Orientamento formativo e la differenziazione degli
interventi
di Lorenzo Barbagli
Le
origini e i modelli di intervento orientativo
Definire con precisione una data o un momento di nascita della ricerca sull’orientamento è praticamente impossibile, volendo potremmo solamente trovare nelle date di istituzione dei primi centri di orientamento (in Italia, in Francia ecc.) alcuni momenti strutturalmente rilevanti. Far questo ci impedirebbe di cogliere alcune importanti evoluzioni concettuali.
L’orientamento si è sviluppato inizialmente come funzione specifica all’interno delle prime forme di selezione del personale, all’interno dell’ottica tayloristica e poi della scuola delle “human relationship” che cercava di selezionare le giuste attitudini lavorative[1].
Sulle attitudini si faceva
dunque il centro del discorso, cogliendo di questo termine l’accezione di
capacità e di propensione verso certi modi di operare e di pensare (attitudini
fisiologiche e psico-fisiche). A questo modello si legavano gli interventi di
diagnosi psico-attitudinale[2].
Nel tempo, sempre nell’ottica di
selezionare i giusti individui per talune professioni si passava una visione
che, facente perno sulle caratteristiche caratterologiche, viene solitamente
definita caratterologico-emozionale.
Negli anni settanta ancora si modifica la nostra concezione e si comincia a riflettere, nell’impostazione clinico-dinamica, sulle motivazioni, le aspirazioni e le inclinazioni.
Rimangono ancora fuori altri tipi di approcci che si sono sviluppati negli ultimi anni: la riflessione ecologica (cioè le considerazioni legate ai contesti e all’influenza dell’ambiente e del territorio) e la riflessione etica (coloro i quali ritengo che si debba considerare l’aspetto valoriale nelle scelte, convinti del fatto che ogni lavoro richieda una determinata vision del mondo e della società[3]).
Ad oggi, l’orientamento non è direttamente sovrapponibili a nessuna di queste impostazioni che si sono sostituite nel tempo cercano di coprire, come si fa con una coperta corta, un area ben più vasta.
L’orientamento formativo
La coperta si è un po’ allargata negli ultimi dieci/venti anni. Ad oggi, si tenta, non riuscendo a costruire modelli interpretativi sufficientemente funzionali, di dividere il problema dell’orientamento in differenti fasi che necessitano di differenti funzioni.
Così esiste chi si occupa di orientamento in un’ottica informativa, chi ancora si collega al lavoro di diagnosi pisco-attitudinale, e chi, riassorbendo l’antica dicotomia che esisteva negli anni settanta tra orientamento scolastico, professionale e sociale[4], si occupa di orientamento formativo. In quest’ottica l’orientamento diventa una pratica educativa che racchiude in sé la volontà di permettere al discente di auto-orientarsi.
Ma cos’è dunque l’orientamento?
Se pur nella definizione di orientamento formativo siano contenuti numerosi aspetti necessari ed essenziali all’azione orientativa (lo sviluppo delle potenzialità, il supporto nei processi di scelta, la visione processuale e la consapevolezza della necessità della continuità dell’azione e l’idea di formazione permanente), io credo che per arrivare a considerare in maniera completa le questioni legate al problema in esame, si debba uscire da qualsiasi distinzione netta, rimanendo consapevoli che la distinzione ci permette spesso di riuscire a comprendere.
Si deve secondo me giungere ad una visone olistica del problema, considerando l’orientamento un ambito che abbraccia problematiche di varia origine e che necessita di approcci e di conoscenza interdisciplinari. Pur evitando di cadere in tentazioni semplicistiche, l’orientamento non è una sola delle impostazioni fin’ora presentate, ma è tutto questo contemporaneamente.
La distinzione si trova nel momento in cui andiamo a progettare un intervento in un preciso contesto. Vedremo più avanti che ogni persona e ogni contesto necessitano di uno specifico intervento, ma non di tutto ciò che l’orientamento può contenere.
Accetto l’idea e la definizione
di orientamento formativo
perché in essa si individua la caratteristica essenziale dell’orientamento. Si
lega in questa prospettiva all’azione formativa ed educativa che credo sia la
necessaria discriminante nel nostro discorso, ma credo che all’interno di questa
visione si debbano inserire anche altre metodologie come le diagnosi
psico-attidunilale (da quelle centrate sulle potenzialità a quelle centrate
sulle capacità, da quelle centrate sulle motivazioni e quelle
caratterologico-emozionali), le azioni informative, gli spunti di riflessione
etica e ecologica e le varie forme di consulenza individuale (coaching
motivazionale, counselling, mentoring e metodi narrativi e narratologici).
Orientamento come occasione
Prima di entrare nel merito delle
differenziazioni che a livello operativo si devono fare nella progettazione
delle attività di orientamento, voglio aprire una digressione circa gli
orizzonti e la visione di fondo che secondo me è giusto avere dell’orientamento.
L’orientamento è un importate fetta dell’attività educativa e l’educazione è in tutte le sue espressioni una forma di orientamento.
Educare non vuol dire obbligare in una certa direzione, ma offrire alternative a situazioni e suggerire atteggiamenti, comportamenti, punti di vista e azioni per ottenere il risultato di viver meglio. Ancora, vuol dire cercare di offrire opportunità perché ogni persona possa tirar fuori ciò che di migliore possiede.
Infine, significa fare in modo che ognuno di noi mantenga o acquisisca quelle disposizioni relazionali che permettono un approccio sociale che rispetti alcuni valori fondamentali di rispetto dell’altrui umanità.
Tutto questo accade però insieme ad un altro processo: la scelta che l’altro attore della relazione educativa può effettuare. Dunque, ogni educatore sa che c’è un limite nella sua azione (semprechè scelga di non essere manipolatorio).
Orientare è dunque offrire un’occasione, uno strumento per scegliere con maggior consapevolezza. Niente di più e niente di meno. Ma si deve imparare a presentare nel modo corretto le proposte. Non per convincere, ma per far sì che il nostro interlocutore capisca cosa vogliamo trasmettergli e scelga liberamente se accettarlo oppure No.
Le dimensioni degli interventi
Agire e progettare qualità nei percorsi di orientamento ci impone un’analisi maggiormente approfondita riguardo agli interventi che si possono attuare.
Differenziare gli interventi ci serve per evitare di sprecare tempi e risorse e di offrire ad ogni persona ciò di cui ha veramente bisogno. Progettare per le persone piuttosto che sulle persone.
Offrire realmente occasioni di miglioramento e di cambiamento.
Almeno tre sono i livelli di differenziazione da tenere presenti nella progettazione delle attività: il tipo di intervento di cui si necessita in quella specifica situazione, il livello di profondità dell’intervento necessario, i personali modelli cognitivi degli individui in formazione e dunque il giusto modello comunicativo da utilizzare e i personali percorsi di scelta.
Se l’orientamento è parte di un percorso formativo e deve offrire un’occasione di riflessione che possa produrre eventuali cambiamenti e maggiore consapevolezza, deve assolutamente differenziarsi nei vari contesti e nelle specifiche individualità.
Tipo di intervento
Distinguere il tipo di intervento necessario è assolutamente indispensabile onde evitare la ridondanza di un intervento e, come Rappaport ci insegna, per far sì che la relazione di aiuto intervenga nel momento adatto e nel modo adatto. E’ inutile la classica romanzina che ognuno di noi ha avuto dai genitori su tutti i valori morali relativi allo studio o ad altre problematiche, se non coglie il problema specifico e si spalma su a tutto tondo su mille riflessioni.
Effettuare un corretto e utile intervento orientativo vuol dire individuare e riconoscere il bisogno di quel particolare studente e dare una risposta ad hoc. A volte dare informazioni sulle carriere universitarie u sulle prospettive professionali, altre volte consigliare un approccio differente ad un certo problema relazionale, altre ancora allargare l’orizzonte cognitivo dello studente permettendogli di immaginare alternative innovative o offrirgli soluzioni pratiche circa il suo metodo di studio o di lavoro.
Profondità dell’intervento
Progettare correttamente un intervento richiede anche di saper distinguere a quale livello di profondità intervenire.
Si deve evitare di trasformare la consulenza orientativa in una sorta di psicoterapia, ma in alcuni casi, ci rendiamo ben conto che l’unica forma di aiuto che possiamo offrire a quel ragazzo è proprio una consulenza educativa e psicopedagogia.
In ogni caso, pur nella ferma convinzione che ogni intervento debba essere individualizzato, l’azione orientativa può oscillare tra due livelli di intervento.
Il primo, è uno stile orientativo, una visione su cui si costruiscono la maggioranza degli interventi, che si fonda sul concetto di sostegno. Lunghi incontri con gli studenti, numerose occasioni di incontro, basso livello di incisività.
Dall’altro lato della moneta, uno stile molto più incentrato sulla incisività. Pochi incontri con gli studenti, ma molto significativi e destabilizzanti per costruire e produrre cambiamenti e destrutturare modelli comportamentali che spesso bloccano nelle scelte.
Quale scegliere? Il primo, anche se più rassicurante e in linea con il pensiero comune, rischia di non riuscire a produrre cambiamento e a servire solo come conferma di copioni comportamentali, il secondo, pur se dinamico a sicuramente capace di produrre cambiamento, richiede un’altissimo livello di precisione nell’individuazione dei problemi e strumenti molto efficaci che non sempre sono disponibili.
Per motivi di spazio, non è possibile affrontare in questa sede l’argomento, mi premeva porre però la riflessione e presentarne i presupposti.
Andiamo adesso ad affrontare l’ultimo livello di differenziazione degli interventi.
Stili cognitivi, mappe mentali e
specificità.
Ogni uomo è portatore di alcune specificità, perciò ogni ragazzo e ogni persona in formazione ha bisogni specifici. Riconoscerli e dare il giusto supporto è compito di ogni educatore.
Ma come individuare le specificità e costruire comunque un modello di intervento che ricomponga in termini operativi le differenze?
Da anni la ricerca psicologica e pedagogica cerca di identificare alcune caratteristiche ricorrenti negli uomini per poterne classificare le tipologie, gli archetipi o affini.
Quasi ogni impostazione di ricerca, ha trovato le sue ricorrenze che, a seconda delle situazioni sono state definite attitudini, qualità, caratteristiche caratterologiche, tipi, modelli ideali e quant’altro.
Nel nostro lavoro, abbiamo deciso di definirle disposizioni. Questo termine rappresenta infatti l’originalità e l’unicità della caratteristica, ma, a differenza del termine tayloristico attitudini, ne rappresenta anche la dimensione emotiva e di acquisizione.
La disposizione in se non rappresenta una abilità o una capacità, ma un a tendenza verso, tendenza che per diventare capacità o abilità necessita di essere sviluppata e scelta. Ancora, disposizione rappresenta la processualità e la possibilità di sviluppo senza negare la presenza di altre disposizioni. L’abilità, la capacità sono invece determinate dalle esperienze, dai contesti di vita, e dalle scelte personali che sviluppano certe disposizioni o ne impongono la soppressione.
Parlare dunque di disposizioni ci permette di affrontare un discorso sulle potenzialità di ogni singolo studente, e di individuare di essi le personali debolezze e inclinazioni. Rispettando la nostra ferma convinzione che nella vita, sempre che lo si scelga, si può imparare tutto e che, in ogni uomo, sia in nuce presente la potenzialità per diventare ciò che vuole. Le possibilità offerte, le scelte, i contesti le relazioni umane e a volte anche il caso o il destino (per chi ci crede) influiscono su questa potenzialità.
D’altro canto siamo anche convinti che ogni uomo abbia in sé una particolarità, e che sia quella la caratteristica su cui investire per il futuro.
Senza entrare nel merito della ricerca che abbiamo costruito, per la quale si rimanda ad altri contesti, mi limiterò a presentarne gli esiti, che ci hanno condotto a costruire un modello operativo tale da permetterci di diversificare ogni singolo intervento sulla base dei personali stili cognitivi e delle mappe mentali e comportamentali di ogni studente.
Definizione degli idealtipi[5]
Il primo idealtipo è quello che abbiamo definito “analitico”. Il ragazzo prevalentemente analitico avrà nei suoi tratti caratterologici la disposizione alla precisione, all’ordine (che sia interno o esterno), al calcolo delle possibilità e una notevole propensione all’equilibrio ed al controllo. D’altro canto, probabilmente avrà un basso livello di dinamicità e di flessibilità e una limitata capacità di coinvolgersi e di entusiasmarsi. Professionalmente possiede disposizioni che lo rendono elettivamente adatto a lavori di analisi, raccolta dati, esecuzione di procedure e precisione d’esecuzione. Nella sua dimensione relazionale saprà essere un buon diplomatico ed un attento e preciso osservatore degli atteggiamenti altrui, sarà però bassa la sua sensibilità emotiva ed empatica, restando centrato sulla sua alta autoreferenzialità. Nei termini dei copioni del disagio comportamentale è da riferirsi alla tipologia dell’avaro. L’avaro è la persone che dominata dall’emozione della paura, esige e cerca un’alto livello di controllo sul sé e sulla realtà. A livello di comunicazione predilige modalità di tipo ordinativo e schematico e, riguardo alla teoria delle formae mentis di Gardner possiede un’intelligenza di tipo logico.
Il “pragmatico” sarà invece lo studente particolarmente energico e reattivo, fisicamente atletico e capace nello sport. Coordinato, cinestetico e dotato di intelligenza pratica sarà un buon imprenditore e riuscirà a mettere in movimento molte iniziative, dotato come è di un’alta intraprendenza. Al contempo, potrà essere un collerico, a volte iroso votato alla ricerca della giustizia. E’ portato a mestieri d’azione e che richiedono molte energie, movimento e sfide continue. Ma ha bisogno di acquisire un po’ di calma e di pace.
Nel disagio è da collegarsi al ruminante, mosso dall’emozione della rabbia e incentrato nella dimensione della produttività. Ha prevalentemente un’intelligenza cinestetica e si muove su modelli cominicativi di tipo conativo.
Il “creativo” è quello studente che si perde nelle sue intuizioni e nelle sue interpretazioni in continuo movimento. E’ il ragazzo dotato del classico “pensiero divergente”, che risolve problemi ed equazioni in maniera assolutamente innovativa (a che se a volte, non avendo studiato bene, anche sbagliata!). Si incuriosisce subito per tutto ciò che è proposto in maniera strana o particolare, ma anche si stanca immediatamente. Gioisce più della comprensione che della soluzione, di fatto sono rari i casi in cui porta a termine qualcosa. E portato a mestieri che richiedano intuizioni, acume e approcci cerebrali. Corrisponde al delirante, animato dall’emozione del distacco e dello stupore, dal piacere della scoperta e dalla ricerca idealistica. L’intuizione è la sua forma mentale e l’intelligenza spaziale la sua modalità cognitiva d’approccio alla realtà. Comunica con modelli prevalentemente informativi.
L’”emozionale” è invece quel ragazzo simpatico, che fa battute e piace quasi a tutti, ha un sacco di amici ed è sempre pronto a fare confusione, anche se magari viene regolarmente scoperto. E’ generoso e propenso al coinvolgimento. Emotivamente è spesso instabile oscillando tra momenti d’euforia e di depressione totale. Professionalmente è portato a fare mestieri che includano il contatto, la capacità di coinvolgere (animatore, public relator, consulente finanziario, venditore) e l’espressività (cantante, poeta, artista in generale). Deve però imparare la profondità e la cura e l’attenzione per le persone e le cose. Il suo alter ego del disagio è lo sballone, in cerca continua di emozioni che lo riempiano, positive o negative che siano. Ha un’intelligenza linguistica e modelli comunicativi di tipo espressivo.
Il “plastico”: il termine risulta un po’ complesso, ma serve a rappresentare la dimensione di questo idealtipo di plasticità intesa come capacità di adattamento. Solitamente questo tipo di persone hanno un bassissimo livello di iniziativa e di intraprendenza. Pensano molto dentro di loro e costruiscono castelli di carte, che diventano muri insuperabili per cominciare un’impresa nella speranza di riuscire. Perciò si adattano e si accontentano di quello che c’è. Paciosi e quieti, hanno bisogno di motivazione e reattività. Sono però adatti a lavoro statici e magari un po’ routinari, Magari in cui si richieda riflessività, ma non azione (ad esempio l’haker informatico o il filosofo). Corrisponde all’apatico e, nella terminologia dell’orientamento alle professioni al convenzionale. Possiede un’intelligenza di tipo musicale e modelli comunicativi immaginativi.
Il “percettivo”, come si può facilmente intuire, è invece dotato di una grande sensibilità. E’ spesso timido, riservatissimo e spesso non lo si nota, impegnato com’è a non farsi vedere. Si vergogna molto e vive le sue sensazioni in maniera assoluta e a-temporale; difficilmente percepisce la processualità degli eventi e spesso ha dunque problemi nell’apprendimento. Nella sua logica, se una cosa non la sa fare, non potrà mai impararla. D’altro canto è adattissimo a professioni di sacrificio e di sostegno, la sua sensibilità, se impara ad essere espressa e rivolta agli altri, è una indispensabile dote per uno psicologo, un educatore e affini.
E’ l’invisibile, sensibile e fragile, dominato dalla vergogna di sé. Ha un’intelligenza intrapersonale e modelli comunicativi di tipo poetico.
Il “relazionale” è quel ragazzo che spesso vive il ruolo dentro un gruppo di mascotte. Spesso viene preso in giro, magari ha pochissimo fascino sulle ragazze. E’ sempre agitato e continuamente richiede attenzione. Ma ha mille amici, e si sforza di aver cura di ognuno di loro. Sa capire cosa una persona vuole sentirsi dire. E’ preciso e sempre in anticipo nello svolgimento dei compiti e degli impegni, anche se magari, dominato dall’ansia di finire e di far bene, presenterà le idee in maniera confusa o sbagliata. E’ portato per il contatto con le persone, per tutte le professioni educative e per quei lavori che richiedono cura e precisione. Spesso però è molto condizionabile.
Corrisponde all’adesivo, ansioso di affetto e di attenzione e dotato di intelligenza interpersonale e si esprime al meglio in comunicazioni di tipo descrittivo, nelle quali può utilizzare al sua capacità intellettiva di esprimere immagini.
Tipologia |
Analitico |
Pragmatico |
Creativo |
Emozionale |
Plastico |
Percettivo |
Relazionale |
Copione di disagio |
Avaro |
Ruminante |
Delirante |
Sballone |
Apatico |
Invisibile |
Adesivo |
Formae Mentis |
Logica |
Cinestetica |
Spaziale |
Linguistica |
Musicale |
Intrapersonale |
Interpersonale |
Modello comunicativo |
Fàtica |
Conativa |
Informativa |
Espressiva |
Immaginativa |
Poetica |
Descritttiva |
Dimensione professionale |
realista |
Intraprendente |
investigativo |
Sociale |
Convenzionale |
|
|
Emozione primaria |
Paura |
Rabbia |
Distacco |
Piacere |
Quiete |
Vergogna |
Attaccamento |
I percorsi di scelta
Imparare scegliere vuol dire
imparare ad essere consapevoli di ciò che si potrà ottenere e di ciò che
sicuramente si perderà. Parallelamente, vuol dire sapere bene fin dove si può
arrivare ed essere consapevoli del percorso da effettuare. Nella bilancia della
scelta, perché questa possa quanto più possibile essere sensata e consapevole
devono starci le passioni, le ambizioni, i desideri ma anche le oggettive
capacità e disposizioni, le reali possibilità legate ai contesti. Scegliere la
strada giusta per noi stessi vuol dire riuscire a costruire il percorso migliore
secondo le nostre passioni, le nostre ambizioni, all’interno delle strade o
delle direzioni che le possibilità ci offrono. Questo non vuol dire essere
passivi ma semplicemente realistici
rispetto alle condizioni. Consapevoli che con il tempo e la motivazione, e le
scelte giuste!, si potrà raggiungere obiettivi mai sperati.
Il processo di scelta, per quanto sia universalizzabile nelle sue definizioni teoriche, diventa nella pratica un percorso individualizzabile rispetto alle specifiche debolezze e fascinazioni e agli specifici percorsi cognitivi.
Pertanto si modula a seconda delle tipologie in percorsi concettualmente differenti che ne rappresentano la peculiarità.
Per l’analitico, la scelta è di per se oggettiva e legata all’ambizione. Ha bisogno però di cogliere la flessibilità nella progettazione e di capire il senso del fascino che in lui smuovono lavori come l’animatore di un villaggio turistico o il PR di una discoteca. Altresì deve imparare a capire che, nel caso in cui scelga per seduzione verso qualcosa che non possiede, sarà per lui davvero difficile imparare e condurre con successo un lavoro di continua relazione con gli altri.
Per il pragmatico invece la scelta è tempestiva, reattiva e risolutiva. Troppo spesso frettolosa e non sufficientemente informata delle sfumature di significato che possono essere presenti. Pertanto, imparare a scegliere bene per il ruminante vuol dire approfondire la riflessione, accettare quella che ai suoi occhi appare come una perdita di tempo, e lasciare un po’ a sedimentare gli eventi, i vissuti.
Il creativo non sa mai scegliere, è troppo attratto da tutto. Per lui il processo di scelta comincia dalla presa di coscienza di non poter seguire tutte le sue passioni. Dovrà selezionare imparando ciò che gli fa bene e ciò che gli fa male. Sarà attratto da lavori umili, di contatto, vedendone il fascino senza riuscire a vederne la realtà effettiva. L’archeologo non è indiana Jones, è uno studioso che passa molte ore in biblioteca ed in archivio .. il panetterie non svolge un servizio sociale, impasta il pane 10 ore a notte, e lo vende. Ha bisogno di essere portato in terra, allora saprà vedere la sua strada.
L’emozionale invece sogna di diventare un grande manager famoso, macchine di lusso, “bella gente”…oppure di diventare calciatore. Scegliere per lui vuol dire approfondire le sue intuitive capacità. Non basta allenarsi per giocare bene a calcio, non basta essere simpatico e piacevole per diventare avvocato. Prendere un po’ di tempo e guardare prima di scegliere in profondità le cose. Ascoltare e cominciare a fare ordine in se stesso e con gli altri.
Il plastico deve imparare a semplificare. Poi a reagire, credendo in sé. La sua mente vola e va oltre le cose, fino a renderle castelli insormontabili con l’unica, inevitabile soluzione dell’abbandono dell’impresa. Che nel frattempo non era neanche iniziata. Va provocato, punzecchiato fino ad imporgli di alzarsi dal divano. Ormai sei in piedi.. cammina. Oppure rasserenato circa i suoi minimi impegni. Semplici e ripetitivi.
Il percettivo sceglie molto, è estremamente selettivo, ma sceglie con un grosso errore di fondo. Sceglie mettendo nella bilancia solo sé stesso, le sue paure la sua sfiducia. L’assolutezza dei suoi vissuti a-temporali. Deve capire che i suoi soggettivi vissuti sono importanti, ma non sempre oggettivi. Deve imparare a non essere autoreferenziale, a confrontarsi, a tradurre in pratica ciò che si muove dentro. Allora comincerà a trovare la sua strada e saprà sempre ciò che tiene e ciò che perde.
Per il relazionale la scelta è difficilissima, spesso sceglie per affetto o per imitazione. E’ confuso dai mille legami che lo intrecciano. Comunque rischia di perdersi. La capacità di scegliere per affetto, di aver cura è la sua forza. Non l’avere cura di Mario. Dunque deve capire ciò che per lui è importante, e che lui è importante per questo, anche se gli sembra di avene meno fascino, carisma, e di non sapere di niente. Non saprà di niente fintanto che continuerà a inseguire il carismatico di turno, o l’affascinante creativo.
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[1] L’ormai noto slogan “l’uomo giusto al posto giusto” ne era un esempio molto chiaro.
[2] Questo tipo di approccio si può trovare ancora oggi, in forme più evolute e di indubbio valore scientifico, facente perno non più sulle attitudini ma sulle potenzialità o sulle disposizioni delle persone.
[3] In queste ottiche si riflette su bisogno di condividere degli ideali e di inserirli in una realtà lavorativa. Colui che sceglierà di fare il medico, oltre a possedere alcune specifiche competenze, dovrà pur scegliere ed essere consapevole di svolgere una professione di servizio per la comunità, dunque ad alto valore etico.
[4] Enciclopedia pedagogica, Curcio ed., Milano, 1970, pp. 296-298.
[5] Un più approfondito sviluppo delle caratteristiche degli idealtipi si può trovare negli altri testi della collana “prevenire è possibile”. In questi saranno però diversi i nomi delle tipologie a causa del loro utilizzo in ambienti diversi.