BUROCRAZIA E DISAGIO
riflessioni intorno al Convegno di Arezzo 2007
di Lorenzo Barbagli
Le persone stanno male per la loro volontà di controllo, che si traduce nel pensiero burocratico. Che è fatto solo di logica e di procedura. Come se questo potesse risparmiarci dai problemi e dal dolore. Mentre invece la vita ci dimostra ogni giorno che per quanto controllo si possa produrre comunque l’imprevisto ci sarà sempre.
Il pensiero burocratico è quel modo di pensare che ha bisogno di una struttura e di un controllo formale per avere forma e sentirsi sostanza. Ma sostanza non è, proprio perché è solo procedura, dunque qualcosa di utile a volte ma non legato alla sostanza delle cose.
Nel controllo muoiono e si perdono le emozioni ed i sentimenti, ci si lega alle nostre aspettative e proiezioni sugli altri e sulle cose, ai nostri desideri in maniera tale da impedirci di pensare altro.
Vivendo in maniera ossessiva un desiderio o un obiettivo da raggiungere si finisce per non avere più la libertà di scelta. Perché scegliere vuol dire essere disposti a perdere qualcosa, vuol dire non aver paura di perdere.
Personalmente, quando osservo un mondo dominato dalla paura di perdere ciò che potremmo avere o ciò che abbiamo avuto vivo io stesso la paura. Perché in questa dimensione, oltre a morire le emozioni ed i sentimenti, muoiono le persone.
“Morire di burocrazia” è un titolo folgorante e sicuramente enfatico ed eccessivo, ma che denota un sentire comune, una percezione condivisa circa la preoccupante incapacità organizzativa e l’insensibilità umana delle prassi burocratiche quando ottusamente si applicano ai servizi alla persona. La realtà è tale da non poter neanche più essere presa con ironia e dissacrazione. Non c’è più da ridere quando una persona resta sola nel suo dolore/disagio perché anche chi potrebbe e vorrebbe aiutarla non può, incastrato da regole e norme.
Forse ancora una cultura della solidarietà esiste, e non vorrei che morisse sotto i colpi di una burocrazia che non sa più essere applicazione dei valori che animano le persone ma diventa gabbia per il buon senso, per quell’umanità che è propria della nostra formazione culturale.
Il primo incontro tra Arezzo ed il modello di lavoro sociale di Prevenire è Possibile risale al 1998, anno in cui partirono numerose iniziative tra formazione per operatori (il corso per “Conduttori di Gruppo di Incontro” presso il Seminario Vescovile di Arezzo) e interventi nelle scuole per la formazione degli studenti Tutor e di analisi dei Climi Relazionali delle classi.
In collaborazione con l’Associazione Cavalieri di San Valentino si cominciava in quegli anni ad Arezzo a sviluppare una modalità di lavoro sociale e di offerta di servizi alla persona che si connotava come un mix di volontà solidaristica ed idealità, promozione sociale e specializzazione metodologica dei modelli di intervento, sostenuta dal lavoro teorico e di ricerca svolto dallo Studio Associato “Prevenire è Possibile”.
Arezzo si inseriva così in un movimento culturale e pedagogico nato nel 1992 a Terni dal lavoro ideato dal Prof. Vincenzo Masini (direttore dello Studio e presidente dell’Associazione) che ha visto coinvolte numerose città d’Italia (citiamo le maggiori: Roma, Rieti, Terni, Palermo, Bologna, Marsala, Crotone, Grosseto, Lucca, Milano, Verona, La Spezia) fino a giungere alle realtà degli ultimi anni che hanno visto la collaborazione anche del circuito nazionale della FAIP (Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia) e dell’ EAC (European Association of Counseling); si è infatti in questa fase sviluppato il lavoro teorico del gruppo di “Prevenire è Possibile” nella direzione del Counseling, visto come strumento di aiuto alla persona semplice e concreto.
Sempre in questi anni lo studio associato ha sviluppato ad Arezzo e dintorni ulteriori interventi (Orientamento, Obbligo Formativo, Scuola di Formazione per Counselor e Trainer) e dunque la costruzione di una presenza sostanziale nel territorio con Counselor e Trainer specializzati.
A seguito si è dunque deciso quest’anno di scegliere Arezzo (presso il centro Mariapoli di Tregozzano, già sede del convegno del 2001 “Dalle emozioni ai Sentimenti”) come perno e come simbolo di questo percorso richiamandoci così anche alla storia dei Comuni esemplificativa di uno spirito che ha incarnato sia il senso di indipendenza ed autonomia che di collettività e operosità.
Questo convengo, che si struttura come un convegno/incontro laboriatoriale ed esperienziale centrato sul fare piuttosto che su teorici interventi e relazioni ufficiali, risponde dunque a più esigenze: da un lato all’esigenza di formazione esperienziale per counselor, operatori del sociale, educatori e assistenti sociali, psicologi e terapeuti; dall’altro al bisogno sociale che scaturisce da una realtà dei servizi che spesso non riesce più ad esprimere il senso e la passione (che si trova ancora nella realtà associative e volontaristiche) necessarie in questi mestieri perché incastrata da un regime di burocraticizzazione ormai troppe volte weberianamente bloccato nelle prassi e nelle procedure. Non ultima, la voglia ed il piacere di costruire una nuova occasione di incontro e di condivisione di un valore e di un’ideale nobile come quello della solidarietà e del rispetto della persona che accomuna i circa 10,000 Cavalieri di San Valentino Italiani. La necessità infine di scoprire nel tessuto sociale aretino operatori semplici, uomini che si danno da fare per altri, che hanno qualcosa da offrire con il loro invisibile impegno quotidiano e che gestiranno le esperienze laboratoriali del convegno.
Dunque in netto contrasto, schietto e serio conflitto con una crisi delle burocrazie che svuota il senso del lavoro sociale ma anche dell’idealità e dei valori costituenti la realtà della società civile. Di un sistema che ha fatto della burocrazia la morte della libertà e dell’umanità.
Di una struttura burocratica (non più sensatamente organizzata) che ha pervaso i nostri inconsci collettivi costituendo condizionamenti e forme di pensiero bloccato e rigido, ma ancor più gravemente, formale a tal punto da fare della forma piuttosto che dell’essenza e della funzionalità il suo primo valore.
Una struttura chiusa in cui, vero problema, le persone vivono situazioni di disagio sempre più acute (disturbi dell’alimentazione, anaffettività, difficoltà relazionali di coppia, disorientamento e simili).
Il Counseling è invece un modello di pensiero non burocratico, se pur logico e strutturato che fonda il suo profondo significato nella liberazione dalle dipendenze, nel potenziamento dell’affettività scelta e voluta e non più data per scontata, nell’incremento della libertà d’azione e di pensiero delle persone (se pur nei margini di un’etica sociale e di un senso di collettività e comunanza). Al di fuori di ogni struttura che ne limiti l’efficacia.