mi è stato di supporto nei momenti più duri, quando la pressione mi portava a voler mollare.

 

Infine ringrazio me, Tiziana per le mie corse e rincorse, per non fermarmi, per non arrendermi, per la inesauribile curiosità verso la vita, per l’impegno e la forza e per i tanti dubbi.  Grazie alla mia anima di caleidoscopio, al mio cervello di soldato e al mio cuore di bambina.

 

Un grande abbraccio a tutti..

    

                                                                            Tiz