Se mi interrogo sull’Obbligo Formativo…
di Giorgio Renzi
E’ sulla base della convinzione che solo partendo dal “basso”, dalle singole scuole, coinvolgendo i docenti e su progetti anche parziali, si possa
avviare un effettivo mutamento e rinnovamento della scuola, dei suoi metodi ed anche del suo ruolo nella e per la società che ho cominciato ad occuparmi dell’obbligo formativo.
Poiché non si può vivere di nostalgia del passato, sognando una realtà che non esiste più, è indispensabile avere una visione chiara e non ipocrita
della realtà della scuola oggi. E’, sì, una scuola di massa, cui tutti accedono. E, quindi, più “democratica” rispetto al passato. Ma l’uguaglianza
nel diritto di accesso, non è ancora uguaglianze nelle opportunità. Nel passato la selezione avveniva prima della scuola. Avevamo un allievo già
selezionato.
Nella attuale scuola di massa è la scuola stessa che si occupa della selezione.
“Prima non studiavo perché ero figlio di contadini o di operai, ora non studio perché boccio”. Insomma ora è la scuola che fa il “lavoro sporco” di
produrre quelle disuguaglianze che prima erano attribuite alla società. Ma quando i Consigli di classe arrivano in fondo all’anno e dicono “questo non
capisce niente, questo non ha voglia di fare niente, questo non studia” parlando solo di allievi, non di persone, di fatto riproducono una selezione
che è ancora una selezione sociale. Si arriva così ad una situazione paradossale: la scuola di massa, ugualitaria, cui tutti accedono, diventa
meno ugualitaria e democratica di prima, perché effettua al suo interno quella selezione che prima avveniva al di fuori.
Come reagisce, infatti, la scuola alla scolarizzazione di massa, ad una scolarità lunga che vede entrare nella scuola “i barbari” (che non solo gli
immigrati, ma tutti problemi sociali del complesso mondo giovanile)?
Fondamentalmente in due modi:
-con la bocciatura, e quindi l’espulsione dal percorso dell’istruzione
(sono significativi i dati della dispersione scolastica, non solo in termini quantitativi, ma di tipologia sociale degli allievi espulsi);
-con l’abbassamento del livello dell’istruzione, della qualità educativa, giustificato anche con l’impossibilità del controllo disciplinare.
L’indisciplina: altro dramma dell’insegnante nella scuola di massa.
Il fenomeno è colto con impietosa lucidità da G. Pontiggia, quando scrive, parlando di un insegnante che si proclamava un innovatore, un moderno: “Il
suo contributo più consistente al rinnovamento della scuola era stato lo sgretolamento della disciplina (……) ; allora l’indisciplina era rivoluzionaria, oggi è istituzionale. Gli insegnanti più capaci la neutralizzano prodigando la loro passione didattica. Non sono la maggioranza. Gli altri, abbandonati da terra in alto mare, si comportano come è inevitabile in caso di naufragio: alleggeriscono il carico.Pretendono sempre di meno e così –almeno nei documenti burocratici, diventati il sacrario della nuova scuola, ottengono sempre di più. Non c’è come abbassare il metro di valutazione per innalzare il profitto di una classe. Compromesso spesso taciuto dalla umiliazione dei docenti quanto ignorato dalla inesperienza degli alunni”
Le due risposte sono ambedue risposte di difesa, risposte in negativo, in cui prevale una sorta di rassegnazione a quello che si ritiene un
inarrestabile processo di declino della scuola ed anche un alibi per non impegnarsi in processi di rinnovamento, sognando un improbabile ritorno al
passato.
E’ contro questo stato mentale di rassegnazione che abbiamo tentato di reagire, attivando i nostri progetti volti alla Prevenzione della dispersione
e ad una gestione sperimentale dell’Obbligo Formativo, convinti che un percorso sperimentale comporta l’allungamento dei tempi e la scelta di un
metodo pragmatico di lavoro che lascia da parte teorie e ideologie (che sono tutto il contrario di un processo educativo), ma anche con la consapevolezza che questa stessa impostazione fosse l‘unica strada percorribile.
L’occasione ci è stata data dalla applicazione delle norme sull’Obbligo Formativo, prima avviate dal Ministro Berlinguer, poi diventate diritto/dovere alla formazione nella rivoluzione semantica del Ministro Moratti. La giusta affermazione che tutti, fino ai 18 anni, devono continuare a formarsi, o nella scuola, o nella formazione professionale, ha rischiato di diventare un ulteriore alibi al non cambiamento della scuola.
Anzi, in quella cultura diffusa nel mondo docente di un bisogno di tornare all’antico, espellendo chi non studia o chi non ce la fa, il fatto di disporre di una riserva formativa per i “falliti” della scuola, poteva dare una nuova giustificazione etico/didattica alla selezione per “merito”. Per gli esclusi c’era sempre a disposizione il corso di formazione per le competenze di base e l’apprendistato. Insomma, si poteva mantenere o tornare alla vecchia scuola, quella che funzionava, delegando ai corsi di formazione regionali/provinciali il compito di occuparsi di coloro che la scuola non era stata in grado né di educare né di istruire. La tendenza, poi, a favorire le agenzie private nella gestione dell’obbligo formativo, ha rischiato quasi di istituzionalizzare la separazione dei due problemi e dei due percorsi, con rischio di gravi conseguenze negative per ambedue.
Ma tant’è, e non è questa la sede di una valutazione socio-politica della realtà esistente, e del resto noi insegnanti (e tutti coloro che lavorano
nell’educazione) sappiamo bene che serve a poco lamentarsi e serve invece cercare di far bene con quel che abbiamo in mano.