PERSONALITA’
COLLETTIVE
DI COMUNITA’ (estratto da Comunità di recupero per TD – Labos)
Vincenzo Masini
Nello studio delle personalità collettive di comunità presenti in 508
comunità di recupero italiane ci si è imbattuti in molteplici difficoltà a
partire dalla denominazione sui modelli di CT proposta da altri studiosi. Si
discuteva di comunità terapeutiche o non ?; esplicitamente terapeutiche o
implicitamente terapeutiche? di comunità di vita, comunità educative,
comunità terapeutiche?, etc. e non si riusciva ad orientarsi attraverso i
criteri, anche ideologici, con cui venivano a volte criticate a volte osannate
tali esperienze.
Due elementi di grande importanza ci sono venuti in aiuto: il
rapporto operatori/residenti all' interno di ogni comunità e la prevalenza
di alcune attività rispetto ad
altre in diverse strutture. I dati LABOS visitati in questa chiave
esplorativa hanno dato importanti risultati.
In primo luogo il dato numerico; dopo aver elaborato i dati dei
questionari al fine di stabilire quale fosse il rapporto numerico tra
operatori e residenti in ciascuna comunità si è osservato che il dato non
era omogeneo ma variava a seconda delle modalità di intervento di ciascuna
comunità. Poste le diverse comunità in ordine crescente a seconda della
prevalenza di operatori su residenti si è verificato che le comunità seguivano
un continuum
logico e si accorpavano per tipologie. L' ipotesi formulata era che
tanto più cresceva l' intervento terapeutico tanto più elevato doveva essere
il numero degli operatori. In secondo luogo l' analisi fattoriale unificava
intorno ad alcune componenti il complesso di attività svolto dalle
comunità e permetteva di individuare alcune strategie operative. In particolare
tre: la strategia operativa di base, la strategia educativa centrata sul lavoro
e la strategia specialistica orientata all' intervento psicoterapeutico.
Tali strategie presumevano la presenza di professionalità di operatori
diversi. Il passo successivo è stato quello di verificare la associazione
delle tipologie di operatori e delle strategie operative con l'elenco
delle comunità strutturato a punteggi crescenti a seconda del numero di
operatori sui residenti. La verifica del dato era confermata e dunque era
possibile descrivere diverse tipologie di comunità fondate su concreti dati
numerici.
Al fine di meglio comprendere le strategie operative è stato scelto un
campione di 30 comunità con un punteggio medio alto nella scala
operatori/residenti e sono state analizzate in profondità da ricercatori
LABOS che hanno compilato una approfondita monografia sul loro stile di
lavoro e sul loro programma.
Dalle monografie sono state desunte le personalità di comunità costruite
sulla base degli approcci tipici delle diverse strategie operative, del diverso
modo di articolarsi delle fasi del programma a seconda del modello e della
cultura che ciascuna comunità
esprimeva. Sono state così individuate:
Comunità statiche fondate su un approccio educativo
tradizionale; piccole dimensioni, monocentriche, con un clima famigliare che
accolgono soggetti portatori di diversi problemi e non esclusivamente
tossicodipendenti
Comunità replicanti che fondano il loro intervento su un modello
educativo ma lo hanno meglio strutturato al fine di rendere possibile la sua
riproduzione, pluricentriche.
Comunità dinamiche che hanno replicato la loro attività, hanno
specializzato le loro sedi ed hanno anche differenziato i loro programmi. Il
metodo è essenzialmente educativo ma la valenza di orientamento e di
apprendimento sociale si avvale di qualche elemento, in specie in sede
anamnestica, di psicologia clinica. Non applicano comunque psicoterapie
marcate e si avvalgono di molti elementi della strategia operativa di base.
Comunità tradizionalmente dette terapeutiche (CT) che hanno moltiplicato
le loro sedi di intervento utilizzando un programma consolidato
dall'esperienza che risale ai primi modelli di intervento comunitario e
che continua ad essere definito terapeutico quando invece è essenzialmente
educativo ad alta specializzazione.
Comunità terapeutiche propriamente dette che hanno poggiato la loro
forza e la loro identità su metodi e tecniche professionali e che considerano
la struttura comunitaria un contenitore di angoscie su cui intervenire con
attività psicoterapeutiche. Spesso tali comunità si sono fortemente
allontanate dalla strategia operativa di base.
La analisi delle fasi dei programmi delle diverse comunità ha consentito
di verificare la polarizzazione verso sistemi di educazione o sistemi
di terapia sottostanti alle modalità di attuazione dei diversi
programmi. Allo scopo di consentirne la comprensione sono stati posti in
ordine i diversi programmi a partire da quelli a valenza prevalentemente
educativa fino a quelli a valenza prevalentemente terapeutica ed osservando la
miscela dei diversi elementi nella specificità di ciascun intervento.
dalla comparazione dei processi di lavoro possono scaturire i
modelli antropologici che ciscun intervento sottintende. Tali modelli non
corrispondono né alla descrizione, più strutturale, di personalità delle
comunità del campione, né alla disposizione delle comunità del campione lungo
il continuum che va dall' educazione alla terapia, ma che a questi possono
solo richiamarsi.
L'idealtipicità di tali modelli non consente infatti una
attribuzione univoca ad una comunità piuttosto che ad un' altra, né possono
essere considerati validi in assoluto poiché sono desunti da un campione
limitato di comunità per di più appartenenti alla parte media e alta della
scala dei punteggi operatori/residenti.
Tali modelli antropologici sono:
Il progetto di educazione alla persona riflessiva. L'obiettivo
perseguito nella costruzione di un modello di uomo che è sottinteso al lavoro
di alcune comunità a fondo educativo è una persona razionale, che vaglia i
problemi, equilibrata e prudente. Un uomo che sa adattarsi alle diverse
contingenze senza sbilanciarsi o esprimersi in modo affrettato. Questo modello
di persona è in grado di realizzarsi attraverso un processo di integrazione nei
mezzi e nei fini istituzionalmente e socialmente accettati. Le comunità che
adottano tale modello lo sottintendono anche nella loro personalità; sono in
genere piccole ed abbastanza statiche. Non hanno velleità di espansione o di
costruzione di una immagine e di una proposta sociale.
Il modello della liberazione. La responsabilità del disagio, della
emarginazione e della tossicodipendenza è tutta attribuibile
alla struttura della società. Le strutture che hanno interiorizzato
questa filosofia antropologica sono molto comprensive verso la condizione
di tossicodipendenza e non credono possibile una integrazione alla
realtà sociale e istituzionale così come essa si presenta. Non si stupiscono
delle ricadute dei soggetti poiché attribuiscono la loro debolezza alla
pressione esercitata dal contesto. Non ritengono peraltro possibile
estranieare i tossicodipendenti dalla loro realtà per costruire comunità
come isole felici ma effimere.
Un uomo capace di contare nel mondo attraverso il
raggiungimento di mete sempre più alte è sullo sfondo delle comunità che
propongono una stategia di programma fortemente scandita da fasi e sottofasi;
vere e proprie tappe di una carriera che da tossicodipendente porta a
progettare se stesso come uomo nel mondo e, una volta reinserito nel contesto
sociale a raggiungere altri obiettivi gratificanti ed autoconfermanti. L'
intervento di questi modelli di comunità coinvolge sovente la
famiglia del tossicodipendente per motivarla ad una riscoperta
attenzione nei confronti del figlio. Il giovane utente di questo tipo di
comunità proviene spesso da famiglie medio alte che sono state percorse da
molteplici conflitti ( spesso latenti ). L' attenzione e l' impegno (a volte
gravoso) della famiglia nel programma conferma al figlio un chiaro ed
effettivo interesse affettivo, senza più possibili giochi, verso di lui che lo
rassicura e fortifica.
Il modello della famiglia tradizionale, rinnovata attraverso strumenti
e metodi più attuali e efficaci per realizzarla nel difficile contesto
contemporaneo, sembra il background culturale e filosofico di comunità che
assumono, nonostante le dimensioni anche medio-grandi, la formazione della
struttura famigliare. I metodi con cui "fare famiglia" oggi non sono più quelli
della tradizione e non possono nemmeno essere lasciati al caso ed all'
improvvisazione. L'uomo che sa stare in famiglia e costruire famiglia intorno
a sé e,per far ciò si dota di valori, capacità di relazione, di ascolto, di
tolleranza , di comprensione e di comunicazione è il modello di uomo da
realizzare nel percorso educativo di tali comunità.
Un tipo di uomo disincantato dal mondo ma fortemente consapevole
della propria identità, che sa apprezzare la bellezza della vita e sa
ascoltarla in se stesso, è l' originale obiettivo di comunità che non
propongono nè una adesione consensuale nè una integrazione conflittuale
nella società. Considerano, con un più sufficienza, questo aspetto del tutto
marginale e non si dedicano a trasferimenti di visioni sociali, di valori
morali ( più articolati della morale consuetudinaria e socialmente condivisa ) e
di opinioni sociopolitiche nei loro ospiti. Il messaggio centrale sembra quello
di mettere a nudo l' anima e di aprirsi alla rivelazione del mondo.
Il tossicodipendente come una persona affetta da patologie psichiche,
relazionali o sociali è il punto di partenza delle comunità che fondano
il loro approccio sulla psicoterapia. Non sembra possiedano alcun modello
di uomo a cui riferirsi nel loro progetto di intervento. Ed in effetti non
hanno un approccio educativo e sono fedeli alla deontologia professionale
dello psicologo. In controluce si legge però che un modello c'é: è quello di un
uomo che ha bisogno di stampelle piuttosto raffinate per orientarsi nel
mondo. E' un uomo da aiutare nella lunga fase di ricerca di se stesso,
almeno fino a quando il suo ricercarsi non finirà nella accettazione e nell'
incontro con sé.
Conclusioni
Scopo della presentazione delle ipotesi di lavoro attuate dagli
operatori e dagli studiosi che si sono ritrovati coagulati attorno al metodo
Prevenire è Possibile era quello di mostrare alcuni strumenti efficaci
nell’intervento educativo e utili, credo, per la ricerca ed il perfezionamento
delle terorie sociali. Mi sembra particolarmente utile collocarli nella
prospettiva sociologica che si legge in controluce alle precedenti pagine e,
soprattutto, proporre all’attenzione di studiosi
un’idea di ricerca come quello delle personalità collettive di gruppo. Ne
ho constatato l’importanza nei suoi risvolti pedagogici ma ho visto come
l’analisi di tali personalità siano solo sorrette dalla capacità intuitiva degli
educatori mentre una più definita ricognizione intorno alla natura dei processi
di personalità collettiva potrebbe indicare quei metodi di lavoro e di
organizzazione sociale di cui si sente fortemente bisogno nella crisi della
nostra attuale modalità di fare relazione e costruire società.