INTRODUZIONE: Il senso dell'intervento di Prevenire è Possibile
di Vincenzo Masini
L’intervento educativo di Prevenire è Possibile persegue costantemente l'obiettivo di favorire la socializzazione ed il lavoro nei gruppi nelle loro diverse articolazioni e potenzialità. Ciò non esclude alcuni approcci di counseling con i singoli che vengono motivati verso l’esperienza della gruppalità. Tali interventi sono gestiti a seconda della competenze professionali dei singoli operatori, la quale, a sua volta, dipende dal grado di disagio e di malessere che incontrano nel loro lavoro sociale, ma obbedisce a un metodo le cui tappe sono semplici e schematiche: 1) Il processo di accoglienza e di conoscenza interpersonale 2) la formazione di legami tra le persone tendenti a costruire un codice comune 3) l’elaborazione di un progetto individuale e collettivo finalizzato al miglioramento delle potenzialità della persona e del gruppo.
Questo processo di lavoro può polarizzarsi con minore, o maggiore, attenzione ad una particolare tappa ma è sempre costitutivamente circolare per sviluppare al massimo sia i legami sociali che le personalità individuali, senza produrre dipendenze o coalizioni nei gruppi e nemmeno favorire l’individualismo esasperato di alcuni.
Questi due processi (la dipendenza o l’individualismo) sono i principali nemici dello sviluppo educativo nel singolo giovane e antagonisti della possibilità di offrire efficaci processi di insegnamento-apprendimento. In pratica laddove i gruppi adolescenziali leghino troppo strettamente i giovani, offrendo loro una fittizia protezione ed una ancor più falsa amicizia, accade che si avviino verso la frattura comunicativa con il mondo degli adulti, chiudendosi in capsule relazionali asfissianti, sovente destabilizzanti e demotivanti. Chi partecipa a tali esperienze relazionali, spesso tollerate come fenomenologie di “aggregazione giovanile” un po’ “trasgressive” ma inevitabili nella gioventù, viene coinvolto in un vortice di passività e/o antagonismo verso tutto ciò che l’adulto esprime e racconta, e coltiva un rifiuto inespresso della realtà sociale, lavorativa, di apprendimento, comunque di impegno, quasi che gli adulti avessero, con tali proposte di responsabilizzazione tradito le aspettative coltivate nell’infanzia, su un mondo tutto facile, protettivo e giocoso che l’ingresso nella adolescenza ha smentito. Al lato opposto si trova l’individualismo strategico di quei giovani che fin dall’adolescenza scelgono di entrare con un raffinato calcolo di costi/benefici nel mondo degli adulti ed ad esso si adeguano, perché conviene, pur senza crederci troppo.
Questi processi, frutto di eccesso di protezione o mancanza di affettività famigliare, sono quelli che si leggono alle spalle di molti ragazzi che scivolano nelle forme più acute di disagio, forme che oggi sono molto meno visibili rispetto a quelle di alcuni anni fa’, ma non meno gravi. E’ caduta l’attenzione verso la prevenzione delle tossicodipendenze, complessivamente tollerate nel silenzio dell’impossibilità a parlarne, dei disturbi alimentari, degli attacchi di panico, delle angosce per fallimenti, a volte devastanti, nella socializzazione sentimentale, ed è ovviamente caduta la capacità di prendere in considerazione uno dei più semplici indicatori del disagio: la caduta di motivazione all’apprendimento.
E’ ben chiaro che tale demotivazione si esprime con evidenza, anche numerica, nel fallimento scolastico e nella dispersione ma il suo significato è, purtroppo, più ampio. Qualcuno ha tolto ai giovani una delle cose più importanti della vita: il gusto di apprendere.
Poste sul tappeto le precedenti questioni: 1) la caduta del desiderio di apprendimento (che equivale alla mancanza di un progetto); 2) la strutturazione di legami interpersonali di dipendenza; 3) l’individualismo come forma di rifiuto della relazione con l’altro, è facile osservare come i processi di lavoro nei gruppi, attuati da venti anni nei modelli di itinerari educativi di Prevenire è Possibile, costituiscano espliciti antidoti: l’accoglienza, i legami, il progetto.
Con questa metodologia di approccio è stata gestita la difficile scommessa di rimotivare allo studio giovani che, avendo abbandonato la scuola e detestandola, erano costretti ad assolvere, negli stessi locali della odiata scuola, l’Obbligo Formativo. I risultati incoraggianti sul piano della relazionalità e dell’apprendimento nei gruppi formati con tale approccio strategico hanno ulteriormente allargato lo scenario dell’azione. Quali forme di apprendimento potevano essere offerte a tali giovani per ottenere una partecipazione responsabile ed attenta?
La questione fondamentale di ripensamento dei modi di apprendere non poteva solo limitarsi alla analisi, ormai consolidata, della necessità di cambiare i modi di stare in classe, in funzione della personalità collettiva di quello specifico gruppo classe, ma di comprendere che “The crisis in the classroom” (Anne Henderson) non è solo relazionale (anche se qui se ne ribadisce fortemente la valenza, tanto da aver dedicato il senso stesso del lavoro di Prevenire è Possibile alla dimensione gruppale, comunicativa, interpersonale) ma anche intrapersonale. Ovvero riguarda la struttura dei processi mentali del giovane ed i suoi specifici modi di apprendere, accomodare e assimilare.
Se dunque il processo gruppale, sinteticamente descritto, offriva occasione di apprendimento contestuali o di apprendimento basato sul lavoro e sulla ricerca quali forme di assimilazione erano necessarie perché l’appreso potesse divenire base per nuovi apprendimenti? Nuovamente lo schema dinamico appena descritto poteva, fatto un gigantesco salto tra il relazionale e l’intrapsichico, consentire di collegare la ripresa del protoapprendimento con il deutero apprendimento.
I concetti di apprendimento logico, intuitivo e narrativo, connessi all’esercizio di altrettante modalità di comunicazione didattica servono a spiegare – in precipitosa brevità – come le connessioni causali, costituite dalla presenza di schemi, possono essere messe in discussione dal processo euristico di nuove intuizioni e queste ultime essere interiorizzate mediante il loro spalmarsi nelle narrazioni che costruiscono un significato, preso come fondamento epistemologico per un nuovo schema che, nuovamente può essere arricchito da un’intuizione, descritta in un racconto, che diventa logos, che si espande e così via…
Dunque una circolarità, bilanciata a seconda dei tipi, dei tipi di classe e dei tipi di contenuti tra le diverse dimensioni dell’assimilazione innescando un processo circolare di crescita. Con l’obiettivo di ridare gusto all’apprendimento.
Il processo di lavoro educativo presso l’Itis e l’Istituto Professionale di Bibbiena e presso le diverse scuole del Casentino ha nell’Obbligo Formativo il suo baricentro, proprio perché la sperimentazione del metodo con giovani che di scuola non ne volevano sapere e che, a seguito di questa esperienza, hanno deciso di ritornarci, ha mostrato il massimo di efficacia e ci ha restituito il massimo di soddisfazione. Ma il lavoro si è dispiegato a 360 gradi: dalla lotta alla dispersione, all’orientamento verso tutti i ragazzi delle terze medie, alla formazione degli insegnanti, alle conferenze con i genitori, alle assemblee di istituto, alla formazione dei giovani studenti tutor, all’accoglienza, alla riunione dei bocciati, alla ricerca sul lavoro nelle imprese del Casentino, alle interviste con gli imprenditori…
Ma qual’è questo metodo: è bene riassumere e schematizzare.
- Ogni contatto con il soggetto parte sempre attraverso un colloquio di orientamento e, a volte, successivi incontri di sostegno e di motivazione finalizzati ad individuare la strategia educativa più opportuna. In ragione dell’analisi del tipo di copione di disagio del ragazzo è necessario costruire un obiettivo da raggiungere, tenendo presente che non sarà mai possibile il cambiamento complessivo della persona ma solo la sua crescita limitata all’obiettivo che è legittimo proporsi.
Il senso del limite è una regola dell’orientatore che si basa sull’assunto che in un intervento educativo attuato in una certa fase della vita del soggetto non è possibile trasmettere e far apprendere più di una sola virtù o qualità ed è necessario individuare quale sia quella più importante per la persona. Nel rapporto che si instaura con l’altro potrà crescere l’autostima, il coraggio, la tolleranza, la calma, l’impegno, l’umiltà, la responsabilità, l’ottimismo e la spensieratezza ma non potrà crescere “tutto”. Ed è bene trattenersi dal lanciare messaggi doppi cercando, ad esempio, di discutere e lavorare contemporaneamente sull’autostima e sull’umiltà o sulla calma e sul coraggio, sulla responsabilità e sulla spensieratezza. Avendo individuato la qualità che sembra più necessaria per la sua crescita attuale è bene concentrarsi su quella, nella consapevolezza che altri incontri con altri artigiani dell’educazione potranno efficacemente accompagnare quel soggetto verso equilibri sempre più maturi.
- Non bisogna mai perdere di vista la relazione con il contesto di relazioni in cui il soggetto è inserito. Per un educatore, un animatore, un insegnante o un orientatore la famiglia e gli amici del giovane sono sempre una incognita da valutare con attenzione perché può essere estremamente pericoloso farsi incastrare all’interno di rapporti che si mostrano poi fortemente condizionanti. Per questo motivo l’aver, con chiarezza, individuato quale sia l’obiettivo educativo più immediato e concreto da raggiungere serve a non estendere oltre quella soglia l’ambito del lavoro e lasciare così fluidi i contatti che potrebbero investire l’educatore di responsabilità eccessive o di mediazioni che poi lo intrappolano.
In linea di massima i contatti con i nuclei famigliari sono efficaci nel caso si abbia di fronte un ruminante, un adesivo, un avaro o un apatico. Questi tre tipi di soggetti hanno infatti una immediata visibilità nel loro comportamento e la proposta educativa non sarà compromessa, o squalificata, per l’immediata comprensibilità del bisogno educativo di tali soggetti.
Che il ruminante abbia bisogno di imparare a spegnersi ed ad apprezzare la calma è talmente palese che nessuno potrà avere alcunché da obiettare, anzi, se l’intervento educativo sarà efficace potrà essere apprezzata la diminuzione della sua aggressività. Lo stesso vale per l’adesivo che, anzi, apprezzerà la vicinanza e il coinvolgimento nella sua vita personale e potranno essere dati efficaci consigli alla famiglia per meglio modulare la capacità affettiva verso di lui. Gli strumenti di difesa che l’avaro possiede non rendono problematico il rapporto con la famiglia, la quale esprimerà per prima il bisogno di aiuto. Anche la motivazione all’azione da esercitare sull’apatico non conduce a situazioni problematiche con il suo contesto, a meno che non si sia confusa la sua staticità di comportamento con quella dell’invisibile (che ha invece subito forti oppressioni nella vita) o che l’apatico non sia tale per autoanestetizzarsi dal dolore relazionale che ha vissuto e vive. Nel caso dell’invisibile (o dell’apatico per dolore), del delirante e dello sballone è invece bene mantenere una certa distanza dal suo contesto famigliare di appartenenza. L’invisibile è probabilmente frutto di una oppressione, magari ancora attiva, nel contesto famigliare e il fatto di trovare un interlocutore esterno che lo valorizza e lo apprezza senza mediazioni con il suo contesto è per lui fonte di autostima e di speranza. Il delirante, nel suo processo di costante distanziamento dagli altri, perde troppo facilmente l’orientamento cercando di gestire intrecci relazionali complessi e, nel caso di miscele relazionali tra l’esterno e l’interno della famiglia, peggiora il suo contatto con la concretezza della realtà e si confonde ancora di più. Lo sballone invece può con superficialità lanciare messaggi ambivalenti e far emergere nella famiglia di appartenenza sospetti, critiche, giudizi sulle modalità e finalità del lavoro educativo e, giacché non è possibile depotenziarlo, è prudente non elevare il personale coinvolgimento ed è educativo spiegare la ragione della prudenza.
Gli itinerari educativi nei quali i soggetti possono essere coinvolti mostrano diverse caratteristiche le quali hanno, come già detto, fondamento nella gruppalità. Il gruppo è infatti il luogo dove far ricomporre l’armonia interpersonale. In esso infatti le personalità, a cui sia stata offerta qualche occasione di analisi riflessiva di sé, possono trovare il terreno di incontro e di confronto (io sono fatto così, tu sei fatto cosà!…). Il gruppo può assumere forme e percorsi di crescita diversi a seconda che esso sia guidato ed organizzato al fine di essere un gruppo di incontro e di condivisione, un gruppo di lavoro o un gruppo di formazione. Torniamo così alla circolarità espressa nelle prime righe, ribadita nella spiegazione delle dinamiche di apprendimento e ritrovata ora, con lo stesso sapore e significato nelle dinamiche intragruppali.
Pur se espresso in estrema sintesi non mi sembra poi così complicato e difficile…, infatti, prevenire è possibile!