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Psicoterapia implicita nella comunicazione narrativa, simbolica e interattiva con il paziente
Vincenzo Masini
Psicoterapia implicita power point completo (pesante 11.000 kb)
in pubblicazione su ATTI del XXXV Congresso
Nazionale della Società di Psicoterapia Medica
Sociologia della salute
La sociologia della salute (o sociologia sanitaria) analizza la malattia e la salute come fatto relazionale e sociale: nella sua genesi, nei rapporti che determina, nei processi sistemici in cui il binomio salute/malattia è inserito. Ciò non significa però che la sociologia consideri il concetto di salute/malattia solo come una pura costruzione sociale; la soggettività dei pazienti è in relazione al loro essere dentro un corpo, dentro un sistema di relazioni e dentro un contesto sociale[1].
Tra la soggettività psichica
del malato, il suo corpo, il suo mondo della vita e il sistema sociale sono
sempre in atto processi dinamici di interazione, processi di coglimento empatico
di emozioni ed affetti e processi di comunicazione simbolica, destrutturanti e
ristrutturanti il sistema cognitivo della persona. La “sociologia della salute”
supera lo stallo della sociologia della medicina, ad indirizzo biopsicosociale,
che consisteva nell’applicazione delle metodologie e tecniche di analisi
sociologica nella medicina considerata come scienza e apparato sociale di
cura delle malattie [Donati, 1983: 128], per affrontare il tema delle relazioni in cui il vissuto del paziente è inserito, in una
prospettiva analoga a quella della nascente medicina narrativa.
Medicina Narrativa
La
narratività in medicina sta acquistando un ruolo crescente: come metodo per
indagare in profondità nel campo ed individuare ipotesi, come strategia per
ipotizzare scenari, come indagine per raccogliere nuovi tipi di dati, come
teoria su cui fondare accordi, anche provvisori, tra ricercatori che, pur
movendo tra tradizioni di pensiero e da impostazioni concettuali diverse,
cercano un nuovo paradigma unificante. La Narrative Based Medicine
prevede una
ricerca qualitativa, attraverso la raccolta di dati soft, sui vissuti del
paziente (in termini di tristezza, sentirsi soli, provar dolore, sconforto) e
sulla modulazione delle relazioni che egli vive nell’ambiente di cura e lo fa in
contrapposizione con la Evidence Based Medicine, anche di fronte ai
sistemi più avanzati di EBM, ad esempio la
POEMs
(Patient-Oriented Evidence that Matters) o le
linee guida di pratica clinica (Clinical Practice Guidelines). L’intento
della NBM è quello di arricchire il punto di vista del medico, formato nello
stile di azione, di visione, di percezione e di pensiero della biomedicina,
efficacemente descritto da Good [1999], fino ad una rottura epistemologica della
biomedicina.
“Le descrizioni della malattia forniscono una struttura per
l'avvicinamento dei problemi del paziente in modo olistico e si possono scoprire
diagnosi e opzioni terapeutiche che utilizzano una storia come atto
interpretativo… Perchè lo studio delle narrazioni? Nell'incontro diagnostico, la
descrizione è la forma fenomenica in cui il paziente sperimenta la salute;
incoraggia l’empatia e promuove la comprensione tra il medico e il paziente;
permette la costruzione degli indizi e delle categorie analitiche utili
al processo terapeutico; consiglia un metodo olistico a chi gestisce; è
intrinsecamente terapeutica o palliativa… Lo scopo di un database di esperienze
di singoli pazienti è di collezionare, indicizzare e pubblicare nella forma
narrativa le esperienze di malattia negli utenti e nei partecipanti di servizio
medico-sanitario alle prove cliniche…” [Greenhalgh T., Hurwitz B., 1999]. La prospettiva del programma di medicina narrativa è finalizzato
ad addestrare i medici in abilità narrative nella lingua umana ordinaria e nella
scrittura autobiografica riflettente. ”La medicina narrativa, scrive Rita Charon
dell'Università della Colombia, è emersa come nuova struttura per la medicina
clinica e comprende le abilità testuali ed interpretative nella pratica della
medicina… Con addestramento rigoroso e disciplinato in tali abilità narrative e
la riflessione sulle proprie esperienze cliniche, i medici possono imparare ad
assistere i loro pazienti proprio sulla base di quanto i pazienti dicono loro
(nelle parole, nei silenzi, nei gesti). Possono così riconciliare le molte
versioni contraddittorie della loro storia clinica…”
[Charon, 2001:1899].
Psicoterapie esplicite ed implicite
L’incontro della sociologia con la medicina narrativa passa attraverso
l’analisi del contesto di rapporti in cui il malato è inserito, la raccolta di
storie di salute e malattia, per giungere alla descrizione, narrativa e
sistematica, delle relazioni terapeutiche in atto all’interno dei contesti di
cura. Utilizzando un approccio sociologico connessionista per formulare
tipizzazioni relazionali[2]
la cui interconnessione è l’ambiente relazionale. La psicoterapia implicita è
costituita da una, o più, forme efficaci di relazione con l’altro (con gli
altri, con il gruppo) in un ambiente da analizzarsi sulla base delle sue
effettive qualità e non mediante il richiamo al concetto di “approccio olistico”
riduttivamente inteso come “indeterminatezza relativistica”. Come dire:
“l’ambiente è terapeutico perché... è terapeutico”. Dipende invece dal tipo di
malato, dal tipo di ambiente e dalla relazione tra ambiente relazionale e
malato!
Per discutere di psicoterapie esplicite faccio riferimento al rigoroso
tentativo di classificazione di Prochaska e Norcross [1999],[3]
che catalogano comparativamente, in funzione degli stadi del
processo di cambiamento e delle problematiche del paziente, gli approcci
prevalenti negli USA. Tra i 200 approcci psicoterapeutici Prochaska e
Norcross analizzano la diffusione della psicoanalisi freudiana (18%);
terapia adleriana (1%);
terapia esistenziale (1%); terapia
centrata sul paziente (1%); terapia
gestatica (1%); analisi transazionale (5%); terapia comportamentista (13%); terapia cognitiva (24%);
terapia sistemica (4%); terapie eclettiche (27%). I processi di azione,
di comunicazione e di relazione ascritti a tali psicoterapie possono essere
distinti in:
1) Presa di coscienza e catarsi, tipizzabili nelle tradizioni psicodinamiche, psicoanalitiche e umanistico-esistenziali
2) Comunicazione interpersonale e superamento dei conflitti, tipizzabili nelle psicoterapie transazionali e gestaltiche
3) Capacità di scelta, stimoli decondizionanti e controllo delle contingenze, tipizzabili nelle psicoterapie comportamentali e sistemiche.
Questi stessi modelli possono essere rintracciati, miscelati tra di loro, nella relazione terapeutica non esplicite quella “psicoterapia inconscia nella professione medica non psichiatrica” [Parsons, 1996: 474] descritta da
Parsons come esercizio implicito delle dinamiche di ruolo del medico.
“Come abbiamo rilevato, qualsiasi buona professione medica è stata ed è, in certa misura, psicoterapia” [Parsons, 1995: 486] tanto che “la conclusione generale è che una parte molto importante dell’esercizio della professione medica non-psichiatrica o pre-psichiatrica costituisce in realtà una “psicoterapia inconsapevole”, [Parsons, 1995: 471] la quale si presenta coessenziale alla struttura di relazione tra medico e paziente, fondata sulla fiducia e sulle modulazioni del ruolo. Tanto che i suoi limiti insorgono quando vi è un rigetto per la forzatura/evasione dalla responsabilità, sostegno insufficiente, la strumentalità del paziente, processi che rimandano rispettivamente alle dimensioni teoriche della 1) simbiosi – identità (il processo di controllo che conduce all’identità richiede la responsabilizzazione); 2) attaccamento e distacco (non si ottiene distacco senza sostegno) 3) processi up e down (non si perviene alla compliance ove questa sia una finzione opportunistica). Questi tre noti paradigmi d’interpretazione delle relazioni sono chiavi di lettura implicite nelle diverse correnti delle psicoterapie che, con ampie contaminazioni tra loro, descrivono i processi relazionali effettivi tra persone, nei gruppi e tra persone e gruppi. La psicoterapia implicita può così essere ricondotta al cambiamento della persona, attuato mediante una modificazione delle sue relazioni, nella direzione di un rimodellamento dell’equilibrio tra simbiosi ed identità (processi catartici che consentono un aumento della fusione con l’altro, ad es. in soggetti ossessivi, o ricentramento sul sé e sul controllo, per soggetti con un sé dilatato o rarefatto), tra attaccamento e distacco (conflitti intorno all’oggetto o incapacità di transazione nell’oggetto), tra up e down (blocco autoreferenziale all’interno delle sequenze di comunicazione con prevalenza di soggettività oppure passività assorbente nei confronti delle azioni altrui). Riferire alla realtà questi punti di vista, sintetici delle teorie, serve per contribuire alla costruzione di uno strumento di indagine sulle relazioni educative, formative ed implicitamente terapeutiche.
La analisi dei reticoli relazionali delle personalità collettive
Secondo Ardigò, gli elementi primari per costruire un paradigma d’interconnessione relazionale sono gli atti elementari di azione umana intenzionale e il rapporto tra attori sociali. Il primo fondamento dell’interconnessione micro-macro risiede nella constatazione che anche la più semplice azione umana presenta un riferimento al sistema sociale. Le relazioni tra attori sociali, in gruppi o sistemi, sono analizzati dalla sociologia attraverso schemi differenti: 1) relazioni entro un piccolo gruppo vs relazioni in un gruppo vasto; 2) relazioni dirette (“faccia-a-faccia”, in “mondi vitali quotidiani”) vs relazioni mediate da tipizzazioni (in tutte le dimensioni sociali, province di significato non appartenenti ai “mondi vitali”); 3) processi relazionali (relazioni interpersonali di soggetti intenzionali reciprocamente orientati) vs processi aggregazionali (dipendenti dagli status-ruoli istituzionalizzati).
Tutti i tipi di relazioni (sia tra atti elementari in un singolo attore che tra attori in un sistema o gruppo) presentano “proprietà emergenti, specifiche della stessa relazionalità e non derivabili dalle singole unità coinvolte nella relazione” [Ardigò, 1997: 249], la relazione è quindi un importante fondamento concettuale per l’interconnessione tra micro e macro-analisi.
Un
ulteriore elemento è però indispensabile al fine di distinguere tra
comunicazione e relazione[4].
L’applicazione del paradigma della
svolta linguistica, cominciata dal secondo Wittgenstein, proseguita da Austin e
istituzionalizzata da Habermas (attraverso Searle) alla sociologia relazionale
della salute, mediante la sua contaminazione con la medicina narrativa, connette
le modulazioni relazionali con i processi comunicativi mediante tappe
progressive che contemplano: la
ricognizione sulle storie di vita, la loro organizzazione in una ricerca a base
dati, la costruzione di idealtipi
di personalità collettive di gruppo, la quantificazione della qualità delle
relazioni e la loro connessione agli stili comunicativi. A partire dalle storie
e dalla loro tipologizzazione si giunge alla individuazione di alcune
modulazioni relazionali, per poi quantificarle.
La possibilità di misurazione della sociabilità[5], [Simmel, 1917; Gurvitch, 1957; Gemelli, Malatesta, 1980; Maccarini, 1966] attraverso il calcolo dei reticoli sociali proposto dalla network analysis (distanza intersoggettiva, pressione, attrazione, cointeressenza e interdipendenza) serve per fondare il concetto di personalità collettiva [Hinshelwood, 1987], e cioè la specifica forma di un gruppo prodotta dall’incrocio tra le relazioni dei diversi membri, sulla misura della sua stabilizzazione in una particolare modulazione relazionale. Le variabili influenti sul comportamento organizzativo della personalità collettiva sono: 1) la soggettività degli attori, data dai copioni di personalità (inclusi interessi e valori), 2) le pressioni tendenti a conformare i soggetti al loro ruolo per dare al gruppo la struttura più idonea per il raggiungimento dei fini.
Il concetto di personalità collettiva è dunque limitato, per così dire, in “basso” dalle personalità individuali ed, in “alto”, dalla pressione culturale e funzionale sistemica. Le disposizioni delle persone si elicitano in relazioni d’affinità, o d’opposizione, connesse al ruolo rivestito nel gruppo (attraverso cui si esprime la pressione della struttura sui membri)[6]. L’articolazione delle relazioni dà una forma singolare ad ogni gruppo che viene rappresentato in un grafo a radar con sette assi graduati a seconda del punteggio che il gruppo ottiene nell’espressione delle sue caratteristiche di personalità collettiva[7].
Le relazioni di affinità ed opposizione
L’impianto concettuale, suggerito da una complessa
rivisitazione dello schema AGIL di Parsons[8]
si articola in:
RELAZIONI DI AFFINITA’
RELAZIONI DI OPPOSIZIONE
DISPONIBILITA’ INSOFFERENZA
COMPLEMENTARITA’ DELUSIONE
INCONTRO LOGORAMENTO
DIALOGICITA’ EVITAMENTO
INTEGRAZIONE FASTIDIO
MEDIAZIONE INCOMPRENSIONE
RICONOSCIMENTO EQUIVOCO
Tali relazioni sono misurate con alcune batterie di item relazionali, ad esempio: Quanti sono i suoi colleghi che ritiene professionalmente più competenti di lei?; di quanti dei suoi colleghi è stato a casa?; quanti dei suoi colleghi sono riusciti a capirla fino in fondo?; con quanti dei suoi colleghi ha litigato (almeno una volta ed anche molto tempo fa)?; con quanti dei suoi colleghi non vorrebbe collaborare gomito a gomito?; con quanti dei suoi colleghi lavora bene e volentieri?; di quanti dei suoi colleghi conosce almeno un familiare?; con quanti dei suoi colleghi si è incontrato qualche volta al di fuori dell’orario di lavoro? di quanti dei suoi colleghi ha il numero di telefono o telefonino? Item di questo tipo, scelti da un paniere di atteggiamenti relazionali (ricavati dall’analisi delle storie di vita) che ne contiene circa un centinaio, quantificare le relazioni di affinità o di opposizione. La loro miscela si presenta con spostamenti verso equilibri interni che presuppongono minore o maggiore armonia dei processi di reciprocità relativa (betweeness) tra membri del gruppo.
Si
perfeziona così la definizione di “psicoterapia implicita” come quel processo di
spostamento delle relazioni dal polo delle opposizioni verso il polo delle
affinità e la conseguente modificazione delle
personalità collettive di gruppo
da: oppressiva, antagonista, atomizzata, appariscente, astenica, rassegnata ed
invischiata a protettiva, difensiva, comunicativa, effusiva, pacifica,
comprensiva ed affettiva.
La misura delle relazioni di affinità e di opposizione è disposta come diagonale che collega i diversi angoli dei grafi radar di personalità collettiva. L’equilibrio, visualizzato nelle forma più o meno armonica del grafo, può esistere sia nella dimensione delle affinità sociosolidali sia nelle opposizioni socioantagoniste, (i conflitti potenziali sono contenuti se in equilibrio tra loro).
La prima applicazione del modello di personalità collettiva è stata effettuata su un campione di
471 CT [Labos, 1994] al cui interno sono state individuati tre diversi tipi di strategie operative: 1) strategie operative di base (incentrate sulla dinamica dei ruoli, sui processi di resposabilizzazione, sulla autogestione, sulla gerarchia), 2) strategie educative centrate sul lavoro (relazionalità educativa interna, narrazioni, condivisione empatica), 3) strategie terapeutiche (specializzazione, sviluppo della consapevolezza, modificazione degli schemi cognitivi, simbolismo, processo di cambiamento della personalità). I processi di lavoro rimandano ai modelli di comunicazione di tipo dinamico, empatico affettivo ed empatico cognitivo così distribuiti: 125 CT mostravano così processi solo dinamici; 15 empatico-affettivi; 18 empatico cognitivi; 47 una mix di dinamica e di empatico affettivo; 104 un mix di dinamica ed empatia cognitiva; 11 un mix di empatia affettiva ed empatia cognitiva; 151 un mix di dinamica, empatia affettiva ed empatia cognitiva[9].
La collocazione dei modelli di comunità sui grafi sarà effettuata con un
percorso di lavoro più complesso. In primo luogo i diversi mix di stili di
lavoro e di comunicazione danno vita a diverse forme relazionali giacché una
relazione è, come minimo, una sequenza di atti comunicativi tra persone che si
definiscono progressivamente in reciprocità nel rapporto che vivono, come
risultato, è invece uno specifico clima relazionale che s’impianta nel contesto.
Nasce così l’esigenza di individuare strumenti più
adeguati per misurare le relazioni interpersonali partendo dalle caratteristiche
dei soggetti e dal loro modo di proporre l’internal conversation [Arcer,
2003] nel rapporto con l’altro. Il primo strumento adoperato è stato un
questionario di 210 item finalizzato a riconoscere le tipologie di atteggiamento
[Masini, 2000] riconducendole ai tratti diagnostici più significativi ed usuali
del DSM. Con tal strumento è stata svolta una analisi su un campione di 450 ex
ospiti [Istituto Medicina Sociale, 2002] presso diversi centri di recupero che
mostrava la seguente composizione: tipologia dei RAMPANTI AVARI (achievers), e
cioè soggetti con evidenti processi ossessivi, pari al 15 % del campione,
tipologia di RUMINANTI, soggetti con processi aggressivo-depressivi
(20% del campione), tipologia dei
DELIRANTI, processi schizoidi, (5%
del campione), tipologia SBALLONI EFFERVESCENTI, processi isterico-istrionici
(15% del campione), tipologia APATICI
processi abulici o di evitamento (25% del campione), tipologia INVISIBILI,
processi fobici (10% del campione), tipologia ADESIVI, processi di dipendenza
affettiva, (10 % del campione). La correlazione tra tipi di strutture e tipi di
pazienti così individuati era interessante (0,68), almeno ai fini della
possibile coniugazione dei modelli, ma richiedeva l’elaborazione di un ulteriore
passaggio: analizzati i “tipi ideali” mediante un questionario di individuale di
personalità, costruito un modello di “relazioni ideali” tra questi tipi, la
misura delle relazioni potenziali tra questi tipi che rapporto ha con lo stato
effettivo delle relazioni misurate con gli item
relazionali.
La prima occasione per applicare il modello di
ricerca sulle tipologie relazionali è stata [Masini, 1995] un contesto
originale: l’analisi fattoriale delle strutture relazionali in 207 classi
scolastiche[10]
(giunte oggi a 1200) ha dato impulso alla codifica delle 14 relazioni[11]
su cui verte il questionario di personalità collettiva, applicato
successivamente con le opportune modifiche, ad aziende, strutture di servizi
sociali, sanitari e delle amministrazioni penitenziarie.
La forma relazionale assunta dalle diverse classi si differenzia dalla forma delle relazioni potenziali tra i diversi alunni in funzione della pressione educativa su di loro! Le relazioni reali sono lette sui grafi come “linee di forza che “spingono” verso una o l’altra forma di personalità collettiva, le linee potenziali, ricavate dalla media delle personalità individuali del gruppo costituiscono la prova dell’esistenza del “gruppo latente”. Lo scarto tra le linee è la differenza tra ciò che il gruppo è e ciò che potrebbe (o tenderebbe) ad essere.
Le teorie di psicologia sociale che discutono l’accettazione, il rifiuto, il conformismo, la squalifica, la manipolazione, l’oppressione, l’istigazione, la motivazione e demotivazione, la dominanza, la subordinazione, l’integrazione, la complementarità, il riconoscimento, l’incontro, ecc. possono applicarsi in tal modello mettendo a fuoco il link tra soggettività ed intersoggettività. Il confronto tra la struttura delle relazioni in atto e quelle potenziali del gruppo latente, ha consentito di comprendere le ragioni dell’esclusione, della dispersione o dell’abbandono scolastico da parte di alcuni alunni con personalità eccessivamente divergenti dalla forma della personalità collettiva della classe [Barbagli, Mazzoni, 2004].
I concetto di affinità e opposizioni superano la rigidità di criteri bipolari: l’affine è in possesso di qualche qualità, apprezzabile perché manca al soggetto, che, attraverso essa, potrebbe completarsi e risolvere i suoi drammi; l’opposto è colui con cui le caretteristiche del copione personale del soggetto entrano in risonanza negativa. In una classe rigida può essere tollerata una certa quantità di effervescenza ma non il pensiero divergente, in una classe agitata è tollerabile la presenza di aree relazionali di calma o apatia ma non il bisognop di affettività tenera e coinvolgente, in una classe invischiata è equilibrante la presenza di soggetti dotati di pensiero divergente ma non quella di soggetti indifferenti e nemmeno la presenza di tensioni conflittuali, ecc.
In successivi lavori sulle personalità collettive nei servizi sociali [Masini, 2003] e penitenziari [Masini, 2004a] ed, in particolare, nella riflessione sulle formulazioni relazionali del terzo settore [Masini, 2004b], l’idea della quantificazione della qualità relazionale ha mostrato una concreta fattibilità.
Psicoterapia
implicita nella relazione medico paziente
Il processo di modificazione della personalità collettiva di un gruppo, o di una diade, si attua attraverso l’apertura verso soggetti con qualità e caratteristiche in affinità elettiva. O, viceversa, l’attrazione di un soggetto verso un gruppo, con uno specifico clima prodotto a sua volta dalla qualità delle relazioni interne del gruppo, dipende dalle qualità relazionali del gruppo.
In questo senso è anche possibile la lettura del concetto di funzione non più in chiave analitica ma in prospettiva relazionale. La funzione non è una astratta proprietà di un sistema, o di un sottosistema, ma una componente della azione sociale intesa come promanazione all’esterno della conversazione interna del soggetto (il suo copione) verso qualche struttura di relazioni che, nell’accettarlo, lo trasforma.
Tale processo, migliorativo in senso sociosolidale, avviene allorquando le personalità collettive di gruppo trovano armonia mediante la crescita di relazioni di affinità verso utenti esterni alla compagine gruppale. Lo studio di tale processo, nei citati contesti di servizi di welfare state, ha mostrato come la qualità relazionale interna disponga alla accoglienza degli utenti e contribuisca alla loro ridecisione migliorativa. Un importante contesto per la verifica di tale processo è stato quello della relazione medico - paziente mediante l’analisi delle disposizioni comunicative e relazionali di 130 medici di base [Masini, 2004c].
Medico di famiglia e paziente costituiscono una diade relazionale con una miscela di sequenze comunicative orientate alla dinamica interattiva, alla empatia affettiva o all’empatia cognitiva (simbolica). Questi processi di comunicazione sono i mattoni costitutivi della relazione che si sviluppa nel tempo attraverso una conoscenza interpersonale sempre più approfondita, con definizioni reciproche, pregiudizi e apprezzamenti che si implementano nei dialoganti attraverso progressivi modificazioni ed aggiustamenti. Le forme delle sequenze comunicative determinano degli atti sociali che spostano le definizioni reciproce dei dialoganti, modellando le diverse componenti delle loro relazioni. L’intimità della comunicazione stabilizza i dialoganti in una relazione significativa, specie per il fatto di costituirsi intorno a problemi rilevanti di salute/malattia. La psicoterapia implicita è qui molto evidente: il counseling del medico, il suo sostegno, l’orientamento verso le terapie e il coinvolgimento che favorisce la compliance, sono procedure di terapia psicologica messe in atto dal medico, spesso solo sulla base della sua sensibilità e della sua esperienza.
“Narrare la relazione” mette in gioco tutti e tre gli elementi costitutivi del modello: la modulazione relazionale stabilizzatasi tra medico e paziente (frutto dei sentimenti condivisi interiorizzati in reciprocità in precedenti incontri), l’atto sociale esercitato dal medico verso il paziente ed i processi comunicativi e linguistici messi in gioco nella relazione e nell’atto sociale[12].
La tabella successiva offre una sintesi dei processi relazionali, di atto sociale e di comunicazione implicati nella psicoterapia implicita.
Da relazioni di: |
A relazioni di: |
Attraverso atti sociali[13] caratterizzati da: |
e mediante processi comunicativi
di: |
con processualità di stile
comunicativo: |
Insofferenza |
Disponibilità |
Sostegno e tranquillizzazione |
Empatia affettiva |
Narrativo |
Delusione |
Complementarità |
Gratificazione e riconoscimento |
Dinamica interattiva |
Dinamico |
Logoramento |
Incontro |
Responsabilizzazione e
gratificazione |
Empatia cognitiva |
Simbolico |
Evitamento |
Dialogicità |
Responsabilizzazione e sostegno |
Empatia
cognitiva e dinamica interattiva |
Simbolico e
dinamico |
Fastidio |
Integrazione |
Incoraggiamento e liberazione |
Empatia
affettiva e dinamica interattiva |
Narrativo e
dinamico |
Incomprensione |
Mediazione |
Liberazione e coinvolgimento |
Dinamica
interattiva ed empatia cognitiva |
Dinamico e
simbolico |
Equivoco |
Riconoscimento |
Coinvolgimento e
tranquillizzazione |
Empatia
affettiva ed empatia cognitiva |
Narrativo e
simbolico |
La ricerca sugli stili relazionali e comunicativi ha comportanto la costruzione di un breve questionario di 35 item capace di individuare le prevalenze nel comportamento comunicativo di tutti i medici di base, della ASL investigata, verso i loro pazienti. Questi item avevano lo scopo di individuare gli atti comunicativi riccorrenti da parte dei medici in una varietà di situazioni ove comunicazioni ed atti sociali dovevano necessariamente essere modellati in funzione dei pazienti[14].
Complessivamente le scelte degli atti sociali e comunicativi da parte dei 130 medici sono state:
Comunicazione di: |
Numero item
scelti |
Percentuale |
responsabilizzazione |
236 |
24,48133 |
incoraggiamento |
200 |
20,74689 |
coinvolgimento |
168 |
17,42739 |
sostegno |
112 |
11,61826 |
gratificazione
|
108 |
11,20332 |
informazione |
80 |
8,298755 |
tranquillizzazione
|
60 |
6,224066 |
Si trattava di investigare sugli atti sociali e sui contesti relazionali co-prodotti nel rapporto medico – paziente per verificare il rapporto intercorrente tra atti sociali, stili comunicativi dei medici e personalità dei pazienti. Ciò anche al fine di poter verificare la possibilità di orientare lo stile comunicativo del medici in ordine al miglioramento della relazione con il paziente.
E’ stato, a tal fine, costruito un elaborato test che collega lo scenario relazionale medico - paziente, la tipologia di paziente e le possibili azioni comunicative del medico. Il test descrive situazioni relazionali critiche (di equivoco, di insofferenza, ecc.) nelle quali è richiesto al medico di prendere una posizione comunicativa (dinamica, di empatia cognitiva o di empatia affettiva) in funzione di tre tipi di pazienti (ansioso, rassegnato, volubile).
La verifica delle capacità di modulazione comunicativa situazionale dei medici, indipendente dalle disposizioni personali, ha mostrato risultati interessanti a più livelli: la media di risposte corrette è stata di 11,14 su 21, con un minimo di 6 risposte corrette ed un massimo di 18.
La correttezza delle risposte è stabilita sulla base della connessione tra i modelli comunicativi dinamico, empatico affettivo (narrativo) ed empatico cognitivo (simbolico), spiegati in relazione al contesto ed al tipo di paziente. Il numero medio di risultati corretti è basso, circa il 50% (dimostra la necessità di estendere la formazione dei medici alla comunicazione ed al counseling).
La correlazione tra tipo di comunicazione e contesto relazionale (equivoco, insofferenza, evitamento, ecc.), chiaramente presentato attraverso la proiezione di alcuni video con la simulazione del clima relazionale preso in esame, ha un andamento interessante. Le risposte variano in funzione del clima come si può osservare nella tabella successiva.
Correlazione tra i climi e le risposte corrette al
test |
||
Clima sociale del contesto |
Correlazione |
Tipo di comunicazione corretta prescelta |
delusione |
0,603997 |
narrativo |
delusione |
0,602011 |
dinamico |
delusione |
0,205206 |
simbolico |
equivoco |
0,342302 |
dinamico |
equivoco |
0,237677 |
narrativo |
equivoco |
0,044399 |
simbolico |
evitamento |
0,458799 |
dinamico |
evitamento |
0,440923 |
narrativo |
evitamento |
0,317904 |
simbolico |
fastidio |
0,488663 |
simbolico |
fastidio |
0,48402 |
narrativo |
fastidio |
0,251347 |
dinamico |
incomprensione |
0,393058 |
dinamico |
incomprensione |
0,320217 |
simbolico |
incomprensione |
0,272518 |
narrativo |
insofferenza |
0,679727 |
simbolico |
insofferenza |
0,624558 |
narrativo |
insofferenza |
0,176439 |
dinamico |
logoramento |
0,340873 |
narrativo |
logoramento |
0,196075 |
simbolico |
logoramento |
0,131832 |
dinamico |
I medici orientano le scelte in modo congruente ad approcci narrativi laddove vi sia un clima di delusione o di logoramento, mentre scelgono un approccio dinamico laddove il clima sia di equivoco, di evitamento o di incomprensione, l’approccio simbolico ottiene il maggior numero di scelte corrette in un clima di fastidio o di insofferenza.
E’ interressante osservare le correlazioni tra le risposte comunicative corrette e le propensioni comunicative dei medici. La correlazione sta qui a significare quanto il medico utilizzi la sua personale propensione verso una comunicazione di responsabilizzazione o di incoraggiamento, o di tranquillizzazione , ecc. per scegliere un approccio simbolico, dinamico o narrativo con il paziente. L’elenco dei valori di correlazione si muove, grossomodo, in funzione della composizione del campione, che mostra una prevalenza di medici responsabilizzatori ed incoraggianti. Le correlazioni indicano quanto i medici responsabilizzanti scelgano una certa quantità di risposte corrette (che presuppongono modelli comunicativi di tipo simbolico), quanto i medici incoraggianti scelgano una certa quantità di risposte corrette (che presuppongono modelli comunicativi di tipo dinamico), e così via. A questo punto è evidente che le variazioni di stile comunicativo nelle risposte obbediscano alle caratteristiche di personalità dei medici.
Correlazioni tra risposte corrette relative agli
stili comunicativi da utilizzare nelle diverse situazioni descritte e
disposizioni comunicative dei medici. |
||
Stile comunicativo scelto nelle diverse situazioni
|
Disposizione comunicativa caratterizzante i medici
|
Correlazione |
simbolico |
responsabilizzazione |
0,49 |
dinamico |
incoraggiamento |
0,27 |
narrativo |
tranquillizzazione |
0,19 |
simbolico |
informazione |
0,18 |
narrativo |
coinvolgimento |
0,13 |
narrativo |
sostegno |
0,13 |
narrativo |
gratificazione
|
0,11 |
dinamico |
sostegno |
0,08 |
dinamico |
coinvolgimento |
0,02 |
narrativo |
incoraggiamento |
-0,02 |
dinamico |
informazione |
-0,03 |
dinamico |
gratificazione
|
-0,03 |
dinamico |
tranquillizzazione |
-0,03 |
simbolico |
gratificazione
|
-0,08 |
simbolico |
tranquillizzazione |
-0,15 |
narrativo |
informazione |
-0,15 |
simbolico |
coinvolgimento |
-0,16 |
dinamico |
responsabilizzazione |
-0,20 |
simbolico |
sostegno |
-0,21 |
simbolico |
incoraggiamento |
-0,25 |
narrativo |
responsabilizzazione |
-0,29 |
Ma la variazione più rilevante appare quella che legge l’approccio comunicativo in funzione delle caratteristiche del paziente. Le correlazioni tra stile di risposta e tipo di paziente indicano che i medici cercano di centrare sul paziente la loro comunicazione ed i loro atti sociali. Purtroppo però non adottano lo stile comunicativo più idoneo. Lo stile comunicativo adottatto rispecchia i problemi del paziente e non si adegua, controintuitivamente, ad una posizione terapeutica verso il medesimo. Di fronte ad un paziente ansioso il medico dovrebbe adottare uno stile comunicativo narrativo, al fine di tranquillizzarlo, invece cerca di contenere l’ansia con una comunicazione attiva e dinamica quasi volesse soverchiare autoritariamente il vissuto del paziente, per essere più forte della sua ansia. Di fronte ad un paziente rassegnato indulgono nella narrazione compartepice senza attivare cognizioni e simboli che lo conducano a ridecidersi, di fronte ad un paziente volubile ed inaffidabile cercano di dare spiegazioni, informazioni ed esempi senza attivarsi nel trasmettere qualche emozione (la paura delle conseguenze) che lo responsabilizzi.
Correlazione tra stile di risposta nella
situazione descritta e tipo di paziente
|
||
Stile di risposta |
Tipo di paziente |
Correlazione |
dinamico |
paziente ansioso |
1 |
dinamico |
paziente rassegnato |
-0,25115 |
dinamico |
paziente volubile |
-0,57637 |
narrativo |
paziente rassegnato |
0,827843 |
narrativo |
paziente volubile |
-0,31329 |
narrativo |
paziente ansioso |
-0,42825 |
simbolico |
paziente volubile |
0,894649 |
simbolico |
paziente rassegnato |
-0,50646 |
simbolico |
paziente ansioso |
-0,5447 |
Il complesso dei dati sta ad indicare le potenzialità della psicoterapia implicita ma la sua mancata attuazione da parte dei medici che rimangono centrati sulla loro esperienza personale e, pur individuando i bisogni del paziente, non possiedono quelle risposte di atto sociale e di comunicazione interpersonale che sono, quasi sempre, controintuitive e che costituiscono l’ossatura di una psicoterapia. E’ dunque molto più improbabile che la relazione nella diade si costituisca come un terreno di psicoterapia implicita di quanto non lo sia la relazione gruppale, in ragione della stabilizzante pluralità di segmenti di azione sociale e di comunicazione tra i diversi membri.
Conclusioni
Le riflessioni qui sviluppate sono una sintesi della ricerca sulla relazione e comunicazione medico – paziente presentata nel volume Medicina Narrativa. Gli elementi teorici ed empirici proposti tendono a rendere concreto ed investigabile il concetto di relazione nella sua qualità di determinante sociologica. L’applicazione pratica può avere grandi potenzialità sia per lo studio della qualità relazionale dei contesti, implicitamente o esplicitamente, psicoterapeutici sia per suggerire percorsi di formazione ai medici ed agli operatori sanitari, finalizzati all’aumento della consapevolezza dei loro atti comunicativi e sociali agiti ed all’aumento della loro competenza nel modellamento del loro modo di “essere in relazione”. A questo fine può essere utile presentare una breve appendice delle modulazioni relazioni di cui si è discusso.
Appendice: Descrizione sintetica delle 14 modulazioni relazionali
La disponibilità è una relazione
di dono reciproco gradito dall’altro perché opportuno nei modi e nei tempi. Per
questo motivo la disponibilità dell’uno sazia il bisogno dell’altro. La
disponibilità infatti è una potenzialità che si trasforma in atto non appena
venga intuita dall’uno la richiesta (magari nemmeno espressa verbalmente)
dell’altro. La reciprocità non è determinata dallo scambio di doni equivalenti
ma dalla scelta di dare il “meglio di sé” e dalla consapevolezza che l’altro
stia dando il “meglio di sé”. La disponibilità è l’antidoto dell’insofferenza
perché non valuta la adeguatezza del comportamento ma la sua intenzione.
L’insofferenza
si verifica quando due o più persone oppongono costrutti articolati di
comportamento. Ad esempio uno è ordinato, preciso, metodico, ripetitivo, l’altro
è confusionario, vago, innovativo e
creativo. Si è insofferenti nei confronti dell’orientamento complessivo
dell’altro. “Non si può sempre improvvisare!”, dice l’uno e l’altro fa eco: ”Tu
vuoi fare sempre le stesse cose!”. La presa di coscienza dell’insofferenza si
accompagna alla spiegazione delle tensioni, rabbie, aggressività o depressioni
interne alla relazione che, nel divenire sempre più frequenti e minacciose,
hanno esiti nel risentimento reciproco, nel litigio e nella violenza.
Complementare
è ciò che serve al completamento vicendevole. Questa è la relazione in cui ciò
che sembra
contraddittorio diventa compatibile. L’agire complementare implica la
coscienza degli attori della complementarità medesima e l’assunto, un po’
meccanicistico, derivato dalla pragmatica comunicativa di Palo Alto, sulla
modulazione tipizzata up – down di tale relazione, non rende giustizia al
valore di questa relazione di affinità. Se è vero che la simmetria può essere
anche semplicemente reattiva, la complementarità si fonda sulla consapevole
attesa che l’uno farà le cose che non sono fatte dall’altro. Si fonda sulla
serena accettazione delle caratteristiche di ciascuno e sulla naturale scoperta
che l’altro abbia fatto esattamente ciò che c’era bisogno di fare, o che
appariva con evidenza utile e necessario. Lo sfondo della complementarità è la
tranquillità e il realismo. La complementarità è l’antidoto alla delusione
perché non formula aspettative fantastiche sul comportamento dell’altro e non
conduce ad illusioni.
La delusione s’impianta stabilmente quando due persone avevano interpretato, illudendosi, il comportamento dell’altro in sintonia con le proprie aspettative. La delusione può manifestarsi improvvisamente, a seguito di un tradimento o di un inganno, ma essa cresce lentamente in piccole esperienze poco percettibili. La delusione prende forma attraverso il dubbio non esprimibile e non chiarificabile, diventa negativa certezza, deprimente ed angosciante, e conduce al disorientamento ed alla ricerca di sublimazioni dei desideri inappagati.
Incontro.
E’ nella relazione di incontro che si manifesta lo stupore di aver trovato nelle
potenzialità dell’altro ciò che manca a ciascuno. Un incastro tra chi trova
qualcuno per cui lottare e chi trova qualcuno che lo protegge, tra chi orienta
le azioni e chi le riempie di coraggio. E’ l’antidoto del logoramento perché
presuppone la assoluta diversità dell’uno dall’altro, compresa l’estraneità dei
modelli mentali e degli schemi d’azione, ma impegna in un rapporto per cui tale
diversità dell’altro è una potenza a cui ciascuno può attingere.
Logoramento
è frutto di una relazione che, a fronte di attese diverse dal solito menage,
si esprime in un sequenza di manifestazioni effusive estemporanee, appariscenti
ed estetizzanti, “sopra le righe”,
ma poco chiare e troppo superficiali per essere introiettate come parte stabile
e confermante della cultura e delle tradizioni della coppia o del gruppo. Si
avverte attraverso l’angoscia esistenziale o l’emersione di comunicazioni
isteriche a cui non viene dato alcun feed back.
Dialogicità.
Un dialogo è possibile quando ci sono cose da dire e c’è un contesto in cui
possono essere dette. La diade (o il gruppo) dialogica riesce a discutere di
ogni cosa, senza litigare o disperdere la relazione e senza allontanarsi l’uno
dall’altro. Anche di fronte agli atteggiamenti o alle opinioni più divergenti
riesce a distinguere tra parole e fatti e a coniugare l’affetto con la stima. E’
l’antidoto all’evitamento: ciascuno si mette in gioco senza tensioni. Le persone
non esprimono emozioni impressionanti, né si lasciano fuorviare da
manifestazioni appariscenti.
Evitamento:
la differenza tra sensibilità ed emotività consiste nella diversa profondità
interiore raggiunta da un vissuto. La persona sensibile viene invasa dalle
emozioni che sperimenta, la persona emotiva reagisce con immediatezza nel suo
comportamento esteriore senza assorbire in profondità le emozioni vissute. La
persona sensibile si presenta come inibita e impacciata, la persona emotiva
appare disinibita. L’evitamento è conseguente all’impossibilità di condividere
vissuti emozionali simili, ma diversamente assimilati, e produce una distanza di
indifferenza.
Integrazione
è, in senso generico, il processo di rendere pieno e intero un oggetto. In senso
relazionale contiene un valore di reciprocità tra entità complesse che si
muovono dinamicamente per far funzionare insieme caratteristiche e risorse di
tipo diverso. Si integra pertanto la razionalità con le emozioni, la tecnologia
con i simboli, la narrazione con la logica, la partecipazione con la
differenziazione, ecc…l’integrazione è l’armonica organizzazione del gioco delle
parti, dei compiti, delle funzioni e dei ruoli. Vi è integrazione quando nessuno
travalica o tradisce le aspettative che l’altro aveva riposto su di lui: le
aspettative in gioco nell’integrazione, in quanto già oggettivate a priori e non
debordanti gli schemi, valorizzano il contributo di ciascuno. L’eccesso di
integrazione è anche causa di perdita di identità per conformismo ed
adattamento. L’integrazione è l’antidoto del fastidio relazionale perché quando
le identità sono rispettate, è possibile distinguere le parti di ciascuno che si
possono sovrapporre all’altro da quelle parti che richiedono maggior distanza
relazionale se non reciproco isolamento
Fastidio
è percezione di gesti, modi di fare, odori, rumori, sapori, immagini emanati da
una persona nei confronti della quale si ha una reattività di rifiuto “a pelle”.
Si accompagna con forme di rassegnazione o di sopportazione dell’altro. Il
fastidio nella relazione aumenta o diminuisce in funzione della distanza
relazionale tra i membri: il fastidio compare quando la distanza relazionale si
fa più intima.
La mediazione consiste nel
trovare un accordo che non implica la piena sovrapposizione al vissuto altrui ma
la semplice moderazione del rifiuto o della accettazione incondizionati. La
mediazione costruisce un senso comune perché negoziando sulla quantità di
energie necessarie per accomunarsi nell’ottenimento di un fine, modera gli
eccessi e stimola le carenze individuali nel rispetto dei personali modi di
essere. E’ l’antidoto all’incomprensione perché negozia i significati e libera
dal controllo reciproco. Il blocco dell’incomprensione viene superato
dall’azione verso qualche fine. L’attività permette di trovare e dare un senso a
ciò che si fa, attraverso l’individuazione di quelle parti su cui si può
negoziare.
Incomprensione è l’incapacità di trovare il senso del comportamento che l’altro mette in atto. Sebbene sia chiaro ed evidente ciò che l’altro fa e perché lo fa, i membri della coppia non ne condividono il senso. Ciascuno non capisce come mai l’altro non capisca che ciò che egli fa non è quello che si deve fare in quella circostanza. Il confronto è sterile perché ciascuno pensa: “Possibile che non capisca che…?”. L’incomprensione è tipica delle relazioni in cui non collimano le priorità, i valori e le concezioni e, pertanto, struttura l’impossibilità di condividere metodo e scopo dei comportamenti, eleva il livello di controllo ed osservazione del comportamento dell’altro e depotenzia l’affettività reciproca.
Riconoscimento
è quel processo in cui l’uno scopre nell’altro gli stessi suoi vissuti, anche se
il percorso di scoperta è assolutamente differente. L’uno perviene al
riconoscimento attraverso un processo intuitivo, capisce cioè cosa voglia dire
ciò che l’altro vive, l’altro sente e fa propria l’onda emotiva che muove il
primo e la fa sua. E’ l’antidoto dell’equivoco in quanto permette la
comprensione profonda dei movimenti interni, delle aspirazioni, dei sogni e
dell’incontro dei valori di ciascuno.
Equivocità. In linea generale c’è equivocità nei comportamenti quando le azioni non sono sinergiche ed orientate allo stesso fine o, se orientate allo stesso fine, sono svolte in modi e tempi diversi o con logiche diverse o espresse con emozioni diverse. Nell’equivoco non riesce la sovrapposizioni dei vissuti perché ciò che viene comunicato a parole trova origine in stati mentali non espressi. Non c’è dunque intesa nella realizzazione di attività ed impegni e nell’espressione delle energie riversate lungo binari che non si incontrano mai. Una coppia (o un gruppo) si trova a vivere una situazione equivoca quando al suo interno non c’è un’intesa stabile ed una configurazione definita, frutto di scelte comuni e concordate. L’equivoco conduce alla caduta della fiducia, alla diffidenza, al controllo sul comportamento altrui finalizzato alla soddisfazione dei propri interessi egocentrici. Per questo l’equivoco spesso si fissa in comportamenti ripetuti.
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[1]
La definizione di salute/malattia che la “sociologia sanitaria” propone si
basa su una matrice di concetti interconnessi che Ardigò [1977] chiama
“quadrilatero”: 1) La natura esterna; rientrano in questo concetto
l’ambiente fisico, l’habitat umano, i viventi non umani. La natura
esterna è ritenuta generatrice sia di agenti patogeni sia di risorse per le
cure; 2) Il sistema sociale; la struttura organizzativa degli individui in
un dato luogo e in un dato tempo. Un sistema sociale sussiste quando un
insieme di individui, famiglie, gruppi sociali, mantengono una continuità
culturale e di strutture sociali nel tempo, superando le difficoltà del
cambio generazionale, le contingenze e le sfide ambientali; 3) Il soggetto;
la persona viene considerata sia come “ego” che come “social self
”; questa ambivalenza, basata sul pensiero di G.H. Mead, permette di
cogliere la doppia contingenza dell’individuo umano: soggetto intenzionale
strutturante e soggetto strutturato dal modo in cui presume di essere
percepito dagli altri, per lui, significativi; 4) La natura interna; il
corpo umano degli individui visto sia come base biologica che come entità
psico-somatica.
[2] “Connessionismo come epistemologia che semplifica per quello che può, che distingue per meglio integrare, che classifica per correlare più consapevolmente…” [Cipolla, 1977: 510].
[3] Per altro in sintonia metodologica il volume di Petrella [1988] che raccoglie gli Atti del 38° Congresso della SIPM.
[4] “Ogni comunicazione è anche azione e … ogni azione è anche comunicazione” [Cipolla, 1997: 464] … “perché è vero che la società comincia laddove comincia il due e, quindi, laddove si ha qualche forma di comunicazione, ma questa non esaurisce lo spettro delle molteplici modalità operative che collegano tra loro le persone e che non si riducono sicuramente al dire, ma contemplano almeno l’agire, l’esperire, il fare, il percepire, secondo un complesso di prospettive e pratiche relazionali che fanno dipendere il comunicare da un agire (senza atto non c’è o non è possibile alcun tipo di comunicazione) e non questo da quello (ci possono essere atti a due senza alcuna comunicazione specifica o evidente)” [Cipolla, 1997: 458].
[5] La sociabilità è “la proprietà relazionale delle reti che costituiscono una forma associativa, in base alle quale esse sono capaci di generare determinati beni sociali” [Maccarini, 1996: 100].
[6] La costruzione di questo modello è passata attraverso l’elaborazione di due strumenti: il primo è un test di atteggiamenti da cui si ricava in punteggio del singolo in sette copioni (ricavati dalle emozioni di base), il secondo è un test che studia 14 tipi di relazione in reciprocità, di affinità e di opposizione. (I sette copioni hanno tra loro 42 relazioni univoche e cioè 21 biunivoche, escludendo le 7 relazioni di ciascun tipo con i tipi adiacenti nel perimetro del grafo, che funzionano da rinforzo e conferma dei copioni per le somiglianze, restano 14 modelli di relazione. I due tipi di test possono essere comparati tra di loro attraverso due grafi. Il modello è discusso in V. Masini [2000].
[7]
La loro forma è però sovradeterminata dal contesto specifico di norme,
rappresentazioni collettive ed autocomprensioni del significato del gruppo
da parte dei suoi membri che scolpiscono l’identità singolare del gruppo in
un blocco di “identità tipologiche”: famiglia, gruppo di lavoro, pattuglia,
classe scolastica, ecc. anch’esse, a loro volta, determinate
dall’implementazione di un particolare modello relazionale che le ha
storicamente costituite.
[8]
Secondo Parsons ogni sistema sociale assolve a quattro prerequisiti
funzionali che sono: 1. L’adattamento (adaptation) all’ambiente, da cui
trarre le risorse necessarie alla vita del sistema; 2. Il perseguimento
selettivo delle mete del sistema (goal attainment), la strategia politica;
3. L’integrazione sociale (social integration) finalizzata a formare e
orientare ai valori e alle norme su cui si basa il sistema; 4. Il
mantenimento in latenza (latency), cioè sotto il controllo societario, delle
tensioni e delle devianze comportamentali degli individui. La relazione
teorica di interconnessione ed interpenetrazione tra queste quattro
categorie concettuali è visitata come una lettura concreta della realtà
sociale. Il problema fondamentale lasciato insoluto da Parsons è quello di
dare per scontata la categoria logica della relazione concreta tra persone.
Lo schema AGIL è analitico e non empirico e la sua operalizzazione richiede
un complesso studio delle sue possibili combinazioni e delle loro
implementazioni processuali. Le quattro categorie sono generative delle
differenziazioni funzionali dei sottosistemi e delle loro gerarchie.
L’astrazione non è però aleatoria ma può contare sui riferimenti empirici
delle relazioni reali. Il modello delle relazioni di affinità e di
opposizione è uno dei tanti possibili tra quelli dei neoparsonsiani e si
costituisce come punto di incontro tra la ricerca empirica e le teorie
dell’azione sociale. Un possibile punto di incontro.
[9]
Il concetto di dinamica ed empatia sono qui presentati con le seguenti
definizioni argomentate altrove [Masini 1993; 1996; 2000; 2004]. La dinamica
implica una relazione funzionale al compito, come discusso da Bales [1952],
Brown [1990], Olmsted [1963], Scilligo [1972]. Commentando lo studio di
Bales, Olmsted descrive la dinamica come “un’attività di gruppo come
un’attività intesa a risolvere problemi [Olmsted 1963, 115], Brown [1990]
puntualizza come i modelli IPA e SYMLOG, ideati da Bales e Cohen per
analizzare le relazioni nel gruppo si fondino su tre dimensioni: i
comportamenti diretti al compito sotto il controllo cognitivo, quelli che
riflettono gli aspetti emotivi e quelli che si riferiscono agli interessi di
altri individui (definiti comportamenti socio-emozionali). I primi possono
essere definiti di tipo dinamico, i secondi sono riferibili alla dimensione
empatica affettiva (emozionale) ed i terzi alla dimensione empatica
cognitiva. Può ulteriormente servire a ricomprendere il termine dinamica
nell’uso originario che ne propone la psicologia delle relazioni ricordare
la definizione di Spaltro: la dinamica serve per “comprendere i fattori che
sottendono la locomozione di gruppo” [Spaltro, 1970: 86] spiegando i
cambiamenti dell’individuo nel suo modo di vivere le situazioni relazionali.
Nelle relazioni dinamiche esistono ruoli e norme definiti che influiscono
sullo scambio di informazioni, sulla sequenza comunicativa, sulla mobilità
delle persone, il sistema relazionale dinamico può essere valutabile
attraverso i parametri dell’efficienza e della produttività. La
comunicazione interattiva - dinamica è illocutoria. L’utilità della
distinzione tra empatia cognitiva ed empatia affettiva si presente decisiva
per comprendere le modulazioni comunicative. Sul tema dell’empatia affettiva
(o emozionale) mi preme sottolineare l’importanza di questa distinzione che
si ricava da un’attenta lettura del processo empatico elaborato da Edith
Stein [1985]: 1) coglimento del vissuto, 2) immedesimazione riempiente, 3)
oggettivazione. L’empatia cognitiva può essere rappresentata
attraverso un processo quasi inverso: 1) oggettivazione cognitiva (anche di
ricerca scientifica) del comportamento altrui, 2) riferimento alla possibile
categorizzazione (anche idealtipica, nel senso comune che viene dato alle
consuete tipizzazioni pre-giudiziali) e immedesimazione proiettiva nel
vissuto altrui, 3) coglimento del vissuto dell’altro nella sua autenticità
con le sfumature emozionali specifiche dell’altro che differiscono sia da
quelle specificamente sperimentate dal soggetto che da quelle categorizzate.
La disposizione locutoria (narrativa) del locutore è la proposta che rende
l’interlocutore disponibile ad un’apertura empatica emozionale ed affettiva,
la perlocuzione strategica è creazione e diffusione di schemi cognitivi
mediante processi simbolici.
[10]
La struttura della classe scolastica consente un alto grado di modulazione
della relazionalità interna perché, pur essendo un gruppo artificiale è in
un’istituzione a “connessione lasca”. Loose
coupling
= legami che connettono le diverse parti di
un'organizzazione sono laschi e consentono alle parti di variare in modo
indipendente al variare delle altre componenti [Perrow,
1984]. La variazione delle relazioni è dunque dentro un range di possibilità
molto ampie pur non modificando l’identità nominalistica del gruppo. Anche
se del tutto amorfa, o fallita, o assolutamente irrigidita, una classe
scolastica è sempre una classe e non è consentito ad una classe di
dissolversi per via intena.
[11] Vedi descrizione sintetica delle relazioni in appendice.
[12] I passaggi che conducono dalla comunicazione, all’atto ed alla relazione sono molto complessi: ciascuna forma comunicativa ha una sua struttura processuale interna (ad es. l’empatia affettiva è coglimento empatico, immedesimazione riempiente e oggettivazione) ed esterna (l’implicatura conversazionale dell’empatia si costituisce come una risposta anticipatoria alla domanda non formulata dell’interlocutore, una risposta dell’interlocutore che si apre alla narrazione ed una nuova risposta anticipatoria) che si collegano all’atto sociale che si implementa nelle forme relazionali. Così come l’atto sociale è espressione di una particolare emozione del locutore, la relazione si presenta come un sentimento condiviso da entrambi, pur se con polarizzazioni diverse, ed acquisisce un valore, frutto della valorizzazione (o svalorizzazione) che gli attori esercitano sul sentimento. Esso è prima di tutto un sentimento di valore giacché non è possibile sperimentare sentimenti senza attribuire ad essi un valore.
[13] Anche gli atti sociali possono essere di tipo socioantagonista, laddove si intenda, più o mneo deliberatamente, spostare le affinità verso le opposizioni. In tal caso in luogo di responsabilizzazione (anche mediante rimprovero) si avrà inquisizione o oppressione; in luogo di incoraggiamento si avrà intimidazione; in luogo di informazione, squalifica, in luogo di coinvolgimento, seduzione, in luogo di tranquillizzazione, demotivazione, in luogo di sostegno, istigazione e in luogo di gratificazione, avvolgimento controdipendente.
[14]
Le situazioni richiedevano modulazioni molto semplici. Ad esempio:
interventi di rassicurazione con coinvolgimento emotivo per pazienti
ansiosi; di incoraggiamento per pazienti avviliti e spaventati; di
informazione per pazienti dubbiosi o eccessivamente dipendenti; di
tranquillizzazione per pazienti inquieti o agitati; di sostegno per pazienti
depressi, di responsabilizzazione, anche mediante rimprovero, per pazienti
incostanti nella cura e poco attenti ai rischi; di gratificazione e
trasmissione di affettività per pazienti inclini alla mentalizzazione dei
problemi e alla solitudine.