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Paola Nardini

 

 I DISTURBI SPECIFICI DELL’ APPRENDIMENTO

E

L’ARTIGIANATO EDUCATIVO

 

Approfondimento specifico: discalculia evolutiva

 

 

Indice

 

Premessa                                                                                                                           p.  4

 

Introduzione                                                                                                        p.  6

 

CAP.1:  I disturbi specifici di apprendimento                                                                  p.  8

 

1.1               Definizione dei disturbi specifici

1.2              La dislessia

1.3              La disgrafia

1.4              La disortografia

1.5              La discalculia

 

CAP.2:  L’aspetto storico                                                                                                     p .13

 

2.1       Studi sulla dislessia

2.2       Perché in Italia è un fenomeno recente

2.3       L’atteggiamento della psicologia clinica in Italia

 

CAP.3:  Approfondimenti sulla discalculia                                                                   p. 15

 

3.1       Dai primi studi i modelli neuropsicologici

3.2       La dimensione evolutiva e il rapporto con il bambino

3.3       La penuria di strumenti diagnostici

3.4       Gli interventi specifici sulla discalculia

 

CAP.4:    L’approccio dell’artigianato educativo                                                         p. 21

 

4.1       L’artigianato educativo

4.2       Emozioni ed artigianato educativo

4.3       Emozioni e D.S.A.

4.4       La storia di Giulia

4.5       La storia di Andrew

 

CAP.5:  La situazione scolastica                                                                                    p .36

 

5.1       La percezione di alunni, genitori ed insegnanti

5.2       Processi automatici e processi controllati

5.3       Gli strumenti compensativi e dispensativi

 

 CAP.6:   Prevenire, ridurre, intervenire                                                                              p. 42

 

 6.1      Le intelligenze multiple

 6.2      Gli stili comunicativi

 6.3      La comunicazione didattica ed educativa

 6.4      Il ruolo dell’empatia

 6.5      Le risorse del bambino con D.S.A

 6.6    La metacognizione

 6.7      I percorsi dell’artigianato educativo

 

   

Conclusioni                                                                                                                               p 51

 

 

Bibliografia                                                                                                                              p. 53

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PREMESSA

 

Il mio interesse per i problemi specifici di apprendimento è nato piuttosto recentemente  vale a dire nel 2002, quando ebbi l’opportunità di partecipare ad un convegno che si teneva nella mia città dal titolo “Dislessia e Scuola individuazione ed intervento precoce.”.

Questo convegno era organizzato dall’Associazione Italiana Dislessia in collaborazione con l’amministrazione locale ed era rivolto anche a chi come me svolge la professione di insegnante.

In quest’occasione ho toccato con mano il dolore e la solitudine di coloro che s’imbattono in questa disabilità e da quell’esperienza ho cominciato a guardare i miei alunni, in particolare quelli in difficoltà d’apprendimento, con un altro sguardo, quello della comprensione e della solidarietà.

Il presidente dell’A.I.D. che introduceva il convegno, il professor Ghidoni di Modena era un neurologo il cui figlio era appunto un dislessico. Le sue parole mi colpirono per l’amore e la professionalità con cui insieme riusciva a trattare l’argomento.

Gli interventi internazionali che seguirono, seppur diversi l’uno dall’altro, ponevano tutti l'accento su questo aspetto: un bambino dislessico è per prima cosa un bambino o una bambina, con differenze individuali, che soffre molto perché è consapevole che qualcosa non va.

Fui toccata dalle esperienze che erano raccontate e fra tutto riporto la seguente:

Storia di un dislessico cecoslovacco anonimo:

[1]Egregi signori ho quasi sessanta anni. Il vostro programma televisivo riguardo alle persone incapaci di leggere mi ha commosso, perché sono uno di loro. Me ne vergogno perciò non metto la mia firma. Ho sei lauree accademiche e titoli come Professore universitario, Dottore in scienze. Ecc.ecc.

E’ un grande svantaggio per una persona nella mia posizione, ma era peggio alla scuola elementare. Al ginnasio il mio professore mi salvò nel vero senso della parola. La mia lettura era sempre un divertimento per la classe, ma per me era una sofferenza.

Il mio insegnante, una volta che si fu accorto di questa mia incapacità, fermò il divertimento a mie spese e trovò il tempo di scoprire da me che mio padre era medico, che sapeva della mia disabilità, sapeva come si chiamava, ma che si rifiutava di venire a scuola in mio aiuto, poiché anche lui non legge bene.

Riuscii a fare l’università a tempo di record e con distinzione. Ne scrissi al mio insegnante, non avevo mai avuto eccelsi risultati nella sua classe. Egli mi rispose: "Eccoti, ti prendevano per uno sciocco e li batti tutti!" Poi mi fu dato l’incarico di assistente universitario e arrivai all’esame di russo e ci furono guai a leggere l’alfabeto russo. I professori pensavano che stessi scherzando. Forse la mia bugia fu creduta in parte, quando detti colpa agli occhiali.

Durante il servizio militare ebbi un’esperienza divertente. Arrivai alla compagnia e, poiché ero il numero uno fra i candidati ufficiali, dovetti leggere l’ordine del giorno. Il comandante pensò che stessi imitando un ufficiale stupido. ma ero ben lungi dal prendere in giro qualcuno!

Oggi leggo il Ceco in un modo che, se nessuno vi dicesse il mio problema, non lo notereste. In Russo e in inglese o francese si nota…

 

Questa storia da sola è più eloquente di molte considerazioni e ci fa riflettere su quanto la dislessia sia un problema poco conosciuto dagli insegnanti, vissuto singolarmente da chi ne soffre, che porta a intime umiliazioni e frustrazioni.

 

Ho cercato a questo punto di documentarmi scientificamente e, poichè nel mio team di insegnanti lavoro come docente di matematica, ho dedicato particolare attenzione allo studio della discalculia, pur inserita nel quadro più ampio dei D.S.A.

Più approfondivo e più comprendevo la complessità dell’argomento: sia la dislessia che la discalculia hanno un certo numero di tipi, di forme e modalità, che dipendono dalle lingue, dal sistema di numerazione, dai metodi educativi, dalle condizioni socioculturali e dalle differenze individuali. Ho potuto verificare che, nonostante gli approcci più all’avanguardia, non esistono ricette risolutive.

 

Ho svolto un lavoro serio di approfondimento scientifico, ho condiviso esperienze con i colleghi e mi sono guardata intorno. Secondo il mio punto di vista la teoria dell’artigianato educativo costituisce una proposta d’intervento concreta, profonda e appropriata, per insegnanti, genitori ed allievi con disturbi specifici.

 

L’artigiano dell’educazione è colui che sa cogliere, per empatia, intuito, esperienza, ragionamento e cultura la modalità educativa appropriata in base alle caratteristiche del soggetto da educare. Si comincia dall’analisi delle tipologie di personalità,  si studiano le relazioni, gli stili comunicativi e i metodi educativi, per lasciare poi ampia libertà d’intervento svincolandosi da preconcetti, rigidità e accanimenti.

La capacità di analizzare con gli strumenti dell’artigianato educativo le caratteristiche di uno studente e i percorsi educativi è una ricchezza enorme che ha aperto, per me, strade e possibilità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Con questo lavoro ho voluto sostenere l’importanza dell’aspetto relazionale, comunicativo e psicologico.

 

In questi 22 anni, nei quali ho svolto la professione di insegnante di scuola elementare, ho maturato la convinzione che attraverso una buona relazione si possono ottenere risultati costruttivi. I disturbi specifici di apprendimento, rappresentano una problematica complessa, ricca di variabili da considerare.

Anche per questo riteniamo necessario superare tecnicismi e accanimenti sul piano riabilitativo, per tendere invece ad un supporto concreto e sereno al bambino con la sua famiglia.

Ogni situazione risulta diversa e pertanto unica. Non esistono ricette preconfezionate o “bacchette magiche” che possano risolvere indistintamente ogni situazione.

Da questa consapevolezza prendiamo coscienza di quanto gli aspetti metodologici ed educativi siano importanti.

Affronteremo il problema dal punto di vista dell’insegnante, il quale pur non essendo un clinico, ha comunque un ruolo fondamentale nel rapporto con il soggetto in difficoltà. La scuola è l’ambiente in cui il bambino trascorre un tempo lungo e soprattutto significativo, ricco di aspettative da parte dei genitori, importante per la costruzione della propria autostima e per la propria immagine mentale.

 

 Ho compreso con i miei approfondimenti i bambini con D.S.A in alta percentuale sviluppano problemi psicologici derivanti da frustrazioni o dal percepirsi diversi dagli altri senza comprendere l’origine di tale diversità.

 

L’insegnante dunque ha il dovere di essere preparato per poter individuare le possibili cause di un insuccesso scolastico, magari riconoscendo uno o più disturbi specifici di apprendimento; ma ha poi il compito importante di sostenere il bambino nella sua disabilità, nella consapevolezza che si tratta di un problema che, alle conoscenze attuali, più che essere risolto, va affrontato quotidianamente, perché con esso è necessario convivere, visto che non se ne possono annullare completamente i disagi che da esso derivano.

Purtroppo, infatti, un recente studio svoltosi a Gerusalemme (gli Israeliani studiano molta matematica e quindi studiano anche i suoi disturbi) su 332 pazienti, fatto dal gruppo si Shalev, ci dice che l’espressività del disturbo è a esito negativo e quindi le difficoltà rimangono nel tempo.

Negli studi effettuati in Italia nei tre anni delle scuole medie si è evidenziato che anche se i meccanismi di calcolo si sono consolidati nel tempo, l’aspetto della lentezza matematica rimane costante.

Proprio questi aspetti ci portano a prendere in carico il bambino in difficoltà a tutto tondo, dando rilevanza particolare all’aspetto psicologico e relazionale.

Ancora oggi molti insegnanti hanno scarsa informazione relativamente ai D.S.A e inoltre, hanno una formazione prevalentemente disciplinarista e poco pedagogica e psicologica.

Questa impostazione impedisce di caricare di senso le situazioni e di leggerle alla luce dell’affettività, in una relazione energetica positiva, nella quale ogni soggetto investe le sue risorse, per il raggiungimento del miglior risultato possibile.

In questa prospettiva il lavoro dell’insegnante diventa gratificante e creativo, ricco di significato e di risvolti affettivi e soprattutto educativi.

 

E’ però necessario, in quest’ottica, liberarsi da chiusure, preconcetti ed emotività che non ci permettono di vedere le variabili in atto in ogni singola situazione.

 

Inoltre mi preme sottolineare che l’affettività è il veicolo attraverso il quale è possibile comunicare ed ottenere modificazioni di comportamenti e apprendimenti.

 

Ho constatato, nella mia esperienza d’insegnamento, che i bambini hanno un naturale desiderio di apprendere e di migliorarsi. Quando perdono questo moto interiore significa che qualche situazione o qualcuno li hanno messi in condizione di abbandonare questo piacere vitale che è l’apprendimento.

 

Noi, educatori dell’artigianato educativo, cerchiamo di mantenere sempre accesa la fiamma dell’interesse e della curiosità, attraverso lo scambio empatico con gli allievi e soprattutto con quelli in difficoltà.

 

Il counselor è la figura adatta a formare gli insegnanti e i genitori per seguire il percorso di “artigianato educativo” e di “ prevenire è possibile” . E’ colui che, con competenze specifiche e con sguardo esterno analizza situazioni, interpreta vissuti e suggerisce proposte concrete di cambiamento. Inoltre il counselor può orientare, sostenere e guidare  i bambini con D.S.A.  nel loro cammino scolastico ed umano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 1 “I DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO”

 

1.1               DEFINIZIONE DEI DISTURBI SPECIFICI

 

Secondo i criteri utilizzati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, inseriti nella classificazione internazionale della sindrome e dei disturbi comportamentali[2] “i disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche comprendono gruppi di condizioni morbose che si manifestano con specifiche e significative compromissioni dell’apprendimento delle abilità scolastiche. Queste compromissioni dell’apprendimento non sono il risultato diretto di altre patologie (come il ritardo mentale, grossolani deficit neuropsicologici, gravi problemi visivi o uditivi non corretti, disturbi emotivi, ) sebbene essi possano manifestarsi contemporaneamente a tali ultime condizioni . L’eziologia dei disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche non è nota, ma si suppone che vi sia un intervento significativo di fattori biologici i quali interagiscono in modo significativo con fattori non biologici. "

Nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali,[3]redatto dall’American Psychiatric Association, i disturbi dell’apprendimento vengono diagnosticati “quando i risultati ottenuti dal bambino in test standardizzati, somministrati individualmente su lettura, calcolo o espressione scritta risultano significativamente al di sotto di quanto previsto in base all’età all’istruzione, e al livello di intelligenza. Essi interferiscono in modo significativo con i risultati scolastici o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura, di calcolo o di scrittura. ”

Sono ormai tutti d’accordo che nella categoria dei disturbi specifici di apprendimento rientrano tipologie estremamente diverse di difficoltà, associate più da quello che non hanno che da quello che hanno in comune (si parla a questo proposito di fattori d’esclusione) .Per esempio non possono essere definiti disturbi specifici di apprendimento i casi in cui la difficoltà è dovuta ad uno svantaggio socioculturale, cosa che non impedisce che lo svantaggio socioculturale finisca con l’aggravare il quadro di disturbo.

Essi vanno distinti dalle difficoltà di apprendimento generali che possono rientrare in questa elencazione:

·         Basso rendimento scolastico

·         Disturbi del linguaggio

·         Disturbi di attenzione

·         Ritardo mentale

·         Disturbi di personalità

·         Disabilità plurime

·         Sordità e ipoacusia

Le difficoltà scolastiche sono di tanti tipi diversi e spesso non sono la conseguenza di una specifica causa, ma sono dovute al concorso di molti fattori che riguardano sia lo studente sia il contesto in cui egli viene a trovarsi. I disturbi specifici si verificano quando un bambino, apparentemente nelle condizioni individuali e ambientali adeguate o almeno sufficienti per raggiungere buoni risultati di apprendimento, manifesta al contrario difficoltà gravi. In questo capitolo descriverò brevemente, ma distintamente la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia

 

1.2   LA DISLESSIA

 

Negli ultimi anni, nel campo degli studi sulla dislessia si è notato un considerevole cambiamento, ottenuto dal risultato di ricerche significative in ambito scientifico e della formazione. Si è compresa l’importanza e l’interazione fra fattori biologici, cognitivi, comportamentali e sociali, tanto che la dislessia può essere definita e spiegata in modo diverso in base allo scopo con cui ci si approccia all’argomento. E’ quindi opportuno introdurre fin da subito uno dei concetti basilari che ci hanno guidato nella stesura di queste note.

Poiché siamo insegnanti, ciò che più ci interessa, fra i vari approcci esistenti, è la comprensione di quali difficoltà e risorse posseggano i bambini dislessici nei confronti degli apprendimenti e di quali strategie didattiche e modalità educative possano essere d’aiuto per migliorare gli apprendimenti e il vissuto psicologico.

Presupposto fondamentale risulta quello di considerare che, poiché i dislessici in primo luogo sono individui, mentre possono presentare difficoltà e punti di forza comuni, presentano comunque differenze individuali dalle quali sarà necessario partire.

Riprendero’ in seguito questo concetto, quando entreremo nel merito delle scelte metodologiche.

Fatta questa premessa, riportiamo la definizione adottata dall’Associazione Italiana Dislessia:”[4]la dislessia è il disturbo specifico dell’apprendimento della lettura e della scrittura, per cui permane una difficoltà a rendere automatica la corrispondenza fra i segni grafici e i suoni (vocali e consonanti); pertanto la lettura risulta faticosa e rallentata. Allo stesso modo risultano rallentate molte altre attività che richiedono l’uso di questi processi mentali di codifica dell’informazione. Il bambino dislessico si stanca rapidamente, commette errori, rimane indietro, non impara”.

Per questo i dislessici sono di solito anche disortografici e discalculici.

Bisogna distinguere due tipi fondamentali di dislessia: quella acquisita e quella evolutiva.

Il termine dislessia acquisita fa riferimento ai disturbi di lettura che accorrono in seguito ad un danno cerebrale in persone in cui le abilità di lettura erano, prima del danno subito, normali. La dislessia acquisita può essere riscontrata sia negli adulti sia nei bambini.

Con dislessia evolutiva si fa riferimento al disturbo di lettura proprio di persone che non hanno mai imparato a leggere correttamente e rapidamente. In questo senso, anche la dislessia evolutiva può essere riscontrata sia negli adulti sia nei bambini. In queste pagine tratteremo della dislessia evolutiva, di quel disturbo quindi, che si manifesta quando al bambino vengono richieste certe abilità.

Questo bambino non presenta deficit di intelligenza, né problemi ambientali o psicologici, sensoriali o neurologici. Si tratta di bambini solitamente intelligenti, vivaci e creativi. L’automatizzazione dell’identificazione della parola e/o della scrittura non si sviluppa o si sviluppa in maniera incompleta o con grandi difficoltà. Le difficoltà scolastiche di un bambino dislessico compaiono già nei primi anni di scuola e persistono nel tempo. Spesso il bambino finisce con l’avere anche problemi psicologici, ma questa è una conseguenza, non la causa della dislessia. Purtroppo in Itala la dislessia è poco conosciuta, benché si calcoli che riguardi almeno 1.500.000 persone. Sembra essere presente nel 4% circa della popolazione scolastica, con maggiori segnalazioni nei maschi che nelle femmine. Il bambino dislessico spesso compie errori nella lettura e nella scrittura, ad esempio l’inversione di lettere e di numeri (18 con 81) e la sostituzione di lettere (m/n; v/f; b/d). A volte non riesce a imparare le tabelline e alcune informazioni in sequenza come le lettere dell’alfabeto, i giorni della settimana, i mesi dell’anno. Puo’ fare confusione per quanto riguarda i rapporti spaziali e temporali (destra /sinistra, ieri, domani ) e può avere difficoltà ad esprimere verbalmente quello che pensa. In alcuni casi sono presenti anche difficoltà in alcune abilità motorie (per esempio allacciarsi le scarpe), nel calcolo, nella capacità di attenzione e di concentrazione. Spesso acquisisce problemi psicologici di vario tipo dei quali parlerò successivamente. Le difficoltà si acuiscono alla scuola primaria, ma anche in seguito permangono errori nella lettura e lentezza, che ostacolano la comprensione del significato del testo scritto. I lavori scritti richiedono un forte dispendio di tempo e il bambino appare disorganizzato sia a casa che a scuola.

 Incontra difficoltà a copiare dalla lavagna e a prendere nota di istruzioni impartite oralmente.

 

1.3   LA DISGRAFIA

 

[5]“La disgrafia è un disturbo specifico dell’apprendimento che si manifesta come difficoltà a riprodurre sia i segni alfabetici che quelli numerici; essa riguarda quindi esclusivamente il grafismo e non le regole ortografiche e sintattiche, sebbene influisca negativamente anche su tali acquisizioni a causa della frequente impossibilità di rilettura e di autocorrezione. “Il bambino disgrafico incontra difficoltà relative ai seguenti ambiti:

o       Posizione del corpo e impugnatura (gomito non poggiato, busto inclinato, disimpegno dell’altra mano che giocherella o è impegnata in altri compiti)

o       Orientamento nello spazio grafico (margini, righe, distanze)

o       Pressione sul foglio (eccesso o difetto del tono muscolare)

o       Direzione del gesto grafico (inversione)

o       Riproduzione di oggetti e copia (scarsa coordinazione oculo-manuale)

o       Dimensione dei grafemi (scarso rispetto delle dimensioni)

o       Unione dei grafemi (difficoltà a seguire con lo sguardo la propria scrittura)

o       Ritmo grafico ( velocità o lentezza eccessivi, disarmonia, frequenti interruzioni)

 

1.4   LA DISORTOGRAFIA

 

I bambini disortografici sono coloro che mancano di competenza ortografica,  che compiono in altre parole molti errori di scrittura, anche

con parole semplici che non celano alcun tranello. Inoltre il bambino

disortografico può presentare difficoltà a livello di velocità di scrittura,

qualità del grafismo, qualità dell’espressione scritta.

[6]“ Trascriviamo a titolo esemplificativo un testo di un bambino disgrafico e disortografico: una vope afamata, nelo aroveso la vegnia vide moti bei grapoli.” il testo avrebbe dovuto essere: “Una volpe affamata, nell’attraversare la vigna, vide molti bei grappoli..”.

Alcuni errori sembrano imputabili alla scarsa conoscenza di come si scrivono le parole, altri a un’insufficiente conoscenza delle regole ortografiche, altri a una difettosa analisi fonologica; spesso questi fattori si fondono.”

La capacità di scrivere correttamente è distinta dalla capacità di esprimersi per scritto. Per questo motivo un esame completo delle abilità di scrittura dovrebbe comprendere valutazioni distinte per grafismo, ortografia, velocità di scrittura, espressione scritta.

La competenza ortografica è valutabile all’interno di qualunque prodotto di scrittura, ma appare più opportuno valutarla per se stessa e non quando il bambino è impegnato nel produrre un elaborato originale o nello scrivere più velocemente possibile. Quando viene proposto il dettato di un brano standard vi sono vari problemi da affrontare, perché, per quanto possa sorprendere, la maniera in cui si detta incide fortemente sulla qualità della prestazione, per cui è meglio usare dettati registrati o far copiare un testo scritto, perchè, abbastanza sorprendentemente il disortografico commette errori anche quando copia un brano.

 

1.5   LA DISCALCULIA

 

Il bambino con discalculia dunque presenta due caratteristiche; da una parte una capacità di calcolo o di ragionamento matematico sono al di sotto di quanto previsto in base alla sua intelligenza, alla sua età ed al suo livello di istruzione e dall’altra questa sua difficoltà interferisce in modo significativo con gli apprendimenti e con la vita quotidiana.

Di fronte alle difficoltà di apprendimento è necessario escludere quelle determinate da deficit intellettivi oppure da scarsa scolarità o ancora dalla presenza di deficit sensoriali o disordini emotivi.

Con discalculia evolutiva si definiscono le difficoltà nei compiti numerici e aritmetici di base, come ad esempio leggere e scrivere correttamente i numeri o eseguire calcoli a mente con sufficiente rapidità e precisione.

Più precisamente, si parla di discalculia evolutiva, in quanto le difficoltà accompagnano gli apprendimenti e non insorgono improvvisamente.

Molti bambini possono avere incertezze con i numeri e l’aritmetica, ma per alcuni queste difficoltà presentano caratteristiche comuni che vanno sotto il nome di discalculia. Non è sufficiente dunque avere difficoltà in matematica per essere definiti discalculici, ma occorre che siano rispettati alcuni parametri, condivisi dalla comunità scientifica.

[7]Christine Temple (1992) definisce la discalculia con queste parole: ”Un disturbo delle abilità numeriche e aritmetiche che si manifesta in bambini di intelligenza normale, che non ha subito danni neurologici. Essa può presentarsi associata alla dislessia, ma è possibile che ne sia dissociata.”.

Fra i vari disturbi, però, proprio la discalculia non ha goduto di studi e approfondimenti sufficientemente ampi e utili sia in chiave diagnostica che riabilitativa.

Mancano dunque perlopiù i materiali e le indicazioni circa il come, il quando e addirittura il se, riabilitare il disturbo di calcolo.

Negli ultimi anni, con lo sviluppo del modello neuropsicologico si è cercato di comprendere i processi mentali caratteristici della matematica.  L’argomento è piuttosto complesso, perché il termine generico di matematica comprende abilità diverse.

Ad esempio basti pensare alla diversità di abilità necessarie per la lettura dei numeri rispetto a quella per i calcoli a mente; oppure tra la capacità di stabilire il numero più grande fra due e la recita delle tabelline.

Secondo quanto indicato nell’ICD-10 e in accordo col DSM-IV, le difficoltà aritmetiche presentano questi sintomi:

 

1.       _   Incapacità di comprendere i concetti di base di particolari operazioni;

2.      _   Mancanza di comprensione dei termini o dei segni matematici;

3.      _   Mancato riconoscimento dei simboli numerici;

4.      _   Difficoltà ad attuare le manipolazioni numeriche standard;

5.      _ Difficoltà nel comprendere quali numeri sono pertinenti al problema aritmetico      considerato;

6.      _  Difficoltà ad allineare correttamente i numeri o ad inserire decimali o simboli durante i calcoli;

7.      _  Scorretta organizzazione spaziale dei calcoli;

8.      _  Incapacità ad apprendere in modo soddisfacente le “tabelline” della moltiplicazione.

 

Appare evidente da questa elencazione che, sotto un’unica classificazione sono presenti una serie di difficoltà molto diverse fra loro. E’ per questo che è nato l’interesse per comprendere la natura delle diverse difficoltà incontrate. Il dibattito relativo alla natura dei disturbi della discalculia è ampio e complesso.

Gli studi degli ultimi quindici anni hanno permesso di ampliare le conoscenze sull’organizzazione del processamento numerico e di calcolo. Nel prossimo capitolo spiegheremo l’evoluzione degli studi relativi alla discalculia fino all’attuale approccio neuropsicologico, necessario per la miglior comprensione delle reali difficoltà incontrate dai bambini discalculici.

Porremo l’attenzione sulla dimensione evolutiva della discalculia, in quanto ci riferiremo ad una  disabilità che non va considerata come la perdita di una funzione precedentemente appresa, come nel caso della discalculia acquisita, ma come una difficoltà ad apprendere e ad automatizzare alcuni compiti .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 2 : L’ASPETTO STORICO

 

 

2.1   STUDI SULLA DISLESSIA

 

[8]“Nel 1895 esce per la prima volta su una rivista scientifica un articolo che parla di una strana forma di cecità per le parole. Lo scrive un chirurgo oculista inglese, Hinshelwood, che ipotizza che questa condizione sia congenita e che sia meno rara di quanto sembri sulla base della frequenza con cui è registrata. In realtà, sostiene Hinshelwood, la rarità dipende probabilmente dal fatto che quando queste difficoltà si manifestano, non siamo in grado di riconoscerle. “

La scarsità di strumenti e di conoscenze, a cent’anni di distanza, sembra ancora molto diffusa. Negli anni successivi altri autori pubblicarono relazioni in cui riferivano  casi di ragazzi “mentalmente eccezionali, ma che commettevano i più bizzarri errori nel leggere”, sostenendo l’ipotesi che queste difficoltà, oltre a non dipendere da una più globale incapacità, fossero di natura costituzionale.

Già agli inizi del secolo vi erano dunque gli elementi per modificare l’atteggiamento nei confronti dell’insuccesso nell’apprendimento della lettura. In seguito però tutte queste posizioni furono criticate come eccessivamente speculative, dato che non si era trovata una prova patologica chiara che potesse sostenere l’ipotesi sull’origine biologica della cecità verbale.

Tra il 1920 e il 1930 si segnalano i contributi di Samuel Orton, che avviò una numerosissima serie di studi per ricercare la correlazione tra fenomeni come il mancinismo e la lateralizzazione incerta e la dislessia.

 Orton dette vita negli Stati Uniti ad un’importante movimento di ricerca, che tradusse anche in sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui temi della difficoltà di lettura. Anche se molte delle sue teorie, come quella della correlazione tra mancinismo e difficoltà di lettura sono state smentite, gli va riconosciuto il merito di aver portato il merito dalla ristretta cerchia degli scienziati all’opinione pubblica.

 

2.2  PERCHE’ IN ITALIA E’ UN FENOMENO RECENTE

 

In Italia si parla di dislessia dagli anni 60. Prima di quella data non risulta nessun lavoro pubblicato su riviste italiane che trattasse delle difficoltà di lettura.

Fino a qualche anno fa il bambino che non imparava a leggere era considerato svogliato, pigro e questo la dice lunga sul fatto che l’incapacità di acquisire un sistema di corrispondenze così semplice non potesse nemmeno essere preso in considerazione.

La lettura è una conquista relativamente recente nella storia dell’umanità, perché esiste da qualche migliaio di anni, mentre le origini della specie umana si contano in milioni di anni. La capacità di leggere come conquista di massa risale agli anni del dopoguerra.

[9]Imparare a leggere è facile, soprattutto in italiano, e dunque la lettura non è stata per secoli un’abilità riservata ad una ristretta cerchia di eletti per motivi di difficoltà intrinseca, come per i cinesi, ma è stata riservata a pochi per motivi di censo o per necessità. Nel momento in cui si è data la possibilità a tutti di imparare a leggere, la letto-scrittura italiana si è manifestata come una delle abilità più facili da apprendere. Non è così per tutti i sistemi ortografici. L’inglese, ad esempio che è una delle lingue più diffuse al mondo ha un’ortografia più difficile ed irregolare dell’italiano. Basti pensare che le vocali, struttura portante del nostro sistema fonetico, in inglese non vengono insegnate in quanto non hanno una pronuncia stabile all’interno della parola. Tanto più una lingua presenta eccezioni, tanto più è difficile da imparare e tanto più frequenti sono i soggetti che possono incontrare problemi nell’acquisizione. La semplicità dell’italiano conduce a considerare i dislessici “mosche bianche” coloro cioè che non riescono ad apprendere la corrispondenza suono-segno.

Mentre uno scolaro italiano al termine del primo anno della scuola primaria è potenzialmente in grado di leggere qualsiasi parola del nostro vocabolario, un bambino inglese dopo un anno sa leggere circa 300 parole e comunque non è ancora in grado di leggere parole inventate.

Giacomo stella, insegnante di Psicologia Clinica e fondatore dell’Associazione Italiana Dislessia, precisa che, nonostante i moderni studi abbiano presentato origini neurobiologiche per la dislessia, le disabilità sono prodotte anche dall’impatto ambientale.

Se l’ambiente è ostile anche le disabilità lievi verranno messe in evidenza, se l’ambiente è favorevole, allora le disabilità lievi avranno un’espressività così bassa da scomparire.

 

2.3  L’ATTEGGIAMENTO DELLA PSICOLOGIA CLINICA IN ITALIA

 

La mancanza di informazioni sull’origine della dislessia ha contribuito a sviluppare un approccio che tendeva a ricercare cause psicologiche.

In Italia  le prime pubblicazioni inerenti gli studi neuropsicologici sulla dislessia sono degli anni 80, ma è stato necessario aspettare più di dieci anni perché queste conoscenze venissero tradotte in protocolli di valutazione clinica.

Ancora oggi è diffusa la tendenza a cercare cause psicologiche nel disturbo d’apprendimento, anche perché, in effetti, difficoltà emotive e relazionali sono sempre presenti nel bambino dislessico e spesso sono anche più evidenti del problema di lettura.

I disturbi del comportamento che un bambino o manifesta in classe per evitare il compito che gli è richiesto sono per l’insegnante più disturbanti degli errori di lettura.

L’instabilità motoria e il rifiuto di leggere o di fare i compiti che il bambino oppone alle insistenze del genitore sono più fastidiosi e ansiogeni del disturbo in sé. Tuttavia bisogna evitare l’errore di scambiare le cause con gli effetti. I problemi di comportamento o di relazione che abbiamo descritto sono spesso l’effetto delle frustrazioni ripetute piuttosto che la causa che le generano. Come dovrebbero comportarsi i bambini che stentano ad imparare o che commettono molti errori, mentre i loro compagni leggono e scrivono meglio di loro con apparente facilità?

L’approccio clinico dominante, che tende a mettere al centro dell’attenzione i comportamenti disturbanti o di rifiuto, le sensazioni di paura o di evitamento della frustrazione, spesso provoca la colpevolizzazione del bambino o del genitore, dato che non considera la possibilità che questi problemi nascano senza la responsabilità di nessuno.

 

 

 

 

CAPITOLO 3 “ APPROFONDIMENTO SULLA DISCALCULIA”

 

 

 3.1  DAI PRIMI STUDI AI MODELLI NEUROPSICOLOGICI

 

Il dibattito contemporaneo relativo alla natura dei disturbi dell’elaborazione numerica e del calcolo presenta un panorama d’interpretazioni piuttosto complesso.

Fin dal 1967 Johnson e Myklebust descrivevano i soggetti con disabilità nell’area del calcolo in termini di bambini con difficoltà visuo-motorie, di orientamento, di effettuazione di stime di tempo e di distanza, con immaturità sociale e scarsa autonomia nell’esecuzione di altre attività.

 In termini molto analitici gli autori individuavano diverse tipologie di difficoltà caratterizzate dall’incapacità di: stabilire una corrispondenza uno ad uno; riconoscere la relazione tra simbolo e quantità; associare i simboli visivi e uditivi (nomi dei numeri); apprendere i sistemi cardinale e ordinale di numerazione e di conteggio; visualizzare raggruppamenti d’insiemi inclusi in un insieme più ampio; comprendere il principio della conservazione della quantità; eseguire le operazioni aritmetiche; comprendere il significato dei segni di operazione; capire la disposizione dei numeri su un foglio scritto; seguire e ricordare la sequenza di fasi che devono essere usate nelle diverse operazioni matematiche; comprendere i principi della misura; leggere carte geografiche e grafici; scegliere i principi adatti per risolvere i problemi aritmetici; leggere carte geografiche; scegliere i principi adatti per risolvere problemi aritmetici(aggiungere, sottrarre..)

A partire da questa minuziosa elencazione di difficoltà riscontrate nel disturbo di calcolo, in letteratura sono state molteplici le definizioni di discalculia evolutiva, in riferimento a specifiche ipotesi d’incompetenze cognitive e/o neuropsicologiche

Già prima della moderna Neuropsicologia Cognitivista, i clinici che avevano affrontato lo studio della discalculia avevano evidenziato un’eterogeneità di sintomi non sempre facilmente riconducibili all’interno di un modello eziologico unitario e avevano così iniziato a tentare una sotto-tipizzazione di questo disturbo dell’abilità matematica.

Kosc (1974) ha definito la discalculia un disordine specifico dell’apprendimento dei numeri, con probabile origine in un’alterazione del sistema nervoso centrale, non accompagnato da difficoltà mentali generali, ma frequentemente associato ad altri disturbi della funzione simbolica, come la dislessia e la disgrafia. Egli distingue 6 tipi di discalculia.

L’ampia varietà di difficoltà che può caratterizzare il quadro clinico della discalculia evolutiva, non significa che siano sempre tutte necessariamente presenti; infatti esiste sia una variabilità inter-individuale (tra soggetti diversi) che intraindividuale (in uno stesso soggetto nel corso dello sviluppo)nell’espressività del disturbo. Fino ai recenti sviluppi della neuropsicologia cognitiva, l’unica teoria psicologica che ha tentato di spiegare lo sviluppo del concetto di numero e di altri concetti matematici era quella piagetiana, secondo la quale (1941) la matematica non può essere concepita come un dominio conoscitivo autonomo, ma è parte integrante dello sviluppo intellettivo generale. Questa concezione è stata recentemente criticata sotto vari aspetti, ma in particolare nell’ambito clinico, là dove l’analisi neuropsicologica ha fornito evidenze di dissociabilità delle funzioni cognitive(organizzazione modulare) e dei relativi corsi evolutivi.

Le prime idee delle abilità matematiche come funzioni cognitive complesse che costituiscono un sistema funzionale e quindi non sono localizzabili in senso stretto in una singola area cerebrale, ma sono probabilmente distribuite su più aree, si devono a Luria (1973), il quale ha ipotizzato un diverso ruolo delle aree associative parietali dei due emisferi e in particolare:

-area parietale inferiore SN (struttura categoriale dei numeri e sintassi)

-area parietale DX (abilità visuo-spaziali come precursori dell’apprendimento dei concetti matematici)

Un’ipotesi clinica plausibile a questo proposito, sarebbe che nei casi d’interessamento delle aree parietali SN più probabilmente vi sia un’associazione a disturbi specifici di lettura, mentre nei casi di interessamento delle aree parietali DX, la discalculia dovrebbe più verosimilmente essere associata a disturbi nell’organizzazione motoria.

Piuttosto recentemente, studiando le difficoltà di adulti traumatizzati che avevano perso selettivamente una o più funzioni connesse con l’esecuzione dei calcoli, la produzione e la comprensione dei numeri, i ricercatori hanno costruito modelli esplicativi della specifica architettura dei processi aritmetici. Questi ricercatori concordano, seppur con alcune non irrilevanti differenze, sulla necessità di riconoscere una indipendenza funzionale tra il sistema di elaborazione e di processazione numerica e il sistema di calcolo.

[10]Il modello elaborato da McCloskey (1985) distingue tre diversi sottosistemi funzionali:

-sistema di comprensione e produzione del numero (scomposto nei diversi codici in cui le entità numeriche sono rappresentabili: verbale, arabico, ecc..)

- sistema semantico di rappresentazioni interne astratte

-sistema di calcolo(a sua volta scomposto in recupero dei fatti aritmetici e procedure di calcolo)

I fatti aritmetici sono conoscenze apprese e immagazzinate stabilmente nella memoria a lungo termine, che possono essere utilizzate in modo immediato e spontaneo. Ad esempio2+3=5; 12-4=8; 5X8=40; 100:2=50. Le procedure di calcolo sono essenzialmente gli algoritmi operatori utilizzati per produrre risultati aritmetici. Si osservi come con l’esperienza e l’apprendimento alcune procedure di calcolo, usate più comunemente, si trasformano in fatti aritmetici.

Da questo modello deriva una tassonomia di disturbi delle abilità matematiche che rispecchia questa particolare organizzazione della funzione. Si possono così avere:

1.       -disturbi della processazione del numero (lettura e scrittura dei numeri)

2.      -disturbi nel recupero di fatti numerici  (tabelline e operazioni entro il 20)

3.      -disturbi nella conoscenza delle procedure  (applicazione degli algoritmi delle operazioni).

 

L’approccio neuropsicologico  è di grande utilità per due ragioni principali:

 

1) con l’individuazione  di cause biologiche si decolpevolizzano bambini, insegnanti e genitori.

2) con la neurologia si studia l’attivazione delle aree cerebrali, la loro disfunzionalità, il recupero di funzionalità con la stimolazione di percorsi alternativi.

 

3.2  LA DIMENSIONE EVOLUTIVA E IL RAPPORTO COL BAMBINO

 

Nonostante le conoscenze neuropsicologiche, rimane di primaria importanza la dimensione evolutiva.

Come abbiamo premesso all’inizio di questo lavoro, anche la discalculia va collocata nei D.S.A e quindi,all’interno di un quadro di riferimento neuropsicologico,deve essere considerata come una difficoltà ad apprendere o ad automatizzare alcuni compiti numerici o aritmetici. Non si tratta quindi della perdita di una funzione precedentemente appresa, come nel caso della discalculia acquisita. Fin da molto piccoli i bambini contano, indicano la loro età e quella di altri bambini,attribuiscono significato ai numeri che vedono scritti e imparano semplici calcoli prima di aver ricevuto un insegnamento formale. Secondo Case [11]“i progressi dei bambini nell’ambito numerico e aritmetico nella scuola primaria sono un esempio del rapporto tra dimensione evolutiva e dimensione strutturale.

Data proprio la complessità della questione, appare secondo noi evidente l’importanza di un rapporto educativo improntato sulla comunicazione e sull’empatia; con lo scopo di poter trovare insieme ai bambini il percorso  individualmente più idoneo, adatto sia alle caratteristiche psicologiche dell’individuo, che alla specifica difficoltà incontrata.

Bisogna sottolineare che i bambini discalculici sono intelligenti e quindi possono collaborare attivamente con l’educatore,stabilendo insieme alcuni aspetti dell’intervento.

Nella pratica scolastica verifichiamo che il 60% dei bambini discalculici presentano anche una dislessia evolutiva. Data questa percentuale così elevata alcuni ricercatori identificano alcuni fattori comuni alle due disabilità: la rapidità di elaborazione dell’informazione, la capacità di automatizzazione e la memoria di lavoro.

La discalculia comunque viene diagnosticata più tardi rispetto alla discalculia proprio perché per quanto riguarda la matematica, le strumentalità di base vengono presentate anche nel secondo ciclo della scuola primaria.

Può accadere che lo stesso bambino si presenti due anni più tardi rispetto alla diagnosi di dislessia, per sospetta discalculia.

 

3.3  LA PENURIA DI STRUMENTI DIAGNOSTICI ADEGUATI

 

Nonostante la prevalenza piuttosto elevata, la discalculia evolutiva resta un disturbo relativamente poco conosciuto e, di conseguenza ancora poco diagnosticato. I modelli neuropsicologici derivano dallo studio sull’adulto ed è necessario integrarli con l’aspetto psicologico evolutivo che si occupa di spiegare come i bambini arrivino a sviluppare le abilità matematiche.

I disturbi aritmetici sono stati meno studiati di quelli della lettura e le conoscenze sugli antecedenti, sul decorso, sui correlati e sull’esito sono, allo stato attuale piuttosto limitate.

Tradizionalmente la valutazione in età prescolare si avvale delle classiche prove piagetiane di equivalenza, conservazione del numero, seriazione,ecc., ma non è chiaro se la carenza di tali abilità siano indicatori di discalculia evolutiva o, come è più probabile, di un ritardo intellettivo generale.

Per effettuare una diagnosi accurata con i bambini, diversamente da quanto accade con gli adulti, occorre tener presente sia la componente evolutiva che quella strutturale dei processi studiati.

Rispetto alla diagnosi di dislessia l’approfondimento delle difficoltà numeriche e di calcolo risulta più complesso da realizzare, in quanto per la discalculia è più difficile stabilire quali sono le abilità di base dei processi numerici e aritmetici.

Per la lettura e la scrittura i programmi ministeriali e le tappe di apprendimento del codice da parte dei bambini, demarcano con molta chiarezza il confine tra l’apprendimento delle procedure e il loro uso. Questa demarcazione facilita il lavoro del neuropsicologo, che può verificare l’acquisizione del codice una volta ultimata la fase di apprendimento dello stesso al termine del primo ciclo,mentre in precedenza dovrebbe sospendere la diagnosi (ma non l’intervento di aiuto nell’apprendimento) per verificare se le difficoltà che il bambino incontra sono determinate da un semplice ritardo di lettura o da un vero e proprio disturbo specifico.

 L’aritmetica non consente la stessa chiara demarcazione tra apprendimento delle procedure e loro uso. Ben oltre il termine del primo ciclo i bambini continuano ad apprendere nuovi algoritmi, come le moltiplicazioni a più cifre, le divisioni in colonna..Anche i numeri che utilizzano diventano via via più elevati costringendoli a un maggior impegno nei compiti di transcodifica. In queste condizioni stabilire un confine fra abilità di base ,verificabili attraverso il test ,e, adeguato profilo scolastico, diventa ovviamente più difficile.

Inoltre non sempre gli insegnanti pongono i diversi contenuti di apprendimento nello stesso momento e soprattutto con i bambini di fine primo ciclo e inizio secondo occorre informarsi su cosa è stato loro insegnato circa le tabelline, il calcolo scritto e i numeri.

Con queste premesse non è sorprendente la scarsità di strumenti diagnostici a disposizione. al momento le batterie in lingua italiana orientate a un modello neuropsicologico di diagnosi della discalculia evolutiva sono due :[12]il”Test delle Abilità di calcolo Aritmetico (ABCA) di Lucangeli,Tressoldi e Fiore(1998) e la “ Batteria per la discalculia evolutiva” di Biancardi e Nicoletti(2003).

La BDE,come illustra il testo sulla dicalculia evolutiva di Biancardi,Mariani e Pieretti,è destinata a bambini dalla terza elementare alla prima media ed è stato validato su circa 600 bambini di quattro città diverse del nord e del centro Italia.

La batteria è costruita su due subscale, la prima relativa al processamento numerico, mentre la seconda informa sulle abilità di calcolo .Entrambe le scale forniscono un quoziente definito numerico nel primo caso e di calcolo nel secondo. Si può attribuire un punteggio complessivo sommando entrambi i punteggi.

Considerando il modello neuropsicologico, le prove indagano tre specifiche aree del processamento numerico:la transcodifica,la linea dei numeri e la codifica semantica.

Anche la scala di calcolo approfondisce tre aree specifiche: le abilità nei fatti aritmetici, nel calcolo mentale e nel calcolo scritto.

Tre prove indagano i fatti aritmetici: le tabelline, le tabelline a salti, le addizioni e le sottrazioni, mentre per il calcolo scritto vengono proposte dodici operazioni tra addizioni e sottrazioni, mentre per il calcolo scritto vengono proposte dodici operazioni tra addizioni, sottrazioni e moltiplicazioni.

Il profilo di bambino con discalculia evolutiva, almeno per come riusciamo a individuarlo attraverso  le batterie per la valutazione del disturbo, riguarda più ambiti specifici del sistema del numero e del calcolo.

Per quanto i profili dei bambini con discalculia evolutiva possano variare sia in termini qualitativi (bambini con difficoltà in certi ambiti piuttosto che in altri) sia in quelli quantitativi (bambini con difficoltà simili ma con un differente grado di espressività) se facciamo riferimento alla BDE, osserviamo cadute sistematiche in alcune prove e prestazioni migliori in altre.

Per ciò che riguarda il numero si nota una difficoltà omogenea sia per quanto riguarda la lettura, la scrittura e la ripetizione di numeri. Per quanto riguarda la conta, il punteggio è adeguato per quella in avanti, mentre all’indietro si osservano errori e tempi maggiori rispetto alla media. Per quanto riguarda le prove di codifica semantica, la qualità delle risposte è adeguata mentre si possono osservare tempi di risposta più elevati. Per quanto riguarda il sistema di calcolo le difficoltà più accentuate sono quelle relative ai fatti aritmetici, tabelline, addizioni e sottrazioni entro la decina, mentre il calcolo mentale e scritto presenta profili solitamente più differenziati.

Come evidenzia il neuropsicologo DR.Enrico Profumo dell’Azienda ospedaliera San Paolo di Milano e appartenente al comitato tecnico A.I.D. rimangono alcuni problemi nella diagnosi di discalculia.

Infatti nel momento in cui so che ci possono essere dei deficit molto selettivi, per es. nella numerazione, o nell’immagazzinamento dei fatti aritmetici, o degli algoritmi, quand’è che dico che un soggetto è discalculico? Quando va male in più aree o è sufficiente in una?

Alcuni ritengono che se un soggetto è molto oltre la norma in rapidità o in correttezza anche in una sola prestazione, questo è un segnale di difficoltà specifica.

Un aspetto fondamentale che generalmente non viene individuato è quello della lentezza. Invece si tratta di un parametro fondamentale da tenere in considerazione e che spesso non viene considerato, perché gli insegnanti danno troppa importanza al parametro della correttezza considerato isolatamente.

Il problema della diagnosi rimane comunque aperto ed è attualmente al centro  del dibattito attuale.

 

 

3.4  GLI INTERVENTI SPECIFICI SULLA DISCALCULIA

 

Il testo di Andrea Biancardi [13]sulla discalculia evolutiva dedica un ampio ed interessante spazio   agli interventi riabilitativi relativi alla matematica.

Tale attività si organizza prendendo spunto dagli studi di barbara Fazio (1999) che propone, focalizzando l’attenzione su bambini che avevano avuto un disturbo specifico di linguaggio , un intervento sui seguenti centri di interesse:

1        Suggerire strategie per sopperire alle difficoltà nei fatti aritmetici, come ad esempio appoggiandosi a un fatto conosciuto procedere da questo attraverso il conteggio avanti o indietro, senza dover contare ogni volta dall’inizio.

2       Esplorare diversi modi di recupero dei fatti aritmetici attraverso immagini mentali, catene causali o altro ancora.

3       Rendere stabili le procedure per l’esecuzione dei calcoli, sia scritti che mentali, richiamando la direzione del calcolo scritto, le regole dei prestiti e dei riporti, l’incolonnamento.

4       Promuovere l’utilizzo della calcolatrice una volta che il bambino ha ben appreso le componenti concettuali e procedurali di un’operazione

 

L’équipe di Biancardi indirizza gli interventi  soprattutto a riabilitare le difficoltà con le procedure di calcolo  e con la transcodifica numerica.

Particolare importanza viene attribuita alla transcodifica numerica, cioè

alla capacità di lettura e scrittura di numeri. Infatti non esiste al momento uno strumento compensativo che sopperisca alle difficoltà di lettura o scrittura di numeri.

Grande importanza viene data alla linea dei numeri, che mentre  è poco considerata all’interno della scuola, risulta decisiva per ogni compito numerico e come base per il calcolo aritmetico. I bambini dislessici hanno difficoltà nel conteggio soprattutto all’indietro ed è importante aiutarli a controllare questi processi.

Nonostante lavorare sul sistema di calcolo sia piuttosto complesso si ritiene comunque importante farlo nella consapevolezza che una certa abilità di calcolo è necessaria in molte situazioni quotidiane, non necessariamente scolastiche e non è sempre possibile l’uso della calcolatrice.

Gli autori propongono un intervento riabilitativo che viene modulato e deciso in base all’età e alle esigenze dei bambini.

Il primo tipo di intervento viene proposto ai bambini del primo ciclo della scuola elementare per prevenire le difficoltà che ancora non si vedono: si tratta di  consolidare le attività di transcodifica numerica, di manipolazione della linea dei numeri e di calcolo mentale e scritto, per cercare di anticipare quelle abilità che potrebbero poi rivelarsi difficili da acquisire successivamente.

Il secondo tipo di intervento è dedicato ai bambini che hanno già iniziato il secondo ciclo della scuola elementare e non riescono ad acquisire le abilità previste dai programmi scolastici. Si insiste sul sistema dei numeri e su quello del calcolo con uguale intensità.

Il terzo tipo di intervento comincia a partire dagli ultimi anni della scuola primaria fino all’età adulta si prevedono interventi sulla lettura e scrittura dei numeri e nell’insegnare l’uso della calcolatrice.

Infine i terapeuti prevedono anche un’attività di consulenza volta a individuare difficoltà particolari e a suggerire strategie per superarla con l’eventuale ausilio degli strumenti compensativi.

Gli interventi specifici sono molto importanti, ma, come ho accennato più volte devono essere inseriti in un contesto più ampio di ambiente e relazionalità educative appropriate che tratterò ampiamente nei prossimi capitoli e che sono quelli indicati dai principi dell’artigianato educativo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 4: “L’APPROCCIO DELL’ARTIGIANATO EDUCATIVO”

 

 

4.1  CHE COSA E’L’ARTIGIANATO EDUCATIVO

 

L’”Artigianato educativo “è stato il titolo del 5° Convegno Nazionale di “Prevenire è possibile” svoltosi a Terni nel Febbraio 1998 ed organizzato dal professor Vincenzo Masini.

 Il progetto Prevenire è possibile aveva come scopo l’articolazione di itinerari educativi rivolti verso le personalità in disagio.

Per spiegare i fondamenti dell’artigianato educativo utilizzerò le parole di Francisco Bruno Unisci Vice Presidente I.P.P.N.W. (Associazione Mondiale Medici per la Pace) Premio Unesco 1984 e Premio Nobel per la Pace 1985

[14]L’artigianato educativo cerca di fornire un’alternativa alla nostra cultura caratterizzata dai limiti del materialismo e che conduce al blocco delle potenzialità essenziali dello sviluppo umano. Ed è proprio alla realizzazione di un percorso volto alla realizzazione dell’umanità racchiusa in ciascuna persona che si orienta l’artigianato educativo. L’obiettivo che si pone è quello di attivare percorsi, esperienze, nuovi punti di vista da assumere per costruire percorsi personali in piena assunzione di umanità; nella convinzione che nella maggioranza dei casi non ci siano patologie da rimuovere o malattie da curare. L’artigianato educativo si propone un lavoro umile e impegnativo che riesca a individuare i diversi livelli che sono alla base della immensa complessità che attornia la problematica umana. Molte volte non sappiamo guardare con attenzione le cose che ci sono più vicine .Nel loro sviluppo spesso gli uomini non riescono a realizzare quelle condizioni basilari di affettività fra loro.

Nonostante molti genitori abbiano la volontà di educare , con il meglio di sé i loro figli, incontriamo di frequente tanti bambini e  giovani che esprimono la loro più grande carenza nella povertà affettiva. La povertà affettiva è risultante di una cultura centrata sullo sviluppo egocentrico e narcisista. L’affettività invece è il valore supremo per gli esseri umani.

Quello che dobbiamo fare imparare a gestire e a sviluppare l’affettività, ed insegnare al bambino a far crescere la sua specifica potenzialità affettiva che inizia come temperamento (che risponde a caratteristiche non solo soggettive, ma anche bio-ambientali, dato che nelle diverse culture gli uomini hanno un temperamento simile) per assumere poi caratteristiche personali attraverso il carattere, le emozioni e i sentimenti.

Gli esseri umani sono un coprodotto di fattori biologici connessi alla fecondazione(da dove ereditiamo il 25% dei nostri attributi umani) e di fattori relazionali e culturali attraverso i quali prende forma la nostra psiche( il 75% che dobbiamo sviluppare attraverso il rapporto con l’altro)

Gli adulti dovrebbero capire che il loro amore per il bambino non si deve limitare a sentire la gioia, che li spinge a baciarli e a giocare con lui, ma deve conoscere e osservare le regole del suo processo di sviluppo, affinché egli possa avere , nella vita le condizioni essenziali per esprimere le sue potenzialità in forma concreta.

Solo Lo sviluppo della capacità empatica porta a interpretare correttamente il pianto del bambino così misterioso,ansiogeno ed angosciante per tutti quei genitori che cercano spiegazioni ed interpretazioni con una logica che non è quella con cui si esprime il loro piccolo.

L’empatizzazione del vissuto, che sta alla base dell’espressione del pianto, è un processo possibile solo attraverso la piena gestione dei sentimenti dei genitori che non proiettano i loro vissuti sui neonati, ma captano il senso dell’espressione del bimbo.

Attribuiscono così ad esso con correttezza la sensazione che rappresenta: dolore, paura rabbia…

Il senso fondamentale dell’amore non è soltanto di sentirsi attratti ed incantati dalla presenza i un bambino; l’amore è capire i bisogni per poterli soddisfare, con le modalità di rapporto e di azione che sono complementari ai bisogni medesimi, e non ciò che pensiamo attribuendo ad altri i processi tipici della nostra soggettività.

Empatia significa proprio questo modo di sentire e serve a questo tipo di organizzazione delle risposte educative. Il disporsi con naturalità verso l’altrui modo di esistere, dando quella modulazione complementare di emozioni e sentimenti implicitamente richiesta sui comportamenti dell’altro, è il senso ultimo dell’artigianato educativo. Una condizione di riconquistata armonia nei gruppi e nelle culture.

Queste condizioni non sono predominanti nella nostra cultura ed è eclatante osservare lo squilibrio in quasi tutti gli esseri umani che si esprime in tipologie affettivo psicologiche dominate dalla disarmonia.

 

La metodologia educativa dell’artigianato educativo inizia dalla espressione delle caratteristiche emozionali ,presenti nei soggetti e in base ad esse propone la strategie  educative che possano riequilibrare eventuali disarmonie.

Dall’analisi del singolo e delle sue caratteristiche positive si tende a creare comunità positive,come quella del gruppo classe, nella quale si crea un clima vitale che consenta l’apertura alla comprensione del sé,all’ascolto dell’altro e al superamento del disagio

 

4.2  EMOZIONI E ARTIGIANATO EDUCATIVO

 

[15]L’emozione è un moto primario della psiche, transitorio ed effimero: rabbia, paura, sorpresa, piacere, vergogna, quiete ed attaccamento sono stati precari, a cavallo tra il biologico e lo psichico che non sono prerogativa  esclusiva dell’uomo. Anche gli animali vivono tali emozioni.

L’essere umano ha qualcosa in più: la coscienza e la consapevolezza delle proprie emozioni lo conduce a modificarle, approfondirle ed orientarle.

La carica energetica interna può indurre verso la rabbia e l’aggressività se è spinta verso il risentimento, ma, se è orientata dall’affettività, diventa impegno e capacità operativa.

 La capacità di attenzione al particolare può divenire ossessione, se è sorretta dall’egoismo e dall’egocentrismo, ma può diventare cura e servizio responsabile se coniugata con l’amore e il senso di protezione per i più deboli;

 L’attaccamento può diventare dipendenza e condizionamento se è vissuto come continuo, affannoso e morboso bisogno di contatto con l’altro, se invece è gestito in funzione dei bisogni può essere il motore dell’aggregazione che, con fedeltà tiene unito un gruppo o una famiglia.

 L’eccessivo pudore e la vergogna possono essere origine della caduta di stima e fiducia in se stessi, ed anche per la formazione di invidia negli altri, oppure trasformarsi in umiltà, sensibile e concreta, disponibile al servizio, base indispensabile per esprimere una presenza discreta, assidua e amorevole.

 Molte persone non sanno poi cos’è la calma, altre non riescono invece ad uscire dalla loro apatia: i primi devono apprendere il valore della pace e della serenità, i secondi uscire dal processo di demotivazione che li imprigiona.

C’è poi chi, generosamente, si slancia nelle emozioni ma è fuoco di paglia, estemporaneo ed effimero, più alla ricerca del personale piacere nell’azione che di risultati concreti; la sua vanità lo rende instabile ed incoerente fino a quando non scopra il senso profondo dell’amore e trasformi il narcisismo in dono di sé.

L’intelligenza e l’intuizione possono condurre ad inconsistente senso di libertà, tutto mentalizzato e celebrale, tipico di persone alla continua ricerca di qualcosa di nuovo e di sempre più complesso, se però questa disposizione è rivolta a soddisfare un bisogno concreto di qualcuno diventa allora la fantasia creativa, la riflessione produttiva ed efficace.

L’artigianato educativo ha l’obiettivo di svolgere un itinerario educativo verso la consapevolezza e il benessere psicologico, nella convinzione che ogni difetto dell’individuo, se ribaltato ,nasconde la possibilità di espressione di un valore.

E’ interessante approfondire questo concetto con le parole di Mons. Pietro Gelmini Esarca Mitrato di Antiochia e di tutto l’Oriente, Fondatore della Comunità Incontro.

“L’obiettivo di ogni itinerario educativo è giungere ad una morale dell’impegno, della responsabilità, della fedeltà, della pace, del senso, della libertà. Le vie d’uscita dalla sofferenza psicologica sono : la vera consapevolezza di sé e la possibilità di aprirsi all’affettività.

La gente del nostro tempo è incline a guardare sé stessa come al principale artefice del proprio destino e della propria salvezza. Questa presunzione allontana dalla conoscenza autentica, aperta, umile, ricettiva e riverente. L’uomo partecipa all’esistenza, ma non ne è la causa. Ignorare la realtà che sostiene la nostra esistenza, credendo di essere autori e padroni dell’esistenza stessa, significa porsi in conflitto con l’ordine fondamentale delle cose.”

In tal caso il risultato è la mancanza di armonia, il disordine e persino la malattia.

L’Io non è la più importante realtà della nostra vita e lo sforzo di tenerlo costantemente al centro delle azioni e dei pensieri sta alla base delle sofferenze mentali, emotive e fisiche.

Quante volte un intervento educativo si deve arrestare di fronte alla frase :” Sono fatto così”. La prima conquista di liberta è quella di scoprire che non è vero.

Quell’essere fatto così è frutto di acquisizioni, di percezioni di conoscenze parziali connesse ad un errato percorso di vita ed all’immersione in una cultura che ha contribuito a determinare un’esistenza tutta contenuta entro gli spazi angusti dell’egocentrismo.Un uomo diventa davvero adulto quando ha superato questa fase infantile di vita; scoprendo così le numerose potenzialità che possiede se si apre umilmente alla relazione con gli altri.

Il lavoro di artigianato educativo comincia dall’analisi delle emozioni di base e ne descrive sette: paura, rabbia, distacco, piacere, quiete, vergogna, attaccamento come  componenti fondamentali del sentire umano. In corrispondenza di queste si descrivono sette tipologie di personalità corrispondenti: l’avaro, il ruminante, il delirante, lo sballone, l’apatico, l’invisibile, l’adesivo.

Le diverse emozioni di base sono l’innesco di quel sentire che diventa il personale filtro di un individuo nel rapportarsi agli altri, al mondo e a sé stesso.

L’uomo possiede una capacità di rielaborazione interna, la quale prende le mosse dal riconoscimento delle emozioni mediante il loro apparire alla coscienza, che consente di capire e orientare il vissuto. Senza la coscienza non ci sarebbe la struttura della personalità e senza essa la relazionalità. Le nostre emozioni, se orientate diventano costruttive  e si rinforzano di energia positiva.

 

Dalle emozioni nascono i sentimenti, che non nascono per caso, ma hanno bisogno della guida dell’affettività per condurre le emozioni verso il loro risultato positivo.Per l’artigianato educativo  le emozioni sono “cose “che si comunicano, si scoprono, si insegnano e si contagiano, oggetti mutevoli e modificabili.

Ciascuna emozione, anche intensa e ripetuta, può essere modificata se la si sposta verso un’altra emozione. Tale capacità artigiana dell’educatore è sempre stata messa in atto attraverso l’intuito e l’esperienza, ma corrisponde a regole precise.

 

 La mamma sa distrarre un bambino da un momento di rabbia attraverso la sorpresa o la paura, sa far passare la paura attraverso la certezza del coinvolgimento affettivo o la richiesta di avere grinta, farsi valere e darsi da fare, sa far uscire dalla vergogna, tranquillizzando, sa far uscire dalla noia e dalla pigrizia attraverso qualcosa di allettante ecc. Questi spostamenti emozionali sono indispensabili nell’artigianato educativo  e negli interventi di pedagogia speciale.

Insieme allo spostamento emozionale l’artigianato educativo si avvale anche di altri strumenti come dell’analisi delle affinità e delle opposizioni, la somministrazione del questionario di artigianato, la comunicazione educativa.

 

4.3  EMOZIONI E D.S.A.

 

I pochi dati disponibili relativi all’epidemiologia dei DSA in Italia, mostrano che nonostante si rilevi la presenza del disturbo nel 4,5 % circa della popolazione generale in età scolare, per meno dell’1% di tale popolazione il disturbo è riconosciuto e trattato come tale da un servizio: per ogni bambino con dislessia evolutiva riconosciuta, ce ne sono altri tre il cui disturbo è misconosciuto.

Questo dato è in parte giustificato dalla presenza di un’alta percentuale di morbilità tra problemi psicopatologici e problemi di apprendimento scolastico in età evolutiva.

Sul piano teorico è ancora aperto il dibattito volto a definire le ragioni e la direzione di tale comorbilità: per alcuni il disturbo di apprendimento è conseguenza–sintomo del disturbo psicopatologico, per altri il disturbo psicopatologico è il risultato di un disturbo di apprendimento primitivo, per altri ancora il disturbo di apprendimento  e i disturbi psicopatologici sono quadri clinici parzialmente indipendenti, molto frequentemente associati per il sommarsi di fattori causali comuni e di interferenza reciproca nel corso dello sviluppo.

Lo studio è piuttosto complesso e risente ancora di molte incertezze definitorie e diagnostiche relative ad entrambe le categorie del disturbo.

Pur con questi limiti esiste un corpo di dati sufficientemente ampi.

Secondo la dottoressa Penge, ricercatrice di neuropsicologia infantile, i disturbi psicopatologici più spesso associati alla Dislessia Evolutiva sono:

 i quadri depressivi,

i disturbi d’ansia,

i disturbi da Deficit dell’Attenzione (con o senza iperattività)

 i Disturbi Oppositivo-Provocatori ed i Disturbi della condotta.

Uno studio recente ha evidenziato come i disturbi di esternalizione (oppositivo provocatori e i disturbi della condotta) sono più frequenti nei dislessici maschi .

Nelle bambine con Dislessia Evolutiva invece sarebbe più frequente la presenza di quadri depressivi, mentre l’ansia sarebbe comune ad entrambi i sessi.

I fattori coinvolti sono molteplici, tra le quali,la gravità del DSA non costituisce probabilmente quello più importante.

Le frasi spesso ambivalenti, pronunciate dai bambini e dai ragazzi con dislessia evolutiva ci indicano alcuni dei meccanismi più frequenti nel percorso che porta dalla “normale “ sofferenza associata al disturbo alla strutturazione di un disturbo psicopatologico.

Fino a che età dovrò andare a scuola ? Voglio essere come gli altri. Da solo non so fare i compiti. Quando leggo, io capisco ma gli altri no.

Non mi piace leggere. Mi secca essere aiutata dalle amiche. Non voglio fare i compiti.

La cosa più difficile per molti bambini è capire, riguardo al loro iter scolastico, cosa dipende da loro e dal loro impegno e quanto e cosa dal disturbo di lettura.

Importanti sono anche: una segnalazione tardiva, la discontinuità nella storia scolastica e nelle relazioni educative; poi ci sono le variabili personali ,come le modalità di elaborazione dei conflitti e l’organizzazione di personalità, così come il ruolo che il DSA gioca nel processo di identificazione,o le variabili ambientali(famiglia e società).

Si strutturano così alcune caratteristiche psicologiche che dei bambini con DSA:

 

·         Non sapere quanto tempo serve per imparare

·         Non sapere cosa si deve ricordare

·         Dimenticare troppo

·         Sapere già tutto

·         Non vedere i propri sbagli

·         Non poter sbagliare

·         Fare resistenza di fronte ai compiti nuovi

·         Non sapere cosa si sa già

·         Non sapere cosa si deve inventare

·         Inventare troppo

·         Non sapere niente

·         Non poter autocorreggersi

·         Confondere conoscenze, opinioni e giudizi

·         Non avere curiosità

 

Così come si strutturano relazioni con adulti con i seguenti comportamenti:

 

 

·         Voler fare tutto come gli altri

·         Non saper chiedere aiuto

·         Chiedere sempre conferme esterne

·         Essere pigro,sfaticato

·         Opporsi a tutte le richieste

·         Non voler fare da solo

·         Autovalutazione sempre estrema

·         Essere provocatorio, disinteressato

 

Dall’analisi dei comportamenti descritti si può notare che le emozioni principali provate a scuola dai bambini con DSA sono quattro: la vergogna, la paura , la rabbia e l’apatia

 

La vergogna

nasce nel non riuscire a fare come fanno gli altri, nel sentirsi diversi e pertanto inferiori, nel temere il giudizio di compagni, insegnanti e genitori, nell’osservare la propria prestazione di livello basso rispetto ai canoni richiesti di tempo, correttezza e forma. Leggere di fronte agli altri per un bambino dislessico è umiliante; come lo è anche non riuscire, nonostante l’impegno, a memorizzare calcoli e tabelline.

La paura

 nasce dal temere le continue difficoltà che si trovano ad affrontare. I bambini con dsa si trovano in un ambiente scolastico che è loro ostile per struttura: fatto di scritte, di numeri e di lettura: luogo di sfide ed insidie. Sempre attenti a compensare la loro disabilità strutturano caratteri ansiosi e tesi, che cercano di controllare il più possibile la realtà che li circonda,con lo scopo di evitare scivoloni e di adeguarsi al gruppo.

La rabbia

nasce dalla frustrazione derivante da due ordini di motivi: da una parte i bambini con D.S.A. non ottengono i risultati degli altri nonostante l’impegno e la fatica; dall’altra a volte non vengono creduti. Questo accade perché non si è individuato il problema ed essi  vengono accusati di essere disinteressati e di non impegnarsi.

L’apatia

Poiché non si ottengono i livelli degli altri, non ci si sente compresi, ogni sforzo sembra inutile, a che giova impegnarsi? Meglio lasciar perdere ed anzi, scivolare in una specie di auto anestesia.

 

 Accanto a queste tre emozioni di base possono strutturarsi comportamenti, relazioni e problematiche di vario tipo.

 

4.4  DESCRIZIONE DELLE TIPOLOGIE

 

Nel paragrafo 4.2 ho accennato alle tipologie derivanti dalle emozioni di base. Adesso cerco di descrivere brevemente le caratteristiche .

 

L’AVARO

I pregi che incontriamo nell’avaro sono il suo senso di responsabilità, l’attenzione e la cura con cui sa occuparsi di cose e persone e la sua straordinaria capacità organizzativa. Egli riesce a non sprecare energie superflue, cercando di ottimizzare le prestazioni. Possiede una memoria elefantiaca e rivisita periodicamente gli ambiti di cui si occupa.

Egli costruisce una personalità intorno alla paura e dunque con questi tratti essenziali: controllo, il calcolo, l’ordine, la conservazione, l’attribuzione di responsabilità ad altri.

I tratti patologici a cui più facilmente può andare incontro sono: l’ambizione di potere, i disturbi d’ansia, i disturbi da evitamento d’ansia, i disturbi ossessivi e compulsivi, i disturbi da tic, i ritualismi, le ipocondrie, le manie.

 

Il bambino avaro: Brontolo

 

Si presenta composto, ordinato e preciso; è obbediente, rispetta le regole prevalentemente quando si sente controllato. Ha bassa sensibilità emotiva ed empatica,  tende al perfezionismo e per questo ama fare qualunque cosa in cui sa di riuscire bene. Ha poca immaginazione ed è più portato verso attività che richiedono procedure logiche. 

E’ meticoloso, con grande autocontrollo e con una forte padronanza delle azioni. Preferisce star fermo piuttosto che agire di impulso, appare molto equilibrato ma sempre teso e contratto. Le azioni gli costano comunque un grande sforzo perché ha una enorme paura di sbagliare.  Ha bisogno di scoprire il piacere del rilassamento e dell’azione libera ed appagante. La sua concentrazione su di sé può essere distolta attraverso giochi liberi in cui sia invitato a rappresentarsi nell’azione. Per lui è importante scatenarsi per scoprire le sue potenzialità e concedersi di commettere errori al fine di esplorare le parti di sé che non conosce. Il fatto di essere impegnato in attività che richiedono riflessi pronti ed istintivi può liberarlo da movimenti altrimenti congelati e rigidi.

 

IL RUMINANTE

Possiede una energia straordinaria che, se ben orientata, è indirizzata verso il bene comune. Si struttura sull’emozione della rabbia, che al positivo diventa entusiasmo e motivazione e al negativo depressione e aggressività.

I tratti patologici a cui è più soggetto sono il disturbo oppositivo provocatorio, le tendenze aggressive, il disturbo della condotta, il disturbo da eccesso di attivazione iperattiva e da deficit dell’attenzione, il disturbo paranoide di personalità, il disturbo esplosivo intermittente, la piromania, le tendenze suicidogene e i diversi episodi depressivi minori e maggiori.

 

Il bambino ruminante: Eolo

 

E’ sempre impegnato a soffiare vento ed energia; è portato per la matematica  e le attivita fisiche, ama i giochi manuali e attivi, è un po’ trasandato, si arrabbia facilmente, è ribelle e trasgressivo ed anche se è dispettoso, ha molti amici e tende a proteggere i più deboli.

E’ l’energico attivatore, reattivo, forte, trascinatore che sa imprimere carica alle sue azioni. Le sue energie lo portano ad essere iperattivo (in modo ben diverso però dall’emozionalità o dall’affanno affettivo) perché è specialista nella durata e nella resistenza, oltreché nella potenza.

In presenza di irrequietezze comportamentali, disarmonie ed aggressività (alternate all’indifferenza), fequenti in soggetti con eccesso di attivazione, sono efficaci esercizi di musicoterapia che associano all’ascolto il racconto delle impressioni suscitate dalla musica o, meglio ancora, il disegno (con pennarelli, matite, gessi o, comunque, materiali comuni e di facile uso) espressivo del brano musicale (cerchi, tratti, colori, linee, onde,…). 

 

IL DELIRANTE

Ha come nucleo di base il distacco. La sua intelligenza non si fonda sul calcolo e sulla razionalità, al contrario cerca soluzioni complesse anche se inutili o controproducenti. Egli è un intelligente e creativo portatore di libertà e di ingegno. Se riesce ad evolvere nel senso della realtà e della concretezza è un apportatore di novità. Il suo disagio consiste nella superbia, il senso d’insicurezza e la solitudine.

Lo sviluppo in direzione patologica possono condurlo verso il disturbo narcisistico, l’iperproduttività ideativa, l’incapacità di pianificazione del futuro, le difficoltà di adattamento, la dispersione in interessi non coerenti, i disturbi schizofrenici, l’anoressia nervosa.

 

Il bambino delirante: Dotto

 

Intelligente, acuto, presuntuoso, quando è a suo agio con gli adulti ha sempre una risposta pronta e puntuale. Interviene con precisione in dialoghi più grandi di lui e si presenta curioso e informato. Dotto tende a differenziarsi per autopercepirsi libero ed estendere il suo Sé. Egli è sempre un po’ al di sopra delle cose, delle persone e degli eventi. Appare saccente e si rende antipatico con facilità. Molto difficilmente riesce ad aprirsi in effusioni ed a manifestare i suoi sentimenti. Sembra che abbia una grande difficoltà ad ascoltare ed accettare le sue emozioni quasi volesse essere libero anche da quelle. 

Spesso è disarticolato nel suo sviluppo motorio pur esprimendo grandi potenzialità nel pensiero cognitivo, Il suo è il risultato di un distacco precoce dal coinvolgimento affettivo con gli oggetti e le persone, con il suo stesso corpo, tra i suoi pensieri e le sue comunicazioni, tra il suo linguaggio verbale e non verbale. Non è capace di gestire con proprietà il suo spazio di azione e nei movimenti è maldestro, non ritorna con facilità ai suoi processi senso motori dove, probabilmente, non ha espletato sufficiente piacere ed appreso efficace controllo delle diverse parti del suo corpo. Si mostra rigido, con una deambulazione disordinata e contratta, il collo teso, le braccia a penzoloni, manca i coordinamento e, pertanto, riesce malamente in quasi tutti gli sport. La frattura tra vissuto corporeo e vissuto mentale può essere l’anticipazione di processi dissociativi di crescente gravità che possono essere prevenuti attraverso la riappropriazione delle dimensioni e delle qualità del corpo.

Si presentano talvolta tratti psicotici nei bambini che se, rieducati, possono regredire e non trasformarsi in sintomi di un malessere acuto e stabilizzato. Camminare in tondo, seguire il muro dell’aula percorrendola tutta ripetutamente, seguire una linea in terra, cercare di non mettere i piedi nella congiunzione tra le piastrelle, ecc possono essere manifestazioni prepsicotiche o semplici giochi psicomotori eseguiti autonomamente. In ogni caso è importante proporre ad essi un senso, una trama ed uno svolgimento affinché il distacco della attività mentale e cognitiva non diventa un eccesso o per riconvertire quei movimenti all’aderenza alla realtà. La musica è un efficace strumento per tale fine: una marcia militare con battute del tempo su un tamburo, l’uso di nacchere, l’accoppiamento tra scarabocchi e percussioni al fine di costruire processi associativi o riassociativi sono esercizi di base. Una forma particolare di distanza critica dal vissuto corporeo è quella connessa ai problemi dell’alimentazione. In parte per i diffusi ed attuali modelli di nutrizione consumistica non equilibrata, in parte per l’espansione crescente della anoressia che colpisce, nelle forme blande e leggere, quasi il 10% della popolazione, prevalentemente femminile (1 su 10 è maschio). La distanza dal vissuto corporeo, la costruzione di un frainteso schema corporeo, alterato dai modelli di bellezza imposti dai mass media ed una relazione carica di equivoci affettivi con la madre provocano una frattura pericolosa tra ciò che è pensato e ciò che è vissuto. I segnali provenienti dal corpo vengono alterati o ingigantiti ed il corpo diventa un peso inutile, non amabile e non accettato. L’insorgenza di primi segnali di disturbi dell’alimentazione può essere riequilibrata attraverso la ripresa di un contatto corporeo non critico che conduca alla conoscenza, alla percezione dell’armonia tra le parti, all’esplorazione generalizzata dell’intera struttura corporea. Spesso infatti i disturbi dell’alimentazione coincidono con la mancata accettazione di una parte del proprio corpo, considerata brutta e da rifiutare, senza che tale “complesso”  venga mai socializzato. Gli esercizi più utili sono quelli che lo portano a disegnare il suo corpo, i suoi arti, i suoi organi e la loro collocazione, la sua destra e sinistra e la destra e sinistra nei compagni, l’acquisizione della capacità di muoversi con attenzione valutando la  velocità, la valutazione della propria posizione in relazione con gli altri, gli esercizi di manipolazione degli oggetti (come impastare, ad esempio), il rispetto dell’orientamento e delle regole nel gioco di gruppo.  

 

LO SBALLONE

L’emozione di base è il piacere nella fusionalità . Egli sa slanciarsi ed accendersi nelle sensazioni della vita. Quello evoluto sa generosamente regalare emozioni e sentimenti. E’ un animatore, poeta, musicista, coglie il fascino di ogni persona. Il suo disagio nasce quando non riesce ad ancorare le proprie sensazioni e cade nella malinconia e nell’angoscia.

Gli stati patologici possono essere l’isteria, i disturbi sessuali e l’identità di genere, il disturbo istrionico di personalità, i disturbi di sonnambulismo, i disturbi da enuresi.

 

Il bambino sballone: gongolo

 

Si presenta come un bimbo scatenato e incontenibile, allegro e giocoso che cerca di trasformare ogni cosa in scherzo, si mette in mostra, parla in continuazione, è vanitoso, fantasioso ma volubile. Passa da una emozione all’altra, nei momenti di vuoto si annoia. Ricerca sempre il gioco, si muove senza sosta, disturba le attività di gruppo. Il bambino tende alla esclusiva ricerca del piacere nei suoi movimenti e nelle sue azioni: lancia oggetti per il gusto dell’effetto prodotto, rompe i giochi, suoi e degli altri, evita la concentrazione ed il gioco costruttivo ed ordinato, ama esprimersi con prontezza di riflessi, estemporaneamente, senza una logica o un fine preciso. Nei momenti critici di esaltazione perde ogni forma di controllo di sé, trema, si agita, corre. Giunge a manifestazioni  emozionali in cui appare addirittura stordito o in preda ad agitazione incontenibile. Nei livelli più acuti le sue manifestazioni appaiono sotto forma di sintomi isterici. Ha bisogno di disciplina: in primo luogo di fare un gioco alla volta o di avere un giocattolo alla volta e di esplorarlo nelle diverse parti, in secondo luogo di imparare come funzionano i giochi (costruire file e pile di giocattoli), in terzo luogo di apprendere ad usare il suo corpo con crescente abilità e controllo dei meccanismi di azione. Sono da evitarsi giochi come correre in forma libera, saltare o agitarsi senza controllo, urlare e improvvisare soluzioni. Sono da prediligere tutti gli esercizi che consentono lo sviluppo di un autocontrollo progressivo degli schemi motori e che conducono ad un uso appropriato degli oggetti.

 

L’APATICO

L’emozione di base è la quiete. Il suo disagio consiste nella mancanza di motivazione, volontà e desideri, dà l’impressione di essere assente, annebbiato, stordito. La sua dote è essere portatore di pace, essere capace di fare calma, di non lasciarsi coinvolgere dalle emozioni e dai conflitti, capace di spengere le tensioni.

I suoi disturbi patologici si esprimono nell’abulia, in molti disturbi cosiddetti fittizi, nella amnesia dissociativa, nel disturbo di spersonalizzazione, , nella ipersonnia primaria.

 

Il bambino apatico: Pisolo

E’ un pigro che tende a rinunciare all’attività  per la fatica e l’impegno che richiede. Il bambino apatico tende a scivolare nell’indolenza e nell’ascolto di sé, dei suoi sogni e delle sue fantasie esprimendo in esse il meno possibile delle sue energie. I motivi dell’apatia sono molteplici: mancanza di stimoli, condizioni di emarginazione e solitudine, mancanza di affetto o, sovente, autoanestesia per  evitare di percepire dolori interiori.

Un importante elemento motivazionale da tener presente è la capacità di eleganza nell’apatico e la sua disposizione alla mira , alla destrezza e alla coordinazione. Attraverso esercizi che diano a lui la soddisfazione dell’esercizio ben compiuto è possibile guidarlo ad una maggior motivazione al movimento.   

Il teatro, nello specifico della  pantomima, è un altro importante strumento per motivare all’espressività .

           

L’INVISIBILE

L’emozione di base è la vergogna come una emozione che va dall’imbarazzo, al pudore, all’inibizione. E’ un soggetto sensibile che manifesta una diretta inclusione di se stesso nelle emozioni che sprigionano dai rapporti. La sua risorsa è la capacità di sopportare il dolore la sofferenza e di sollevare gli altri . I copioni negativi sono la gelosia e l’invidia, la falsità, le strategie di aggressività dissimulate.

Le patologie sono l’alcolismo, il disturbo di attaccamento di tipo inibito, i disturbi di tipo autistico, il disturbo evitante di personalità, le fobie specifiche le ipocondrie, i disturbi di balbuzie e gli incubi.

 

Il bambino invisibile: Mammolo

 

E’ un bambino o un ragazzo che vive nella tenerezza della sua grande sensibilità. Tale capacità sensibile è però mal utilizzata perché gestita nella convinzione che anche gli altri siano sensibili come lui. Egli riesce a captare le minime perturbazioni dell'animo di chi gli sta intorno e si è esercitato per lungo tempo nella sua solitudine a questa modalità di rapporto. Non potrà andar d'accordo con il disinibito sballone che si manifesta senza alcun senso di pudore e soffrirà a fianco dell'oppressivo ed "insensibile" avaro. I suoi punti di contatto sono con l'apatico, di cui condivide la fuga nel disimpegno, e con l'adesivo perché sente il grande bisogno di essere accettato ed amato e compreso gratuitamente da qualcuno. Il rischio dell'invisibile è quello di precipitare dentro di sé e di perdersi nelle sue fobie.

Il bambino invisibile è un introverso che non riesce a gestire la sua sensibilità per l’eccesso di significati che percepisce dai segnali della realtà. Quando i significati sono troppo carichi di simboli inquietanti  vive in un mondo che lo sovrasta e lo minaccia e rischia di  precipitare in forme di relazione fobica con gli oggetti. Si sente piccolo e indifeso, inferiore agli altri e incapace, inutile e intrappolato nella vergogna o nel panico. La sua sensibilità, quasi sensitiva, lo può condurre a vissuti autistici nei quali rischia di rimanere intrappolato. I suoi percorsi di crescita mediante attività psicomotoria  si centrano sulla liberazione del coraggio, dell’attivazione e dell’intraprendenza. Camminare, correre, saltare, arrampicarsi, orientarsi, fermarsi a comando, riprodurre i movimenti degli altri, camminare su tracciati, su cordicelle riposte a terra per consolidare l’equilibrio ed imparare a gestire la vertigine, utilizzare attrezzi, sviluppare la lateralità e la propria posizione salda nella realtà lo aiutano a crescere e a prendere coraggio.

 

 

L’ADESIVO

 

L’emozione di base è l’attaccamento inteso come bisogno, necessità di una presenza al suo fianco. La mancanza della madre, l’assenza di un adulto che la sostituisca, la perdita del padre o la deprivazione affettiva conducono verso il copione affettivo. Può essere davvero appagato l’adesivo che riceve molto più di quello che chiede. Le sue risorse consistono nell’essere un ottimo gregario, è affettuoso,sensibile, affezionato e premuroso. Il suo copione di base è incentrato sul desiderio di sperimentare la situazione di attaccamento, di cui è continuamente in attesa come una promessa non mantenuta.

Le patologie sono la bulimia, la disposizione alla dipendenza.

Il bambino adesivo: Cucciolo

E’ un bambino o un ragazzo che manifesta un forte bisogno di attenzione e di riconoscimento. Si presenta disordinato, con poca cura di sé poiché la scarsa attenzione materna e paterna verso di lui hanno fatto sì che anche lui non abbia attenzione per sé.  La sua  ricerca di attenzione lo porta ad essere appiccicoso ed insistente ed a manifestare una richiesta continua di  cura. Si attacca molto anche agli oggetti (ciuccio, giochi, luoghi, etc.).

E’ un bimbo lento, impacciato, che tende al sovrappeso per un rapporto non equilibrato con i cibi. Tendenzialmente è incline alla bulimia. Manifesta il bisogno di rapportarsi a se stesso ed agli altri in maniera separata e distinta, deve altresì imparare a gestirsi da solo, senza bloccarsi in movimenti ripetitivi e di dondolio. Può essere utile per lui ascoltare se stesso, il battito del suo cuore, la sua voce esteriore ed interiori, imparare a posizionarsi nella relazione con gli altri, valutare le distanze tra il corpo e gli oggetti, svolgere giochi creativi. Il modello di comportamento adesivo è tipico di persone con ritardo mentale; l’attività psicomotoria più utile è rivolta alla scoperta dell’equilibrio, della coordinazione e delle abilità psicomotorie.  Camminare e correre lungo un percorso, camminare rappresentando animali, in equilibrio su blocchi, lanciare un pallone con mira, prendere al volo una pallina, camminare a quattro gambe . Leforme espressive connesse alle tecniche di respirazione (soffiare sulla candela, soffiare nelle mani emettendo suoni, soffiare palloncini, soffiare su piume, bolle di sapone e, successivamente, trasformare il soffio in sibilo, il sibilo in fischio.

 

 

 

 

4.5  LA STORIA DI GIULIA

 

Di seguito racconterò le storie di due bambini che chiamerò Giulia ed Andrew e che ho conosciuto durante la mia esperienza scolastica. Il periodo a cui si riferiscono queste due storie risale a diversi anni fa, quando purtroppo non conoscevo prevenire è possibile e neppure avevo competenze relative ai disturbi specifici. Leggendole si può comprendere l’importanza dei due approcci nel mio percorso formativo e la difficoltà in cui spesso si trovano, da soli, bambini, genitori ed insegnanti.

 

Giulia è una bambina che ho conosciuto all’età di sei anni, per la quale non è ancora stata effettuata diagnosi, perché i genitori non hanno voluto riconoscere il problema e perché il caso non si mostrava così chiaro da richiedere un intervento specialistico  .

Infatti Giulia riusciva a compensare le proprie difficoltà e quindi otteneva saltuariamente risultati adeguati o buoni nelle prove oggettive somministrate.

Questa capacità di ottenere buoni risultati, dovuta anche all’estrema cura delle insegnanti e dei genitori nel seguirla nel suo percorso scolastico, facilitato anche dal fatto che la classe era costituita da pochi alunni e pertanto permetteva un adeguamento dei modi e dei tempi alle esigenze degli allievi, è stata probabilmente la causa principale della mancata diagnosi, accanto alla paura, magari inespressa di citare  disabilità ancora sconosciute ai più e per questo molto inquietanti, accompagnata dalla consapevolezza che una mancanza di legislazione adeguata comporta una scarsità di benefici anche di fronte ad una diagnosi. Il carattere di questa bambina è stato complesso fin da subito, ma oggi alla luce delle nuove competenze acquisite mi pare di più semplice interpretazione. Non presentava un linguaggio sciolto, ma anzi trovava difficoltà ad esprimere le proprie idee, accanto ad un pressante desiderio di farlo.

 La sua personalità creativa si sviluppava interiormente, perché i suoi tentativi di condividere il proprio pensiero risultavano goffi e suscitavano l’ilarità degli altri.Spesso utilizzava termini errati o esprimeva concetti apparentemente non collegati con l’argomento in questione. Si trovava in una classe di soli maschi, con un’unica compagna femmina e soffriva per la mancanza di amicizie, ma soprattutto per essere incompresa. I suoi risultati incostanti e la sua difficoltà ad esprimersi portavano gli altri ad accusarla di essere essa stessa la causa dei propri fallimenti, o per mancanza di concentrazione o per rifiuto di applicarsi. Alla luce del mio percorso formativo credo che questa bambina facesse una fatica terribile per riuscire a stare al passo degli altri e non procedeva in modo lineare: alternava momenti di apparente blocco nei quali probabilmente fatica cercava strategie compensative. Si presentava di difficile gestione dal punto di vista relazionale, perché talvolta si rifiutava di rispondere, in altri casi piangeva rabbiosa perché si riteneva offesa dai compagni o dalle insegnanti. Spesso si isolava dal gioco e rimaneva sola in disparte. Ricercava pedissequamente l’attenzione degli insegnanti, anche delle altre classi ,spesso in modo piuttosto bizzarro o infantile.

Svolgeva puntualmente e con cura tutti i compiti che le venivano assegnati e riusciva talvolta ad ottenere risultati anche brillanti. Era la più organizzata nella gestione dei materiali scolastici e dei compiti assegnati, tanto che veniva definita “la segretaria” dell’insegnante, perché ricordava perfettamente ogni impegno e ogni scadenza. Dal punto di vista del rendimento ha effettuati un  percorso scolastico adeguato, ottenendo una formazione abbastanza completa, ma credo che abbia pagato e stia ancora pagando ad un caro prezzo in termini di strutturazione della propria identità personale e di costruzione dell’autostima. Per inquadrare il suo profilo dal punto di vista dell’artigianato educativo possiamo dire che Giulia presentava tratti dell’avaro, dell’adesivo e del ruminante.Le caratteristiche dell’avaro e quindi l’emozione della paura nascevano dal fatto che Giulia viveva nel timore  di non riuscire, di non ricordare, di non saper  esprimere in  termini giusti quello che aveva esattamente compreso. I suoi sporadici interventi “ illuminati” stupivano infatti non raramente, ma accanto ad essi vi erano miriadi di espressioni confuse e in apparenza poco attinenti.

Su questa emozione andava strutturando atteggiamenti utili, come un’estrema organizzazione, sicuramente eccessiva per una bambina di quell’età e una grande attenzione a tutto ciò che le avveniva intorno; cosa che però la rendeva inevitabilmente tesa e ansiosa. Gli aspetti del ruminante si evidenziavano quando esprimeva la propria rabbia col pianto, con stizza, con risentimento violento.

Le caratteristiche dell’adesivo si evidenziavano con l’affannosa ricerca di attenzioni e di conferme. Nel tempo Giulia ha cominciato a strutturare atteggiamenti da invisibile, contrari alla sua natura, perché in realtà lei sarebbe stata piuttosto eccentrica e protagonista. Tendeva però  a isolarsi per non ricevere umiliazioni o per non essere respinta e non collezionare fallimenti.

 

L’artigianato educativo si propone come strategie d’intervento di potenziare le carenze individuali suscitando il più possibile le emozioni più carenti per nutrire l’animo di chi ne è privo ed equilibrare il proprio sentire e quindi il proprio essere.

 

Nel caso di questa bambina una eventuale diagnosi di DSA con l’atteggiamento giusto di genitori e insegnanti avrebbe automaticamente ottenuto spostamenti emozionali.

Il far luce in sé, comprendendo l’origine organica delle proprie difficoltà ,avrebbe avuto un triplice effetto: in primo luogo capire porta già ad un primo livello di accettazione, diminuisce l’ansia e il risentimento.

La comprensione degli altri e la non imputabilità a cattiva volontà dei propri fallimenti avrebbe condotto a un maggior attaccamento a sé stessi e quindi ad una possibile autostima, che  invece risulta fugace in ricerca continua di conferme esterne. Si otterrebbe pure una minor rabbia, con l’accettazione e la consapevolezza realistica dei propri limiti e delle proprie possibilità.

Attraverso la contrattazione metacognitiva dei risultati da raggiungere si abbatterebbe l’ansia e si aumenterebbe la soddisfazione per i risultati raggiunti.

Dal punto di vista educativo questa tipologia di bambina avrebbe avuto bisogno di insegnamento, tranquillizzazione, sostegno, gratificazione e incoraggiamento, ma non  di rimprovero. Infatti si tratta di una bambina già tesa nella ricerca del risultato, molto motivata e responsabile . L’insegnamento deve essere inteso come “apprendere ad apprendere”, far prendere coscienza di processi, modelli e rappresentazioni. L’adesivo ha bisogno di spostare il suo bisogno di attenzione verso l’analisi della realtà e anche l’invisibile in questo modo depotenzia la scarsa autostima verso una più serena e pacifica accettazione delle cose. [16]“E’ il caso dell’ammalato o del ferito che presenta piaghe vistose da cui è necessario non farsi impressionare ed anzi trattare con distacco. “ La gente qui ha visto di peggio nella vita!”

L’educatore per attuare l’insegnamento deve spegnere dentro di sé ogni forma, da lui empatizzabile, di compassione nei suoi confronti ,ma ricavare dall’ambiente l’atarassia indispensabile.

La tranquillizzazione spenge l’ansia dell’avaro e calma la tensione del ruminante.

La gratificazione è una comunicazione di cui tutti hanno bisogno,seppur differentemente modulata.

L’incoraggiamento sposta l’invisibile verso l’attaccamento al risultato e conseguentemente a sé stesso.

Il sostegno è importante perché il bambino arrabbiato può essere sostenuto standogli a fianco, sostenendo la sua necessità, ma orientandolo a capire che la sua esagerazione può essere pericolosa.

Infatti il ruminante non riesce ad avvertire, nel pieno della tensione, i pericoli e i rischi che corre. L’orientamento silenzioso e guardingo gli trasmette prudenza.”

 

4.5 LA STORIA DI ANDREW

 

Andrew è un bambino che riesce negli apprendimenti fino alla terza elementare ,età che coincide con una separazione familiare per lui estremamente dolorosa. In questo periodo si accentuano le sue difficoltà nell’apprendere. Fino a quel momento era semplicemente scorretto ortograficamente.

Comincia ad avversare la scuola, mostra atteggiamenti distruttivi verso alcuni oggetti scolastici (matite spezzate foto strappate), accusa mal di testa, non riesce ad apprendere le tabelline e ha grandi difficoltà a copiare alla lavagna.

Comincia poi anche ad aumentare la sua carica aggressiva nei confronti dei compagni, fino ad assumere atteggiamenti tipici del “bullo”.

Afferma di non sopportare la scuola, passa molto tempo con la testa appoggiata sul banchino alterna fasi di depressione ad altre in cui è molto eccitato e confusionario, ad altre ancora in cui è rabbioso ed oppositivo. Non progredisce negli apprendimenti e crea disturbo all’attività della classe.

Le insegnanti informano il dirigente e chiedono la collaborazione della madre, poiché il padre risiede lontano per motivi di lavoro.

La madre assicura di aver portato il bambino privatamente da un neuropsichiatria infantile il quale non ha riscontrato patologie, ma ha soltanto evidenziato un problema caratteriale.

Le insegnanti comunque non riescono mai a ricevere una documentazione o una relazione scritta sul caso.

Lavorano quindi da sole senza la minima collaborazione. Il dirigente scolastico partecipa ad alcuni incontri con la madre e gli insegnanti, ma ogni intervento è una goccia in un oceano di disagio. Con il passare del tempo Andrew ottiene un lieve miglioramento in occasione del riavvicinamento della figura paterna, per cui progredisce negli apprendimenti in misura sufficiente a ottenere il passaggio alla scuola media.

Si tratta evidentemente di un caso veramente complesso nel quale vanno ad intersecarsi fattori cognitivi, neurologici e familiari.

Sicuramente vi è la presenza di un disturbo dell’apprendimento nell’area dell’ortografia, del calcolo e della copia alla lavagna. Purtroppo trattandosi di un bambino molto particolare, l’aspetto caratteriale ha preso il sopravvento sugli altri aspetti.

Probabilmente però la presenza delle difficoltà ad apprendere hanno aggravato la sua sofferenza. La madre ci raccontava essa stessa la sua incapacità da bambina a memorizzare le tabelline e questo ci potrebbe far supporre una familiarità genetica che statisticamente è decritta nei D.S.A.

Anche molti dei suoi comportamenti risultano in quelli descritti nei bambini con D:S:A. Infatti egli si dimostrava oppositivo e provocatorio, aveva disturbi della condotta; mostrava attacchi d’ansia sotto forma di attacchi di panico e a volte presentava quadri decisamente depressivi, oltre a deficit nell’attenzione. Possiamo dire che questo bambino presentava in un solo caso tutte le possibili problematiche psicologiche connesse con i disturbi specifici di apprendimento.

L’elemento però più caratterizzante era secondo me l’aspetto aggressivo, anche autodistruttivo. Andrew si sentiva incompreso e forse lo era realmente, ma per gli insegnanti troppo difficile riusciva districarsi fra le molteplici sfaccettature.

Per questo caso gli interventi non mi sono chiari neppure a oggi, perché accanto alla sua ruminanza aveva senza dubbio tratti di adesivo e di sballone, quando non sprofondava nell’apatia.

Di carattere forte ed orgoglioso odiava sbagliare e si bloccava alla minima difficoltà. Era un leader purtroppo negativo e non riuscivamo a farlo lavorare se non ricattandolo minacciando di far saltare la ricreazione a lui e ai compagni. E stata una situazione molto dura, che ci ha sorpreso e stupito. Questo bambino aveva un punteggio bassissimo sull’avaro, perché non riusciva minimamente ad organizzarsi e a strutturare la propria vita. Spesso non veniva a scuola perché la madre non lo svegliava .

Ripensando a questo caso credo che la scuola spesso si trova ad affrontare problemi più grandi di lei e comunque dovrebbe riuscire in qualche modo a dare maggior spazio all’aspetto umano, affettivo, ed educativo. Purtroppo a volte si perdono di vista le priorità, sia per la scarsa formazione psicologica e sociale dei docenti, che per la rigidità della struttura scolastica che spesso lega le mani e impedisce flessibilità e rispondenza ai bisogni dei bambini in difficoltà. Probabilmente in questo caso la scuola dovrebbe lasciare più possibilità al bambino di autodeterminarsi e di scegliere i propri obiettivi, attraverso contrattazione di obiettivi, tempi e spazi e attraverso una continua metacognizione.

La ruminanza di questo bambino è aumentata a dismisura perché alimentata su più fronti. Dall’altra parte sono a lui mancate figure di riferimento capaci di sostenerlo comprendendolo, ma facendoli intravedere la pericolosità di certi atteggiamenti, per sé stessi e per gli altri. I genitori assenti o incapaci, gli insegnanti assillati dal programma non sono riusciti a curare la sua anima dolente e ferita.

Sarebbe stata necessaria una enorme dose di apatia per non cedere alle continue provocazioni e una fermezza serena capace di bloccare atteggiamenti irresponsabili dannosi. Ma in situazioni così complesse risulta veramente difficile intervenire.

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 5 : LA SITUAZIONE SCOLASTICA

 

 

5.1: LA PERCEZIONE DI ALUNNI, GENITORI ED INSEGNANTI

 

I D.S.A sono disturbi dello sviluppo che determinano difficoltà molto rilevanti nell’acquisizione delle abilità scolastiche di lettura, scrittura e calcolo, cioè di quelle abilità che costituiscono il nucleo principale dell’istruzione, almeno nei primi anni di scolarizzazione. La ricerca scientifica in questi ultimi anni ha dato un notevole contributo alla chiarificazione della natura di questi problemi che fino a qualche anno fa venivano fatti risalire a non meglio determinati problemi di origine psicologica del bambino nei confronti della letto- scrittura. Questi disturbi a volte sono preceduti da un ritardo nell’acquisizione del linguaggio verbale, ma a volte si presentano anche in soggetti che fino al momento dell’ingresso a scuola possono non aver manifestato problemi di alcun genere. La comparsa di una difficoltà inattesa genera sconcerto negli adulti, frustrazione e disorientamento nel bambino che fino a quel momento non aveva mai ricevuto messaggi di inadeguatezza o di preoccupazione per le sue prestazioni. Comincia allora una storia che purtroppo è molto frequente.

L’insegnante si interroga sull’impegno del bambino, sulle sue condizioni familiari, fa spesso congetture astruse sulle sue condizioni familiari, lamenta scarso impegno, disinteresse, rifiuto, a volte problemi di comportamento in classe. I genitori sono perplessi e spesso oscillano fra comportamenti severi e punitivi con inviti all’impegno e lunghi periodi di attesa impotente sperando che il tempo aggiusti ogni cosa.

I bambini sono i più indifesi e i più incompresi.Dovendo affrontare quotidianamente il calvario delle difficoltà per un tempo lunghissimo (almeno 4-5) ore senza la comprensione e l’aiuto di nessuno, reagiscono nei modi più disparati.

C’è chi si ammala, chi manifesta disturbi psicosomatici (vomito, mal di testa..) al momento di andare a scuola, chi rifiuta testardamente le attività e chi vi si sottrae opponendosi aggressivamente alle richieste, e infine c’è chi cerca di scomparire nel gruppo dei compagni mascherando il più a lungo possibile le difficoltà con stratagemmi vari.

Il risultato di questo grande malinteso è che non solo il bambino non viene aiutato nella fase in cui ne avrebbe proprio un gran bisogno, ma queste errate interpretazioni delle sue difficoltà ostacolano il suo recupero e allontanano l’intrapresa di un percorso di facilitazione.

In questo caso l’incapacità di cogliere il primo manifestarsi di questo disturbo fa sì che la scuola, oltre a non aiutare il bambino, inconsapevolmente renda ancora più difficoltoso il suo percorso aggiungendo ostacoli a quelli che già ci sono.

Molti ragazzi o giovani adulti dislessici ricordano ancora l’accusa di non aver studiato, rivolta loro dall’insegnante dopo l’ennesimo insuccesso nelle tabelline o nel riferire la lezione, come un’ingiustizia intollerabile.

La frase più tipica, non hai studiato abbastanza, viene vissuta come insopportabile, ingiusto e perfino beffardo quando viene rimandato a chi ha trascorso lunghi pomeriggi nel tentativo di vincere per una volta le difficoltà  e non fare brutta figura davanti all’insegnante e ai compagni.

Il risultato è che i bambini raggiungono la convinzione che è inutile fare degli sforzi, perché l’insegnante non rimarrà mai soddisfatto; ormai si sentono classificati come incapaci ed è impossibile per loro modificare quell’etichetta. Il bambino si rassegna, e si convince che lui non è intelligente come gli altri.

Purtroppo ancora il corpo insegnante non ha ricevuto una formazione scientifica adeguata su queste problematiche e non possiede gli strumenti per interpretare correttamente le difficoltà dei bambini con i quali deve lavorare. La base neurologica dei D.S.A. deve portare a decolpevolizzare tutti gli attori della vicenda: genitori, bambino, insegnanti, dall’altra non deve essere un alibi per non aiutare il bambino scaricando le responsabilità solo sullo specialista .

Infatti il fatto che un disturbo abbia una base biologica non significa che sia di competenza esclusiva degli specialisti.

Ci sono molte altre condizioni organiche che determinano disturbi funzionali, ma che possono essere contrastati con misure non specialistiche, ma con semplici correzioni del nostro comportamento abituale. Ad esempio la scoliosi viene contrastata con la ginnastica, la tendenza all’obesità con la dieta e il moto ecc..

Così i DSA possono essere contrastati con correzioni della didattica. Il fatto che un disturbo abbia una base costituzionale non significa che le sue conseguenze funzionali siano immodificabili. Anzi tutti i disturbi costituzionali si modificano in funzione del tempo e delle misure che vengono adottate piuttosto che con interventi taumaturgici e immediatamente risolutivi. Il fatto che questi disturbi non scompaiano tuttavia non impedisce che si modifichino sostanzialmente nel tempo, fino a far scomparire nel tempo i loro effetti.

Dunque anche i DSA possono essere contrastati e i loro effetti funzionali ridotti in misura notevole.

Gli interventi devono essere valutati accuratamente per non incorrere nel seguente errore: accade frequentemente che nelle attività specifiche predisposte dall’insegnante per correggere un errore, come la confusione fra b e d (ad esempio delle schede ortografiche) il bambino riesca a identificare correttamente le corrispondenze, ma poi l’errore può ricomparire nel compito naturale di scrittura.

Questa contraddizione nasce proprio dal fatto che in realtà il meccanismo che provoca la confusione tra due lettere non è stato modificato in sé, ma che il soggetto ha imparato a correggere le sue risposte in alcune condizioni specifiche. Quando queste condizioni cambiano, il risultato ottenuto non si manifesta più.

Dunque in questo caso non possiamo dire che l’errore di identificazione della lettera è stato corretto, in quanto per poter fare una simile osservazione bisogna che l’errore non ricompaia in nessuna condizione. Di solito le spiegazioni che vengono date in ambito scolastico chiamano in causa l’attenzione oppure la motivazione del bambino.

Spesso questo viene invitato a stare più attento o a impegnarsi di più, dato che in alcune situazioni si è mostrato capace di trovare le risposte giuste.

Questa spiegazione sbagliata si basa su una mancata conoscenza della natura dei processi e sui loro meccanismi di automatizzazione.

Il soggetto ha imparato a ignorare la risposta alla singola componente di analisi della lettera attraverso un processo di analisi più globale delle componenti dell’intera parola. Come corollario di queste due affermazioni va ricordato che, in tutti i disturbi funzionali, se non si adottano le misure adeguate, non solo non si ottengono miglioramenti, ma addirittura la situazione può essere peggiorata.

Quali misure possono essere prese in campo scolastico? Il discorso è veramente ampio e cercheremo di fornire alcune indicazioni generali.

Innanzitutto le osservazioni nei bambini che presentano difficoltà devono essere condotte precocemente, in modo sistematico e fasico: devono cioè essere approntate adeguate situazioni di osservazione avvicinando progressivamente la proposta al livello del bambino, e ripetendo tale valutazione più volte nel tempo.

Si apre poi il capitolo degli stili di apprendimento e delle strategie didattiche diversificate. Per esemplificare si possono citare ad esempio quei bambini che, a causa delle difficoltà sopraelencate, non sono in grado di apprendere il corsivo e sono invece in grado di utilizzare lo stampato maiuscolo. Ci sono molti accorgimenti che facilitano la didattica che permettono di adattarsi meglio ai bambini con DSA.

Spesso la scuola invece si presenta rigida, non sa interpretare le difficoltà di questi bambini; essi lo comprendono e la rifiutano. E’ auspicabile invece costruire un ambiente che li aiuti nel loro faticoso percorso. Se si vogliono ottenere dei risultati è necessario cambiare l’ottica dell’apprendimento ed essere flessibili riconoscendo le differenze fra addestramento e compiti naturali e accettando comunque le differenze di prestazione nei diversi contesti funzionali. E’ importante accettare i risultati parziali e riconoscere che il bambino si applica con successo in alcuni ambiti.

 

5.2 PROCESSI AUTOMATICI E PROCESSI CONTROLLATI

 

Per spiegare il fenomeno ricorrente dell’incostanza nell’identificazione delle lettere e quindi della comparsa saltuaria degli errori e importante conoscere la distinzione tra processi automatici e processi controllati in quanto il loro ruolo consente di esaminare sotto una luce diversa l’apparente incoerenza delle prestazioni che stiamo esaminando.

[17]“Si definiscono processi automatici tutte le attività che vengono eseguite dal soggetto in modo rapido e preciso, senza che vi sia la necessità di una programmazione specifica ,frutto di un allerta focale e continua nel corso dell’esecuzione del compito.”

In sintesi

I processi automatici

§        Sono inconsci

§        Sono preattentivi

§        Sono guidati dallo stimolo

§        Hanno capacità di funzionamento illimitata

§        Agiscono in modo parallelo

§        Sono predisposti per le attività durature

§        Comportano basso consumo di risorse

§        Sono appresi o innati

§        Sono rigidi, adatti per compiti ripetitivi

§        Richiedono un allerta generico

I processi controllati

§        Sono consci

§        Sono attentivi

§        Sono guidati dal concetto

§        Hanno capacità di funzionamento limitata

§        Agiscono in modo seriale

§        Sono disponibili per tempi limitati

§        Comportano alto dispendio di risorse

§        Sono tipici delle attività riflessive

§        Sono flessibili, impiegati in compiti creativi

§        Richiedono un’allerta focale.

 

Le attività linguistiche, la motricità spontanea, ma anche la lettura e la scrittura sono possibili proprio perché buona parte delle componenti dei processi è stata automatizzata.Noi possiamo parlare o comprendere il linguaggio perché i processi di articolazione e quelli di riconoscimento dello stimolo acustico sono automatizzati. Lo stesso si può dire per la comprensione di un testo scritto e per la stesura di un elaborato che sono rese possibili dalla disponibilità automatica dei processi di conversione tra suoni e segni.Se i processi di codifica o di articolazione sono stati appresi ma non sufficientemente automatizzati, le attività complesse non possono essere realizzate, oppure possono essere realizzate solo per pochissimi istanti, o in maniera intermittente, o in modo impreciso.Se ad esempio siamo costretti a parlare una lingua che conosciamo poco, troviamo molto imbarazzo e difficoltà per il fatto che i processi di lessicalizzazione e di pronuncia richiedono troppa attenzione e non ci consentono di elaborare il messaggio.In questa fase di apprendimento dobbiamo accontentarci di esprimere ciò che vogliamo dire con frasi contratte, spesso sgrammaticate e con errori di pronuncia, poiché non possiamo controllare contemporaneamente tutti i processi che sono implicati.Lo stesso accade se dobbiamo ascoltare una conversazione: il riconoscimento delle parole prodotte dal nostro interlocutore ci costringono ad uno sforzo di attenzione che  possiamo produrre solo per un tempo limitato. Questo tipo di attenzione non è generica, bensì focale, ed è tipica dei processi controllati poiché viene indirizzata volontariamente; la sua intensità può essere regolata intenzionalmente , ma provoca un elevato dispendio di risorse: per questo può essere impiegata solo per brevi periodi.

Possiamo utilizzare i concetti appena esposti per comprendere cosa accade ad un bambino dislessico che non riesce a trasferire nell’attività comune di lettura la corretta identificazione della lettera (che invece riesce a riprodurre nelle schede ortografiche)

Nell’attività di recupero ortografico proposta attraverso schede, il bambino è sollecitato a indirizzare un’azione focale proprio sul processo di conversione tra suono e segno (o viceversa), tra l’altro in condizioni molto restrittive in quanto spesso le scelte vengono proposte fra un numero molto limitato di possibilità e di contesti.

Nelle attività di scrittura di un testo o di lettura, questi stessi processi di conversione ricevono un’attenzione molto limitata in quanto distribuita su molti elementi e indirizzata sul processo di riconoscimento della parola o addirittura di comprensione della frase, oppure sono impegnati nel processo di elaborazione dell’enunciato. Il processo di decodifica può dunque esplicarsi efficacemente solo se i meccanismi di conversione sono corretti e ben automatizzati. Se entrambe queste due condizioni sussistono tutto funziona bene, ma se anche solo una di queste due caratteristiche non è presente il processo può subire diverse modificazioni.

Anche l’esortazione dell’insegnante a “stare più attento” è inutile, se non impropria, in quanto questi compiti vanno realizzati con allerta generico o con attenzione automatica e non con allerta focale.

La lettura e la scrittura sono infatti attività continue che richiedono la ripetizione di meccanismi di conversione per tempi anche molto prolungati.

Pertanto l’invito dell’insegnante nelle migliori delle ipotesi sortisce un effetto momentaneo transitorio, in quanto può provocare una serie di picchi attentivi, ma non provoca un miglioramento stabile e definitivo della prestazione.

Anzi le continue esortazioni a stare più attento producono nel bambino un rifiuto del compito e rafforzano in lui l’idea che l’insuccesso dipende dalla scarsa volontà, cioè da un’insufficiente capacità di controllare l’attività.

Tuttavia gli ulteriori sforzi che egli compie per cercare di obbedire alle esortazioni e soddisfare le aspettative hanno scarsa probabilità di portare a un risultato positivo.

La conoscenza di questi aspetti può permettere agli insegnanti di comprendere che è necessario contrastare l’atteggiamento classico che deriva dalla concezione lineare degli apprendimenti, secondo la quale si ha una progressione aritmetica in base alla quantità degli stimoli e in generale attribuisce all’istruzione un potere di modellamento delle capacità del soggetto.

 

La neuropsicologia ha dimostrati che la plasmabilità non è possibile in tutte le condizioni,ma che la presenza di particolari costruzioni della struttura corticale può rendere meno flessibile e meno adattabile il nostro sistema di apprendimento e a volte lo rende addirittura impermeabile all’istruzione diretta di alcuni meccanismi.

 

E’ un concetto da diffondere e da ribadire senza timore di essere scontati, che quando si lavora con una disabilità l’obiettivo non può essere sempre quello di eliminare gli esiti del deficit, ma quello di cercare di arrivare alla miglior prestazione possibile.

Si tratta dunque di accettare per lungo tempo gli errori con la finalità di aiutare questi bambini a raggiungere la competenza, magari imperfetta o ad un livello ridotto rispetto a quello dei bambini di pari età scolastica.

 

5.3             GLI STRUMENTI COMPENSATIVI E DISPENSATIVI

 

Il compito di un’insegnante cambia molto a seconda della fase in cui opera con gli allievi.

Mentre all’inizio della scuola elementare le maestra deve confrontarsi con bambini di cui non conosce le caratteristiche, negli anni successivi si trova ad insegnare a bambini che mostrano in modo a volte meno evidente le differenze di abilità.

Nella prima fase il compito dell’insegnante è quello di identificare e facilitare l’acquisizione, ma il periodo di rieducazione ha un suo periodo sensibile, chiamato finestra evolutiva in cui l’attività di recupero ha la massima efficacia, che poi tende rapidamente a ridursi fino a scomparire. Tale lavoro va fatto nelle prime fasi di acquisizione, ma successivamente deve essere interrotto, anche se il dislessico non ha raggiunto il livello degli altri, poiché non apporta benefici specifici e costituisce un aggravio al lavoro.

Le disabilità di lettura, dopo un primo periodo in cui si giova della rieducazione specialistica, deve essere affrontata con un approccio più educativo, che accompagna gli sforzi dell’allievo con strumenti compensativi, cioè con supporti tecnologici che semplificano l’attività svolgendo una serie di operazioni automatiche che il dislessico ha difficoltà a svolgere.

Esistono programmi di sintesi vocale che permettono ad un dislessico di ascoltare un testo invece di leggerlo. Egli può ascoltarlo e riascoltarlo fino a quando non lo ha imparato!

La videoscrittura produce due effetti vantaggiosi per il bambino:da un lato lo assiste segnalandoli gli errori e dall’altro gli consente di rileggere il testo.

Le facilitazioni informatiche innalzano notevolmente il livello di autonomia e consentono di studiare e di eseguire le prove di verifica. Il dislessico ha bisogno dell’ausilio informatico in modo stabile e non saltuario, come una protesi per un disabile motorio

Tra gli strumenti compensativi essenziali vengono indicati anche:

§        La tabella dei mesi, dell’alfabeto e dei vari caratteri.

§        La tavola pitagorica

§        La tabella delle figure e delle formule  geometriche

§        Calcolatrice

§        Registratore

§        Scanner

§        Enciclopedia multimediale

Gli strumenti compensativi non sono disponibili per ogni attività, per cui a volte la disabilità del bambino non può essere in alcun modo ridotta. Inoltre, anche se il loro utilizzo mette il soggetto nelle condizioni di poter eseguire i compiti, non modifica la lentezza operativa, che al contrario a volte aumenta proprio con l’impiego di questi strumenti.

Per questo è necessario prevedere l’introduzione di misure dispensative, cioè modificazioni nell’espletamento dell’attività scolastica. Per esempio per i dislessici vengono raccomandate ove possibile prove orali al posto di quelle scritte, oppure si suggerisce di ridurre la lunghezza della prova o di raddoppiare il tempo a disposizione per il soggetto con disabilità. Per lo studio a casa si raccomanda di dare una minor quantità di lavoro da svolgere, oppure di indirizzare il lavoro in ambiti verso i quali il bambino possa avvalersi dei vari strumenti compensativi.

Purtroppo ancora le scuola  non sono attrezzate per l’utilizzo dille misure compensative e la maggioranza degli insegnanti non è ancora formata in tal senso. Dal 2004 comunque pervengono ai dirigenti scolastici precise indicazioni da parte del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca riguardo a misure compensativa, dispensative, programmazioni e d esami dei bambini dislessici.

Fondamentale risulta a questo proposito la formazione  e la sensibilizzazione del mondo scolastico per la maggior diffusione di tali strumenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 6 :  PREVENIRE , RIDURRE , INTERVENIRE  

 

 

6.1  LE INTELLIGENZE MULTIPLE

 

Il modello delle intelligenze multiple di Gardner si fonda sulla individuazione di molteplici processi intellettivi e li caratterizza sia in termini neurologici che psicologici.

Gardner descrive 7 intelligenze, che seppur interconnesse, sono riconoscibili nella loro specificità. Le elenchiamo sinteticamente:

1)     Intelligenza linguistica:  serve a convincere, ricordare, spiegare e riflettere sul linguaggio stesso,consiste nell’abilità nell’uso del linguaggio e delle parole.

2)    Intelligenza musicale: abilità che si rivela nella composizione dei brani musicali, nonché nella capacità di discriminare con precisione altezza dei suoni ,timbri e ritmi.

3)    Intelligenza logico matematica: è quella in cui meglio si verifica il modello di sviluppo del pensiero cognitivo di Piaget, si fonda sullo sviluppo del ragionamento.

4)    Intelligenza spaziale:abilità nel percepire e rappresentare gli oggetti visivi, manipolandoli idealmente, anche in loro assenza.

5)    Intelligenza corporeo cinestesica: implica un forte controllo da parte del cervello su tutti i muscoli del corpo per coordinarli.

6)    Intelligenza intrapersonale riguarda la conoscenza del sé, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti.

7)    Intelligenza interpersonale : è attiva nel rapporto con gli altri, riguarda la capacità di rilevare  e far propri i vissuti di altri individui .

 

Questa teoria comporta che i diversi tipi di intelligenza siano presenti in tutti gli esseri umani e che la differenza tra le relative caratteristiche intellettive e prestazioni vada ricercata unicamente nelle rispettive combinazioni. A partire da questo approccio Gardner si occupò anche dell’ideazione di strumenti per migliorare l’apprendimento e la creatività attraverso forme di insegnamento e di valutazione maggiormente personalizzata. Il modello di Gardner evidenzia i limiti di un ambiente scolastico nel quale si valorizzano esclusivamente le competenze linguistiche e logiche, in modo che gli studenti dotati di intelligenza spaziale, musicale e personale trovano la scuola molto più impegnativa di quelli che possiedono una miscela di intelligenza linguistica e logica.

A maggior ragione possiamo estendere questa riflessione ai bambini con disturbi specifici di apprendimento per i quali riveste maggior rilevanza la negatività di un ambiente rigido e ripetitivo. Su questi fondamenti teorici si basa l’artigianato educativo.

I suoi principi  invitano  il docente a riflettere sulle diversità individuali liberarsi da preconcetti e anacronismi per cercare canali comunicativi e strategie didattiche appropriate .

 

6.2  GLI STILI COMUNICATIVI

 

Il modello delle sette intelligenze, viene sintetizzato in tre ambiti: ordinativo,intuitivo e descrittivo.

[18]Tali ambiti funzionano come schemi, come strumenti organizzatori sia della memoria sia delle informazioni in arrivo, come  un’impalcatura d’interpretazione degli eventi.

 

L’ambito schematico – ordinativo si riferisce a quel processo di comprensione che attribuisce al materiale introiettato una scala di rilevanza e che necessita di ordine e logica consequenziale. Implica uno studio metodico e ordinato, la necessità di ripetere gli argomenti e la possibilità di fare ricorso ad una grande memoria a lungo termine.

 

 L’ambito intuitivo si fonda sull’attenzione, l’interesse, la curiosità, l’attivazione e può essere paragonato alla ricerca di un principio unificatore totale delle informazioni possedute, alla previsione del risultato,alla formazione di un nuovo modello di idea e di ragionamento. L’ambito intuitivo può essere preceduto, nella raccolta delle informazioni, da processi descrittivi oppure ordinativi. L’ambito intuitivo è quello di processi di intelligenze che non categorizzano e non ancorano in profondità. L’intuitivo prova piacere nella comprensione immediata ma non approfondisce, confidando nella possibilità di far ricorso ad un approfondimento successivo.

 

L’ambito descrittivo tende alla contestualizzazione delle informazioni, alla ricerca di connessioni tra di loro, alla percezione e ala raccolta di informazioni anche disperse per pervenire alla completezza della visione complessiva. In esso sono attive analogie e metafore.

  

Ciascuno dei diversi processi è attivo nelle diverse intelligenze, con prevalenze diverse, ma non vi è gerarchia fra loro, non si elidono a vicenda, ma sono compresenti, pur se in diverso grado, nei singoli individui.

 

Possiamo sintetizzare tre forme comunicative rispettivamente più funzionali alle diverse forme mentali:

 

La comunicazione logico-persuasiva

 

 serve ad ingiungere e regolare, viene espressa senza enfasi e senza tensione con tono fermo e deciso autorevole in comunicazioni brevi, forti e centrate sui fatti concreti. Solitamente prende forma di una comunicazione saggia ,concreta,con un bersaglio chiaro e non vago. Il limite è quello di  standardizzare senza possibilità di modulare.

 

La comunicazione coinvolgente  ed euristica:

 

per coinvolgere emotivamente occorre vincere le proprie inibizioni caricarsi emotivamente ed eccitare, far sognare, improvvisarsi a raccontare una favola,far visualizzare un’immagine, un gioco o un disegno ha lo scopo do aprire l’altro a percepire. La sequenza comunicativa più tipica è quella composta da Domanda- Risposta- Ulteriore domanda. A meno che tale sequenza non sia minacciosa e persecutoria, tende  a favorire il problem- solving e tende a far sviluppare l’intelligenza intuitiva.

 

La comunicazione Descrittiva- Narrativa :

 

la narratività è una metodologia comunicativa che si fonda sull’utilizzo dell’intelligenza descrittiva. La metodologia della narrazione si fonda sulla reciprocità,in cui tutti gli attori possono costruire significati e discutere sulle proprie riflessioni in sequenze discorsive sintetizzabili in domanda-risposta-domanda, con prese di turno mutevoli tra parlanti. La disposizione di base è quella di creare un clima emotivo nei partecipanti. Reggere un processo comunicativo narrativo in un contesto gruppale significa porsi nell’ottica di sostegno verso chi sta prendendo il turno conversazionale.

 

Riflettere sulla comunicazione, sul contesto, sul contenuto, sui soggetti della comunicazione, sulle intenzioni e sulle caratteristiche comunicative risulta di particolare importanza anche nei confronti di bambini con disturbi specifici di apprendimento per misurare e adeguare i propri interventi.

 

6.3  LA COMUNICAZIONE DIDATTICA ED EDUCATIVA

 

Le diverse forme della comunicazione diventano educative quando sono funzionali ai bisogni dell’altro e pertanto riescono a incidere e costituiscono risorse importanti per il lavoro del docente.

Indichiamo sette forme di comunicazione educativa che sono presenti nei rapporti tra insegnanti e studenti . Queste modalità non possono essere usate indifferentemente perché hanno effetti diversi e quindi diversamente si adattano alle situazioni o a chi abbiamo davanti. E’ importante conoscere le caratteristiche di queste modalità, affinché siano efficaci.

Significa poter dotarsi di strumenti per riuscire a rendere possibile il taglio comunicativo più efficace con gli alunni più diversi in modo da rinforzare il comportamento positivo  e contenere quello negativo.

Quando il nostro modo di comunicare è frutto di rigidità o di mentale, senza sapere cosa si sta facendo, ci si espone a equivoci, fraintendimenti, se non a veri e propri conflitti. Ecco di seguito elencate e brevemente spiegate le forme di comunicazione a cui ci riferiamo.

Il  rimprovero

ha perso attualmente il suo significato e le sue caratteristiche. Di solito si assiste a rimproveri che non sono altro che sfoghi di aggressività o di fastidio verso i bambini espressi con eccessiva tensione, nel primo caso e con nevrastenia nel secondo. L’esito è quasi sempre l’inefficacia, la lite o l’oppressione.

Il rimprovero serve a criticare un comportamento negativo già agito o, più raramente a prevenire un comportamento negativo sul punto di essere messo in atto. Per rimproverare occorre un tono fermo, deciso e autorevole che si esprime con una comunicazione breve, forte, centrata sui fatti concreti, analitica, precisa e pacifica.

Al rimprovero deve seguire un silenzio lapidario che fa entrare in profondità  il messaggio appena lanciato. Sono due i soggetti ai quali si addice il rimprovero:il soggetto volubile e irresponsabile che tende a passare da un’emozione all’altra perennemente insoddisfatto che col rimprovero si distacca dall’eccitazione fusionale e il rimprovero gli fa capire che è cambiata musica. Anche il soggetto pigro ha bisogno di essere rimproverato per smuoverlo dallo stato di quiete facendolo vergognare della sua pigrizia.

L’arte del rimproverare non è semplice e necessita di una riflessione per tendere all’autocritica e non all’innesco di suscettibilità.

L’incoraggiamento

 consiste nel saper dare carica e trasmettere motivazione alle altre persone. Per incoraggiare è prima necessario costruire e dare forma all’energia dentro di sé e,poi, comunicarla in modo persuasivo per indurre all’azione Al contrario del rimprovero richiede impegno e forza in chi lo vuol far percepire agli altri. Non si può incoraggiare e rimproverare o consigliare nello stesso momento, l’incoraggiamento deve essere puro. I soggetti destinatari sono gli apatici e demotivati, oppure coloro che hanno scarsa stima in sé, sono rinunciatari e poco fiduciosi nelle loro capacità. Si tratta di trasmettere energie, disciplina e impegno affinché il giovane si attacchi di più alle cose,ai risultati, a sé stesso. L’obiettivo è fargli desiderare un risultato. L’incoraggiamento all’azione può essere agito anche attraverso un suo intervento su un ambiente che abbia bisogno di lui. E’ inefficace verso soggetti che hanno un grande bisogno affettivo o con soggetti incostanti per eccesso di emozionalità (i fuochi di paglia che si accendono subito ma durano poco),perché nei bisognosi di affetto aumenta il bisogno di attaccamento e nell’emotivo cade nel vuoto di che ricerca comunicazioni sempre più eccitanti..Incoraggiare un soggetto ansioso può portare a un rafforzamento della sua ansia,perché può prendere ancora pù sul serio le sue preoccupazioni.

L’insegnamento

 è la comunicazione più diversificata e tende a far prendere coscienza di contenuti, a far ragionare e riflettere. Si tratta di saper mettere il soggetto alla giusta distanza dal sé, dalle relazioni, dal mondo, a liberarsi così dai pregiudizi. I destinatari che hanno maggior bisogno dell’insegnamento educativo sono coloro che non riescono ad apprendere per disturbi dell’affettività e della stima di sé. L’insegnamento consente di proporre al soggetto adesivo una più attenta analisi della realtà e depotenzia la vergogna aumentando l’autostima attraverso una più pacifica accettazione delle cose.

Il coinvolgimento emotivo

è l’obiettivo della comunicazione espressiva ed artistica ed ha lo scopo di aprire l’altro alla percezione di sensazioni ed allo sperimentare emozioni Per coinvolgere emotivamente occorre vincere le proprie inibizoni, caricarsi emotivamente ed eccitare.

La tranquillizzazione

 ha la funzione di spengere le tensioni che impediscono decisioni lucide ed obiettive. Ha bisogno di tranquillizzazione sia il soggetto in preda all’ansia che quello agitato per paura, rabbia o generico nervosismo legato alla difficoltà di produrre prestazioni efficaci. Chi intende tranquillizzare deve riuscire ad essere una spugna senza restituire alcun segnale all’altro se non di comprensione e di apertura al fine di far proseguire a lungo il dialogo senza smorzare il tono e il ritmo.A tal fine deve fare assoluta calma dentro di sé e non deviare dal discorso comunicativo scelto dall’altro, non deve contraddire l’interlocutore,pur smorzandone i toni, né cadere nelle provocazioni. Destinatari sono gli ansiosi  e è in forte stato di gli aggressivi. La comunicazione di tranquillizzazione deve assolutamente essere lenta, sicura, è necessario staccare le parole. Nei confronti di un bambino ansioso o spaventato può essere utile far esprimere dall’ambiente un bisogno di cura e di sottomissione.

Il sostegno

consiste nel saper sorreggere le difficoltà, le sofferenze e anche la disperazione. La comunicazione di sostegno è a volte silenziosa. Sostenere richiede una grande nobiltà d’animo poiché è l’azione educativa meno gratificante. Chi sostiene infatti non vede i risultati della sua fatica se no quelli del mancato peggioramento di chi si aiuta. Quando il sostegno è rivolto ad un soggetto depresso (che rivolge la sua aggressività verso sé stesso) il fatto di sentire qualcuno accanto,muto e paziente ha come una garanzia che quel momento nero avrà termine e consente un dialogo di orientamento per far nascer la fiducia nel futuro. La comunicazione di sostegno è allusiva, mai diretta. Il processo di tale dialogo non è di tipo persuasivo. Sostenere è saper soffrire con il ragazzo fino a quando non trova la strada per uscire dalla situazione.

Quando una persona è in preda alla confusione mentale è inutile cercare di distrarla, è consigliabile anzi aiutarlo a porre l’attenzione su qualcosa che ha detto o fatto dando importanza al gesto, la parola o l’azione.

La gratificazione

 è un complimento che non sia formale, ma arguto e circostanziato. Non si tratta di dire ciò che ci vorremo sentire dire in modo da non urtare. Si tratta di mettere in luce una potenzialità che non conoscevamo. Ad esempio un bambino iperstimolato che non riesce a trovare soddisfazione in nulla non deve essere sottoposto ad una nuova proposta,ma invitato a ricordare qualcosa di vecchio e usuale come un bel gioco nel quale si è divertito il giorno prima,in modo da poter uscire dalla confusione. La gratificazione ha anche un risvolto di gratificazione di un vissuto. Il volubile che non riesce a stare stabile con un complimento profondo riesce a soffermarsi su qualche vissuto piacevole per gustarne a fondo il piacere.

 

6.4  IL RUOLO DELL’EMPATIA

 

Gli atti di empatia che noi compiamo sono quelli che ci permettono di metterci nei panni dell’altro, e far nostro il suo vissuto, anche senza la mediazione di un patrimonio culturale comune, anche se la mediazione culturale può facilitare la comprensione empatica. Attraverso l’empatia un educatore può riconoscere il vissuto altrui e comprendere quale itinerario attuare, quale modalità di relazione attivare e quale clima di gruppo proporgli.

L’empatia produce una conoscenza approfondita di emozioni e sentimenti senza la quale non si può essere artigiani dell’educazione.

Nel 1921 Freud scrive “si tratta di quell’atteggiamento senza il quale non è possibile la comprensione della vita mentale di un’altra persona.”

Al centro della riflessione ci sono anche i concetti di educabilità e di orientamento. L’educabilità è l’insieme di potenzialità dell’educando esprimibili attraverso l’aiuto orientante dell’educatore, il quale deve possedere competenze comunicative importanti.

In primo luogo deve avere la capacità di percepire, in modo accurato, i messaggi dell’educando nel significato che tali messaggi hanno per lui. Si tratta di vedere il mondo con gli occhi dell’altro. Brammer (1973)insiste sulla necessaria disposizione anche posturale di chi ascolta, per comunicare calore e interesse con atteggiamento rilassato e naturale e con il contatto con gli occhi. In secondo luogo l’educatore deve saper rilevare il substrato emozionale presente nella comunicazione, cioè cogliere le emozioni specifiche del particolare vissuto del soggetto. In questa fase si presentano difficoltà in ordine all’interpretazione del vissuto altrui e al grado d’intensità del proprio vissuto. Saper riconoscere adeguatamente la dimensione d’emozione sperimentata e coglierne l’intensità è un atto indispensabile  in un rapporto d’aiuto e d’orientamento. Abbiamo spiegato, che costantemente, ai disturbi specifici di apprendimento si accompagnano difficoltà psicologiche che possono acutizzarsi e diventare devianza. L’educatore attraverso l’empatia deve interpretare correttamente le emozioni specifiche del soggetto che ha di fronte e rispondere al sentimento dell’altro con la comprensione, la tranquillizzazione, per lenire il disagio e far tacere le ansie legate alla mancata autocomprensione delle emozioni provate, oppure ribaltare le tensioni trovandone possibili vie di sfogo, trasformare i conflitti in possibilità dinamiche da gestire ed impiegare in nuove direzioni o mete. Spesso significa cogliere una mancanza che può essere un vuoto affettivo, un vuoto d’importanza, la mancanza di sazietà o appagamento nei rapporti, la mancanza di energia e di stimoli, la mancanza di pace, di fiducia, di speranza…

Si ritiene che la capacità empatica sia una capacità superiore dell’uomo, localizzabile nei lobi frontali anteriori del cervello ed è considerata distintiva di un’alta complessità delle funzioni cognitive ed emotive e, dunque, come indice di una buona organizzazione delle comunicazioni tra emisfero destro ed emisfero sinistro.(Clark 1980)

Prevenire il disagio derivante da un D.S.A ed intervenire su esso è anche fornire ai ragazzi la capacità di sentire gli stati d’animo, insegnare a contenerli e a gestirli.

 

6.6  LA METACOGNIZIONE

 

La didattica metacognitiva fa proprie, e le rende facilmente spendibili in classe, le istanze delle più avanzate teorie dell’apprendimento: costruttivismo, teorie psicolinguistiche di VigotsKij, teorie delle intelligenze multiple e studi sugli stili di apprendimento..

In tutti questi approcci teorici si rilevano caratteristiche comuni o comunque afferenti allo specifico della didattica metacognitiva: centralità del soggetto apprendente, sua attiva costruzione del sapere, superamento dei saperi disciplinari e avvicinamento ad una visione olistica del mondo.

Nella traduzione pratico-didattica si tende ad attuare quella che è definita routines metacognitiva a partire dai primi anni di scuola, che consiste non in una forma di apprendimento meccanico imposto, ma piuttosto essere guidati ad imparare innanzitutto a riconoscere i propri bisogni formativi, il proprio peculiare stile di apprendimento, quindi partire dai propri interessi e sfruttare le proprie abilità.

Da questa base di partenza tutti gli allievi possono sviluppare in modo economico e produttivo un proprio percorso di apprendimento che sia reiterabile in diverse situazioni, che divenga una strategia flessibile, sempre utile ed espandibile con la crescita e il raffinamento dei bisogni formativi.

Le routines metacognitive si presentano come strutture personalizzabili e calibrabili, espandibili e flessibili, palestra di percorsi meta cognitivi, divengono ben presto agevolatrici di apprendimento, permettono il più veloce successo e offrono attività divertenti e transdiciplinari per percorrere piacevolmente la strada verso l’autoregolazione cognitiva.

Ecco un simpatico esempio di metacognizione adatto al lavoro di gruppo nella scuola primaria:

 

La mia ricetta meta

 

INGREDIENTI

Quello che già so

Le mie intuizioni

Quello che voglio imparare

L’aiuto del gruppo

TEMPO

Tutto quello necessario

PROCEDIMENTO:

raccogli tutti gli ingredienti e sistemali in modo ordinato

inizia a lavorare l’impasto dei contenuti

controlla quali ingredienti ti sono  necessari e quali no

lascia riposare l’impasto mentre accendi il forno

chiedi aiuto per stabilire insieme se stai procedendo bene

sistema l’impasto nella teglia e mettilo a cuocere

controlla che non bruci o che rimanga senza cuocere

Lascia raffreddare e assaggia. È buona?

 

Segnaliamo anche il problem solving come esempio di didattica meta cognitiva, in quanto sviluppa in modo sempre più consapevole le abilità meta cognitive di controllo esecutivo del compito, monitoraggio delle componenti metacognitive e quindi autoregolazione cognitiva.

Le tecniche di didattica metacognitiva si sono rivelate particolarmente efficaci nell’intervento mirato alle difficoltà di apprendimento, difficoltà che creano specifici problemi, ma che non possono essere localizzate in una singola area disciplinare, per cui necessitano della trasversalità che è caratteristica della meta cognizione.

Inoltre il lavoro di tutta la classe sulla metacognizione uniforma il bambino con d.s.a agli altri in quanto tutti sono invitati, e non lui solo, a riflettere sul percorso di apprendimento, in questo modo le difficoltà e le diverisità si appianano perché in qualche modo tutti hanno obiettivi da raggiungere e caratteristiche  personali diverse da tenere in considerazione.

Anche l’approccio ludico, facente parte dello stile metacognitivo, si adatta ai bambini con d.s.a in quanto utilizza canali diversi da quello unicamente visivo privilegiato dalla scuola classica.

 

 

6.6  I PERCORSI DELL’ARTIGIANATO EDUCATIVO

 

Precedentemente ho descritto le tipologie di personalità con le  quali gli insegnanti si trovano ad interagire nel loro mestiere di docenti educatori. Come ho riferito nel paragrafo 4.3 i  disturbi psicopatologici più spesso associati alla Dislessia Evolutiva sono:

1.       i quadri depressivi,

2.      i disturbi d’ansia,

3.      i disturbi da Deficit dell’Attenzione (con o senza iperattività),

4.      i Disturbi Oppositivo-Provocatori ed i Disturbi della condotta.

 

Uno studio recente ha evidenziato come i disturbi di esternalizione (oppositivo provocatori e i disturbi della condotta) sono più frequenti nei dislessici maschi .

Nelle bambine con Dislessia Evolutiva invece sarebbe più frequente la presenza di quadri depressivi, mentre l’ansia sarebbe comune ad entrambi i sessi.

Mi sembra interessante proporre alcuni spunti di riflessione per la costruzione di percorsi di intervento educativi relativamente ai disturbi sopraelencati.

 

Se la depressione sconfina nell’apatia la modalità educativa più adeguata è l’incoraggiamento per saper dare carica e trasmettere motivazione. Il metodo della motivazione verso l’apatico ha una caratteristica educativa importante: l’incoraggiamento deve essere effettuato a fronte dei segnali, seppur minimi, di movimento e di gioco, rispettando, in paziente attesa, le fasi in cui il soggetto non si esprime nell’azione. In caso contrario può determinarsi una chiusura assoluta, anche capricciosa, contro stimoli troppo frequenti, insistenti o fuori tempo. Con l’apatico il sostegno risulta inutile. Per quanto riguarda il rimprovero, che viene indicato come idoneo all’apatico, bisogna saperlo dosare e utilizzare solo nei casi appropriati, con la finalità di smuoversi da una fase di pigrizia, ma bisogna essere molto delicati. Se la depressione sconfina verso la vergogna il metodi educativo più adeguato  è l’insegnamento .

 

I disturbi d’ansia riconducono alla tipologia dell’avaro.

Essi possono derivare dalla fatica di tenere tutto sotto controllo. In questi bambini un eccesso di prescrittività può aver agito come elemento di disturbo . confidenza con lo L’uso di semplici materiali che consentono la produzione di impronte (tappi, patate, timbri, linoleum, ecc.) e la loro articolazione nel gioco libero offre la possibilità di armonizzare il proprio personale senso di ritmo e di analogia nelle forme e di integrarle con quelle dei compagni  a seconda delle successione grafiche. L’attività motoria libera e liberante rilassa e apre nuove possibilità. I metodi educativi più adeguati sono il coinvolgimento emotivo e la tranquillizzazione.

 

I disturbi da deficit dell’attenzione riconducono alle tipologie dello sballone.

 

L’intervento educativo su di lui consiste nel dare stabilità alle sue azioni e, nel diminuire l’intensità, aumentarne la durata. Spesso, però, la simpatia di cui è stato oggetto, specialmente da parte della madre, impedisce un lavoro in profondità, quasi gli si consentisse di scatenarsi liberamente anche sotto forma di capricci o di ricatti carichi di tensione. E’ abituato a convincere ed a coinvolgere tutti nei suoi modi esaltati e disordinati ed è difficile condurlo ad una espressività ordinata e organizzata. Eppure questa è l’unica via, giacché gli esercizi di sperimentazione della sua mobilità lo portano a non crescere. I metodi educativi più adeguati a questa tipologia sono il rimprovero e la gratificazione.

 

I disturbi oppositivo provocatori e della condotta riconducono alla tipologia del ruminante.

 

L’intensità delle sue azioni lo conduce, quando è contrastato, alla violenza sugli oggetti e sulle persone giacché la sua volontà di azione lo rende prepotente ed aggressivo. La sua azione e il suo disagio si manifesta sovente in atteggiamenti di “bullismo” attraverso i quali tende a far male come unico modo di proporsi come esistenza in mezzo alle altre. Se non agisce il suo ruminamento interno si rivolge contro di sé conducendolo alla depressione. Attraverso l’azione violenta produce un rumore che accantona i suoi residui di sensibilità;  ha bisogno di trovare ritmo ed armonia interna. L’educazione del bambino a giochi ritmici, soprattutto in coppia, apprendendo l’ascolto della musica e la sua traduzione in movimenti liberi e spontanei, organizzando diverse ipotesi movimento e di scioltezza espressiva, insegna tale armonia e fa crescere quella sensibilità musicale che rende più duttile e meno intenso, e violento, il suo rapporto con la realtà. Le metodologie educative più adeguate sono il sostegno e la tranquilizzazione.

 

Mi preme però aggiungere che la rigidità e il protocollo non appartengono allo stile dell’artigianato educativo e che pertanto ogni intervento ha alla base l’empatia, lo sguardo nell’altro e dell’altro e lo scambio relazionale. Inoltre dobbiamo precisare che si tratta di contributi e spunti, ma che non vi è, in ambito scolastico la presunzione di risolvere una situazione. Infatti le componenti in gioco: compagni, genitori, figure esterne come logopedisti, neuropsichiatri, counselor..sono molte ed ognuna esercita il proprio contributo. Compito dell’insegnante è anche quello di considerare e interagire con le altre figure in modo da provocare seppur minimi, ma importanti cambiamenti, affinché influenzino positivamente la situazione nel suo complesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONCLUSIONI

 

L’insegnamento ha una componente collettiva ed una individualizzata.

Gli approfondimenti  fatti sulle intelligenze multiple, sugli stili comunicativi e cognitivi, sul costruttivismo, sulla metacognizione costituiscono la base sulla quale impostare il lavoro preventivo e di sostegno all’insorgere e all’intensificarsi dei disturbi specifici di apprendimento. Il rinnovamento pedagogico della scuola dovrebbe andare nella direzione di diminuire ed arginare le difficoltà. Questo è possibile in un ambiente nel quale la relazione e la corresponsabilità nel processo di apprendimento fra studente ed insegnante sono alla base della costruzione di un percorso di apprendimento. Da questa posizione di partenza, che è quella che permette di offrire cose diverse a persone diverse, si può dare spazio alla motivazione ad apprendere e incentivare la ricerca dei percorsi più adatti e funzionali senza rigidità, schematismi o preconcetti. In una situazione scolastica nella quale l’individualizzazione, intesa come differenziazione di tempi, carichi, obiettivi è ormai usuale nella classe, sarà più accettabile l‘utilizzo delle misure compensative e dispensative. In un ambiente che rispetta i ritmi di apprendimento e le diversità cognitive con una didattica laboratoriale, sarà più semplice per il bambino con D.S.A compensare alcune difficoltà, rilassarsi, calmarsi, essere stimolato ed intraprendere percorsi differenziati. In una classe nel quale si attuino attività di gruppo ed attività di tutoraggio fra alunni, sarà più facile realizzare rapporti educativi fra soggetti che presentano affinità elettive o che permettono spostamenti emozionali. In una scuola nella quale il computer sia strumento presente nell’aula, a disposizione di tutti gli alunni, sarà maggiormente accettabile dal bambino con DSA l’ausilio delle tecnologie informatiche. Si dovrà realizzare una strutturazione efficace dell’ambiente fisico scolastico, che sia presupposto per l’autonomia e la diversificazione delle proposte.

 

Con questo lavoro si sono evidenziati almeno cinque piani di intervento specifico, che la figura del counselor potrebbe e dovrebbe gestire.

 

1.       L’intervento psicologico di accompagnamento continuato del bambino e della sua famiglia affinché  possano tollerare i limiti derivanti dalla disabilità e acquisire più equilibrio.

 

2.      Il lavoro di comprensione delle  competenze, possibilità e difficoltà reali della situazione scolastica, che da solo il bambino non riesce a percepire e per il quale si consiglia un’analisi  metacognitiva;  

 

3.      La descrizione funzionale (meglio se precoce) e il dialogo con il bambino relativamente alle sue difficoltà rendono meno pericoloso il disturbo rispetto al caso in cui esso venga vissuto con negazione e conduca all’isolamento e/o all’incomprensione;

 

4.      La valutazione dell’aspetto didattico della classe in cui il bambino è inserito:  gli stili comunicativi adottati,  il clima di classe, il lavoro di gruppo, l’integrazione, il tutoraggio, la didattica laboratoriale.

 

5.      La valutazione e la temporalizzazione degli interventi tecnici riabilitativi e la     gestione degli  strumenti compensativi , dispensativi e informatici.

 

 

 

 

A conclusione vorrei citare le parole di Vincenzo Masini:

 

“L’attuale sviluppo evolutivo della specie umana, che incontra e gestisce i problemi della società tecnologica, con problemi del tutto diversi da altre fasi della storia, ci consegna un coacervo di problematiche di disagio lette con l’ottica categoriale fondata sulla logica di specializzazioni cliniche e diagnostiche. Le categorie dell’handicappato, del tossicodipendente, dell’anziano, del bambino svantaggiato, del giovane con problematiche di alimentazione, ecc. hanno costruito saperi e tecniche di intervento avanzate e specialistiche, funzionali all’intervento settoriale, ma, in ragione della loro peculiarità, hanno allontanato dalle possibilità di un sapere educativo diffuso. Il concetto di artigianato educativo propone un quadro di intervento costruito sulle caratteristiche di umanità comuni e trasversali a tutte le categorie di problemi e di patologie. Tende quindi a mostrare ciò che vi è di accumunabile in soggetti diversi e ciò che può essere educativamente praticabile per ciascuno di loro. Gli idealtipi sono costruiti al fine di leggere le caratteristiche dei copioni di comportamento in modo trasversale alle categorie dei problemi ed alla struttura delle diagnosi. Ciò porta a rintracciare in alcune diagnosi caratteri specifici riferibili a degli idealtipi e negli idealtipi alcune specifiche articolazioni che vanno a configurarsi nelle specifiche diagnosi. Le due letture si intersecano, pur non essendo sovrapponibili: la lettura diagnostico categoriale si incentra sui problemi, quella idealtipica sui tratti di comportamento e sui vissuti dei soggetti. La prima è in verticale, la seconda in orizzontale. La prima è attualmente del tutto egemone e, pur nei vantaggi della sua massima efficacia di sapere specialistico, impedisce la comprensione diffusa degli spazi di educabilità presenti nei singoli soggetti, rende impacciati nell’intervento educativo portando a declinare le personali responsabilità per “incompentenza” e rende quasi impossibile l’integrazione reale dei soggetti con problemi”

 

Il percorso formativo della scuola di counselor mi ha insegnato, fra le altre cose, a svolgere meglio la mia professione, attraverso contenuti e modalità che hanno accresciuto la mia sicurezza, perchè hanno contribuito a formare la mia personalità professionale intesa come identità, senso, contenuti e approcci nei quali mi riconosco, al di là delle situazioni scolastiche, delle mode pedagogiche, delle riforme e modifiche ministeriali. Sono grata a coloro, primo fra tutti il professor Vincenzo Masini, che mi hanno accompagnato in questo percorso di apprendimento e di maturazione che mi ha reso più consapevole anche in situazioni complesse e differenziate.

 

 

 

 

 

 

 

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                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            


 

[1]Atti del convegno “Dislessia e Scuola: individuazione ed intervento precoce” Lucca 2002

[2] ICD-10,Decima revisione della classificazione internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali, Masson, Milano1992

[3] DSM-IV, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, Milano 1996

[4] ASL Carpi(mo), CDE Carpi e AID Modena. Atti del corso di formazione sulla dislessia, 2001

[5] Pratelli M. Disgrafia e recupero delle difficoltà grafo-motorie. EricKson,Torino 1995 p.7

[6] Cornoldi C. Le difficoltà di apprendimento a scuola Il mulino Bologna 1999

[7] AA.VV. La discalculia evolutiva, dai modelli neuropsicologici alla riabilitazione, Ed.Franco AngeliMilano2003 p12

[8] Stella G.La dislessia .Il Mulino Bologna 2004 p 46

[9] Stella G.La dislessia op.cit., p.53

[10] AA.VV La discalculia…op.cit.,p.14

[11] AA.VV. La disclculia…op.cit.pag.18

[12] AA.VV.La discalculia..op.cit.,p.23

[13] AA.VV.La Discalculia… op.cit.

[14] Masini V. Dalle emozioni ai sentimenti  Ed.Prevenire è possibile , Terni,2001 

[15] Mons.Gelmini P. Emozioni….op.cit.p.13

[16] Masini V. La qualità educativa, relazionale e dell’apprendimento nella scuola Ed.Prevenire è Possibile

[17] Stella G. In classe con un allievi con disordini nell’apprendimento.FabbriMilano 2001 p.24

[18] Masini V.La qualità educativa…op.cit.p.19