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MARIA GIUSEPPINA BARRACO

 

 

 

 

INFEDELTà

 

E

 

TRADIMENTO

 

 

 

 


 

INDICE

 

Introduzione

1.    La Mediazione Familiare

1.1. Ostacoli e vincoli alla Mediazione

1.2. L’ Altro è un alieno

1.3  La coppia dentro la separazione

1.4  La coppia genitoriale separata

1.5  La relazione nel contesto sociale della coppia separata

1.6. La separazione: un tradimento nel progetto di vita insieme

1.7. Tradire – tradirsi

1.8.Tradimento o Infedeltà?

1.9.Tipologie dell’infedeltà

2.    La mia esperienza professionale di Mediatrice Familiare

2.1. Chi è il Counselor Familiare

2.2. La comunicazione nella Mediazione Familiare attraverso il metodo di “Prevenire è possibile”

3.3. Differenza fra il counselor  e il  mediatore familiare

Conclusioni

Introduzione

 

L’elaborato analizza ed esamina la Mediazione Familiare alla luce dell’espansione del fenomeno della separazione con conseguenza di una evidente trasformazione dei modelli familiari e della mia personale esperienza professionale.

Vengono esaminati i temi legati al problema della tutela dei figli nelle situazioni di rischio prodotti dalla conflittualità genitoriale a seguito della divisione coniugale e dei malesseri che sempre la precedono e spesso la seguono.  Un breve quadro di come la separazione inevitabilmente incida sulla funzione genitoriale  e quali sono i rischi per un bambino spesso lasciato solo ad affrontare un evento sempre destabilizzante e a volte carico di conseguenze per il suo futuro.

E’ stato affrontato il tema della separazione inteso sia come fallimento e tradimento del progetto di vita insieme, sia in termini di tradimento inconsapevole che travolge l’uomo come opportunità di conoscere se stesso nelle fasi che accompagnano il processo di crescita e individuazione di  sé. E’ chiaro che per liberarsi dalle nevrosi delle “coazioni a ripetere” di infedele e traditore bisogna pagare una alto tributo di sofferenza per riscattare la libertà dinnanzi all’assurdo equivoco a cui la vita ci ha consegnati, ridendo probabilmente dell’uomo, misero e caduco.

Uno spazio  dedicato al  Counseling Familiare come occasione per avvicinare, conoscere e, se possibile, modificare quei meccanismi a volte del tutto automatici che sostengono la conflittualità   “a largo campo”, e, come uno stimolo ai genitori per ripensare alla relazione con i propri figli e l’ex  partner.

A partire dalla domanda sull’effettiva efficacia di questo servizio, si sono descritte le ipotesi, la metodologia e il percorso con l’obiettivo di raggiungere una comprensione di quali sono gli elementi fondamentali dell’intervento, alla luce della formazione, delle competenze e degli strumenti intrapresi con la scuola Prevenire è possibile che mi hanno permesso di conoscere ed. identificare quali funzioni, attraverso azioni simboliche e interventi verbali possano favorire lo sviluppo di elementi che sostengano la cura dei legami. Pertanto è risultato opportuno differenziare gli approcci  e le modalità d’intervento fra il counseling familiare e la mediazione familiare.

 

 

La Mediazione Familiare

 

Da diversi anni, anche se con ritardo rispetto ad altri paesi, in Italia si stanno sperimentando forme d’aiuto alle famiglie separate attraverso interventi di mediazione familiare mirati alla risoluzione del conflitto coniugale per la tutela del danno del minore, attraverso la riorganizzazione delle relazioni dell’intero nucleo familiare. E’ alla fine degli anni ottanta che si sviluppano diversi centri che si occupano di mediazione familiare.

La mediazione familiare è un percorso per la riorganizzazione delle relazioni, in vista o in seguito alla separazione o al divorzio. E’ un percorso, scandito da fasi circolari, all’interno di un setting strutturato in cui il mediatore, attiva e sostiene la comunicazione tra i partner ai fini della gestione del conflitto e a vantaggio della capacità di negoziare sugli aspetti che riguardano la separazione. Vengono favoriti i genitori nella ricerca delle soluzioni più adatte alla specificità della loro situazione e dei loro problemi per tutti quegli aspetti che riguardano la relazione affettiva e educativa con i figli.

La mediazione tende a ristabilire la comunicazione tra le parti per poter raggiungere un obiettivo concreto: la realizzazione di un progetto di organizzazione delle relazioni dopo la separazione. L’obiettivo finale si realizza quando i genitori si riappropriano, pur separati, della comune responsabilità genitoriale[1], senza lasciare dietro di sé né vinti né vincitori alla fine del loro percorso. Essa, pertanto, rientra nell’ambito degli interventi volti a promuovere nei partner/genitori le risorse, le competenze, la motivazione al dialogo a prevenire il disagio dei figli.

La comunicazione  nelle relazioni è uno dei punti cruciali della mediazione; il processo pertanto deve eliminare laddove possibile tutti gli ostacoli che impediscono ai due coniugi di trovare serenamente e in maniera collaborativa la soluzione ai loro problemi pratici e organizzativi connessi alla loro separazione.

Il futuro della prole e il suo benessere trova delle garanzie proprio nella capacità e disponibilità dei genitori a comunicare, dialogare e di condividere un progetto genitoriale comune: è fondamentale che entrambi siano concordi sugli aspetti educativi, relazionali, psicologici e, in generale, su tutti quelli che influenzano la loro crescita. L’intervento è così finalizzato alla creazione di una “zona franca”, nella quale gli adulti sappiano prendersi cura dei figli, accompagnandoli per mano nel loro processo di crescita, questa zona è proprio l’area della genitorialità. La coppia, pertanto, è chiamata a svolgere il ruolo genitoriale attraverso la valorizzazione delle risorse che afferiscono a tale funzione e si possono sintetizzare nei seguenti punti:

§               riconoscimento del ruolo genitoriale dell’altro;

§               attenzione ai bisogni del figlio;

§               consapevolezza che il figlio necessita del contributo affettivo e educativo di ognuno di loro.

Ciò permette di realizzare l’interesse degli eventuali figli coinvolti permettendo loro di:

§               mantenere un buon rapporto con entrambi i genitori;

§               sentirsi rassicurati dalla comune presa in carico da entrambe le figure genitoriali;

§               non essere costretti a vivere un lutto impossibile;

§               non perdere una fonte così importante di sostegno e di affetto.

Ostacoli e vincoli alla mediazione

 

E’ interessante sottolineare che prima di effettuare un percorso di mediazione familiare è necessario valutare se esiste o meno per quella determinata coppia la possibilità di compiere tale percorso.

E’ importante avere la consapevolezza che non tutte le coppie sono mediabili, cioè in grado di compiere un percorso di mediazione. Una fase di rilevanza fondamentale è quella della valutazione che permette di capire se è possibile intraprendere tale intervento, attraverso la raccolta di informazioni che permettono di osservare la presenza di eventuali vincoli od ostacoli. Gli ostacoli non rendono possibile la mediazione quando non sussistono delle risorse da attivare al fine di creare un contesto positivo nel quale realizzare gli interventi. Sono legati ai criteri di valutazione, riguardano la domanda e sono interconnessi tra loro.

  Quando si parla di vincoli si intendono quelle situazioni o quegli stati che non possono essere modificati o elaborati in sede di mediazione e che pertanto la rendono irrealizzabile. Si pensi per esempio a situazioni in cui è presente una patologia psichiatrica,  abuso e violenza sul minore, una condanna penale, un altissimo grado di conflittualità. Alla luce di ciò è possibile comprendere come nei casi di maltrattamento e/o abuso sui figli o sul coniuge, denuncie penali è impossibile attivare un canale di comunicazione e fiducia. E’ pertanto importante la presenza di una genitorialità responsabile sia in termini giuridici sia di autonomia. La mancanza di autonomia può derivare da vari fattori, come ad esempio, un’eccessiva ingerenza della famiglia d’origine, degli avvocati o dalla dipendenza di sostanze stupefacenti, pertanto può rappresentare un vincolo ma anche un ostacolo, nella misura in cui può essere attivata un’assunzione di responsabilità.

Il contesto coatto, spesso presente in un servizio sociale di tutela del minore, è un vincolo in quanto impedisce l’instaurarsi di un clima di fiducia tra genitori e operatore.  I vincoli e gli ostacoli vanno individuati nei primi incontri di laboratorio.

La fase valutativa è molto significativa soprattutto perché aiuta ad individuare una serie di parametri che permettono di capire se è possibile effettuare un intervento di mediazione, quali:

 

 

L’altro è un alieno

 

Un aspetto da considerare è la presenza di situazioni familiari nelle quali si riscopre una grave  problematica, quale la Sindrome di Alienazione Genitoriale che  rappresenta  uno ostacolo   per intraprendere un intervento di mediazione.

La sindrome di alienazione genitoriale è un disturbo per il quale, il bambino, ritrova a considerare uno dei genitori come “tutto positivo” e l’altro “come tutto negativo”.

Nel conflitto per la separazione, parole, atteggiamenti e comportamenti del genitore affidatario provocano un’alleanza del bambino a questo genitore nel rifiuto dell’altro.

Il genitore schierato col figlio si autolegittima come retto e giusto, obbligato a proteggere i figli dall’altro genitore e proiettando sentimenti di colpa sul coniuge che viene considerato un incapace.

  Il genitore considerato cattivo viene odiato, diffamato e denigrato mentre l’altro  viene amato e idealizzato. I motivi di alienare un genitore sono generalmente legati alla vendetta,all’attribuzione di colpa, alla paura di perdere il bambino o il proprio ruolo di genitore affidatario,oppure di avere il controllo e il possesso del bambino.

Quando il legame subisce la rottura il genitore schierato sperimenta profonde ferite narcisistiche  , la perdita d’identità, l’insuccesso e lo “scacco” vissuti nel processo di separazione. Ci si trova dunque di fronte ad un genitore vendicativo che vuole punire il coniuge da cui è stato lasciato o che ha lasciato, un genitore narcisista che individua nell’affidamento  a “sé” un mezzo per riscattarsi e rivalutarsi di fronte al terzo sociale, dopo il fallimento del matrimonio, o un genitore che teme la solitudine e ricerca il controllo sui figli per paura di perderli, oppure che necessita di un sostegno emotivo. Di contro il genitore denigrato e rifiutato diviene così vittima di false accuse, e può sentirsi frustato dalle modificazioni comportamentali del bambino.

Il genitore PAS manipola i fatti, spesso è ossessivo- compulsivo da creare una falsa impressione.

Dinnanzi alla sindrome di alienazione genitoriale  la vittima che subisce il danno più grave è il figlio.

La mediazione familiare che guida la coppia verso la cooperazione, la comprensione e la tolleranza non è appropriata per la famiglia PAS.

 

La coppia dentro la separazione

 

La coppia che si ritrova ad un certo punto della vita ad affrontare la separazione, e quindi intende interrompere la propria relazione coniugale si trova di fronte alcuni compiti molto impegnativi, quello di «attuare il divorzio psichico elaborando il fallimento coniugale, impegnarsi in una gestione cooperativa del conflitto, ridefinire i confini coniugali e familiari».[2]

E’ pertanto di facile comprensione quanto i compiti elencati costituiscano un delicato lavoro da svolgere, soprattutto perché si tratta di affrontare intense emozioni, sentimenti e stati d’animo.

Sono proprio il tipo di legame, di conflitto e la cooperazione tra ex coniugi che diventano variabili per comprendere il funzionamento del nuovo sistema familiare. Le situazioni di maggior pregiudizio per i figli sono proprio quelle in cui vi è un legame tra ex coniugi ambiguo, o quando gli stessi presentano un alto livello di escalation del conflitto. Non vi è dubbio su quanto la qualità della relazione tra ex coniugi influisca sull’area della genitorialità.

La relazione dopo il divorzio sarebbe pertanto quella improntata alla cogenitorialità. Il livello coniugale ha il compito principale di elaborare la fine dell’unione tenendo comunque viva la responsabilità genitoriale. Bisogna sciogliere quel patto di coniugalità riconoscendone la fine.  La separazione pertanto diviene un lavoro di coppia, tant’è che insieme ci si lega, così insieme ci si separa. L’obiettivo ideale è proprio quello di gestire insieme il conflitto ed insieme ridefinire i nuovi confini familiari.

 

 

La coppia genitoriale separata

 

La coppia che si separa lo fa rispetto alla loro relazione affettiva, e non in qualità di genitori, anche se questo è ciò che spesso accadde nella maggior parte delle situazioni. Diventa pertanto indispensabile imparare ad agire una sorta di collaborazione con l’ex coniuge per poter così garantire l’esercizio della funzione genitoriale, consentendo ai figli di accedere alle relative storie di entrambe le famiglie d’origine.[3] In questo caso le variabili riguardano l’accessibilità alla relazione e la qualità dell’esercizio della funzione genitoriale. Nel caso della prima si verifica nella maggioranza dei casi che la madre è il genitore affidatario e i padri non affidatari divengono così meno presenti nella vita  dei loro figli. Inoltre l’accesso alla relazione con il genitore non convivente è anche una garanzia di accesso ad entrambe le storie familiari. Per quanto riguarda la funzione genitoriale essa viene di norma esercitata da un genitore: quello affidatario. L’altro per una serie svariata di motivi  o sparisce o non gli viene dato accesso alla relazione con i figli.

Gli stili educativi che si delineano sono per motivate ragioni condizionati dalla presenza di un genitore che per l’appunto spesso è la madre. E’ quindi molto probabile che la stessa crescita evolutiva dei figli venga condizionata e risenta di questa forte transizione. L’ideale sarebbe l’esercizio di una genitorialità condivisa, a prescindere dal genitore affidatario, in cui “i genitori” devono riorganizzarsi lasciando i reciproci spazi per poterla esercitare insieme nell’interesse dei loro figli. Il problema è che diventa molto difficile, soprattutto a livello emotivo, tenere distinta la coniugalità dalla genitorialità.

L’obiettivo dovrebbe comunque essere quello di portare in salvo qualcosa di buono dal legame che c’è stato e riconoscendo la comune responsabilità genitoriale.[4]

 

 

La relazione nel contesto sociale della coppia separata

 

            Anche l’aspetto delle relazioni nel contesto sociale viene a modificarsi. Sono soprattutto le madri separate a cercare un appoggio nella famiglia d’origine.

            Le reti amicali assumono un ruolo rilevante, offrendo sia momenti di sostegno che di confronto. Basti ricordare che nel momento di una separazione le relative amicizie tendono per forze maggiori a scindersi o da una parte o dall’altra, nei casi peggiori possono anche sparire. Il contatto con altre figure adulte diventa molto importante per i figli, soprattutto se con queste si crea una relazione significativa e di sostegno.

E’ facile pertanto comprendere che sia la rete parentale che amicale subiscono dei cambiamenti di fronte ad un processo separativo.

In particolar modo per quanto concerne la rete parentale, ossia delle rispettive famiglie d’origine, generalmente si schiera dalla parte del proprio figlio portando con sé il progetto di alienazione dell’altro genitore e della sua famiglia d’origine.[5]

  

La Separazione: un tradimento nel progetto di vita insieme

 

«La vita di ogni individuo è connotata da momenti separativi: la nascita come separazione, svezzamento e crescita come separazione, l’adolescenza e maturità come separazione, infine la morte come separazione definitiva»[6]. In questo senso la separazione è contenuta all’interno di tappe evolutive che normalmente devono verificarsi.

“Nasciamo traditi, e nella necessità di dover tradire per crescere. Proprio attraverso le vicissitudini del tradimento  si diventa artefici del proprio destino di individuazione, raggiungendo una consapevolezza interiore che rende l’uomo capace di riconoscersi  e comprendere la perdita e l’abbandono”

Dei molteplici tradimenti che investono la vita dell’uomo, mi soffermo su uno dei tradimenti inteso come “fallimento del progetto di vita insieme” e che oggi porta alla separazione della coppia in cui almeno uno dei due partner decide di porre fine al loro “patto coniugale”.

Sul piano culturale la separazione è stata vissuta per molto tempo come una sorta di devianza, o peggio ancora come colpa o punizione. E’ stata affrontata con giudizi e moralismi con l’obiettivo di colpevolizzare almeno qualcuno. E’ importante tenere sempre presente che essa rappresenta una delle fasi più delicate e stressanti della storia familiare, accompagnandosi a stati d’ansia, depressione, incertezza e disorientamento dei singoli membri coinvolti. La separazione e il divorzio si configurano diversamente a seconda dello stadio del ciclo vitale familiare, comportando percorsi riorganizzativi articolati diversamente in rapporto alla storia generazionale dei protagonisti (età dei figli coinvolti, le risorse di ognuno, quadri relazionali che costituiscono lo scenario su cui si organizzano le problematiche familiari)[7].

Dall’osservazione dell’alta numerosità delle coppie separate e divorziate negli ultimi anni, emerge come elemento oggettivo la crisi che colpisce diversi matrimoni, crisi che spesso intraprende la strada che porta poi alla scelta della separazione. Ed è proprio questa strada che trascina con sé dolore, sofferenza, rabbia, frustrazione, sentimenti vissuti in modo più o meno intenso anche a seconda dell’investimento che gli individui hanno fatto sul legame coniugale.

Dal punto di vista culturale è nel corso degli anni ’80 che avviene il passaggio da una considerazione della separazione come evento ad una concezione che studia la separazione come processo, con una durata e una sua evoluzione. «La separazione è un processo evolutivo, dinamico che cambia le forme delle interazioni familiari.»[8].

E’ proprio la dimensione processuale che permette di comprendere la portata relazionale dell’atto giuridico della separazione, proprio a causa della frattura del legame coniugale. Legame che spesso è compromesso già da molto tempo prima in cui si verifica.

 

Tradire – tradirsi.

 

Il tradimento ancora oggi rappresenta uno degli aspetti più inquietanti della relazione umana. La parola tradire proviene dal latino tradere che vuol dire consegnare. Tradisco deriva da trans e do (= dare) ed il prefisso trans implica  un “passaggio”, una “transizione” verso l’altro. Si abbandona al vecchio e ci si “consegna” al nuovo.

Perchè si tradisce? Il tradimento, nelle vicende relazionali viene rappresentato non solo non necessario ma assolutamente da evitare. Se si pensa alla coppia , luogo per eccellenza del rapporto d’amore, le dinamiche che si svolgono non sono solo di luce, poiché l’ombra che la coppia porta con sé è il rapporto di dipendenza e di esclusività. I due, con tacito accordo, stipulano un contratto basato sulla fiducia e costituito, oltre che da una dichiarazione di impegno consapevole ed esplicita ( che nel rito religioso e civile del matrimonio si esprime con la formula di promessa di fedeltà nella gioia, nel dolore, nella salute e nella malattia) anche da una sorta di contratto segreto che tende ad essere esaustivo di tutti i bisogni e di tutte le aspettative che ciascuno ripone nell’altro. I bisogni disattesi incastrano la coppia facendo venir meno il vincolo. Il  rapporto diventa un luogo di prigione in cui i due protagonisti non esprimono se stessi, ma la sofferenza , il disagio della propria esistenza,  interpretando dei ruoli . Esprimere o dire all’altro che ha fallito nel compito di renderci felici equivale a contravvenire a quel patto iniziale che i due hanno stipulato e ciò significa esplicitare il fallimento del progetto  di vita insieme.

 I desideri, le fantasie, che si presentano nell’incontro con una donna sono la prigione psichica per eccellenza, che trova il suo antenato nell’essere fantasticati, pensati, desiderati o no, ancor prima di nascere. “E’ una pena cocente e intollerabile quella che si infligge a una creatura umana chiedendole di adeguarsi al nostro sogno…La si costringe a recitare un copione di cui non è l’autore”(A. Carotenuto). In questo sembra consumarsi il primo tradimento che diventa una chiave di lettura della nostra esistenza.

Accade così di essere e restare intrappolati nella dialettica, fiducia – tradimento per causa di un genitore che deve dimostrare la capacità di procreare, di riempire un vuoto nello spazio della coppia, di risanare un matrimonio già fallito. “La vita in sé è un tradimento, sin dalla nascita”. Quello che noi possiamo fare è crescere attraverso questo tradimento trovando uno spazio interiore ed autentico attraverso il quale ognuno possa divenire ciò che “è” ossia un essere singolare ed un individuo irripetibile. Tale processo di individuazione comporta un cammino di solitudine e dolore per pervenire alla consapevolezza  della propria individualità scegliendosi e riconoscendosi orfano e dandosi la possibilità di uscire dal gorgo familiare. Una figlia che non è stata investita da un onere affettivo adeguato da parte del padre, divenuta donna rischia di restare intrappolata  con dei partner irraggiungibili, sfuggenti poiché proprio con questi partner rivive il tradimento del padre connesso alle esperienze del vuoto e dell’angoscia. Un figlio “consegnato” dalla madre, proverà nel corso della sua vita il senso della perdita e sarà spinto a vivere nell’incertezza di perdere l’oggetto d’amore. E’ proprio su questo terreno che si attecchisce il sentimento della gelosia. La gelosia rappresenta la minaccia affettiva che proviene dall’esterno e si fonde col desiderio di possesso per l’oggetto d’amore. “Si tratta di una reazione carica di sofferenza per la perdita, di rancore per chi l’ha procurata, di rabbia per l’affetto destinato ad altri anziché a sé, di desiderio di vendetta contro chi lo ha depauperato. ( Widmann 1991, 57).

 La sensazione di perdere l’oggetto d’amore riattiva nell’individuo meccanismi che affondano nei meandri oscuri della sua vita psichica e  attraverso la gelosia riscatta l’attaccamento originario, l’esperienza dei rapporti primari col primo oggetto d’amore e l’illusione di stabilire una relazione affettiva caratterizzata dal possesso.  Si può affermare che la gelosia  risponde alla vicenda esperienziale, appartenente alla prima modalità di relazione dove il fantasma del passato incastra il soggetto dentro una prigione lottando contro quegli spettri rivelatori dell’antica mancanza affettiva, dove la cornice edipica ha delineato la specificità del quadro affettivo infantile. Controllare l’altro, salvaguardare la relazione da possibili intromissioni esterne significa scongiurare la perdita dell’oggetto d’amore. Tuttavia, dietro tali atteggiamenti si cela una personalità  fragile, debole, vulnerabile, non in grado di colmare la ferita narcisistica attraverso la quale sviluppa un esagerato amore verso se stesso e un sentimento di delirio di onnipotenza determinando gravi difficoltà relazionali e un forte rifiuto nei confronti della più profonda dimensione amorosa.  Il vissuto doloroso dell’abbandono che non trova luce rispetto al passato con cui bisogna confrontarsi e “fare i conti”, porta il traditore a sostituire un volto con un altro, un oggetto d’amore con un altro e forse  passerà la vita a tradire,  mettendo in atto la “coazione a ripetere”. In tal modo torna a ripetere l’antico copione per una mancata rielaborazione sui propri vissuti interiori e per non essere stato in grado di perdonare ciò che la vita gli ha consegnato.

Ed è proprio nel tradire l’altro che si possono riconoscere i nostri più profondi vissuti.

La ferita che lascia il tradimento è difficile che si rimargini definitivamente poichè resta una sorta di delusione, che nulla potrà essere come prima, un gusto amaro e la fiducia che c’era viene definitivamente compromessa. Al traditore spetta il compito di rimettere in gioco il rapporto con il suo partner, dando vita ad una nuova visione della relazione che a volte ha perso la ragione di esistere. Molti possono essere i motivi che inducono al tradimento: dal bisogno di sperimentare la trasgressione, al bisogno di conferme affettive, dalla mancanza di attenzione del partner, al “ristagno” della coppia. Due persone che non hanno da dirsi più nulla non comunicano e non riescono a relazionarsi. Tradire diventa l’azione migliore da compiere per un rapporto che non nutre più. Il traditore non è solo colui che inganna, ma al contrario è colui che affronta la realtà nei suoi aspetti più dolorosi. Una relazione non finisce mai per volontà univoca di uno solo dei due partner, ma per la partecipazione di entrambi. Le relazioni che non si nutrono più, vengono segnate dall’apatia, dall’incomprensione, dal logoramento del tran-tran, dalla non autenticità del sentimento e sono destinate a rompere gli argini del matrimonio oppure scegliere di continuare a vivere al fianco di qualcuno che non si ama. Quando si costruisce un tradimento i sentimenti dei protagonisti sono caratterizzati da forti emozioni e pulsioni che tendono a ripetere l’amore adolescenziale ,molto passionale ed affettivo. Col tempo può divenire fonte di ansia per conciliare tempi e luoghi da dedicare all’amante con quelli della vita di coppia col coniuge. Molti dei tradimenti durano da pochi mesi ad un anno o due, forse un’intera vita ponendosi senza spazio e senza tempo come una monade leibniziana.. Oltre il tempo o il matrimonio finisce o la relazione si pone in parallelo al matrimonio.

Ci sono delle differenze tra uomini e donne nello svolgersi della relazione extraconiugale. La donna che tradisce lega il tradimento ad un coinvolgimento emotivo ed amoroso, lo lega ad un’insoddisfazione nel matrimonio che non offre più alcun tipo di nutrimento. L’uomo, al contrario, lo lega più al piacere sessuale e spesso non comincia una relazione adulterina per motivi di insoddisfazione rispetto la coniuge, non ha difficoltà a vivere il tradimento clandestinamente, anzi ciò aumenta il piacere della relazione con la propria coniuge. Mentre il maschile con superficialità, può far finta di niente continuando a condurre la vita di sempre, una donna quando si rende conto di essere in rotta col proprio coniuge e che il rapporto non le dona l’energia e il sostentamento di un tempo, non può tollerare il disagio e l’insoddisfazione che il matrimonio le arreca.

Chi subisce il tradimento prova le più diverse emozioni: rabbia, tristezza,umiliazione, malinconia, depressione,  smette di mangiare,  rifiuta il contatto con gli altri e con il mondo esterno, oltre a rendersi conto, quanto si era sicuri dell’altro, dell’inconoscibilità dell’animo umano. Il traditore diventa uno sconosciuto.  La psicologa Betsy Stone è del parere che non esistono “vittime innocenti” e “vili traditori”, ma il tradimento avviene tra due persone che sono entrambe coinvolte nella genesi della situazione extraconiugale, l’esistenza di quest’ultima è segno di un disequilibrio emozionale della coppia.

Ciò che più fa soffrire il tradito non è la presenza di un’altra persona, ma l’essere stato escluso dalla coppia. Sapere di essere traditi significa vivere momenti devastanti dove il rischio maggiore è quello di indurre a compiere gesti estremi: dall’impulso suicida all’assunzione di droghe o al cercare conforto nell’ alcool. Risulta impossibile mantenere la calma: grida, minacce, comportamenti e parole che possano far male all’altro lasciandogli segni e solchi profondi. In realtà il “tradito” dovrebbe leggere il proprio comportamento e interrogarsi sui valori della propria vita, amore compreso. Spesso solo  con l’aiuto di un “traghettatore” si può elaborare il dolore del tradimento e cogliere il significato  della vicenda per ritrovare se stessi ed interrogarsi sul modo di amare, esaminare il modo di concepire la propria vita, rivedendo quei principi ritenuti incrollabili. 

Un tradimento all’interno della coppia diventa un momento di crescita e il frutto di un nuovo modo di amare quando l’uno riconosce l’altro per ciò che è, nella sua autenticità e dove ognuno dei due partner possa dire “non sono come tu mi vuoi”.

Ma per far questo occorre che sia recuperato in sé quella parte mancante che è stata proiettata sul compagno (l’anima per il maschile e l’animus per il femminile) affinché si possa sperimentare una relazione autentica , l’unione di due solitudini che non nascondono il continuo mutamento della vita, accettando il rischio della solitudine e della delusione.

Mi piace pensare che il volto vero dell’amore venga sempre restituito. A volte è raro. Ma accade.

L’Amore vive attraverso di noi e una storia d’amore non si chiude se non nella nostra volontà di rimuovere. Quando i frammenti e i cocci dell’Io  mettono insieme la nostra soggettività e individualità , sentiremo che il tradimento non è un attacco personalistico e solo allora l’Amore potrà universalizzarsi.

Termino con un sogno:

Un giorno, lei incontrò il suo primo e significativo grande amore. Lui le disse: “sei un grande fiore dell’esistenza”. La donna lo guardò , si specchiò nei suoi occhi e rispose:”So che non posso riconquistare le terre un tempo abitate, prendi la luce che non ha mai spento il mio falò.”

 

 

 

Tradimento o Infedeltà?

 

Il termine infedeltà proviene dal latino in fidus o in foedus che rispettivamente significano non fedele e contro un patto o un accordo. Chi è allora l’infedele?  L’infedele per la concezione cristiana è colui che non cambia mai idea ( Genesi 24,27 “ … che non ha cessato di usare benevolenza e fedeltà al mio padrone”. ) che non rinnega la scelta.

Anche Socrate ha preferito morire per non rinnegare con una scelta (la fuga dal carcere) quella verità sul bene che aveva conosciuto con la sua ragione. Nel Dialogo di Platone, Critone sostiene che Socrate deve fuggire, perchè il suo rifiuto avrebbe conseguenze dannose sia per i suoi (di Socrate) figli sia per  suoi amici. Cioè    “ ciò che decide se il possibile è anche lecito sono, alla fine, le conseguenze del nostro agire, misurate secondo l’opinione della maggioranza“ . Alla domanda quindi   “se tutto ciò che è possibile è lecito, afferma Critone è perché tutto dipende dalle conseguenze del tuo agire”. Socrate  risponde che prima di verificare quali siano le conseguenze delle nostre scelte è necessario sapere se ciò che facciamo è giusto o ingiusto, poiché non dobbiamo darci affatto pensiero di quello che dicono i più, ma solo di quello che dice colui che si intende delle cose giuste e di quelle ingiuste, e questi è uno solo ed è la stessa verità”, dal momento che “ non il vivere è da tenere in massimo conto, ma il vivere bene”. Dunque in questo dialogo platonico è posta la domanda di fondo; ogni nostra azione è eticamente indifferente (fino a quando non ne prendo in esame le conseguenze) oppure esistono azioni che in se stesse sono sempre e comunque ingiuste? L’infedeltà è un’azione ingiusta? Quanto coinvolge l’uomo dal punto di vista delle emozioni e delle ragioni per cui la sua vita ha un senso? L’infedeltà da cosa salva l’uomo?Rinunciare può significare perdere se stesso pur continuando a vivere? L’infedeltà è un atto di redenzione legata alle ombre recondite del proprio vissuto? L’infedeltà diventa il bene dell’uomo per la non autentica realizzazione del paradiso negato?

Ritengo che l’infedeltà è un atto molto profondo nella vita della persona,  un atto propriamente personale e come tale ha un valore singolare ed incomparabilmente personale che non può essere o non essere giusto. L’infedeltà è la realizzazione dell’alter ego sconosciuto alla persona  che per il proprio vissuto la rende necessaria e indispensabile. E’ la possibilità offerta all’uomo per conoscere la sua verità, la sua storia, le sue origini. e nel processo dinamico della conoscenza del suo spirito  realizzare la sua libertà.

In foedus significa letteralmente contro il patto o un accordo. L’infedeltà in questo caso è infrangere il  patto fiduciario - dichiarato che ha nel matrimonio il suo atto esplicito. Con il matrimonio acquisisce rilievo il legame sentimentale – affettivo della coppia e la fedeltà è condizionata dal fatto che permanga l’attrattiva sessuale, la comunanza di interessi e il coinvolgimento emotivo.

Il patto dichiarato richiama la natura etica di vincolo reciproco, esplicitato attraverso la promessa di fedeltà nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. Esso riguarda un obbligo reciproco da parte dei contraenti testimoniato in presenza di un terzo garante del patto di coppia. Nelle coppie di fatto l’obbligo reciproco evita la testimonianza e si richiama al valore della scelta.

Infrangere il patto coniugale significa tradire il progetto di vita insieme che porta con sé sofferenza e disorganizzazione, coinvolgendo tutta la rete di relazione in cui l’individuo è inserito.

La conseguenza a fronte di un patto infranto esplicitato si inserisce sempre in un contesto di perdita e di abbandono che non di rado degenera in odio e discordia e che mette profondamente alla prova ogni membro della famiglia lasciando tracce profonde e a volte indelebili nella vita dei singoli membri.

 

Tipologie dell’infedeltà

 Le tipologie dell’infedeltà sono tante e ognuna riflette la storia personale dell’individuo. Esiste l’infedele che cerca l’altro o l’altra per confermare la propria virilità o la propria femminilità. Probabilmente si tratta di uomini o donne che non hanno sperimentato nella loro infanzia il complesso edipico o di Elettra  all’interno del triangolo familiare che porta il bambino a riconoscere la propria identità di femmina e di maschio attraverso un gioco incrociato con il padre e con la madre. L’infedele che adotta il copione di cui sopra come uno stile di vita in realtà è obbligato a verificare l’identità che non ha potuto o non gli è stata consentita esplorare.

C’e l’infedele  trasmesso da uno dei due  genitori o da entrambi, come stile di vita. Si tratta in genere di uomini o donne che non sono usciti dai condizionamenti del nido, non si sono resi simbolicamente orfani dei propri genitori, non hanno percorso il cammino che rende l’uomo un essere singolare e irripetibile nella sua vera e propria identità.

L’infedeltà per colmare un vuoto, una mancanza del periodo infantile, un desiderio non esaurito nel periodo adolescenziale.

L’infedeltà omosessuale, che avviene nelle coppie eterosessuali, può essere cagionata dal non aver sperimentato nella seconda infanzia i giochi fra compagni dello stesso sesso, a volte mimando fra loro il rapporto sessuale degli adulti, più spesso masturbandosi a vicenda. Una predilezione che non è dovuta quasi mai a tendenze omosessuali: alla soglia della pubertà questi giochi rappresentano un rito di iniziazione fra eguali prima di avventurarsi sul terreno della diversità. Tali giochi puramente esplorativi e purchè non vi partecipino ragazzi più grandi che stanno vivendo una sessualità diversa da quella dell’età di latenza, accompagnano il bambino ad una maggiore consapevolezza della propria sessualità.

L’infedeltà di adulterio cioè per vendetta, intesa a  voler riscattare un tradimento subito dal partner. In questo caso il tradito rimane vittima della ferita  dell’orgoglio narcisistico soprattutto se è l’uomo a subire il tradimento poiché “è sempre stato abituato a una dimensione per la quale la sua supremazia non può venir messa in discussione.” Incastra se stesso per l’incapacità a comprendere e perdonare. La persona narcisista è selettiva, intollerante che reclama per se stesso azioni costanti e illimitate destinate nel tempo a sgretolarsi in relazioni insostenibili che lasciano campo libero al tradimento.

L’infedeltà per gioco di potere è tipica degli individui che nascondono la paura della sconfitta e non conoscono lo smacco del fallimento. L’individuo si erge come dominatore di sé e del mondo. Credo che sia una delle tipologie di infedeltà  più pericolose sia per il dominatore che per il dominato in quanto possono emergere dinamiche sadomasochiste  per la spietata personalità del ruolo che deve assumere il dominatore. In pratica l’avere non compensa l’essere.

L’infedeltà per uscire da una relazione insoddisfacente che non nutre più, non le regala l’energia e il sostentamento di un tempo.

L’infedeltà come strumento per rinnovare il rapporto di coppia che vive il logoramento e l’inappagamento della sfera sessuale.

L’infedeltà per voyeurismo è tipica del voyeur denominato più spesso “guardone” ; una persona che per raggiungere l’eccitamento e la soddisfazione sessuale ha bisogno, più che di esperire in maniera attiva, di incamerare un certo tipo di immagini, in particolare quelle dei genitali di un’altra persona.

Il voyeur spia in silenzio,pensando di non essere scoperto, di restare nascosto nell’ombra, invisibile, implica la sicurezza di non doversi confrontare con l’oggetto sessuale.

L’infedeltà attraverso l’utilizzo dei siti – voyeur è di chi si aggira fra i siti della rete, in cerca di un fotogramma che possa soddisfarlo per vivere la propria sessualità. Si tratta di individui che esprimono intensi desideri simili a quelli dei bambini che non riescono a tollerare le frustrazioni e pensano che il mondo sia a loro completa disposizione.

L’infedeltà in chat  alla ricerca di una compagna/o di rete esclusivamente per sesso o per essere ascoltati o compresi, per affetto, per non sentirsi soli.

E allora se infedeltà vuol significare in fidus e in foedus, possiamo dire che il tradimento  inteso come consegna del nemico (rappresentato dal partner) all’altro (rappresentato dalla figura dell’amante)  può salvare se stessi per comprendere il moto che ci spinge a tradire.

E’ un atto di rivolta contro l’altro ma soprattutto un atto di libertà che permette a pochi eletti di porre fine alla ”coazione a ripetere” solo e nel momento in cui si è consapevoli dell’assurdo equivoco a cui la vita ci ha consegnati burlandosi dell’uomo.

Non è un elogio o un’apologia dell’infedeltà ma semplicemente far pensare e riflettere cosa significa per ognuno di noi essere fedeli o infedeli a  “se stessi e nel rapporto di coppia” legando poi il concetto di fedeltà o infedeltà alla propria natura di essere e sentirsi uomini liberi. Riconoscere e affrontare il tradimento o l’infedeltà vuol dire cogliere l’opportunità di crescere e permettere a se stessi di vivere un’esistenza per affermare che la vita è “pantha rei”. Tutto si muove e muta e l’uomo è soggetto a continue trasformazioni per un cammino non sempre facile.

La mia esperienza professionale di Mediatrice Familiare

 

Partendo da un’attenta considerazione dei “disagi” che sono connessi all’esperienza della separazione, che riguardano in particolar modo i figli coinvolti, è facile intuire che essi sono dipendenti sia dall’intensità sia dalla tipologia del conflitto.

L’esperienza professionale,in qualità di mediatrice familiare mi ha permesso di individuare conflitti, velati da false separazioni consensuali, che vengono agiti in modo ambiguo o direzionati verso i figli, i quali raccolgono le emozioni genitoriali. Oppure situazioni in cui si assiste ad un’escalation del conflitto, in cui vi sono vere e proprie denunce penali e certificazioni mediche. I figli sono direttamente coinvolti soprattutto in gravi episodi di violenza psicologica. Spesso assistiamo anche a situazioni in cui la conflittualità viene delegata ad altri, quali le rispettive famiglie d’origine, medici, operatori, altri servizi come quelli della giustizia. I figli sono così presi in mezzo e costretti dal dover dire all’uno o all’altro quale situazione prediligono. Si sentono stracciati e contesi dai genitori.

Ecco che questo paragrafo vuole prendere in considerazione l’intervento di mediazione familiare  alla luce della formazione col professor Vincenzo Masini secondo il modello della sua scuola “Prevenire è possibile”.

 Il professor Vincenzo Masini che ha notevolmente contribuito alla mia crescita personale e professionale, mi ha permesso  di riflettere  e pensare ai temi della vita e alle esperienze che accompagnano l’uomo nelle relazioni genitori – figli e nella relazione di coppia.

Gli insegnamenti, i metodi e gli strumenti della scuola “Prevenire è possibile” sono diventati una risorsa  per situazioni di famiglie disgregate e  per sostenere e aiutare la coppia a vivere la transizione.

 Il mio pensiero  non pretende di risolvere la complessità delle vicissitudini che gravitano attorno alla famiglia, però tenta di analizzare alcune problematiche inerenti le separazioni e i divorzi, al fine di evitare situazioni dove i genitori, presi dall’odio, dalle preoccupazioni personali, dagli interessi economici, dalle rispettive recriminazioni, e perché no anche dalla propria inevitabile sofferenza, il più delle volte manifestata con aggressività, dimenticano la loro prole. Nelle situazioni peggiori i figli vengono utilizzati in maniera strumentale, diventando oggetti di contesa.

 In questo senso la mediazione familiare  permette di fronteggiare tali situazioni al di fuori del contesto giudiziario, attraverso una metodologia specifica.

 

 

Chi è il Counselor Familiare

 

La problematica sociale che si manifesta nelle separazioni e nei divorzi rappresenta un settore di lavoro per diverse categorie di professionisti: avvocati, psicologici, assistenti sociali, sociologi, tutte figure che da tempo si incontrano e si scontrano costruttivamente per trovare la risoluzione di questo contenzioso. La figura professionale più idonea ad occuparsi di tale problematica appare il  counselor familiare, che ha una formazione specifica. Un professionista capace di liberarsi degli irrigidimenti e delle ortodossie delle diverse discipline d’appartenenza [9], nel rispetto di alcuni principi generali, come il rispetto per gli altri, per la propria libertà, e l’indipendenza da qualsiasi autorità. Nell’ambito del percorso della mediazione il mio lavoro si basa su alcune premesse teoriche, quali:

§               capacità di empatia nei confronti dei genitori separati, comprendendo la sofferenza di chi si ha di fronte senza lasciarsi coinvolgere emotivamente; ma neppure troppo distaccati altrimenti verrebbe a mancare il senso dell’impegno;

§                riservatezza del  counselor;

§               visione dei figli come fonte costruttiva, i minori devono essere un incentivo per cercare la comunicazione;

§               considerazione della conflittualità come mezzo per superare l’incomunicabilità, il conflitto può essere moderato, contenuto, canalizzato, utilizzato positivamente;

§               consapevolezza della mediazione come metodologia dalle proprie caratteristiche, il counselor deve semplicemente accompagnare chi desidera trovare un accordo.

§               ottica di fiducia, credere che i genitori abbiano le potenzialità per trovare un accordo

Inoltre il counselor «deve tener conto nella formazione del rapporto individuo-ambiente: essendo un elemento tra tanti altri, come parte di un tutto, come animale sociale, l’uomo è in continuo contatto e scambio osmotico con il resto del mondo, e il modello per interpretare questa realtà è quello ecologico-sistemico, che ipotizza influenza reciproca continua»[10].

Il  counselor deve tener conto nel suo lavoro della situazione in generale e degli altri sistemi di riferimento. Questa visione sistemica fa del  counselor una figura professionale capace di cogliere la totalità del rapporto tra l’individuo e l’ambiente e le reciproche interazioni.

Il counselor si trova così ad affrontare diversi compiti, deve essere in grado di progettare di fronte alla situazione specifica dei genitori separati percorsi di risposta articolati, in cui i soggetti acquistino una posizione centrale e protagonista.

Il counselor familiare è”colui che consente la negoziazione tra posizioni diverse, favorendo la comprensione dei punti di vista reciproci” (V. Masini).

In antitesi col pensiero  di alcune scuole secondo le quali  “ il mediatore è  un terzo neutrale”, il professore Vincenzo Masini ritiene che “nessun strumento relazionale può essere aprioristicamente  neutro”. “Ogni intervento educativo produce uno spostamento emozionale, dinamico e di controllo”. “Ciò che è da osservare in una coppia è la relazione che consente al mediatore di individuare quali modalità di aiuto possono essere efficace nei singoli casi.”

 Nel percorso di counseling non ci sono ricette “pronte” e  modelli unici per la risoluzione dei conflitti familiari. Bisogna tener conto inizialmente della tipologia del singolo individuo, comprendere la storia della coppia che ha prodotto una tipologia di famiglia per poi analizzare i punti di criticità e i punti di forza presenti nel contesto gruppo – famiglia.

La coppia deve prendere consapevolezza delle dinamiche che l’hanno fatta “scoppiare” per giungere alla scelta della separazione.  Il counselor dovrà “aggiustare il tiro intervenendo e riconoscendo gli antidoti che secondo il modello della scuola Prevenire è possibile   rispondono ai bisogni di quella coppia.

FASTIDIO                                     INTEGRAZIONE

DELUSIONE                                COMPLEMENTARIETA’

LOGORAMENTO                        INCONTRO

INCOMPRENSIONE                   MEDIAZIONE

EVITAMENTO                            DIALOGICITA’

EQUIVOCO                                 RICONOSCIMENTO

INSOFFERENZA                         DISPONIBILITA’

La coppia che giunge al servizio di counseling non porta  solo una incomprensione ma a volte giunge al servizio con frammenti di fastidio, di delusione di logoramento, di equivoco.

Il counselor deve  attivare ed utilizzare una comunicazione che rispetta la caratteristica dei singoli soggetti  empatizzando col loro vissuto. A volte  si tratta di attivare  un processo di dialogicità fra le parti .

E’  Martin Buber dicono il professor Vincenzo Masini e la Dott.ssa Emanuela Mazzoni “che ci insegna che un dialogo è possibile quando ci sono cose da dire e c’è un contesto in cui possono essere dette. La diade (o il gruppo ) diaologica riesce a discutere di ogni cosa senza litigare o disperdere la relazione.  In una coppia separata o che si accinge alla separazione “cose da dire ce ne sono tante, compresi i non detti negli anni della relazione”.   [...] 

Il dialogo, che è sempre comunicazione, crea le premesse della collaborazione. Il dialogo non si impone, non manovra, non addomestica, non fa slogan”.(Paulo Freire).

Il dialogo dice il Professor Masini è “l’antidoto dell’evitamento  e può avvenire solo se le parti sono separate tra di loro e solo se non v’e d’obbligo di raggiungere obiettivi immediati, o di negoziazione immediata”. Proprio per tale ragione può attivarsi nel percorso del counseling dove la coppia  aldilà  di un percorso di legge si presenta  separata o distaccata dall’altro. Spesso raccontare le varie fasi della propria storia a partire dal primo incontro, l’iter della vita sotto lo stesso tetto, le difficoltà incontrate nel  vivere insieme e i vissuti che hanno portato alla separazione sollecitano i soggetti a trovare un senso e una nuova consapevolezza che sostiene la propria identità all’interno di una diade.  L’evitamento è: “ la differenza tra sensibilità ed emotività consiste nella diversa profondità interiore raggiunta da un vissuto. La persona sensibile viene invasa dalle emozioni che sperimenta, la persona emotiva reagisce con immediatezza nel suo comportamento esteriore senza assorbire in profondità le emozioni vissute. La persona sensibile si presenta come inibita e impacciata, la persona emotiva appare disinibita. L’evitamento è conseguente all’impossibilità di condividere vissuti emozionali simili, ma diversamente assimilati, e produce una distanza di indifferenza.(dizionario di counseling)

“ L’ Io prende coscienza di se stesso davanti al dialogo. La parola – base- Io –Tu produce il mondo della relazione. Le anime non raccontano di se stesse, ma di ciò che su di esse ha agito” (Martin Bruber) [...]  Non è nel silenzio che gli uomini si fanno, ma nella parola, nel lavoro, nell'azione-riflessione.

 Ne risulta che per una consulenza   concepita come pratica della libertà  e dell’autonomia dei singoli soggetti nella scelta di intraprendere un percorso di counseling, il dialogo comincia,  quando il counselor  si trova con una coppia  in una situazione pedagogica, e quando il counselor si domanda su che cosa dialogherà con questi.

Ciò che si osserva nel counseling  è “la relazione della coppia e la tecnica fondamentale durante il colloquio è quella di non perdere di vista i tempi che ciascuno occupa nel discorso.” “ Nel caso in cui un partner parli meno, è necessario farlo esprimere attraverso domande dirette. Per es: “ Cosa ne dice di quello che ha detto suo moglie?”

E’ molto utile elencare le principali questioni su una lavagna poiché questo dimostra che le loro parole vengono ascoltate e fornisce un punto focale comune. Le informazioni fornite da ognuna delle parti vengono confrontate e discusse con entrambe; dove esistono delle differenze, queste possono essere mostrate come limiti di un campo d’azione.

Secondo il modello della scuola Prevenire è possibile “la mediazione è l’antidoto dell’ Incomprensione “ perché negozia i significati e libera dal controllo reciproco”.

L’incomprensione “è l’incapacità di trovare il senso del comportamento che l’altro mette in atto. Sebbene sia chiaro ed evidente ciò che l’altro fa e perché lo fa, i membri della coppia non ne condividono il senso. Ciascuno non capisce come mai l’altro non capisca che ciò che egli fa non è quello che si deve fare in quella circostanza. Il confronto è sterile perché ciascuno pensa: “Possibile che non capisca che…?”. L’incomprensione è tipica delle relazioni in cui non collimano le priorità, i valori e le concezioni e, pertanto, struttura l’impossibilità di condividere metodo e scopo dei comportamenti, eleva il livello di controllo ed osservazione del comportamento dell’altro e depotenzia l’affettività reciproca.” (Dizionario essenziale di counseling).

In senso relazionale transteorico “la mediazione consiste nel trovare uno o più accordi negoziando  le diverse opzioni per raggiungere un fine nel rispetto del personale modo di essere e nel rispetto di una nuova riorganizzazione personale di vita”. “L’attività permette di trovare  e dare un senso a ciò che si fa , attraverso l’individuazione di quelle parti su cui si può negoziare. Ogni mediazione implica un margine, una tolleranza,la quale a sua volta conduce al valore della pace”.

 

 

La Comunicazione nella Mediazione Familiare attraverso il metodo di “Prevenire è possibile”

 

 

Mentre nell'educazione depositaria, che è per essenza chiusa al dialogo, e per questo non comunicativa  si  deposita nella coppia il contenuto dei programmi della negoziazione, che un “traghettatore” stesso elabora o qualcuno ha elaborato per lui, nel counseling aperto per eccellenza al dialogo, questo contenuto, che non è mai "depositato", si organizza e si costituisce nella visione del mondo , attraverso il metodo dell’empowerment. (“Il counselor che media dice il professor Masini “ consente la negoziazione tra posizioni diverse, favorendo la comprensione dei punti di vista reciproci”).

Il counseling può avvenire, a seconda dei momenti e della personalità della coppia utilizzando la comunicazione narrativa, simbolica o dinamica.

La comunicazione narrativa secondo J. Bruner è la prima modalità di apprendimento del bambino. “Ho sostenuto con molta convinzione che una delle forme di discorso più diffusi e più potenti della comunicazione umana è la Narrazione. La struttura narrativa è anche insita nella prassi dell’interazione sociale: ciò che determina l’ordine di priorità in cui le forme grammaticali vengono assimilate dal bambino in tenera età è proprio la spinta a costruire una narrazione”.(Bruner, 1997, 68). “La narrazione è anche un modo di usare il linguaggio”.

“La narrazione è l’invenzione di storie attraverso le costruiamo una versione di noi stessi nel mondo, una versione verosimile attraverso la quale ricostruiamo il significato delle nostre azioni e le leghiamo al senso della vita vissuta.” .  Mediare attraverso una comunicazione narrativa vuol dire raccontare aneddoti, storie, che possano divenire modelli per la coppia.

 “Questa modalità comunicativa è estremamente utile per avviare processi di ascolto… dove emerge nella comunicazione una dimensione soggettiva e personale. Ascoltare il narrarsi nell’ambito di una mediazione familiare richiede discrezione  e sostenere in modo invisibile senza esprimere titubanze e senza restituire alcun segnale critico, ma comprensione e apertura al dialogo (V. Masini).

La  comunicazione dinamica attiva uno scambio e una interazione nella coppia  innescando ad esempio una lite. Dinnanzi al flusso delle parole,il mediatore  deve dimostrarsi non turbato e lascia spegnere la lite, evitando qualsiasi interferenza, che potrebbe solo produrre ulteriori accensioni.

La comunicazione simbolica si attua attraverso le possibili opzioni che i partner esplicitano giungendo a trovare la soluzione più appropriata, senza che il mediatore suggerisca l’opzione risolutrice. I simboli avvicinano quando il linguaggio non permette di comunicare. “Lavorare con i simboli significa mettere o togliere ancoraggi.”

“ Naturalmente questi tre stili comunicativi possono presentarsi opportunamente miscelati, in tutti i tipi di frame comunicativi. Una buona comunicazione impegna a dedicare un cero tempo ad ogni modello nel corso di una sessione di comunicazione: si può incuriosire, poi narrare,poi operare sintesi e riprendere più volte il processo. Un buon comunicatore stabilisce in questo modo un buon rapporto con la coppia.”

 

Differenza fra il counselor e il mediatore familiare

Il Counselor familiare parte dai Tipi di personalità del singolo individuo che permettono di comprendere la relazione tra i Tipi nella diade, poiché attraverso l’analisi del tipo di personalità si individuano le relazioni di opposizione e le “malattie relazionali di coppia”. Il counselor dopo aver individuato il Tipo di coppia e riconosciuta la relazione di opposizione deve individuare l’antidoto specifico per la disfunzione. In altri termini dice il professor Vincenzo Masini “le tipologie di personalità, incontrandosi, si articolano in relazioni tipiche, che, formano dinamiche più ampie, familiari o di gruppo, fino a comporre sistemi relazionali di popolazione. Dall’incontro di specifiche tipologie di personalità si possono creare delle disfunzioni relazionali, che determinano la tipologia comportamentale dei figli e, conseguentemente la dinamica specifica di quel nucleo familiare.

A seconda che la dinamica sia funzionale o disfunzionale, la relazione familiare può essere:

Oppressiva/ Protettiva

Antagonista/Difensiva

Atomizzata/Comunicativa

Appariscente/Pacifica

Rassegnata/Comprensiva

Invischiata/Affettiva

I disturbi relazionali  sono prodotti da tipi in cui i partner  non sono  evoluti e generano disfunzionalità nella coppia genitoriale , dando sapore e atmosfera alla famiglia.

Il mediatore familiare non tiene conto né della tipologia degli individui, né di quella relazionale di coppia, si ferma soltanto a comprendere se ci sono elementi ostativi che verificano la mediabilità della coppia , traccia il genogramma utilizzando la lavagna a fogli mobili per costruire la storia della coppia e comprendere i motivi che l’hanno condotto alla scelta della separazione.

Il mediatore a differenza del counselor  deve dimostrarsi neutro e imparziale. Imparziale nel senso che non è di parte, e neutro nel senso che il mediatore non ha interessi personali rispetto all’esito del processo di mediazione.

Sia il counselor che il mediatore hanno in comune il concetto di equidistanza, che significa che entrambi le figure concedono la stessa attenzione a tutti i partecipanti.

Il processo della mediazione si concentra sul presente e sul futuro, spesso senza effettuare la ricostruzione della storia passata, eccezione in cui le informazioni sul passato assumono rilevanza per le decisioni presenti. Il processo del counselor si concentra nel vissuto della storia della coppia per comprendere attraverso una visione ampia la dinamica specifica del nucleo familiare.

Non fa parte del ruolo del mediatore il fatto di decidere o consigliare i genitori su cosa è o potrebbe essere meglio nell’interesse di un particolare bambino. I mediatori aiutano a tener conto della posizione, dei bisogni e dei desideri di ogni bambino nell’elaborare soluzioni che i genitori considerano come le migliori per il figlio nelle loro particolari circostanze. Solo se gli accordi danneggiano i figli,il mediatore dovrebbe incoraggiare una discussione per una valutazione ulteriore ed invitare i genitori a rivolgersi ad altri esperti.

Il Counselor invece spesso si deve sostituire alla persona, perché essa non è in grado di scegliere perché ha subito squalifiche o oppressioni da renderla inibita dinnanzi alla scelta.

La mediazione è una scienza del processo anziché dello stato, del divenire anziché dell’essere. Il counseling parte dall’essere, dallo stato del quid et ora per intraprendere un percorso attraverso un processo dinamico che rende consapevole l’individuo dei suoi progetti di vita nel rispetto di sé, dell’altro e dei figli.

Sia i mediatori sia i counselor hanno bisogno di savoir, savoir–faire e savoir–etre.

Il counseling può essere la soluzione appropriata per aiutare la coppia a capire cosa sia successo e perché.

Per il counselor e per il mediatore la capacità di ascolto  e  la comunicazione sono importanti, specialmente nell’esprimere e nel focalizzare le problematiche.

Entrambi le figure per un intervento di mediazione ritengono utili l’utilizzo di cartelloni per scrivere le questioni principali e stabilire delle priorità nella discussione. Ciò dimostra che le parole sono ascoltate e si può fornire un punto focale comune.

Il counselor può utilizzare il setting che corrisponde meglio alla tipologia della coppia,( dietro una scrivania, sui divanetti, sedie ecc.ecc), il mediatore non prevede la presenza di scrivanie,ha un setting strutturato che accoglie la coppia a sedersi a una distanza adeguata in un circolo che favorisce  la comunicazione e l’interazione diretta.

La mediazione familiare offre alla coppia genitoriale una prospettiva temporale ben strutturata rispetto al numero di incontri che a volte vengono concordati per procedere entro termini brevi ad una verifica dei risultati raggiunti. In genere gli incontri con la coppia si tengono due volte al mese per un periodo che si aggira attorno ai sei mesi, rimanendo possibile abbreviare o aumentare il numero delle sedute. La durata delle sedute oscilla fra un’ora e mezza e due ore.

Durante una lite il mediatore deve riconoscere la loro rabbia intervenendo: “capisco che entrambi vi sentiate  molto arrabbiati in questo momento” e se la rabbia degenera in lunga tirata in maniera ferma il mediatore richiama la coppia alle regole di base della mediazione proibendo un linguaggio offensivo o provocatorio. Il counselor dinnanzi ad una lite deve mostrarsi non turbato , lasciando spegnere la lite senza nessuna interferenza.

Il counselor può ascoltare i figli e intraprendere incontri con l’intero nucleo familiare. Il mediatore non incontra mai l’intero nucleo familiare e solo pochi mediatori incontrano i figli delle coppie separate.  Per la maggior parte dei mediatori il ruolo di tale professionista non consiste nell’indagare sul benessere dei bambini ed esercitare un controllo sui genitori poiché l’obiettivo è quello di aiutare i genitori a elaborare le proprie decisioni e accordi e di facilitare la comunicazione fra genitori e figli. Sull’opportunità di far partecipare i bambini alle sedute: alcuni lo ritengono inutile se non dannoso, perché coinvolgerebbe ulteriormente i bambini nei problemi dei genitori, altri lo ritengono opportuno perché permetterebbe loro d’intervenire attivamente sul processo di cambiamento delle relazioni familiari che la mediazione si propone di sollecitare, con la comunicazione diretta dei loro vissuti e bisogni. Circa la presenza dei figli  dice Dolto (1991)  la mediazione può costituire un’importante occasione in cui verbalizzare, dove adulti e minori a secondo dell’età  “possono metter delle parole sulla sofferenza”  dove poter nominare  delle emozioni e dei sentimenti innominabili, dove venir informati sui progetti che coinvolgono il gruppo familiare”. 

Tale differenza vuole far riflettere sulle diverse scelte tecniche, che necessitano di continui studi e aggiustamenti per un tipo di lavoro che si basa sull’evoluzione continua dell’uomo soprattutto dinnanzi alle manifestazioni di sofferenza per la difficoltà di adattarsi a ciò che la vita lo consegna.

 

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[1] Ardone Ritagrazia e Mazzoni Silvia, op.cit. p.55.

[2] Scabini Eugenia, “Psicologia della separazione e del divorzio” op.cit., pag. 28.

[3] ibidem, pag 30.

[4] Ibidem, pag 34.

[5] Ibidem, pag.36.

[6] Malagoli Togliatti Marisa, "Individuazione e attaccamento nella separazione coniugale" in "La mediazione familiare per una regolazione della conflittualità nella separazione e nel divorzio", a cura di Ardone Ritagrazia e Mazzoni Silvia, Giuffrè editore, Milano, 1994, p.11.

 

[7] Ibidem p.16.

8 Carotenuto Aldo,  „Amare Tradire“ Nota alla prefazione

[8] Ibidem p.17.

[9] Cericola Antonio - Tiberio Antonio, “Il modello di mediazione familiare in Italia” in "Rassegna di Servizio Sociale" n° 3/97, p.69.

[10] Ibidem, p. 70.