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Giovanna Virzì

 

PERCORRENDO LA STRADA DELLE RELAZIONI:

 

IL BAMBINO CONTESO

NELLA SEPARAZIONE DEI GENITORI.

 

 


 

INTRODUZIONE 

PARTE PRIMA  - Cenni storico – legislativi

Dalla svolta giuridica e trasformazione dei modelli familiari al vissuto dei figli dei genitori dei separati

I Luoghi per il sostegno alla genitorialità. I nuovi servizi a sostegno

della cura dei legami familiari

Il transfert sulla giustizia

Sentimenti e responsabilità

Dinamiche relazionali e vissuti del bambino nella separazione genitoriale

Le reazioni, gli effetti della separazione sui figli,

gli attentati ai sentimenti dei bambini-adolescenti

La separazione conflittuale come un caso particolare di fallimento

ambientale

La trappola dell’accoppiamento complice con un solo genitore

Schierarsi, allearsi: negare l’affetto per una parte di sé

Un’occasione di sviluppo verso l’individuazione

 

PARTE SECONDA – Il diritto di visita e di relazione

I "Points  de recontre" in Francia

La situazione in Italia

Spazio Neutro. Breve storia del servizio “Spazio Neutro a Marsala”

Obiettivi del servizio

Destinatari del servizio

Metodologia e percorso d’intervento

Evoluzione degli incontri genitore – bambino

La relazione operatore-osservazione. L’operatore del servizio

“Spazio Neutro”

L’osservazione nello Spazio Neutro

L’osservazione e l’operatore nelle fasi dell’intervento.

I colloqui con gli adulti

L’ambientamento con i bambini

L’incontro tra genitore e figlio

Considerazioni sul Servizio Spazio Neutro

Incontrare i bambini alla luce delle competenze e degli strumenti secondo

il modello della scuola Prepos: i Laboratori di artigianato educativo

Laboratori per i Nanetti

Differenza fra il Counselor e l’operatore di Spazio Neutro

Conclusioni

Bibliografia

 

INTRODUZIONE

 

L’elaborato è stato sviluppato in due parti.

Nella prima parte vengono esaminati i temi legati al problema della tutela dei figli nelle situazioni di rischio prodotti dalla conflittualità genitoriale a seguito della divisione coniugale e dei malesseri che sempre la precedono e spesso la seguono. Si cercherà di fornire un quadro di come la separazione inevitabilmente incida sulla funzione genitoriale e quali sono i rischi per un bambino spesso lasciato solo ad affrontare un evento sempre destabilizzante e a volte carico di conseguenze per il suo futuro.

Uno spazio è dedicato alla storia dei luoghi per il sostegno alla genitorialità, in particolare il servizio dello Spazio Neutro dando una esposizione sulla struttura organizzativa e metodologica di tale servizio nel nostro territorio.

Nella seconda parte viene analizzato il servizio dello Spazio Neutro sia come occasione per avvicinare, conoscere e, se possibile, modificare quei meccanismi a volte del tutto automatici che sostengono la conflittualità  “a largo campo”, sia come uno stimolo ai genitori per ripensare alla relazione con i propri figli e l’ex-partner.

A partire dalla domanda sull’effettiva efficacia di questo servizio, si descriveranno le ipotesi, la metodologia e il percorso con l’obiettivo di raggiungere una comprensione di quali sono gli elementi fondamentali dell’intervento. Si cercherà di identificare quali funzioni, attraverso azioni simboliche e interventi verbali, possano favorire lo sviluppo di elementi che sostengano la cura dei legami.

Nella parte conclusiva, seguendo il modello della scuola Prepos, vengono analizzate le tipologie di personalità individuate nei bambini con riferimento ai personaggi della favola dei Sette Nani di Walt Disney. In funzione dell’esperienza da me svolta all’interno del servizio Spazio Neutro, si mette in evidenza,  la metodologia di aggancio che dovrebbe seguire l’operatore secondo le caratteristiche del bambino o del ragazzo con cui si interagisce.

Vengono, infine, evidenziate le affinità elettive per ogni copione analizzato., mettendole in relazione con le figure genitoriali corrispondenti.

 

 

 

 

 


 

 

PARTE PRIMA

 

CENNI STORICO-LEGISLATIVI.

 

Dalla svolta giuridica e trasformazione dei modelli familiari al vissuto dei figli dei genitori dei separati

 

Nella seconda metà del secolo scorso, in Italia, si sono riscontrati dei profondi mutamenti sia nel contesto sociale che in quello normativo. Infatti, nel 1970 è stata approvata la Legge sul divorzio, la quale ha segnato una netta linea di demarcazione tra le modalità di relazionarsi lungo il cammino del matrimonio prima e dopo gli anni ‘70.

Il cambiamento nella modalità relazionale tra coniugi, viene definito da Cigoli (1997) ''pseudoscisma coniugale"; con tale espressione, l'autore si riferisce al disincanto successivo alla separazione. Infatti, la scomparsa del sogno di reciprocità e del bisogno di comunione è costituito dallo stesso filo che precedentemente era ciò che univa i due partner: inizialmente, quel legame caratterizzato dall'amore e dalla condivisione, dopo la separazione, diviene un ostacolo e spesso porta al sentimento opposto, ovvero l'odio. L'autore inoltre sostiene che, la conseguenza più frequente è la conflittualità tra i due ex-coniugi, i quali intraprendono la via della giustizia per mostrare che l'altro è sbagliato. Ciò accade a causa del mancato "divorzio psichico", cioè l'incapacità dei due attori di vivere la condizione di perdita e accettarla provando il sentimento del lutto.

Le modifiche legislative hanno favorito la visibilità di un numero maggiore di separazioni e di divorzi che precedentemente era più sommerso e, di conseguenza, una serie di trasformazioni dei modelli familiari. Ciò, però, è anche conseguenza del nuovo diritto di famiglia (1975) che, inserito nel rinnovato panorama sociale, porta ad un "lento e profondo processo di metabolizzazione che cambia il tradizionale concetto dei legami familiari" (Dallanegra, 2003). La scelta di sposarsi è una libera decisione presa da entrambi i partner che può altrettanto liberamente esser revocata e portare alla separazione, ma questa ultima riguarda soltanto la relazione tra i coniugi e non la responsabilità genitoriale. Infatti, il legame che entrambi i genitori hanno con il figlio è essenziale per la sua crescita e per il mantenimento del suo benessere psicofisico.

Dal riconoscimento di queste importanti caratteristiche dello sviluppo del bambino deriva la "Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia" (ONU, 1989), la quale sottolinea il dovere di tutelare il minore, salvaguardare l'interesse, i bisogni, i desideri, i legami affettivi ed educativi, la stabilità dell'ambiente, ecc (Haller, 1997) L'articolo 18 di detta Convenzione dichiara che: "Gli Stati parte faranno del loro meglio per garantire il riconoscimento del  principio secondo il quale entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l'educazione del fanciullo e il provvedere al suo sviluppo [...] guidati principalmente dall'interesse preminente del fanciullo".

Altresì l'articolo 9 si esprime sulla separazione del bambino dai genitori: "Gli Stati parte rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di mantenere relazioni personali e contatti diretti in modo regolare con entrambi i genitori, salvo quando ciò sia contrario all'interesse del fanciullo".

Quanto dichiarato in questo articolo, mette in evidenza l'esigenza di salvaguardare quelle situazioni, in cui il bambino viene per forza di cose coinvolto, obbligato a schierarsi dalla parte di qualcuno dei contendenti e, infine, strumentalizzato per raggiungere i fini non chiaramente esplicitati dai soggetti coinvolti.

Capita di frequente che, il permanere del conflitto post-separazione, sia la conseguenza della delusione della fine del rapporto tra le due persone, ma anche della sensazione dì fallimento delle aspettative e dei progetti in cui uno o entrambi gli adulti credevano.

Ciò non permette di elaborare quanto avvenuto e, spesso, si verifica che i genitori rimangano fossilizzati nei sentimenti di odio e di rancore, senza riuscire a dare un senso  razionale all'esperienza dolorosa. Quando la sfera emotiva rimane ancorata esclusivamente a determinati eventi, le dinamiche che stanno alla base dell'evoluzione dei rapporti e dello sviluppo del minore sembrano bloccarsi.

Il genitore non affidatario viene escluso dalla nuova realtà familiare a causa del rancore e di una sorta di vendetta, così che il genitore affidatario si assicura l'esclusività del rapporto col figlio.

Pertanto, sono stati istituiti i luoghi per il sostegno alla genitorialità, sia  per sottrarre i bambini alla guerra tra i coniugi, sia per il rispetto del diritto di mantenere relazioni personali con entrambi i genitori.

 

 

I Luoghi per il sostegno alla genitorialità

I nuovi servizi a sostegno della cura dei legami familiari

 

Una particolare attenzione alla valorizzazione delle risorse e delle competenze genitoriali proviene da alcuni provvedimenti legislativi in materia di politiche sociali, che hanno stimolato la diffusione di una serie di interventi nelle diverse realtà territoriali, in particolare:

- l’ex legge 285/97 (Disposizione per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza), di portata fortemente innovativa in quanto propone un approccio preventivo secondo il quale il sostegno non è solo per i casi a rischio. Il bambino e l’adolescente sono considerati nell’ambito del contesto familiare di appartenenza, da privilegiare anche nella realizzazione degli interventi, in cui, oltre alla riparazione di situazioni problematiche, ci sia una promozione del benessere attraverso lo sviluppo dei servizi di ascolto, consulenza ed aiuto nei problemi quotidiani e la creazione di una rete solidale.

E’ questo il contesto in cui nascono i Servizi per la Famiglia. Alla base c’è la condivisione dell’idea che, per migliorare la vita dei minori, sia importante sostenere i genitori nella loro funzione educativa( Milani 2003 ).

Nell’attuazione di questa legge è stata data particolare attenzione ai possibili interventi utili a sostenere la genitorialità, ma soprattutto necessari nel valorizzare le risorse del sistema familiare coinvolgendo i suoi membri nella ricerca di modalità di superamento delle eventuali difficoltà.

- la Legge 328/2000, legge quadro di riforma dell’assistenza, ha come obiettivo la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali, a partire dalla “normalità” delle persone e della famiglia e non esclusivamente dalle situazioni di disagio.

Tra gli interventi di questa legge, in prosecuzione della 285/97 emergono quelli a sostegno della genitorialità: il supporto alle famiglie è previsto sia in fase preventiva che in momenti di crisi e di disagio.

Nella città di Marsala i Servizi per la Famiglia, in particolare il Servizio di Mediazione Familiare, lo Spazio Neutro, e i Gruppi di Parola quali luoghi privilegiati per gli interventi di sostegno alla genitorialità, nascono sia a seguito della complessità e dell’aumento del fenomeno delle separazioni conflittuali, connessi ai loro riflessi sulla genitorialità, sia come tentativi di intervento messi in atto a tutela dello sviluppo del bambino.

La considerazione di intervenire  con servizi adeguati a sostegno delle famiglie in difficoltà,  pongono in essere il Servizio di Mediazione Familiare con particolare riferimento a coloro che affrontano la transizione della separazione, e lo Spazio Neutro d’incontro mirato alla salvaguardia della relazione affettiva con entrambe le figure parentali attraverso la facilitazione ed il riavvicinamento relazionale ed emotivo tra genitori (o adulti di riferimento) e figli, a seguito di dinamiche gravemente conflittuali interne al nucleo familiare e il gruppo di parola  che si fonda sul riconoscimento forte del bisogno di rinforzare l’appartenenza dei figli dei genitori  separati, nel momento in cui l’unitarietà del gruppo d’origine è intaccata e stanno attraversando un mare in tempesta. Potremmo utilizzare una metafora dicendo che l’obiettivo è quello di creare servizi finalizzati a far galleggiare i figli, in un periodo di burrasca, mentre papà e mamma sono impegnati a traghettare verso nuovi lidi, a riorganizzare un nuovo assetto di vita. La letteratura infatti ci insegna una sorta di impossibilità fisiologica dei genitori coinvolti nella crisi connessa alla separazione ad occuparsi sufficientemente dei figli, soprattutto nella prima fase, quando le energie sono prevalentemente dedicate alla gestione del legame di coppia e dei bisogni personali (Marzotto-Telleschi, 1999).

 

 

Il transfert sulla giustizia

 

La riduzione giudiziaria del conflitto, caratterizzata dalle forme del contenzioso, della presentazione delle prove per dimostrare la responsabilità dell’altro coniuge al fallimento del matrimonio e la sua incapacità ad occuparsi dei figli, dà spesso il via ad una guerra domestica a colpi di dispetti e carte bollate. Il meccanismo burocratico non solo non garantisce per nulla una soluzione rispettosa  dei sentimenti e delle sofferenze di tutti, bambini e adulti, ma spesso, con le sue procedure e la sua logica, rende più aspri i conflitti e apre ulteriori ferite.

Forse il rivolgersi ad un’istituzione con la speranza di una soluzione magica è già il segnale della necessità di aiuto a contenere sentimenti di esasperazione, rabbia, fastidio,  che  impediscono ogni possibilità di pensiero.

In tutte le situazioni che comportano sentimenti estremi e insostenibili,  il sociale non sempre offre riti e miti che aprono a soluzioni e aiutano a percorrere i cammini del lutto e dell’accettazione di realtà profondamente dolorose che da sempre fanno parte della storia dell’uomo. La società ha sempre predisposto i percorsi del dolore, senza offrire argini e proteggere la salute mentale di chi è coinvolto, perché possa trovare conforto nella solidarietà degli altri  condividendone il senso dell’abbandono e della rabbia.

Nella separazione, lutto e perdita di una relazione spesso vissuta come fondamentale e indispensabile, la società non offre altro che un meccanismo procedurale che a volte sembra congegnato apposta per aizzare i due ex-coniugi l’uno contro l’altro, moltiplicando il dolore e aprendo ferite insanabili.

Appare legittimo il sospetto di una strisciante quanto profonda reazione di rifiuto e di condanna della società verso la separazione.

 

 

Sentimenti e responsabilità

 

La società, nel suo insieme, di fronte alle conseguenze spesso tristi delle separazioni conflittuali, offre la possibilità, a chi si separa, di un percorso di elaborazione e di contenimento delle emozioni. La rottura del legame coniugale, in questa ottica, non è più letta esclusivamente attraverso le categorie morali dell’irresponsabilità e della colpa, ma come occasione per l’elaborazione di un’etica fondata sull’assunzione di nuove forme di responsabilità.

Forme di terapia, di mediazione familiare, di auto-aiuto attraverso gruppi di sostegno sono orientate ad offrire spazi di elaborazione del fallimento, per cercare di rendere sostenibili e quindi riconoscibili i sentimenti ad esso connessi. Le persone che ne usufruiscono, date le modalità di accesso totalmente volontarie, hanno solitamente un livello di sviluppo che consenta di sperimentare il disagio che la situazione di conflitto determina, o di accogliere i segnali di sofferenza dei loro figli.

Ci vogliono competenze relazionali evolute, come la capacità di accogliere l’offerta, di rimettere in discussione proprie posizioni, di fidarsi e di affidarsi, in una parola di stabilire un rapporto transferale con il  “terzo”  (sia esso il mediatore, il terapeuta o il gruppo), suscettibile di attivare processi di identificazione con nuovi valori e con nuove modalità relazionali.

Questi contesti, hanno lo scopo di restituire ai genitori le loro responsabilità e la loro autonomia, spesso perdute nei meccanismi deleganti delle procedure giudiziarie, facendo leva sul loro desiderio di portare in salvo la loro genitorialità .

 

 

 

Dinamiche relazionali e vissuti del bambino nella separazione genitoriale.

 

Parlare in generale dell’esperienza del bambino nella separazione fra i genitori significa considerare un numero elevato di variabili, quali: l’età e il genere del bambino, la sua capacità di elaborazione, reale e fantasmatica, che intrattiene con i suoi genitori, e il tipo e la qualità delle dinamiche che si determinano nella situazione della separazione, tutti fattori che incidono considerevolmente sull’esperienza che il bambino stesso ne farà.

E’ veramente in uno “spazio transizionale” che gli eventi esterni riecheggiano e sollecitano con forza paure, fantasie e reazioni legate al mondo interno del bambino, portandolo ad assumere posizioni e a provare emozioni violenti e sentimenti a volte incontenibili e impensabili. Ciò che avviene “fuori” riecheggia minacciosamente “dentro”, a secondo del percorso interno che il bambino sta facendo.

Si pensi ad esempio: alla differenza per un bambino nel conflitto edipico essere affidato alla mamma o al papà, con la possibilità o meno di poter mantenere una continuità di rapporti, non solo nella loro quantità ma soprattutto nella loro qualità, con il genitore non affidatario o al differente impatto della separazione dalla madre a seconda dell’età del bambino, o dell’assistere a liti violente fra i suoi genitori, o alla rabbia di una ragazza adolescente che, dopo aver idealizzato a lungo il papà, lo vede sottrarsi dal rapporto a causa dei  problemi con la famiglia. Questi sono eventi senza dubbio reali, il cui peso nel percorso di sviluppo del figlio/a è evidente.

Vi sono alcune strade che inevitabilmente il bambino segue, nel tentativo di elaborare la sofferenza e la rabbia per questo evento che sconvolge il suo ambiente di vita e di esperienza in modo più o meno traumatico. Il bambino, pur profondamente vincolato dalla relazione di dipendenza che intrattiene con i suoi genitori, cerca una posizione che gli permetta di vivere con meno dolore, per non perdere affetto e sentirsi degno di considerazione.

Nella relazione con i genitori il bambino elabora, a diversi livelli e con diversi strumenti, il senso del proprio esistere come soggetto di valore, con proprie capacità e limiti, con una potenza reale ed efficace. Se la capacità di rapporto oggettuale non è stata distrutta da precoci esperienze di deprivazioni, il bambino può soddisfare i suoi bisogni di attaccamento, amore, contenimento e riconoscimento.

 

 

Le reazioni, gli effetti della separazione sui figli, gli attentati ai sentimenti dei bambini-adolescenti.

 

La maggior parte dei figli sono shoccati e sconvolti quando i genitori si separano. Sia per i figli che per i genitori, la fase immediatamente precedente alla separazione, e quella subito successiva, costituiscono i periodi di maggiore stress. Spesso, durante la separazione, la comunicazione fra i genitori si interrompe, i figli possono essere lasciati all’oscuro e, non sapendo che cosa sta succedendo sono confusi e spaventati. I più piccoli immaginano spesso che la separazione sia avvenuta per colpa loro. Le conseguenze a lungo termine della separazione per i bambini non sono necessariamente dannose. Ciò che importa è il modo in cui i genitori gestiscono la separazione e spiegano i cambiamenti ai loro figli; il conflitto prolungato fra i genitori, e il livello di tensione che i bambini sperimentano, sono i fattori decisivi.

Le reazioni dei figli alla separazione sono influenzate dal livello di conflitto sperimentato prima e dopo la separazione, dalla misura in cui i genitori riescono a cooperare fra loro e dal supporto che i figli ricevono nel mantenere le loro relazioni con entrambi i genitori e con altre figure significative della loro vita. Spesso invece i genitori, presi dalla gestione delle loro emozioni, hanno bisogno di “negare” il dolore del figlio, o, al contrario, di accentuarlo e drammatizzarlo. In questi casi, di grande appoggio possono essere figure significative della famiglia allargata, quali zii, cugini, nonni, che hanno, o dovrebbero avere, una maggiore distanza emotiva dagli eventi che coinvolgono i genitori. Ciò però è vero raramente, poiché nella maggior parte dei casi le famiglie di origine fanno uno “schieramento” collusivo, anzi sostengono ed accentuano il senso di catastrofe che spesso si accompagna all’evento separativo.

I ragazzi non sempre reagiscono in modi che corrispondono alla loro età anagrafica. La conoscenza e la comprensione dello sviluppo del bambino e dell’adolescente sono importanti nell’aiutare i genitori a capire le reazioni dei loro figli. E’ importante inoltre considerare la personalità individuale del bambino, la storia e le circostanze familiari. La maturità emotiva e psicologica non è strettamente correlata con l’età anagrafica, ma, in generale, gli adulti sottovalutano la capacità dei figli di comprendere sentimenti e relazioni. Genitori convinti che un figlio sia troppo giovane per comprendere cosa stia succedendo, di fatto, cercano spesso di proteggere se stessi piuttosto che il bambino. Quando i figli stanno lottando e non ricevono sufficiente appoggio, spesso esprimono il loro stato d’animo con il comportamento più che con le parole. Il modo in cui mostrano i propri sentimenti può causare ulteriori difficoltà, poiché il loro atteggiamento viene spesso interpretato in modo diverso da ciascuno dei genitori, i quali si accusano a vicenda di essere la causa del problema. Sono state individuate da ricercatori le reazioni più comuni da parte dei figli di famiglie in fase di separazione. E’ necessario sottolineare che non tutti i figli mostrano le reazioni descritte dai ricercatori. In gran parte questo dipende dal modo in cui ogni genitore gestisce la separazione e da come entrambi agiscono per quanto riguarda i figli.

In breve si possono verificare le seguenti reazioni e stati d’animo, diverse in funzione dell’età dei figli, che vengono esplicitate qui di seguito:

Dai due ai cinque anni

- confusione, ansia e paura: i figli sono molto confusi e insicuri per quanto riguarda i cambiamenti nella loro vita familiare, perché spesso i genitori stessi sono troppo insicuri per fornire spiegazioni su ciò che sta succedendo a bambini di questa età;

- forti fantasie di riconciliazione: i figli si aggrappano alla speranza che i genitori possano tornare insieme e si creano delle fantasie per trovare conforto in esse;

- aggressività: la rabbia dei figli deriva spesso dal senso di perdita e di rifiuto. Il senso di perdita che sperimentano quando uno dei genitori scompare dalla loro vita, spesso inspiegabilmente, potrebbe condurre a comportamenti aggressivi;

- senso di colpa : i figli spesso immaginano che sia colpa loro se i genitori non vanno più d’accordo. Può succedere che pensino di essere stati abbandonati da uno dei genitori a causa della propria disobbedienza;

- regressione: i bambini possono esprimere la propria ansia e insicurezza attraverso mancanze nella propria cura personale, tornando a bagnare il letto, mostrando comportamenti eccessivamente dipendenti;

- accresciuto timore del buio, ad esempio , o sviluppo di problemi alimentari.

 

Dai cinque ai sette anni

- tristezza e sofferenza profonde;

- nostalgia del genitore assente: simile alla sofferenza per la morte di un genitore, ma con maggiore senso di rifiuto;

- paura e senso di abbandono: spesso c’è il timore di essere abbandonati e di perdere anche il genitore che è rimasto;

- rabbia: spesso i figli rivolgono la propria rabbia contro il genitore che ritengono il responsabile della rottura;

- conflitto di lealtà: il figlio si sente messo in mezzo fra i genitori e non sa come fare per dimostrarsi leale verso entrambi;

- fantasie di riconciliazione.

 

Dagli otto ai dodici anni

- i ragazzi in questa fase acquistano maggiore coscienza delle cause e delle conseguenze della separazione ed è più facile che si schierino dalla parte di uno dei genitori in conflitto;

- profondo senso di perdita, rifiuto, vulnerabilità e solitudine;

- sentimenti di vergogna, risentimento per il comportamento dei genitori;

- forte rabbia e scatti d’ira;

- timori, fobie e rifiuto;

- malesseri psicosomatici;

- elaborazioni di giudizi: identificazione di uno dei genitori come “buono”e dell’altro come “cattivo”, e rifiuto del genitore cattivo;

- alleanza con uno dei genitori, non necessariamente con quello al quale si sentono più vicini;

- ridotta autostima: il ragazzo può avere difficoltà nel concentrarsi a scuola e incorrere in un calo dei risultati;

 

Dai tredici ai diciotto anni

- perdita dell’infanzia: i figli più grandi possono essere caricati di una responsabilità crescente per i fratelli più piccoli e delle pretese di un genitore emotivamente dipendente;

- pressioni per prendere decisioni: alcuni genitori si aspettano che i figli più grandi prendano le loro decisioni riguardo alle visite o allea scelta di vivere con uno dei due genitori;

- conflitto fra il desiderio di vedere un genitore assente e quello di portare avanti attività con i coetanei;

- gelosia nei confronti del nuovo partner di un genitore;

- paura di creare legami a lungo termine e di fidarsi delle persone;

- depressione: chiusura in se stessi, rifiuto di comunicare;

- delinquenza furto, assunzione di droghe.

 

Dai 18 anni in avanti

Molti figli adulti si preoccupano molto dei loro genitori e alcuni sono profondamente coinvolti dal punto di vista emotivo nei problemi dei genitori.

Alcuni genitori dipendono fortemente dai figli più grandi, come anche dai più piccoli, nei quali cercano sostegno emotivo e pratico. A volte, i ruoli genitoriali sono rovesciati: un figlio può accettare coscientemente la responsabilità di badare a un genitore che non si sente bene o che è incapace di assumere la propria funzione in modo adeguato. Prendersi cura di un genitore emotivamente dipendente è un grosso peso per un figlio. Può rivelarsi molto difficile, per figli sensibili e coscienziosi, liberasi da questo fardello e andare avanti con la propria vita normale.

 

Un altro aspetto che emerge nella separazione fra i genitori è il senso di colpa che spesso è provato dal bambino, che si considera causa di quanto sta avvenendo.

L’osservazione delle liti familiari, di urla e pianti, provoca sentimenti contrastanti: paura per sé, per i suoi genitori, eccitazione, angoscia, paura di perdere le proprie figure di attaccamento. Un insieme di sentimenti difficile da gestire e contenere, anche perchè difficilmente potrà parlarne con i genitori venendo ascoltato nella sua sofferenza e considerato che spesso viene strumentalizzato dall’uno contro l’altro.

Per far fronte a questi sentimenti penosi, il bambino riattiva modalità di pensiero anche da tempo abbandonate, che avevano la conseguenza di calmare l’angoscia, consentendogli di sperimentare nella fantasia un controllo magico e onnipotente sull’ambiente.

L’effetto di questa operazione consiste nell’attribuire a sé, attraverso qualche disubbidienza o sentimento rabbioso e distruttivo, la decisione dei genitori di separarsi.

Data l’esistenza di sentimenti di rivalità e gelosia nei confronti del genitore dello stesso sesso, è facile per il bambino, durante o dopo l’Edipo, trasformare un desiderio in una colpa. Il pericolo più rilevante è che l’ambiente, invece di sostenere il bambino in queste sue elaborazioni, permettendogli di pensare che la separazione è una scelta degli adulti legata a motivi che riguardano la loro relazione, gli confermi, direttamente o indirettamente, una sua responsabilità in questa decisione.

Il bambino che realmente è stato coinvolto nel conflitto, e gli è stato chiesto di prendere posizione precocemente, penserà di essere stato la causa della separazione, con varie conseguenze per il suo sviluppo e per la sua capacità di esprimersi nel proprio ambiente e nell’ambito delle relazioni affettive.

 

 

 

La separazione conflittuale come un caso particolare di fallimento ambientale

 

In questa prospettiva, la separazione conflittuale con coinvolgimento dei figli nel conflitto e gravi contrasti fra i genitori, che possono determinare il disimpegno di uno di essi dai compiti genitoriali, assume il significato di un fallimento rispetto ai compiti di cura e di sviluppo nei confronti del bambino o dell’adolescente.

Ogni fase dello sviluppo presenta processi e conflitti suoi propri, e richiede da parte dei genitori risposte appropriate che permettano al bambino di trovare soddisfazioni ai suoi bisogni.

Per un bambino, la separazione non è sempre e necessariamente un  evento dannoso per lo sviluppo: a volte è la possibilità di osservare e sperimentare come gli adulti risolvono i conflitti, come affrontano il disaccordo, come litigano, come sanno separarsi. Tutti questi aspetti, con la loro intensiva e specifica tonalità affettiva, vengono profondamente introiettati dal bambino.

Il bambino in questa situazione non è solo osservatore, per quanto  partecipante, spesso è anche chiamato ad assumersi ruoli rilevanti, costretto a schierarsi, conteso, tirato ora da una parte ora dall’altra. Preso in mezzo a dilemmi di lealtà che possono arrivare al punto di costringerlo a presentare un “falso Sé” per compiacere ad un padre e una madre profondamente discordi. Il figlio corre il rischio di vivere la scissione dei propri sentimenti, sentiti come inaccettabili e incomunicabili. Si può ad esempio pensare a cosa provi un bambino sentendo la madre nominare il padre per cognome, o attraverso ingiurie, o all’impossibilità per un bambino, di manifestare i propri sentimenti di affetto per il genitore “che se n’è andato” per paura di ferire i sentimenti del genitore con cui vive. A ciò si aggiunge che spesso la disponibilità, l’attenzione e la vicinanza del genitore affidatario diminuisca sensibilmente nei due anni successivi della separazione lasciando spesso il bambino solo a fare i conti con il sentimento della perdita dell’altro genitore, e con la nostalgia di quando “mamma e papà erano insieme”, situazione spesso ideale anche quando oggettivamente era insostenibile. Questi aspetti contrastano profondamente con il sentimento del genitore con cui il bambino sta, che spesso vive la separazione come una liberazione, e non sente alcun bisogno di ricordare con tenerezza la vita di coppia. Il rischio nelle situazioni più gravi è per il bambino lo sperimentare una situazione di “noncuranza traumatica”, che comporta “disattenzione, lontananza, insensibilità, indifferenza e svalorizzazione, non rispetto dei limiti”.

A seconda della personalità dei suoi genitori, della loro tolleranza alla sua soggettività e alla sua esistenza psichica autonoma e differente, il bambino vedrà riconosciuta o pesantemente squalificata e denegata la  percezione della realtà, con il rischio ulteriore dell’impossibilità di riconoscerla per il legame di dipendenza esclusiva dal genitore affidatario.

Nei casi più gravi di conflittualità fra i genitori , il bambino può sperimentare attacchi alla sua vita psichica. L’impossibilità di portare al pensiero e alla parola il traumatico e il doloroso a causa della  menzogna, dell’ipocrisia e dell’inganno provoca reazioni di tal generi: il corpo parla attraverso il sintomo psicosomatico, riflessi di aggrappamento, reazioni d’ansia e di evitamento.  

Interi settori della vita psichica vengono disattivati attraverso “un modello operativo inconscio”. Le conseguenze sullo sviluppo non sono unidirezionali.

Molti sono i fattori che possono aggravare o mitigare l’effetto  della vicenda separativa; ad esempio  altre figure (altri parenti, insegnanti, operatori…) che si offrono come modelli di identificazione ascoltando e accogliendo i tentativi del bambino di esprimere il suo disagio e aiutandolo a pensare e a comunicare. L’intervento di adulti che hanno offerto appoggio e sostegno al bambino e ai genitori cercando  di proporre soluzioni alternative rappresentano un contributo significativo nella direzione del sostegno alla genitorialità e quindi alla crescita adeguata del minore. Se questo non riesce, è nell’ambiente che il bambino divenuto adolescente e adulto cercherà un risarcimento per quanto sente di non aver ricevuto.

 

 

La trappola dell’accoppiamento complice con un solo genitore

 

Da un punto di vista clinico F. Dolto (1988) sottolinea il ruolo fondamentale della triangolazione edipica della scelta d’oggetto.

Il padre è presente simbolicamente nel discorso della madre sin da prima della nascita e anche nei primi mesi dopo la nascita, pur caratterizzati da una sorta di stato funzionale della diade madre-bambino. E’ la madre che introduce il padre nella relazione col bambino, che, specie se maschio, ha bisogno della mediazione materna per accettare il padre nel suo campo relazionale.

Fin dalla nascita il corpo orienta naturalmente il bambino verso l’oggetto sessuale appropriato, e il bambino ha bisogno di non sentirsi svalorizzato l’oggetto del suo interesse.

Da questo punto di vista la separazione è un evento potenzialmente rischioso, perché mette in forse i punti di riferimento affettivi del bambino, determinando disorientamento e confusione.

Se la dinamica conflittuale fra gli ex-partner favorisce il disimpegno di un genitore dai suoi doveri (in genere il padre) con la complicità dell’altro (in genere la madre), il genitore affidatario può sentirsi esclusivo proprietario del figlio e coinvolgerlo in un ruolo di vice-compagno incoraggiandolo ad assumersi delle responsabilità pseudo-coniugali.

Per il bambino può risultare impossibile riconoscersi in un modello di identificazione sessuale che è stato pesantemente svalutato dal conflitto, ed essere in definitiva costretto, per mantenere un senso del proprio valore, ad identificarsi col modello materno e a scelte oggettuali in contrasto con il proprio genere.

Il risultato può essere il mantenersi di un legame di dipendenza infantile e di una pretesa di possesso totale della madre senza l’interiorizzazione del limite costituito dalla castrazione. Di fatto, la separazione diventa “laboratorio sperimentale di psicologia dello sviluppo”, permettendo di studiare i percorsi dei bambini privati del padre non solo da un punto di vista fisico, ma soprattutto simbolico.

Lo si vede in quelle madri che sacrificano tutte le loro energie per i figli, praticamente  asservite ad ogni loro desiderio, privi di una vita affettiva autonoma dal ruolo materno.

Questa posizione priva il bambino di stimoli all’acquisizione di competenze e capacità di autonomia, mantenendolo in uno stato di dipendenza da una madre che nel farsi schiava del figlio in realtà ne è padrona metacomunicandogli con questo atteggiamento compiacente: “Tu senza di me non sai vivere”.   

La carente interiorizzazione dell’interdizione edipica può determinare lo strutturarsi di personalità di tipo “borderline” che rivolgeranno verso l’ambiente la loro richiesta di un contenimento strutturante o forme di immaturità affettiva che limiteranno profondamente la capacità di amare del soggetto.

 

 

Schierarsi, allearsi: negare l’affetto per una parte di sé

 

Un altro aspetto sottolineato da Dolto (1988) consiste nell’importanza dell’assunzione, da parte della coppia, della responsabilità adulta della separazione davanti ai propri figli.

Verbalizzare la situazione di disaccordo significa dare la possibilità di parlare di qualcosa che i bambini hanno già capito benissimo da soli.

Comunicare la decisione di separarsi, motivandola realisticamente e univocamente, può avere un ruolo insostituibile nel chiarire un clima di incertezza e instabilità. La parola offre contenimento alle paure e alle angosce del bambino, permettendogli di riconoscerle e confrontarle con una percezione condivisa dal genitore.

La realtà spesso presenta l’incapacità del genitore all’assunzione di questa responsabilità, e il convocare il bambino a sostenitore delle proprie ragioni contro quelle del partner, con l’effetto di costringerlo a schierarsi e a non poter riconoscere il valore affettivo dell’altro.

Questa situazione può determinare vari effetti per il bambino: il sentimento di avere un ruolo di giudice sulla vita dei propri genitori, di cui viene a conoscenza di aspetti in genere preclusi ad un bambino e acquisendo nei confronti del genitore con cui si schiera un potere dato dalla complicità, la perdita dell’altro genitore come oggetto di valore e l’impossibilità di vivere i sentimenti positivi con lui connessi.

In breve, il bambino e l’adolescente coinvolti nel conflitto genitoriale perdono entrambi i genitori, sia quello con cui si alleano che quello contro cui si volgono.

Da ciò deriva un sentimento di abbandono, di perdita e di rabbia che può prendere le forme più varie, a seconda dell’età e dei mezzi espressivi “scelti” dal soggetto (sintomo somatico, disturbo comportamentale, depressione, ecc.). Questo particolare abbandono, può essere sperimentato come la perdita di una base sicura, di una situazione di protezione e di holding, che inciderà sulla capacità di formare legami.

 


 

 

Un’occasione di sviluppo verso l’individuazione

 

Nelle situazioni più difficili, tra cui quelle che giungono su segnalazione dell’autorità giudiziaria, il susseguirsi di gravi agiti di strumentalizzazioni dei figli nel conflitto, e di pesante interferenza e attacco ai loro sentimenti, porta l’osservatore a chiedersi come i genitori non riescano a vedere quanta sofferenza stiano provocando.

Sembra che non riconoscano ai loro figli una vita emotiva propria, e che i figli stessi siano vissuti come parte di quegli oggetti che i due stanno litigando per spartirsi.

Per questi genitori, sembra impossibile pensare che quel figlio è, e resta di entrambi.

E’ da questa incapacità primaria di riconoscimento dell’altro come separato da sé, con la conseguente proiezioni di propri vissuti e sentimenti sul bambino senza alcun riguardo per quello che lui realmente prova, che proviene un atteggiamento che non concede spazi di condivisione o di accordo.

Per molti genitori,questa modalità di manipolazione e uso dell’altro come una parte di sé non è purtroppo solo relativa al rapporto col figlio, ma è il segno di un disturbo più ampio nella capacità di relazione.

Per tali situazioni è auspicabile che i genitori intraprendono un percorso che garantisca la continuità dei legami attraverso la mediazione di un operatore che  faciliti il dipanarsi dei nodi della vicenda familiare per mezzo di un canale di comunicazione nel rispetto della triangolazione funzionale della famiglia.

 


 

 

PARTE SECONDA

 

IL DIRITTO DI VISITA E DI RELAZIONE

 

I "Points  de recontre" in Francia

 

In Italia, i Servizi per il Diritto di visita e di relazione si sono diffusi tardivamente rispetto ad altri Paesi che, invece, li hanno attivati già da diversi decenni.

La Francia è il Paese europeo che ha affrontato tale problematica a partire dagli anni ‘80 e che ha avuto, parzialmente, un ruolo di modello per l'esperienza italiana.

I Points de Recontre (luoghi, punti di incontro) in Francia sono i primi Servizi che hanno messo in pratica il Diritto di visita e di relazione fin dagli inizi degli anni ‘80. Infatti, a Bordeaux già dal 1982 gli operatori del sociale si erano resi conto che nelle situazioni di separazione conflittuale, al genitore non affidatario non era concesso di vedere il proprio figlio e che quindi avveniva sempre più spesso che i legami generazionali venissero interrotti bruscamente, senza badare agli interessi del minore. In seguito a questi avvenimenti nasce l'idea di creare un luogo dove permettere al bambino di continuare ad avere una relazione affettiva con entrambi i genitori (quando non va contro il suo benessere), anche se solo nel 1986 viene ufficializzata l'apertura del Point de Recontre .

La peculiarità di questi servizi si può riscontrare nella situazione diffusa di quel periodo: i divorzi e le separazioni sono seguite da una quasi totalità dell'affido del/i minore/i alla madre. Quindi i Servizi francesi sono nati inizialmente con lo scopo di far incontrare il bambino con il padre. Quest'ultimo viene teoricamente distinto in due categorie: il padre "abbandonato" e, quindi, escluso dal nuovo ristretto nucleo familiare, che soffre per il distacco dal figlio e il padre "assente" che trae giovamento dalla momentanea tregua dal conflitto ormai incombente (Equipe AFCCC-Aquitaine, 1992).

Indipendentemente dalla tipologia del genitore non affidatario i Points de Recontre partono dal principio saldo, espresso così da Grechez: "Un bambino ha diritto di avere accesso ad entrambi i genitori, ha il diritto di non perdere metà del suo essere figlio e della sua identità, ha il diritto di non essere obbligato a scegliere di detestare uno dei suoi genitori" (Grechez, 1992).

I servizi, che ormai sono diffusi su tutto il territorio francese, sembrano somigliarsi, ma in realtà seguono due filoni d'intervento completamente diversi. Un progetto viene intrapreso solo se c'è il consenso di tutti i soggetti coinvolti; l'altro considera la costrizione proveniente dall'istituzione il punto di partenza per una presa di coscienza.

Nonostante i differenti orientamenti, la concezione del mutato ruolo dei genitori accomuna gli svariati Servizi che si sono diffusi in quegli anni. Infatti, sostengono l'importanza del diritto del bambino di avere rapporti con entrambi i genitori; partendo dalla convinzione che il minore debba incontrare i genitori nonostante il forte conflitto tra i due in un luogo accogliente e rassicurante.

Gli operatori del Servizio cominciano l'intervento essendo coscienti che il bambino e il genitore lontano sono ormai due mondi diversi, due realtà separate e quasi parallele.

Il bambino, spesso, arriva al Servizio senza una chiara idea di quel che sta succedendo attorno a lui. Per creare un minimo d'ordine mentale, cerca di dare un significato alle notizie che gli hanno riferito il genitore con cui vive e altre persone che lo circondano; alle informazioni che derivano da ricordi vaghi di eventi passati, da immagini fantasticate di esperienze desiderate, da fantasmi di una persona che incute terrore perché non sufficientemente conosciuta.

Al contrario, capita che arrivino bambini con il vuoto totale di un genitore di cui non hanno il minimo ricordo e che quindi hanno vissuto di pura invenzione fino a quel momento. In questi casi il minore si deve scontrare con la dura realtà, con il dover smentire quello con cui ha convissuto e il mondo che si è costruito per "sopravvivere" al dolore di un buco di memoria. Però, oltre alla confusione e alla paura, il bambino arriva con la curiosità della scoperta o della riscoperta di un genitore, tutto sommato, nuovo e con la coscienza della possibilità di incontrarlo in un posto che gli garantisce di non fare un torto all'altro genitore.

L'adulto incontrante (ovvero il genitore non affidatario che va al Servizio per vedere il figlio), invece, arriva allo Spazio Neutro con un groviglio di sentimenti che comprende la delusione di non essere stato considerato adatto all' affidamento; il rancore verso l'ex coniuge che non gli permette di vedere il figlio come e quando vorrebbe; le fantasie costruite attorno all'idealizzazione di un rapporto "normale" con il suo bambino e, infine, la paura di ricevere un ennesimo rifiuto da parte del tanto amato figlio.

Quindi, partendo dalla coscienza di tutte queste componenti che entrano in gioco negli incontri, gli operatori devono vestire il ruolo di traduttori: devono essere capaci di far comunicare queste due sfere così differenti e di mediare tra il tempo e lo spazio. Il ruolo dell'operatore è stato descritto nell'articolo redatto dall'equipe AFCCC-Aquitaine in seguito ad una riflessione collettiva di un gruppo multiprofessionale (1989): "Il Point de Recontre è un luogo destinato a rendere possibile il ristabilirsi del dialogo tra i genitori avendo come soggetto il bambino. [...] il nostro punto di forza è l'ascolto: ciascuno coglie molto bene che noi non attuiamo interventi standardizzati e che il nostro ascolto è attento alla situazione personale. Noi siamo, dunque, dei mediatori che funzionano con ciascun interlocutore separatamente. [...] Noi abbiamo il ruolo di traduttori perché con ciascun interlocutore noi traduciamo la posizione degli altri interlocutori" (Equipe AFCCC-Aquitaine, 1992).

L'esperienza francese ha modificato i propri percorsi per adeguarsi ai mutamenti sociali, economici, politici del Paese ma ha mantenuto inalterato il nucleo centrale della propria posizione metodologica.

 


 

 

La situazione in Italia

 

Nel nostro Paese il ritardato sviluppo di questi particolari servizi deriva principalmente dalle trasformazioni giuridiche che hanno portato alla Legge sul divorzio, emanata in tempi relativamente recenti; ma dipende in maniera sostanziale anche dalla frammentazione familiare, esplosa effettivamente dalla metà del secolo scorso in poi. Lo scioglimento del nucleo familiare dipende da svariate cause che possono comprendere sia una libera decisione, individuale o di coppia, sia motivi esterni come problemi con la giustizia, ricoveri legati a disfunzioni mentali o ad abuso di sostanze stupefacenti. L'istituzione familiare, però, si è rinnovata anche per una ragione non presente nel passato: la sempre crescente immigrazione di alcuni componenti o di intere famiglie straniere ha portato ad una sostanziale svolta non solo sul piano sociale, ma anche su quello culturale e relazionale.

L'Italia, difatti, si è trovata nella condizione di dover stare al passo con gli innumerevoli cambiamenti di questo ultimo periodo. Così si è posta come obiettivo quello di cercare di limitare la precarietà delle strutture familiari e, quindi, di tentare di mantenere e di sostenere i legami generazionali.

La diffusione dei servizi per il diritto di visita e di relazione sul territorio nazionale è il risultato dell'evidente bisogno di sostegno delle dinamiche genitoriali che, già da qualche anno, hanno visto nascere in risposta a tale necessità le consultazioni, le varie forme di terapia e la Mediazione Familiare.

 

 

Spazio Neutro

Breve storia del servizio “Spazio Neutro a Marsala”

 

Il Servizio Spazio Neutro è stato avviato nell’anno 2005 dal Coordinatore del Servizio Sociale in un luogo opportunamente organizzato per favorire il mantenimento delle relazioni tra i genitori non affidatari e i loro figli, seguendo i suggerimenti dell’esperienza  del Servizio Spazio Neutro di Milano. Difatti è ormai ovvio ed evidente che la necessità di stare al passo con i cambiamenti normativi e sociali e, inoltre, di adempiere all'articolo 9 della Convenzione ONU del 1989 non può più essere disattesa (Dallanegra, Gasparini, Meazza, 1995). Al servizio lavora una équipe multidisciplinare formata da una pedagogista, una psicologa, due assistenti sociali e due educatori.

Il fine che il servizio si propone di raggiungere, è quello di creare un luogo protetto e imparziale dove rendere possibile il riavvicinamento relazionale ed affettivo tra i figli e i genitori (o altri adulti) che hanno attraversato un periodo di separazione caratterizzato da sentimenti negativi, innumerevoli dubbi e spaventose dinamiche conflittuali. Quindi l'obiettivo di riparare un rapporto lacerato, mettendo a disposizione le condizioni tali per cui sia reso possibile un incontro intenso e positivo, può essere raggiunto solo da un elemento esterno al conflitto. Infatti, il Servizio si pone come figura terza e assume il ruolo di intermediario tra due parti in una situazione di intenso conflitto o che hanno attraversato delle esperienze dolorose di separazione obbligata da eventi come incarcerazione, abuso di droghe o violenze fisiche e/o psicologiche.

 

 

Obiettivi del servizio

 

Il servizio, fra gli obiettivi specifici che comunque vengono adattati ad ogni singola situazione, esigenza e storia familiare, seguendo i limiti tracciati dal mandato del Tribunale intende:

1. Fornire un supporto affinché sia reso possibile il mantenimento o il ripristino della relazione tra il bambino e il genitore o l'adulto lontano;

2. Mettere a disposizione uno spazio sicuro e accogliente perché l’incontro avvenga garantendo tranquillità e protezione;

3. Aiutare i genitori nel percorso di recupero della loro funzione di accudimento, di sostegno e di comprensione dei bisogni, degli interessi e delle emozioni del figlio;

4. Assistere alla ricostruzione della genitorialità e della capacità di intraprendere autonomamente gli incontri con il figlio, ove possibile.

 

 

Destinatari del servizio

 

Il principale destinatario dell'intervento è il bambino con i suoi bisogni e i suoi diritti. Infatti, quando si è in presenza di una separazione conflittuale occorre valutare l'adeguatezza genitoriale di entrambi gli adulti, i quali dimenticano la necessità di non confondere i bisogni del figlio con i propri e la necessità di farlo crescere in un ambiente sufficientemente rispettoso ed adeguato.

Queste situazioni sono rischiose per il minore, perché spesso è obbligato a schierarsi dalla parte di uno dei due genitori, è conteso e strumentalizzato da entrambi ed è assalito da dilemmi di lealtà, angosce e paure che possono sfociare nella costrizione di indossare delle maschere o di sviluppare un "falso Sé" (Winnicott, 1958).

Quindi una parte della metodologia dell'intervento del Servizio si concentra sull'importanza di dare uno spazio al bambino per conoscerlo a fondo e ascoltare le sue ragioni, le sue paure e le sue ansie. Gli viene offerta la possibilità di esplorare il nuovo ambiente, di avvicinarsi all'idea che lì incontrerà il genitore lontano e di immaginare come potrà avvenire questo incontro temuto e insieme atteso.

Spesso capita che i bambini assumano come proprie, convinzioni espresse dal genitore con cui vivono, senza giustamente riuscire a crearsi un'opinione propria a proposito di ciò che sta accadendo. Per questo motivo il Servizio mette in atto il tentativo di ascoltare il bambino in modo da consentirgli di pensare ed elaborare ciò che lo circonda  autonomamente, e di poterlo, successivamente, esprimere a qualcuno disposto a prestare attenzione senza che gliene venga fatta una colpa.

Inoltre, alla possibilità di raccontare quello che non ha mai potuto esternare e di essere ascoltato senza la paura di essere giudicato, si affianca l'opportunità di conoscere ed esplorare il luogo in cui avverrà l'incontro col genitore non affidatario. Quindi, gli viene offerto di prender confidenza con il posto, perché gli sia possibile comprendere che è accogliente e rassicurante; che garantisce protezione dal genitore temuto e allo stesso tempo atteso; che assicura neutralità e che quindi non perderà l'amore del genitore con cui vive incontrando l'altro.

Alla base di queste garanzie si pone la capacità di stabilire una relazione dì fiducia col bambino, cosi da dimostrargli che si agisce nel suo interesse e non contro di lui. L'operatore gli spiega il conflitto dei genitori da un punto di vista nuovo e imparziale perché non si senta colpevole di ciò che sta accadendo e si pone come contenitore di un contenuto troppo difficile e pesante da tener chiuso dentro di sé.

Il Servizio Spazio Neutro offre un contesto, in cui è possibile per i contendenti metter da parte il conflitto e concentrarsi sui reali bisogni del bambino, il quale può finalmente ritessere la trama della propria storia familiare.

 

 

Metodologia e percorso d’intervento

 

L'intervento del Servizio Spazio Neutro avuto inizio con il mandato della Magistratura che ha disposto, con atto coattivo, la partecipazione al percorso dei soggetti coinvolti.

Indipendentemente dalla modalità di accesso dei soggetti, il percorso parte con i colloqui tra l'operatore e gli adulti singolarmente presi. In questi colloqui preliminari si chiarisce la funzione e lo scopo del Servizio; si esplicita l'importanza dei bisogni-diritti del bambino; ma soprattutto si mette a disposizione dei soggetti un concreto ascolto di opinioni, paure e angosce. Quindi, nonostante i minori siano i principali destinatari, il lavoro che si attua con gli adulti assume ugualmente una valenza da non minimizzare e da non trascurare. Infatti, la relazione che si crea tra l'operatore e il genitore è importante tanto quanto quella che si crea con il bambino ed è diversa con ogni adulto, soprattutto se si tratta di un genitore affidatario o non affidatario.

Il colloquio con il genitore affidatario è utile per mostrargli l'importanza, per il benessere del bambino, del mantenimento del rapporto con entrambi i genitori. Quindi si cerca di convincerlo a rispettare gli accordi e le norme fissate per il diritto di visita e di relazione, stabilite dal Tribunale e, in un secondo momento, adeguate alla situazione dall'operatore. Inoltre si dimostra al genitore la necessità di presentare al figlio un'immagine positiva dell'altro genitore, in quanto fondamentale per la riuscita dell’intervento e per il suo stesso equilibrio psichico.

Con il genitore non affidatario, lo scopo del colloquio non si allontana di molto da quello con l'altro adulto: gli si espone l'importanza di un intervento che prosegua con costanza, senza interruzioni che possano confondere e deludere il figlio; ma gli si offre l'opportunità anche di esporre i suoi timori e dubbi. Oltre ai colloqui con i coniugi, si fanno uno o più "ambientamenti" con il bambino. Con il termine "ambientamento" si intende un momento che precede l'eventuale incontro col genitore lontano e si svolge tra il bambino e l'operatore all'interno di una delle stanze. Si effettua questo incontro preventivo, per dare al minore la possibilità di conoscere il posto; di familiarizzane con l'idea di riavvicinarsi ad una persona sconosciuta o temuta; di instaurare un rapporto di fiducia con l'operatore e di poter fare affidamento sul suo sostegno nei momenti di debolezza durante gli incontri successivi. La sequenzialità degli ambientamenti e degli incontri è importante perché un bambino non può incontrare un genitore che non vede da tempo o che ha svariati problemi senza avere delle garanzie di protezione. Infatti, negli incontri di conoscenza con i minori gli viene mostrato che il poter contare su entrambi i genitori è per lui un arricchimento e gli si offre il sostegno per proseguire nel percorso di riavvicinamento al genitore lontano.

 

 

Evoluzione degli incontri genitore - bambino

 

L'evoluzione del percorso degli incontri all'interno del Servizio è strettamente legata al singolo caso. Infatti, ogni famiglia viene considerata come una forma particolare di piccolo gruppo, caratterizzato da una specifica storia passata e da aspettative di vita futura, capace di cambiamento e adattamento attivo in relazione a stimoli provenienti sia dal contesto sociale sia dal proprio interno (Galimberti, Scabini, 1986): chi ha un passato di abuso di sostanze stupefacenti differisce da chi ha un disturbo psichiatrico e da chi, per svariati motivi, è agli arresti domiciliari.

Quindi, lo scopo ultimo sarebbe quello di ricostruire una relazione sana tra l'adulto "incontrante" (ovvero colui che incontra e che non è, quindi, il genitore affidatario) e il bambino, in modo che acquisiscano la capacità di gestire gli incontri autonomamente. L'obiettivo, però, è puramente teorico e spesso l'operatore si deve "accontentare" di raggiungere delle mete inferiori, ma che rappresentano comunque un mutamento rispetto alle condizioni precedenti. Per esempio, l’evoluzione di situazioni, caratterizzate da un'alta conflittualità, è rappresentata dal semplice riuscire a far incontrare il minore col genitore.

La gestione degli incontri allo Spazio Neutro è determinata da una specifica prescrizione del Tribunale, che viene inviata al Servizio insieme al decreto, oppure viene decisa dall'operatore, in seguito ad un'attenta raccolta di dati necessari per giudicare quali siano le modalità migliori per riavvicinare i due soggetti.

All'inizio dell'intervento vengono stabilite sia la durata (una, due o più ore) sia la cadenza (settimanale, quindicinale, mensile, ecc) degli incontri, ma il percorso può subire delle modifiche in base all'andamento della relazione.

Per quanto riguarda la progressione, il rapporto iniziale, costantemente guidato dalla presenza dell'operatore-osservatore, dovrebbe passare al semplice monitoraggio durante la settimana e, in seguito ad ulteriore miglioramento concludere il periodo allo Spazio Neutro in autonomia al sabato (in cui avviene un semplice passaggio del figlio da un genitore all'altro). I nuclei familiari, però, che si presentano al servizio non iniziano con una cadenza prestabilita e non procedono con un andamento regolare e prevedibile. Infatti, i cambiamenti nelle modalità degli incontri sono legati al miglioramento/peggioramento della relazione o al disagio manifestato dai singoli (bambino e/o adulto). Può capitare, per esempio, che un incontro iniziato con cadenza settimanale passi a quindicinale o, addirittura, a mensile per il profondo malessere mostrato dal bambino in seguito all’incontro con il genitore, oppure ancora sospendere il diritto di visita.

 

 

La relazione operatore-osservazione

L’operatore del servizio “Spazio Neutro”

 

I compiti dell'operatore che lavora allo Spazio Neutro sono molteplici e comprendono varie aree della personalità: dalla sfera individuale a quella relazionale, dalla sfera professionale a quella emotivo-affettiva, dalla sfera soggettiva a quella oggettiva .

Proprio per questo motivo, è stata formata un'equipe multiprofessionale composta da persone con diverse specializzazioni: queste differenze rendono possibile la condivisione delle conoscenze, che ogni operatore possiede, con gli altri e l'utilizzo delle nozioni proprie e altrui per compensare delle capacità non ancora acquisite.

Difatti, settimanalmente avviene una condivisione collettiva, che coinvolge tutti gli operatori del Servizio, per parlare di problemi incontrati, di dubbi irrisolti e di quant'altro avvenuto nel processo d'intervento. Ciò consente, a degli esperti nello stesso campo professionale, di potersi aiutare l'un l'altro, esprimere pareri e confrontare modalità d'azione diversi per raggiungere delle possibili soluzioni.

Da ciò si può dedurre che una delle capacità dell'operatore è quella di sapersi mettere in discussione e di non fossilizzarsi su un singolo punto di vista. Limitare la propria conoscenza degli utenti e delle loro condizioni familiari seguendo una rigida metodologia non porta ad un'evoluzione positiva della situazione, in quanto la casistica dei soggetti che arrivano allo Spazio Neutro è talmente diversificata che non è possibile pensare di poter utilizzare una tecnica standard con tutti.

Mettere in discussione il proprio operato e chiedere pareri riguardo le decisioni prese in determinati casi, per capire se qualcosa non procede come dovrebbe, non significa non essere abbastanza competenti da superare gli ostacoli autonomamente. Al contrario, tale atteggiamento rappresenta una capacità inestimabile di apertura a giudizi e critiche, magari anche sfavorevoli, se necessari.

Un altro ruolo dell'operatore è quello di mantenere i contatti con i Servizi Sociali, i quali sono l'ente affidatario (nella maggioranza dei casi) dei minori che arrivano al Servizio. Oltre a rappresentare il referente dei bambini/adolescenti, i Servizi Sociali sono i "custodi" di tutta la storia passata e presente della famiglia in causa. L'operatore, quindi, entra in possesso delle informazioni attraverso un'équipe con una o più assistenti sociali (e magari qualche altra figura di riferimento, come per esempio la psicologa) e si mette a disposizione per accogliere la storia familiare e l'indagine fatta all'interno del nucleo familiare. Dopo questo primo approccio, l'operatore rimane in contatto con tali figure, per l'intera durata dell'intervento, con lo scopo di un continuo scambio di informazioni riguardanti i diversi contesti d'azione dei due operatori e le differenti modalità di relazione con gli utenti.

Quando un operatore decide di prendere in carico un caso e raccoglie gli elementi necessari per iniziare un intervento, egli diviene il ponte tra la Magistratura e l'utenza. L'operatore conosce i soggetti che si presenteranno allo Spazio Neutro, prima di tutto, attraverso il decreto del Tribunale Ordinario o dei Minori, la scheda di segnalazione compilata dall'assistente sociale e il colloquio precedentemente tenuto con la stessa. Questi documenti gli forniscono i dati riguardanti la situazione attuale dei componenti della famiglia, lo stato di salute psicofìsica e le modalità di incontro che dovranno effettuarsi al Servizio. Solo in un secondo momento, l'operatore conosce di persona i singoli soggetti; quindi, deve essere capace di non farsi condizionare da ciò che ha letto precedentemente per un ascolto autentico e genuino di ciò che ognuno ha da dire. Deve, perciò, avere la capacità di apprendere e capire, accogliendo le informazioni in un atteggiamento privo di stereotipi e di preconcetti avventati. Col procedere dell'intervento, l'operatore deve rendere conto di ciò che avviene (progressi e regressioni), all'interno del Servizio, al giudice attraverso periodiche relazioni scritte. Quindi, una volta intrapreso il percorso, l'operatore diviene l'intermediario tra gli utenti e la Magistratura, mantenendo quest'ultima aggiornata con regolarità su ciò che avviene al Servizio, sull'evoluzione degli incontri oppure sulla sospensione dell'intervento per motivi legati a problemi del bambino, dell'adulto, ecc.

L'operatore che comincia un percorso d'intervento con adulti e minori mette a disposizione la propria persona come  pronto a raccogliere, ma soprattutto ad accogliere informazioni, racconti, idee, pensieri di ogni soggetto. Egli, però, coglie anche i comportamenti, i gesti, gli sguardi, le paure e i sentimenti non esplicitati che vengono esternati durante le varie fasi dell'intervento.

Mano a mano che egli raccoglie ciò che i soggetti ripongono in lui, l'operatore deve investire il ruolo di traduttore, ovvero, egli deve essere capace di tradurre con ciascun interlocutore i concetti e le convinzioni sostenuti dagli altri interlocutori. Per esempio, tradurre in parole ad un adulto incontrante, la reazione di pianto del figlio alla sua vista, è utile per rendere comprensibile e accettabile una percezione di rifiuto; chiarendo che non può avvenire immediatamente l'accettazione, da parte del bambino, di una situazione con un elevato livello di ansia e di senso di colpa.

Perciò, egli diviene "filtro" di ciò che avviene all'interno delle stanze, e del giardino del Servizio impedendo il passaggio di quelle parole, azioni e reazioni che potrebbero avere dei risvolti negativi nell'evoluzione dell'intervento.

Nel momento in cui l'operatore ha tradotto e filtrato le informazioni raccolte, si pone uno scopo: la restituzione ai rispettivi soggetti della riflessione effettuata. Durante la restituzione, i contenuti del ragionamento sulle vicende avvenute, servono per realizzare un momento di riflessione dialettica con gli interlocutori a proposito di ciò che è avvenuto nel corso dell'intervento. Inoltre, con la restituzione è possibile spiegare ai soggetti in una forma chiara, esplicativa e accettabile, l'evoluzione delle problematiche relazionali e personali lungo il percorso nel Servizio, che probabilmente non sarebbero stati capaci di fare autonomamente.

La relazione nella restituzione può divenire così, per gli adulti, occasione per pensare a se stessi, al bambino, al rapporto con lui, interrompendo la catena di azioni e reazioni conflittuali e offrendo la possibilità di modificare le dinamiche relazionali per il benessere del figlio. Infatti, il minore è il principale destinatario dell'intervento, perché troppo spesso coinvolto in guerre che lo vedono come unica vera vittima. Per questo motivo, l'operatore assume anche il ruolo di supporto al bambino. L'operatore ha il compito di vedere il minore prima di farlo incontrare con il genitore lontano per una molteplicità di cause: sia per conoscerlo, per instaurare una buona relazione, per creare un rapporto di fiducia sia per offrirsi come sostegno, difensore e tutore dei suoi diritti all'interno del Servizio e per dargli la possibilità di ambientarsi in un luogo sconosciuto. Il bambino, nella prima fase dell'intervento, può esplorare il posto in cui si riavvicinerà ad una persona che  a volte teme, a volte è curioso e desidera rivedere, oppure non accoglie l’idea di incontrare il genitore non affidatario.

Quindi, con l'ambientamento al minore viene offerta l'opportunità di scoprire, e analizzare ciò che lo circonda, potendo così comprendere che è un luogo sicuro, protetto e accogliente.

L'operatore infine ha il ruolo di osservatore della relazione genitore-figlio, considerando ogni particolare del rapporto comunicativo, affettivo ed educativo. Osservare tutto ciò che accade, esplicitamente o implicitamente, assume un'importanza vitale per l'evoluzione della relazione tra i due mondi che, dopo un lungo tempo e difficili periodi di vita, vengono a scoprirsi e riscoprirsi in un luogo neutro e sicuro.

 

 

L’osservazione nello Spazio Neutro

 

L'osservazione, allo Spazio Neutro, ha una valenza significativamente diversa da qualsiasi altro tipo di metodologia osservativa utilizzata in altri contesti e servizi. Essa, infatti, ha in comune solamente le caratteristiche di base, che, d'altronde, non possono mancare altrimenti l'osservazione non esisterebbe.

Le peculiarità che distinguono la tecnica osservativa dello Spazio Neutro da quella di altri servizi che ne fanno uso, non derivano da modelli teorici che si possono trovare in letteratura; ma al contrario, derivano quasi esclusivamente dall'esperienza pratica. I tratti caratteristici del metodo di tale Servizio dipendono dalla presenza di importanti fattori che non si riscontrano altrove. Infatti, tale luogo può essere considerato un mondo a parte, dove ciò che accade al suo interno, rimane chiuso in questo territorio neutro e nell'animo dei singoli partecipanti che sono disposti a farsene carico.

Uno dei principali fattori, che rende lo Spazio Neutro un luogo specifico e che assume una considerevole rilevanza all'interno dell'intervento, è l'invio coatto della famiglia al servizio. La valenza di questo obbligo, impartito dalla Magistratura, assume forme diverse per ogni componente; ma è quasi sempre spiacevole, in quanto successivo a numerosi conflitti tra i vari contendenti e ad altrettante ripetute guerre con le istituzioni coinvolte nel dramma familiare. La costrizione, di cui tutti sono chiaramente coscienti, è la base della diffidenza con cui gli utenti arrivano al servizio. Infatti, spesso capita che i genitori non riescano a percepire la valenza positiva dell'intervento sul legame tra loro e il bambino in un tale luogo, perché contro il loro parere oppure perché pone chiari e ferrei limiti alla propria libertà.

Oltre al mandato del Tribunale, la modalità d'intervento dipende dalla specificità dei casi che si presentano al servizio. Infatti, ogni situazione familiare obbliga l'operatore a seguire ogni volta un percorso diverso e di conseguenza egli deve svolgere un ruolo e un lavoro differenti a seconda dei casi e degli obiettivi che si vogliono raggiungere, sempre rimanendo entro i limiti prescritti dal decreto.

Infine, un altro fattore da non sottovalutare, anche se non sempre è presente, è il distacco per periodi prolungati tra il minore e l'adulto lontano. L'operatore deve costantemente tenere presente che la distanza fisica e, soprattutto, psicologica rende estremamente difficile e angosciante il riavvicinamento. I timori, i sensi di colpa, il rancore sono solo alcuni dei sentimenti che colmano la scena in cui gli attori devono prendere parte. Nel momento in cui l'operatore mette in atto l'osservazione, esso non compie una pura operazione di registrazione di dati da raccogliere, restituire e archiviare. Infatti, egli utilizza l'atto osservativo anche come mezzo per la facilitazione della comunicazione tra i vari attori: accogliere i messaggi, tradurli e restituirli codificati per rendere possibile l'interazione tra persone che, non vedendosi da molto tempo o essendo abituati a percepirsi come nemici, sono incapaci di relazionarsi in una maniera non conflittuale.

 

 

L’osservazione e l’operatore nelle fasi dell’intervento

I colloqui con gli adulti

 

La metodologia d'intervento del servizio comincia con i colloqui tra l'operatore e i genitori (o altri adulti): sia coloro che hanno in affidamento, o presso cui è collocato, il minore sia quelli lontani e non affidatari. In questi momenti si dà la possibilità alle ansie, ai timori, ai rancori, ai dubbi e a quant'altro legato alla particolare condizione del momento di trasformarsi in parole. Frasi che, magari, non sono perfettamente formulate; ma che certamente dicono molto riguardo a ciò che pensa l'adulto degli eventi che lo coinvolgono. Questo perché le parole sono strettamente legate e, abilmente colte dall'operatore, assieme ai gesti, alle posture, al modo di porsi e di presentarsi della persona in questione. L'osservazione, in questa fase, è caratterizzata dall'ascolto autentico di ciò che l'utente ritiene importante esternare: tale operazione è possibile solo grazie alla capacità dell’operatore-osservatore di accantonare i pregiudizi e di sospendere il giudizio. La sospensione del giudizio è ciò che permette all'operatore di lasciare libera la mente, consentendogli di entrare nel mondo delle persone con cui sta interagendo e che sta osservando, per poter successivamente analizzarsi e scoprirsi arricchito.

Infatti, l'atto di osservare può divenire conoscenza nel momento in cui, chi osserva riesce a percepire l'altro non solo come oggetto, ma anch'esso come soggetto.

 

 

L’ambientamento con i bambini

 

I colloqui preliminari che avvengono con i bambini, prima dell'eventuale incontro col genitore lontano, sono strettamente legati alla sua età e al livello di ansia in quel preciso 'momento. Infatti, per ogni minore la modalità interattiva cambia: se, per esempio, arriva al servizio un adolescente con una chiara idea di che cosa sia lo Spazio Neutro e perché lui si trova in quel particolare posto, l'operatore può cominciare subito a dialogare per conoscerlo e per capire se è corretta l'idea che si è formato sul servizio. Oppure se arriva un bambino di tre anni che non vede il genitore da due, si potrà sempre tentar di chiarirgli in modo semplice perché è in un posto così strano, che non è l'asilo, ma che vagamente gli assomiglia. Solitamente, in questi casi, si cerca di giocare, comunicare e osservare contemporaneamente il piccolo per facilitargli la conoscenza di un posto nuovo e sconosciuto. Può capitare che il bambino, terrorizzato o intimidito dalla situazione, non si stacchi dalla madre e occorra, quindi, fare l'ambientamento con entrambi.

Nell'ambientamento, l'operatore osserva e ascolta il disagio manifesto e quello latente, l'ansia esplicita e quella implicita, il timore mostrato e quello celato. Quindi, come con gli adulti, si dà l'opportunità al bambino di esprimere con le parole i sentimenti legati al particolare contesto, ma si cerca allo stesso tempo di cogliere tutto ciò che il singolo non riesce ad esternare.

L'osservazione dell'atteggiamento del minore durante gli ambientamenti è utile per seguire l'evoluzione del percorso precedente al tanto atteso incontro. Infatti, osservare se egli cambia freneticamente gioco, se resta immobile in un angolo, se mostra un interesse autentico per la stanza, se fa molte domande all'operatore serve per comprendere come il minore si rapporta a questa nuova esperienza emotiva.

Anche se l'operatore ha il ruolo di recettore degli sviluppi della situazione, non si pone come figura passiva nell'interazione. Anzi, egli mostra empatia per esplicitare il suo appoggio al minore, che perdurerà anche nell'eventuale incontro col genitore lontano. Sulla base di tali assicurazioni il bambino instaura una relazione di fiducia con l'operatore, il quale viene visto come qualcuno su cui contare, a cui aggrapparsi nel momento in cui non riuscisse a reggere il peso delle emozioni.

 

 

L’incontro tra genitore e figlio

 

L'osservazione della relazione genitore-bambino durante gli incontri si distingue da quella dei colloqui e degli ambientamenti per molteplici fattori. Infatti, questa fase del percorso è una tappa molto importante per i partecipanti che hanno intrapreso il cammino dell'intervento nello Spazio Neutro. Occorre, però, fare una distinzione fondamentale per comprendere la valenza emotiva del passaggio da una realtà conosciuta e consolidata ad una, invece, nuova e incerta; è necessario, quindi, differenziare il primo incontro da quelli successivi.

Il primo incontro, tra il genitore lontano ed il figlio, è un momento unico e irripetibile caratterizzato da una componente emotivo-affettiva che non si può riscontrare in nessun altra situazione. Tutti gli attori coinvolti nella scena, vengono investiti di un ruolo preciso dagli altri soggetti e sono, per forza di cose, coinvolti nel turbinio di emozioni, racchiuse in istanti che sembrano infiniti. La combinazione dei fattori in gioco, nel momento in cui bisogna affrontare il fatidico incontro, può sfociare in innumerevoli reazioni da parte dei partecipanti. I sentimenti forti e il "setting" particolare, i limiti posti dal decreto e le singole personalità, le diverse età e le condizioni di distacco attivano una varietà plurima di effetti tali per cui non è possibile prevedere ciò che accadrà nell'attimo in cui i due sguardi si incroceranno. Può capitare che, nonostante le travolgenti emozioni, genitore e figlio si esplorino con un equilibrio tra ansia e desiderio. In questi casi, l'operatore deve rimanere in disparte, non deve interferire: l'adulto e il bambino venuti ad incontrarsi sono gli attori principali cui deve essere lasciata la libertà di utilizzare il copione e lo scenario a loro più congeniale e di scegliere le modalità di comunicazione preferite (parole, giochi, silenzi, domande, ricordi, ecc.) (Dallanegra, Gasparini, Meazza, 1995). Il ruolo dell'osservatore non è, comunque, passivo poiché egli deve far sentire al bambino la sua vicinanza e la sua disponibilità in caso di difficoltà.

Può, invece, capitare che il disagio sia troppo profondo per il bambino, a causa dell'intensità delle emozioni e del prolungato distacco, che egli richieda la mediazione dell'operatore nell'incontro. Se accade un avvenimento simile, l'osservatore diviene anch'egli protagonista e deve essere capace di tradurre, agli altri due attori, i messaggi che si mandano per rendere possibile l'effettuarsi dell'incontro.

Alcune volte occorre, addirittura, valutare se si debba sospendere un incontro per il profondo disagio manifestato dal minore e/o dall'adulto

L'operatore, nell'incontro tra minore e adulto, deve ascoltare e osservare, capire e analizzare, tradurre e restituire. Egli deve essere capace di accogliere il vissuto di sofferenza sia del bambino che del genitore per dar la possibilità ad entrambi di liberarsi da un'angoscia ingestibile e di proseguire con la certezza della presenza di colui che può comprendere, aiutare e sostenere. Infatti, a seguito di un lungo e silenzioso distacco può capitare che nel bambino si produca un vissuto affettivo deludente e persecutorio (Bowlby, 1961). In questi casi, è positivo che il bambino abbia la possibilità di esternare col genitore il rifiuto e l'oppositività.

L'impegno emotivo richiesto nel primo incontro ha una notevole valenza, in quanto l'operatore deve esser capace di  poter accogliere il susseguirsi di emozioni, frasi, gesti e comportamenti.

M. Harris (1986), responsabile organizzativa dei Corsi di Psicoterapia Infantile presso la Tavistock Clinic, sostiene a proposito della relazione madre-bambino: "L'osservazione attenta di una madre e del suo bambino, costituisce un'esperienza emotiva che esige un lavoro mentale, quando si tratta di pensarla e non semplicemente di reagirvi. Perché la tendenza a proiettare i propri desideri e terrori infantili inconsci all'interno del quadro relazionale madre-bambino è permanente e onnipresente." Questa affermazione è appropriata a chiarire quanto avviene nel contesto relazionale dello Spazio Neutro ed è estendibile anche alle relazioni padre-bambino. Infatti, nella fase degli incontri, soprattutto nel primo, l'osservatore deve trovare il giusto equilibrio tra il manifestare empatia e non divenire troppo invadente. L'autrice afferma anche che, attraverso l'osservazione della relazione madre-bambino, nell'operatore sì possono sviluppare delle capacità e qualità che potranno essere usate in esperienze future, che ne richiedano l'utilizzo. Infatti, veder crescere o evolvere il bambino nella relazione con il caregiver, permette a chi osserva di comprendere l'importanza delle spinte evolutive verso la maturazione e la necessità dì contenimento dei bisogni all'interno della diade (Harris M., 1980).

Per quanto riguarda gli incontri successivi al primo, la valenza dell'osservazione è legata alla situazione in cui sì trovano i singoli casi. Nel susseguirsi degli incontri è fondamentale seguire l'evoluzione della relazione tra il genitore ed il figlio, ma anche la progressione/regressione del singolo. Inoltre, è basilare cogliere ed accogliere tutto ciò che accade durante gli incontri: chi e come saluta per primo l'altro (se avviene un saluto); l'affetto o la freddezza; il timore o il senso di colpa; l'interesse o l'obbligatorietà; la genuinità o la falsità; la capacità di comunicare, ascoltare e capire; la capacità di gestire la situazione come coppia genitore-bambino o l'inversione dì ruoli; le aggressioni o le espressioni affettuose. L'infinità dei particolari da raccogliere lungo il cammino nel Servizio, rende il ruolo dell'osservatore-operatore estremamente difficile e pregnante.

 

 

Considerazioni sul servizio Spazio Neutro

 

Allo Spazio Neutro il bambino, da me incontrato, spesso, è obbligato a schierarsi dalla parte di uno dei due genitori; è conteso e strumentalizzato; gli si offre, per questo motivo, la possibilità di raccontare quello che non ha mai potuto esternare e di essere ascoltato senza la paura di essere giudicato. Quindi, si pone in primo piano il benessere del minore che, costretto a dover affrontare una situazione problematica, diviene l'unico soggetto che riceve il danno maggiore.

Nella maggior parte delle situazioni gestite dallo Spazio Neutro si è potuto constatare  la presenza della “sindrome genitoriale”.

 

A) Premesse al suo verificarsi.

La sindrome di alienazione genitoriale non è rara nelle famiglie in cui i genitori si separano (Gardner, 1989; Clawar & Rivlin, 1992) in quanto molte delle risposte personali di genitori e figli finiscono col colludere (dal latino colludere, giocare insieme). Nell’ambito di una relazione interpersonale, nell’accezione di intesa spesso inconscia, e non ammessa, di gioco comune inconscio tra due persone (genitore e figlio), le quali vi ricorrono e la mantengono ai fini di difesa e di superamento delle angosce e dei sensi di colpa da cui sono accomunati. Attraverso la collusione i due si sentono ineluttabilmente connessi l’uno all’altro ed è questa una delle premesse fondamentali al suo verificarsi.

Vi sono risposte genitoriali influenzanti la relazione genitore-figlio dopo la separazione da considerarsi assolutamente normative (cfr. Parkinson, 1995; Everett & Volgi. 1995; Wallerstein & Kelly, 1980; Gardner, 1989; Johnston & Campbell, 1988). Essi sono più nervosi a causa della situazione quindi anche più irritabili e perdono più spesso la pazienza. Accade che cadano in depressione e che di conseguenza si curino anche meno dei figli o che siano meno disponibili emotivamente, oppure che facciano dei figli i propri confidenti, occupandosi molto meno dei loro problemi personali di bambini. Molti genitori disciplinano meno i figli in quanto hanno forti sensi di colpa e vorrebbero discolparsi rendendosi più attraenti. Molti genitori affidatari discutono della separazione con amici e parenti alla presenza dei figli senza curarsi del fatto che essi possano essere in ascolto.

I genitori che non vivono con i figli (i non affidatati), sovente finiscono col perdere contatti con i propri figli, il loro senso di colpa per aver spezzato l'unione familiare li allontana e non collaborano più con il genitore affidatario. Molti di essi stanno anche tre o quattro mesi senza vedere i figli subito dopo la separazione. In questo clima familiare diventa impossibile per i figli parlare del genitore assente e si crea per forza di cose un'alleanza temporanea.

Alcune risposte genitoriali sono però più pericolose e non sono da considerarsi come normative in quanto hanno lo scopo di separare il figlio dall’altro e di cementarlo a sé. Lo svilupparsi di un forte biasimo morale nei confronti del coniuge assente e il dare libero sfogo alla propria indignazione, il mettere in atto comportamenti più o meno indiretti di vendetta, il dimostrarsi spaventati quasi paranoici, quando i figli stanno con l'altro genitore, sono elementi che dimostrano quanto ritengano l'altro genitore pericoloso per i figli. A queste azioni si aggiungono le imposizioni dopo le visite al genitore non affidatario: ispezioni. interrogatori, inquisizioni, ecc. unite all'annuncio esplicito e ricattatorio del proprio timore di perdere il figlio, ad esempio: "Se perdessi anche te sarebbe meglio morire!".

Anche le risposte dei figli sono in grado di influenzare la relazione genitore-figlio dopo la separazione (cfr. Kalter, 1990; Wallerstein &. Kelly, 1980; Clawar & Rivlin, 1992; Gardner, 1989; Everett & Volgi, 1995). Molti di essi esprimono la loro rabbia apertamente (se molto piccoli invece sembrano utilizzare più facilmente meccanismi quali la rimozione e/o lo spostamento verso gli oggetti transazionali). La rabbia che essi sperimentano porta distanza o confusione nella relazione genitori-figli, questi ultimi sentono inoltre la necessità di colpevolizzarsi o di colpevolizzare qualcuno, sovente il genitore che ha apertamente voluto la separazione. I figli più grandi biasimano moralmente i genitori per quanto sta accadendo, diventano intrattabili e chiusi, cadono in depressione e finiscono col non comunicare più o con il farlo male. Gli adolescenti normalmente finiscono con l'estraniarsi dalla relazione coniugale dei genitori.

È identificato come sano il comportamento di quei figli che temporaneamente si alleano con il genitore che sentono più simile a sé, ovverosia quello che pensano sia vittima della separazione. Vogliono prendersene cura e aiutarlo a superare la crisi e, a meno che non siano risposte estreme o prolungate, sono da considerarsi come risposte normative positive. I figli più sani e meglio adattati tuttavia finiscono col dimostrare uno spiccato desiderio di essere giusti ed equilibrati con entrambi i genitori, si dissociano dalla lite coniugale e a volte da entrambi i genitori, se sono adolescenti o giovani adulti accelerano il processo di distacco dai genitori e trascorreranno molto più tempo fuori casa.

Sono invece i figli più fragili che incominciano progressivamente ad alienare il genitore con cui non si sono alleati e che possono rientrare nella normalità solo se la separazione verrà gestita bene dai genitori.

 

B) Dall'attaccamento ad entrambi i genitori alla sindrome di alienazione genitoriale.

Vi è un continuum dell'attaccamento/alienazione genitoriale (Kelly, 1994) che può scattare quando i figli hanno 8/9 anni in quanto i figli più piccoli non hanno capacità cognitive sufficienti per essere buoni alleati e sono meno affidabili, anche se a livello empatico possono dimostrarsi molto più vicini al genitore che si prende cura di loro. La sindrome è infatti tipica dei figli adolescenti e può riscontrarsi anche in figli di 20 anni o più.

 

Possiamo osservare che vi sono dei caratteri distintivi:

1) Figli senza preferenze. Figli che hanno un uguale attaccamento per entrambi i genitori. esprimono lo stesso piacere e uguale confidenza con ciascuno di loro e non esprimono preferenze sul genitore con cui vorrebbero trascorrere la maggior parte del tempo. In effetti. questi bambini esprimono il desiderio di trascorrere la maggior parte possibile di tempo con entrambi i genitori.

2) Figli con un’affinità elettiva per uno dei genitori. Si tratta dei figli che non esprimono una preferenza per un genitore rispetto all’altro, ma a causa della personalità o del temperamento del bambino o del genitore, di uno speciale bisogno del bambino, o di un cambiamento delle circostanze esterne. possono essere indotti a provare maggiore affinità per un genitore in particolare. Questa affinità tuttavia può essere sia costante, attraverso i diversi momenti della crescita del bambino, oppure può spostarsi da un genitore all’altro nel tempo. in relazione alle circostanze e ai cambiamenti nelle vite di figli e genitori.

3) Figli allineati con uno dei due genitori. Sono figli che identificano e scelgono il loro genitore preferito. o che discriminano in genitore "buono" e genitore "cattivo" come risultato della separazione quando tale categorizzazione non esisteva prima della separazione. Solitamente questa scelta viene fatta a favore del più debole, del più rabbioso o ferito, e risulta essere un bisogno cosciente del bambino quello di prendersi cura di quel genitore. Può anche essere un espressione della rabbia del figlio e dei suoi sentimenti feriti per il fatto di essere stato "abbandonato" da un genitore, sentimenti alimentati dal genitore con cui si sono alleati. Sotto la superficie, comunque, questi bambini provano affetto per entrambi i genitori e mentre possono avere delle resistenza a trascorrere del tempo col genitore "cattivo", di solito accettano le sue visite e si divertono, nonostante lo esprimano raramente al genitore preferito. Nonostante possano mostrarsi di cattivo umore e essere chiusi o scontrosi col genitore che non vive più con loro, specialmente quando l'altro è presente, non esprimono sentimenti di rabbia ne si lamentano mai direttamente con questo genitore, ma esprimono la maggior parte delle lamentele con il genitore cui sono affidati e col quale si sono allineati.

4) Figli alienati da un genitore. Si tratta dei figli che hanno scelto uno schieramento di parte durante il divorzio e che rigidamente si rifiutano di avere una qualsiasi relazione con l’altro genitore, che diventano quasi ossessionati dalla rabbia e dall'odio nei confronti di quel genitore. Essi sono stati e si sono alienati, e non sono affatto ambivalenti: lo rifiutano, e quasi sempre hanno subito un "lavaggio del cervello". Sono assai rari i bambini appartenenti a questa categoria, che scelgono di non trascorrere mai un po’ di tempo con il genitore perché abusante o affetto da qualche patologia (in questi casi si tratta di una preferenza realisticamente non ambivalente ed è assente l’atteggiamento caricaturale e il tono ripetitivo delle lamentele, ma si dimostrano lucidi e sobri). La maggior parte dei figli alienati, comunque, ha avuto una normale relazione col genitore alienato prima della separazione, e in seguito ha completamente assorbito e fatto proprio il punto di vista del genitore "preferito" nei confronti del genitore alienato. Questi sono solitamente bambini che hanno un età compresa tra i 9 e i 15 anni al momento della separazione, e che si oppongono con forza e veemenza al genitore alienato senza apparenti espressioni di colpa o di ambivalenza. Essi elencano le proprie critiche e la propria avversione in presenza di entrambi i genitori con modalità ripetitive, sovente utilizzando le stesse parole utilizzate dal genitore preferito per descrivere le trasgressioni e i difetti del genitore alienato. Il loro linguaggio è quasi sempre pomposo e la scelta dei termini molto ricercata (da adulti).

L'identificazione della sindrome di alienazione genitoriale è legata ad una serie di presupposti, anche se occorre premettere che sono le risposte stesse alla separazione a creare le condizioni circostanziali perché la sindrome possa svilupparsi e che, tra l’altro, le modalità educative assunte dai coniugi prima della separazione non sono predittive della relazione educativa successiva. Si sa che a volte la relazione tra genitore non affidatario e figlio si rafforza dopo la separazione, più sovente sembra indebolirsi e diventare più superficiale, oppure sembra restare identica, quindi è difficile fare previsioni. Tuttavia sappiamo che molto può dipendere dalle modalità di affido da un lato (Buzzi, 1995) e dall’altro dalle strategie difensive e le dinamiche collusive presenti nella famiglia durante il conflitto della coppia coniugale (Jhonston & Campbell, 1988).

La sindrome di alienazione genitoriale inizia e viene mantenuta dal genitore affidatario. il quale dà atto ad una serie di tecniche di programmazione, ovverosia attinge ad un sistema di credenze, quali i valori morali, religiosi, filosofici, personali, sociali, ecc. diretti a "demolire" il genitore bersaglio per raggiungere uno scopo: distruggere la relazione tra l’altro genitore e il proprio/i figli (Clawar &. Rivlin, 1992; Gardner. 1989).

Ci sono 5 fasi nella programmazione:

1) guadagnare accondiscendenza: è per questo motivo che il bambino deve essere giunto ad un livello di sviluppo cognitivo e morale sufficiente per la programmazione;

2) testare come funziona la programmazione: sovente attraverso domande dirette come: "Sono un buon genitore?";

3) misurazione della lealtà;

4) generalizzazione ed espansione del programma sulle persone che si sono alleate all’altro genitore e sugli oggetti o gli animali che gli appartengono;

5) mantenere il programma.

La cosa positiva di questa sindrome è che se il genitore programmante ferma la programmazione la sindrome scompare. Dapprima i figli non vogliono ascoltare o si limitano a tacere, poi nel tempo finiscono col cedere perché e difficile per un figlio che già soffre restare insensibile alla sofferenza del genitore programmante, inoltre l'adulto riesce con maggior forza a dare voce alla propria sofferenza e ai propri bisogni. Per tutti questi motivi finiscono col cedere alla programmazione soprattutto i bambini psicologicamente ed emotivamente più fragili e meno difesi o che entrano nella separazione dei genitori con molti problemi ancora irrisolti.

Per riuscire ad inculcare il programma appena accennato vengono selezionate delle tecniche di "lavaggio del cervello" precise, quali :

·        la negazione dell'esistenza dell'altro

·        ripetuti attacchi all’altro in forma indiretta, subito negati

·        il mettere sempre il figlio in posizione di giudice dei comportamenti scorretti dell'altro

·        la manipolazione delle circostanze proprio favore e a svantaggio dell'altro

·        la disapprovazione dell'altro con lo spostamento verso la sua "malattia"

·        il costante tentativo di allearlo con il proprio pensiero e giudizio

·        il drammatizzare gli eventi facendone una "tragedia della moralità"

·        il minacciare un calo d'affetto nel caso il figlio si riavvicinasse all'altro

·        il ricordare costantemente di essere il genitore migliore

·        il far cadere dall'alto le proprie azioni positive e il proprio amore

·        il sottolineare di essere l’unico capace di prendersi cura dei figli (l'altro è inaffidabile)

·        il riscrivere la realtà o il passato per creare dei dubbi nei figli sul rapporto con l'altro.

 

Le motivazioni dei genitori programmanti nascono dal loro bisogno di vendicarsi dell’altro o dal profondo rifiuto che sentono nei confronti dell'altro genitore (peggiore se a causa di un tradimento o una profonda umiliazione personale. ma accade anche quando l'annuncio della separazione non ha repliche ed è definitivo, in quanto getta nella disperazione).

Anzitutto è presente un autoconvincimento delle proprie ragioni cui si affianca un meccanismo simile a quello del nemico, che porta a innalzare la propria autostima grazie alla lotta per la dimostrazione di essere moralmente migliori dell'altro, e quindi educativamente migliori. Con l'abbandono da parte del coniuge insorge anche la conseguente messa in dubbio della propria identità, l’unica certezza rimasta è quella di sapere di essere un genitore, un buon genitore. Difatti, dopo l'abbandono da parte del coniuge, la paura più grande è quella di perdere i figli o di essere abbandonati anche da loro, quindi alcuni genitori (quelli psicologicamente più deboli), cercano di averne il controllo più totale. Esternano un amore di tipo possessivo e controllante. Se gli amici. i parenti o l'avvocato cercano di mitigare il loro comportamento competitivo e paranoico, o si dimostrano apertamente dissenzienti, vengono allontanati o licenziati. A ciò si aggiunge sovente una forte gelosia nei confronti del nuovo partner dell'altro, il quale è spesso identificato come un rimpiazzo di sé.

In tutta questa tempesta emotiva sovente i genitori programmanti finiscono col perdere di vista i sentimenti personali dei figli e col proiettare su di essi i propri sentimenti per assicurarsene il sostegno: "Se vai a stare con tuo padre. come farò a sopravvivere? Non avrò più l'assegno di mantenimento e per non morire di fame dovrò trasferirmi e quindi non ci vedremo più".

 

C) Gli effetti della sindrome di alienazione genitoriale sui figli.

 

Gli effetti della sindrome di alienazione sui figli dipendono:

a) dalla severità del programma;

b) dal tipo di tecniche di lavaggio del cervello utilizzate;

c) dall'intensità con cui viene portato avanti il programma;

d) dall'età del figlio e dalla sua fase di sviluppo, oltre che dalle lue risorse personali

e) dalla quantità di tempo che essi hanno trascorso coinvolti nel conflitto coniugale.

 

L’impatto della sindrome comunque, non è mai benigno perché coinvolge manipolazione, rabbia, ostilità e malevolenza, a prescindere dal fatto che il genitore programmante ne sia più o meno consapevole. Ciò che si ottiene sui figli è sempre un grave lutto di una parte di sé.

Sappiamo bene che alcuni figli continuano a sperare nella riunione dei genitori (come recupero della perduta infanzia), e in questi casi di alienazione si assommerà la vergogna per aver volutamente perso un genitore. Quando i ragazzi alienati ricostruiscono l’accaduto e lo disvelano a se stessi finiscono per escludere anche il genitore programmante, rischiando una seconda perdita.

Il genitore bersaglio infatti, in principio rimane come disarmato di fronte alla volontà di allontanamento dimostratagli dai figli e nella sua posizione di debolezza, passa dalla rabbia, alla protesta, alla confusione e alla depressione. Progressivamente molti genitori bersaglio finiscono per desistere nei loro tentativi di vedere i figli e di trascorrere un po' di tempo con loro per riuscire a mantenere, o addirittura a sviluppare, una relazione d'intimità, questo in seguito peserà nell’eventuale processo di riavvicinamento voluto dai figli e aumenterà le difficoltà di rapporto legate all’estraneità venutasi a creare.

I ragazzi alienati che testimoniano contro il genitore bersaglio si ritroveranno a dover lottare in futuro con forti sensi di colpa, cui si affiancheranno le paure di abbandono e della perdita dell’amore del genitore programmante. Sovente i figli escono da questa ambivalenza con strategie autodistruttive, autocolpevolizzanti e autolesioniste. Sembra inoltre che figli alienati tendano a diventare genitori programmanti.

Dal momento che durante la programmazione questi ragazzi possono sviluppare potenti sentimenti di ostilità e hanno carta bianca nel darne libero sfogo, si presentano come soggetti che si introducono volontariamente nei conflitti con modalità antagonistiche, possono essere irrispettosi, non collaboranti, ignoranti, ostili, maleducati, ricattatori e ricattabili, vanno male a scuola, fanno della manipolazione uno strumento relazionale. Non è raro che in questi casi aumenti anche l’ostilità manifesta tra fratelli.

Questi ragazzi presentano quasi sempre disturbi dell’identità, sovente della sfera sessuale, e sono più vulnerabili alle perdite e ai cambiamenti, regrediscono a livello morale e continuano a operare anche oltre l'adolescenza una netta dicotomia tra "bene" e "male". Le regressioni possono essere presenti anche in altri ambiti di sviluppo in quanto il processo psicologico in atto è molto costoso, quindi possono presentare un’ampia confusione cognitiva, una dissonanza ingestibile tra realtà e programma, e la creazione di genitori immaginari a sostituzione del genitore perduto. Sono tuttavia solo i figli più dipendenti e quindi i meno autonomi a essere vulnerabili alla programmazione, così come quelli con bassa autostima, quelli che si sentono colpevoli per qualcosa che pensano di aver fatto, quelli che già avevano problemi emotivi o psicologici al momento della separazione.

A complicare il tutto c'è l’effettivo abbandono da parte del genitore bersaglio dei tentativi di visita ai figli. Il suo allontanamento crea una situazione di assenza di confronto con la realtà, se infatti viene a mancare il contatto con l’altro genitore è più facile cadere vittime della programmazione perché non può esserci esame diretto e confronto tra programma e realtà.

Socialmente si presta ancora troppo poca attenzione alla qualità del rapporto dei figli col genitore non affidatario, soprattutto se questi si e allontanato a causa di una nuova relazione affettiva. Il biasimo sociale. per quanto comprensibile, è assai pericoloso per lo sviluppo dei figli in quanto innesca una alleanza sociale col genitore programmante. Al contrario di quanto comunemente si pensa, tuttavia, coloro che lasciano la famiglia non intendono separarsi dai figli ma solo dal proprio coniuge e andrebbero perciò aiutati affinché la loro separazione dai figli non avvenisse mai.

 

 

Incontrare i bambini alla luce delle competenze e degli strumenti secondo il modello della scuola Prepos: i Laboratori di artigianato educativo (Laboratori per i Nanetti)

 

Il lavoro da me svolto come “operatore di “ Spazio Neutro mi ha permesso di incontrare tanti bambini che hanno comunicato la variegata complessità del clima familiare dopo la separazione dai genitori. Nel laboratorio di incontro, secondo gli insegnamenti della scuola del Professor Vincenzo Masini, è necessario ancor prima di conoscere il vissuto del bambino entrare in empatia ed agganciarlo secondo l’archetipo predominante ovvero secondo il copione di vita dominante in quella fase particolare della vita volta ad affrontare il difficile evento della separazione.

Spesso i figli vengono schiacciati “in una triangolazione dei copioni della coppia che impedisce al figlio di esprimersi con certe modalità”. Infatti lo sviluppo delle relazioni pongono in essere alcuni ostacoli che influiscono nella crescita dei propri figli, in particolare mi riferisco per quanto concerne l’aria paterna: l’angoscia, l’assenza, la presunzione, la condiscendenza, il dubbio, l’iperprotezione, l’identificazione e per quanto concerne l’aria materna: l’ansia, l’iperprotezione, l’eccesso di distacco, il compiacimento acritico, l’attaccamento dipendente, l’indolenza, la rassegnazione.

I bambini incontrati riflettono perfettamente le tipologie individuate nei bambini facendo riferimento simbolico nei Sette Nani della favola di Walt Disney.

 

BRONTOLO identifica un bambino o ragazzo AVARO, si presenta sempre piuttosto diffidente, attento, vigile, tende alla chiusura e ha difficoltà ad esprimere i propri sentimenti, a volte è anche prepotente per difendere i suoi interessi e difficilmente abbassa la guardia. Non potrà andare d’accordo con l’incomprensibile delirante né tanto meno rispettare la sensibilità dell’invisibile. Avrà riavvicinamento soltanto occasionali con il ruminante aggressivo, con altri avari o con l’adesivo possessivo, ciò a causa del suo copione di ansia di controllo. “Il brontolio del suo motorino interno sempre acceso lo porta a non godersi mai nulla”.

BRONTOLO non va d’accordo con il delirante e l’invisibile, in quanto assume un atteggiamento di squalifica per il delirante e di oppressione per l’invisibile. Le affinità elettive di BRONTOLO sono con l’apatico e con lo sballone.

L’operatore, per agganciare BRONTOLO, deve utilizzare una comunicazione rassicurante e, come scrive il Professor Masini nel suo testo “Emozioni e Sentimenti“ dopo aver rassicurato l’insicuro e dubbioso AVARO, l’educatore potrà mostrargli la dimensione della tranquillità nella natura di un oggetto o di un paesaggio o di una musica o di un quadro. Tranquillizzare significa spegnere le tensioni e chiudere i processi che alimentano la produzione di energie. BRONTOLO ansioso, si libera temporaneamente dal suo bisogno di sicurezza agito attraverso l’esercizio della organizzazione della realtà, entro i rituali della consuetudine, spingendolo verso l’attaccamento.

Sostenere l’ansia di un BRONTOLO è pericolosissimo poiché l’ansia trova una ragione in più per moltiplicarsi. Ciò nonostante, se arricchita da un orientamento al piacere, può aprire una finestra sul benessere.

 

 

EOLO corrisponde all’archetipo di un bambino o un ragazzo RUMINANTE, “rimugina dentro di sé in continuazione e si carica di energie fino al punto di scoppiare e fare un gran botto”. EOLO è riconoscibile quando si esprime poiché il suo agire ha sempre effetti catastrofici, in quanto la sua rabbia può esplicitarsi in azione aggressiva o autoagressiva, poiché subito dopo si pente prendendosela con se stesso, arrabbiandosi con se stesso per ciò che ha fatto e si deprime.

Non potrà andare d’accordo con il volubile Sballone e con l’appiccicoso Adesivo, è affine all’Invisibile e all’Apatico. E’ affine all’Invisibile, poiché questi è in grado di sopportare l’energia del Ruminante, anche quando essa si trasforma in tensione aggressiva; è affine all’Apatico poiché EOLO percepisce in questi una dimensione di pace che non conosce e ne è attratto. L’Apatico ammira l’energia del Ruminante e desidererebbe possederla.

L’operatore, per agganciare EOLO, deve utilizzare una comunicazione espressiva e rilassante per toccare le corde del suo cuore attraverso le emozioni. L’obiettivo è quello di riassorbire la sua rabbia con il fine di spegnere le tensioni disponendolo ad una quiete recettiva. Il linguaggio sarà scorrevole, piano con tono di voce ben modulata verso la pacatezza che inducono al rilassamento. EOLO ha bisogno di essere sostenuto con una presenza costante e continuativa. “Il sostegno può essere aperto e dichiarato solo se diventa comunicazione di fiducia e investimento sulle capacità dell’altro” (Masini). L’artigiano dell’educazione deve escludere dal proprio vocabolario il “NO”. La calma dell’educatore, pur non dando ragione al piccolo EOLO, lo sostiene poiché gli fa comprendere che capisce la sua sofferenza.

 

 

DOTTO corrisponde all’archetipo di un bambino o di un ragazzo DELIRANTE.

Intelligente, creativo, intuitivo, presuntuoso, si dimostra autosufficiente.”DOTTO tende a differenziarsi per autopercepirsi libero ed estendere il suo sé”. DOTTO ha fiducia sulle proprie possibilità, sottovaluta i propri errori ed ha la presunzione di essere nel giusto, è sempre un po’ al di sopra delle situazioni. Appare pertanto spesso antipatico. Non manifesta facilmente i suoi sentimenti, non si lascia andare in effusioni. Preferisce mantenere la giusta distanza e avere la propria libertà.

Non crea legami con l’Avaro e con l’Apatico poiché dell’Avaro non tollera l’ottusità, la caparbietà e la sua mancanza di duttilità, pertanto ciò gli impedisce di progredire nel suo pensiero e di realizzare le sue idee. DOTTO si oppone alla mancanza di intuizione e di vita mentale dell’Apatico. E’ invece affine con l’Invisibile e l’Adesivo. L’Invisibile regala a DOTTO l’umiltà toccandogli il cuore e facendogli capire che le intuizioni hanno sapore di umanità e di sentimento e gli indica la via della semplicità.

DOTTO “intrappolato nei suoi pensieri, distaccato dagli altri, sempre intento a pensare, riflettere, e accendersi verso processi intuitivi”, trova nell’Adesivo il centro di se stesso attraverso la sua attenzione e affettività. DOTTO si pone nei confronti di entrambi nella posizione di ricezione.

L’operatore, per agganciare DOTTO, deve utilizzare una comunicazione di gioco intuitivo capace di catturare il suo interesse; l’educatore deve avere la capacità di farsi accettare come interessante da DOTTO ed avere l’abilità di intuire le sue intuizioni.

 

 

GONGOLO corrisponde all’archetipo del bambino o di un ragazzo SBALLONE. Seduttivo, giocherellone, tenero, coinvolgente, simpatico e allegrone.

GONGOLO è insaziabile dal punto di vista emozionale, oscilla “gongola” tra il piacere e l’angoscia, si lascia travolgere dalle emozioni senza nessun tipo di controllo, passa da momenti di felicità intensa e avvolgente a momenti di profonda angoscia e malinconia, manifestando a volte esagerati sbalzi nell’umore e nel comportamento. E’ alla continua ricerca della fusionalità, al continuo bisogno di vivere sempre nuove emozioni. “Quando il processo di separazione-differenzazione dalla madre si è presentato problematico, l’appagamento emozionale non riesce ad essere pieno”(MASINI). GONGOLO ha paura di non poter condividere con gli altri la fusionalità. GONGOLO trova affinità con i copioni dell’Avaro e dell’Adesivo. Lo Sballone consente all’Adesivo di avvolgerlo nel suo attaccamento, riconosce la bellezza dell’attaccamento e contiene la voragine dell’angoscia. I suoi alti saranno sempre più alti e suoi bassi meno bassi. L’Avaro trasmette a GONGOLO quel senso di responsabilità che gli manca. I copioni opposti per GONGOLO sono quello del Ruminante e quello dell’Invisibile. Il Ruminante tiene lontano da sé il volubile Sballone, che non è in grado di portare a compimento nessuna iniziativa e che non tiene fede a nessuno impegno. GONGOLO teme il Ruminante per la sua eccessiva energia. GONGOLO tratta con sufficienza l’Invisibile vergognoso che non sa gustare i piaceri della vita,” troppo sensibili e poco interessanti”.

Il copione di GONGOLO viene rinforzato dai copioni del Delirante e dell’Apatico, il primo lo rinforza nella discontinuità ed il secondo lo spegne nei rari momenti nei quali cerca di impegnarsi.

L’operatore, per agganciare GONGOLO, deve utilizzare una comunicazione di “coinvolgimento emotivo, una comunicazione espressiva capace di entrare nella sfera personale delle emozioni e dei sentimenti “(MASINI).

 

 

PISOLO corrisponde all’archetipo del bambino o di un ragazzo APATICO.

Tranquillo, pigro, demotivato, spento, tendenzialmente poco attivo, vive nella sua dimensione mentale, appare distratto, tende a svolgere attività “ripetitive e ritmate” e fa molta fatica a cambiare il suo agire e passare da una attività ad un’altra. “Il copione dell’Apatico può essere la conseguenza dell’indifferenza con cui è stato accolto e trattato”(Masini). PISOLO tende a scivolare nei suoi pensieri e vivere la realtà nel mondo della fantasia. Tende a piagnucolare su se stesso e a manovrare chi gli sta attorno senza coinvolgimento, accetta passivamente quanto propostogli con il minimo sforzo ed il minor coinvolgimento. E’ pigro e si autoanestetizza per non provare angoscia e dolore. PISOLO è un bambino che scappa e osserva di nascosto.

I suoi opposti sono i copioni dell’Adesivo e del Delirante. PISOLO è infastidito dalle richieste di attenzione dell’Adesivo, poiché questi gli chiede attivazione e coinvolgimento, ignora pertanto la sua esistenza. Per PISOLO il delirante è un “pazzo furioso”, tende ad evitarlo perché fa confusione e crea problemi. Si sente da entrambi i copioni disturbato. PISOLO trova affinità con i copioni del Ruminante e dell’Avaro. L’affinità Apatico Ruminante verte sui processi di accensione e di spegnimento. Il Ruminante percepisce nell’Apatico una dimensione di pace che non conosce, e ne è attratto. L’Apatico ammira l’energia del Ruminante e desidererebbe possederla. Accendere PISOLO significa “aumentare le proprie tensioni interne, proponendo dentro sé parole, immagini, sogni, desideri e ambizioni senza lasciarli cadere.” Mentre il Ruminante accende PISOLO, l’Avaro lo mantiene acceso e riesce a trasmettergli “il senso di mantenere acceso un controllo”.

L’operatore, per agganciare PISOLO, deve utilizzare una comunicazione che esprima tranquillità e che non lo disturbi.

 

 

MAMMOLO corrisponde all’archetipo del bambino o di un ragazzo INVISIBILE.

Sensibile, tende a nascondersi per vergogna, ha poca stima di sé, è tenero, parla il meno possibile di sé, è molto ordinato, ascolta e osserva, vive le emozioni come “un colpo forte ed intenso”. Nella relazione con l’altro riesce a percepire le sofferenze ed i mutamenti interiori. MAMMOLO rischia di essere centrato su se stesso e “perdersi nelle sue fobie”. I suoi opposti sono l’archetipo dello Sballone e dell’Avaro, il primo perchè sfacciato e ostenta senza alcun pudore le proprie emozioni, il secondo perché oppressivo. MAMMOLO trova affinità con i copioni dell’Apatico e dell’Adesivo poiché con il primo “condivide la fuga nel disimpegno” e con il secondo soddisfa il bisogno di sentirsi amato ed accettato incondizionatamente. Le sue affinità elettive sono invece con gli archetipi del Delirante e del Ruminante. Il Delirante gli serve per aumentare la sua autostima, il Ruminante per ricevere quella energia necessaria che lo aiuti ad uscire dal senso di vergogna.

L’operatore, per agganciare MAMMOLO, deve utilizzare una comunicazione che esprima sensibilità e sostegno.

 

 

CUCCIOLO corrisponde all’archetipo del bambino o ragazzo ADESIVO. Cerca di attirare l’attenzione attraverso il contatto fisico e visivo, fa notare le cose di sé che ritiene migliori, è piuttosto disordinato, ha poca cura di sé, ricerca l’amicizia di tutti, ha bisogno di essere riconosciuto. Non ha un buon rapporto con il Ruminante e con l’Apatico. CUCCIOLO è ” turbato dalla carica del Ruminante che lo spaventa e non appaga il suo bisogno di considerazione “. L’Apatico rappresenta per CUCCIOLO un insensibile, pertanto non lo prende in considerazione. Rinforzano il copione di CUCCIOLO l’Avaro e l’Invisibile. Le sue affinità elettive sono invece con il Delirante e lo Sballone. Il Delirante a CUCCIOLO “regala la libertà”, lo aiuta a differenziarsi. Lo Sballone nutre CUCCIOLO emotivamente e lo fa uscire dall’affanno e dalla rincorsa verso chiunque possa dare attenzione.

L’operatore, per agganciare CUCCIOLO, deve utilizzare una comunicazione che esprima gratificazione.

 

 

L’individuazione dei copioni emersi o prevalenti o maggiormente accentuati anche a seguito del trauma vissuto della separazione, permette all’operatore di intervenire attraverso le affinità elettive e gli opposti in modo pertinente, efficace per centrare il nodo “FOCUS”del disagio vissuto e liberare il bambino dalla trappola inflittagli dai genitori che, giorno dopo giorno, non fanno altro che “attentare” ai sentimenti dei propri figli. Attraverso i laboratori di Prevenire è Possibile i bambini o ragazzi che vivono il disagio della separazione hanno l’opportunità di esprimere se stessi incondizionatamente, di vivere un momento di libertà che gli consenta di sentire un po’ di “leggerezza”e avere l’occasione di gridare “mai più”!!!!!

La maggior parte dei figli di genitori separati vivono prima della separazione e, anche dopo, in un clima relazionale incentrato sulla INSOFFERENZA ovvero sulla conflittualità. Hanno vissuto e continuano a vivere per certi versi in un clima di guerra dichiarata, esplicitata. Una guerra infinita, che ha un inizio e non una fine nella quale le armi rimangono posizionate e cariche pronte per sparare quando arriva l’occasione……I bambini diventano gli strumenti ovvero le armi per “farla pagare al partner” , per punire il coniuge da cui è stato lasciato…….  Sembra apparentemente che ci sia un perdente e un vincente ma di fatto la sconfitta diventa di tutti i gli attori della vicenda familiare. Una buona parte dei figli che sono giunti allo Spazio Neutro da me incontrati oscillano tra il polo della rassegnazione e quello dell’indifferenza, poiché hanno assorbito livelli di tensione così alti che sono come anestetizzati e vulnerabili. Nella loro vita avranno bisogno “ di scoprire il CORAGGIO”.

Il senso di colpa è presente, attaccato, non dà scampo fintanto che non viene opportunamente individuato poiché come dice il Professor Masini “il senso di colpa si genera per cose pensate, ma non agite; dunque il vero senso di colpa non ha oggetto. Per difendersi da esso è opportuno individuarlo e fare qualche colpa, in modo da imparare a distinguere il sapore della colpa dal sapore del senso di colpa.” L’intervento del Counselor sul senso di colpa è molto delicato soprattutto quando si tratta di un bambino o ragazzo. E’ necessario operare con circospezione, con molta calma, esplicitando tutti i nodi, in modo che sia chiaro a chi vive il senso di colpa che non c’è proprio niente di cui sentirsi colpevoli. Il senso di colpa è uno strumento di condizionamento e dominio molto pesante che viene utilizzato dai genitori separati. Ancora vive in me il ricordo di un bambino giunto allo Spazio Neutro, M., di undici anni che attraverso la postura mostrava la pesantezza del senso di colpa, si poneva con la schiena ricurva come se fosse materialmente schiacciato e con lo sguardo fisso nel vuoto esprimeva rumori ogni qual volta sentiva la parola “papà”. Qui appare evidente quanto la formazione di un operatore di Spazio Neutro è limitante e poco esaustiva per poter intervenire in modo adeguato.

Personalmente mi sento di dire che l’aver appreso, durante la formazione nella scuola di Prevenire è Possibile, gli strumenti e le abilità del Counselor mi hanno consentito di andare oltre e avere una visione più completa, più concreta, più operativa della storia di ogni bambino. Per comprendere la sofferenza di un bambino bisogna avere la capacità di entrare nella sua mente e guardare con i suoi occhi, ma per fare tutto ciò, un buon Counselor, oltre che acquisire gli strumenti necessari, deve fare i conti con il bambino che un tempo è stato, deve instaurare con lui un dialogo, prendersene cura e liberarlo dagli attentati subiti.


 

 

GRAFO DI COMUNICAZIONE PER L’AGGANCIO

 

 

GRAFO DELLE AFFINITÀ

 

RELAZIONI DI MATERNITÀ E PATERNITÀ

 

 

 

 

 


 

 

I Laboratori per i Nanetti

 

Nell’ambito dei servizi per i bambini è necessario predisporre i laboratori narrativi dinamici e simbolici .

Il laboratorio narrativo è un laboratorio dove i bambini si incontrano, raccontano le proprie esperienze, entrano in contatto con se stessi attraverso i racconti, le favole da loro inventate o fiabe e favole proposti dal Counselor. Attraverso le favole emergono nodi di sofferenza nel mondo interno di un bambino.

I racconti inventati dai bambini sono testimonianza delle emozioni, sensazioni, sentimenti e della sofferenza espressa da una rabbia comprensibile che il Counselor deve saper cogliere, utilizzare e far evolvere in modo costruttivo per la prevenzione del disagio. Per poterlo fare bisogna che ci sia un testimone soccorrevole, un adulto che capisca il bambino e stia davvero dalla sua parte, aiutandolo a usare le sue risorse in modo evolutivo. I racconti scritti dai bambini possono essere inseriti nel texstat per capire le parole che maggiormente utilizza il bambino e nei confronti delle quali si può dare un significato e un contenuto.

Il laboratorio dinamico è un laboratorio dove vengono svolte tutte quelle attività e tecniche volte a modificare lo stato psicodinamico del bambino e comprende il contatto corporeo, il massaggio shiatzu, la psicodinamicità, lo psicodramma, il role-playing ecc. In questo tipo di laboratorio è l’energia che fluisce e produce il cambiamento.

Il laboratorio simbolico è un laboratorio indicato quando il bambino arriva accompagnato da un genitore o da un adulto di riferimento senza conoscere il suo reale bisogno e non sa nemmeno di vivere un disagio. In questo caso il Counselor deve essere in grado di utilizzare tecniche raffinate per destrutturate archetipi di personalità che rappresentano chiusura e poca disponibilità. La Comunicazione è espressa attraverso “intese simboliche“ (utilizzo di linguaggio particolare, un abbraccio, un giro tondo, un trenino, rappresentazione attraverso animali, personaggi, ecc…..)

I simboli servono ad avvicinare soprattutto quando i linguaggi diversi non permettono la comunicazione. ”Lavorare con simboli significa mettere o togliere ancoraggi” (Masini).

 

 

 

 


 

 

Differenza fra il Counselor e l’operatore di Spazio Neutro

 

Il lavoro del Counselor parte dagli archetipi di personalità prevalenti nel bambino o nel ragazzo in quella particolare fase della vita che riflette le tipologie di personalità definite attraverso lo studio dei personaggi dei sette nani. Ciò consente non solo di attuare il tipo di comunicazione appropriata alla fase di primo contatto cosiddetta di “Aggancio”, ma anche di comprendere la relazione all’interno della triade poiché attraverso l’analisi del tipo di personalità si individuano le relazioni di opposizione e di affinità. Il bambino o il ragazzo che arriva allo Spazio Neutro vive un DISAGIO, e se lo vive è perché qualcuno glielo ha creato.

L’operatore di Spazio Neutro non tiene conto della tipologia di personalità presente nei bambini e nei genitori separati, bensì punta l’interesse sul ripristino dei legami con i genitori non affidatari concentrando inizialmente l’intervento sui colloqui individuali con i genitori per comprendere quali sono le dinamiche familiari che hanno interrotto il legame figlio e genitore non convivente. Spesso il genitore convivente con il figlio dà la disponibilità perché il figlio possa incontrare il genitore non convivente, ma in realtà si tratta di una disponibilità velata da un falso consenso

Infatti, durante l’incontro con il genitore, emergono elementi diffamatori nei confronti dell’ex-partner che, in maniera diretta e indiretta, trasmettono ai propri figli, non concedendo loro la libertà di vivere la relazione con entrambi i genitori in modo separato. L’operatore dello Spazio Neutro, a differenza del Counselor deve dimostrarsi neutro. Neutro, richiama immediatamente un campo (Mandelli, 1998) che non appartiene a nessuno dei due contendenti. Il latino ci suggerisce che neutro significa “né con l’uno né con l’altro”, quindi con nessuno dei due opposti. Queste definizioni indicano che non si configura una unica verità, e che è presente un terzo: il bambino, il giudice, l’operatore. “Tali figure incarnano il principio della terzietà del relazionale. La relazione, infatti, non si chiude mai sul due”(Cigoli,1998). Secondo il Professore Masini “nessun campo e nessun strumento relazionale può essere aprioristicamente neutro. Ogni intervento educativo produce uno spostamento emozionale dinamico e di controllo. Ciò che è da osservare è la relazione che consente al Counselor di individuare quali modalità di aiuto possono essere efficaci nei singoli casi “.

 


 

 

 

CONCLUSIONI

 

L’elaborato nasce alla luce della formazione con il Professor Vincenzo Masini che mi ha fatto riflettere riguardo i servizi da me espletati in qualità di assistente sociale e operatore dello Spazio Neutro. La lettura di molteplici testi, le riflessioni ed il confronto, i suggerimenti e le critiche preziose mi hanno permesso di acquisire nuove competenze tecniche e professionali e soprattutto di poter vivere diverse esperienze che hanno favorito la crescita individuale e culturale della mia persona. La formazione mi ha dato l’opportunità di riflettere sul familiare e sul difficile e complesso cammino dell’individuo segnato da esperienze che consente di divenire persona-artefice di decisioni importanti della vita personale e relazionale.

 

 

 

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