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Orientamento e counseling      

di Lorenzo Barbagli                                                               

Alcune riflessioni di fondo sull’orientamento ed il counseling

Molto spesso infatti sotto il nome di orientamento vediamo sfilate di istituti scolastici o università che mostrano le loro migliori carte al fine di ottenere un maggior numero di iscritti, oppure saloni e fiere dell’orientamento che tornano ad essere vetrine, se non specchietti per le allodole, per giovani in cerca di soluzioni e orientamenti.

Altro rischio invece quello dell’utilizzo degli strumenti per la costruzioni dei bilanci di competenze. Queste tecniche, utili e necessarie se ben costruite ed utilizzate, portano in sé alcuni rischi: il primo, quello di non essere attendibili scientificamente perché proiettive o confuse; il secondo invece quello di diventare cartelli di prescrizione che, per quanto non impositivi, potrebbero essere fortemente condizionanti. Ultima “cattiva pratica” ci sembra essere una strana ambivalenza dell’idea che spesso si ha nelle scuole dell’orientamento.

Da un lato infatti, si vede l’orientamento spesso come la panacea di tutti i problemi adolescenziali e scolastici, dall’altro però non si ritiene quasi mai di doverlo affrontare direttamente con le proprie risorse (seppur limitate!) e si aspetta l’intervento delle province, regioni e ministeri oppure dell’F.S.E., casuale e quasi mai continuo nel tempo.

Stimoli,  parametri o prescrizioni?

Contro le cattive pratiche si devono opporre buone pratiche. A cominciare dalla gestione del Counseling e dei bilanci delle competenze che non devono mai essere prescrittivi, né aggiungere ulteriori stimoli a giovani che certo non ne sentono la carenza perché intorpiditi e storditi dall’eccesso di alternative che nella realtà pratica diventano assenza di scelte, anche perché spesso sono alternative sostanzialmente vuote e prive di significati, in un certo senso precotte e poco nutrienti. Devono offrire invece parametri di comprensione, strumenti per capire e per orientarsi, bussole e boe da cui acquisire un punto di vista e comprendere almeno un pezzo del discorso. Altre volte invece basi e fondamenti da cui progettare.

I bilanci dunque devono essere scientificamente attendibili e di facile accesso, costruiti sugli orizzonti di comprensione dei ragazzi e sulle loro necessità.

Infine, le attività di orientamento devono avere l’obiettivo difficile, ma limitato e semplice (poiché con esso non si può pensare di risolvere tutti i problemi soprattutto dell’adolescenza), di aiutare i ragazzi nel loro processo formativo e più precisamente nella costruzione di un progetto di vita, specifico e flessibile allo stesso tempo.

Pertanto ci pare necessario sottolineare quelli che sono stati i nostri “orientamenti” nello sviluppo del progetto.

1)               la convinzione che l’orientamento sia un’attività educativa e che non esista più un netto confine tra l’orientamento scolastico e quello professionale.  La storiografia sull’orientamento ci mostra come ai suoi albori (i primi lavori di selezione del personale effettuati da Mayo e da Taylor) l’orientamento venisse distinto nettamente in alcune differenti ambiti: quello professionale, quello scolastico e quello sociale. Il primo caratterizzantesi nella selezione delle attitudini professionale, il secondo nelle scelte scolastiche ed universitarie, il terzo infine che si delineava come un intervento centrato sullo sviluppo della socialità e delle relazioni interindividuali. Ad oggi, ognuno di questi piani è strettamente intersecato. Le scelte scolastiche sono il percorso necessario al raggiungimento di un obiettivo professionale su cui si è presa la mira sulla base di alcune riflessioni relative alla personalità individuale ed alle attitudini relazionali ed alle ambizioni. Tutto questo trova il suo fondamento nello sviluppo anche della socialità e dunque nei percorsi educativi in cui l’individuo viene inserito.

2)               La profonda convinzione che la ricerca sull’orientamento debba uscire da alcuni stereotipi e fare chiarezza all’interno del suo corpus scientifico. In primis l’idea che l’orientamento possa essere effettuato da qualsiasi professionista, da cui consegue una sovrapposizione di incarichi e competenze scientificamente inaccettabile. L’orientamento richiede interdisciplinarità, ma sono ben diversi i piani di ricerca e di intervento relativi alle varie specializzazioni.  C’è bisogno di una corretta riflessione sui campi di pertinenza dei vari approcci: sociologico, pedagogico, psicologico, amministrativo, didattico e della comunicazione, filosofico e delle scienze dell’organizzazione. In secondo luogo, ed ancor più importante, l’idea che fare orientamento sia da legarsi in prevalenza alle attività di distribuzione delle informazioni o alle tecniche di ricerca attiva del lavoro. Costruirsi un progetto ed un percorso professionale vuol dire fare alcune scelte anche di vita, se l’utilità dell’orientatore dev’essere una mera consegna di informazioni sulle carriere  o sulle fasi da seguire istituzionalmente per raggiungere un obiettivo, questa funzione può benissimo essere svolta dai supporti informatici.

3)               La convinzione che ci sia bisogno di una visione “lucida” dell’orientamento. Uscire così dalle affabulazioni che spesso in ambito educativo vengono perpetuate, sulla base di quel “luogo comune” educativo per cui si ritiene l’individuo talmente unico ed irripetibile da non poter costruire procedure e tecniche educative appropriate ai vari contesti ed alle varie situazioni, ma tutto si debba risolvere nell’improvvisazione. Questo, oltre dare spazio e credibilità ai venditori di fumo, devia la capacità dell’uomo di cercare solidità e di riflettere in maniera oggettiva.

4)               La “qualità” nell’orientamento è data dalla corretta progettazione su due piani: quello delle attività psico-pedagogiche e sociali e quello della organizzazione istituzionale. La sola qualità degli interventi, anche se di per sé è uno dei più importanti indicatori di qualità nell’orientamento, dovrebbe essere inserita in contesti istituzionali e organizzativi progettati per essere in grado di orientare. A partire dal bisogno di maggiori competenze in gioco nella scuola (anche a livello di comunicazione interna) l’intero quadro delle amministrazioni pubbliche è “disorientato”. Spesso non c’è concertazione e consultazione sugli interventi, non esiste sussidiarietà e bassa è sovente l’efficacia delle strutture. In questo senso si necessita di una nuova strutturazione  di tipo reticolare.  Una rete, inter-istituzionale e intra-istituzionale, perché sarebbe in grado di divenire antidoto agli sprechi di conoscenze e di risorse, permetterebbe omogeneità nella progettazione e maggior fruibilità delle informazioni all’interno e all’esterno e dei servizi rispetto alla clientela. A questo si aggiunge il problema dell’assenza di una “cultura orientativa” anche nelle persone che costituiscono le strutture e le amministrazioni.

 

Cosa vuol dire orientare?

Orientare: dal vocabolario della lingua italiana “situare in una certa direzione avendo riguardo dei punti cardinali”. Cosa implica fare questo? Innanzitutto prendere in considerazione dei punti cardinali. In secondo luogo trovare la nostra posizione rispetto ad essi, infine posizionarci come riteniamo più opportuno rispetto alle nostre volontà, interessi, motivazioni ecc. Cosa dunque richiede? La conoscenza dei punti cardinali, la conoscenza di sé, la competenza nell’utilizzare magari strumenti utili per l’azione che vogliamo svolgere.

Così è l’orientamento geograficamente inteso, ma così è anche l’orientamento scolastico, professionale o il counseling di orientamento.

Una persona per orientarsi bene nella vita deve sapere quali sono i punti cardinali con cui deve confrontarsi (che possono essere soggettivi come i valori ma che sono anche oggettivi come la necessità di lavorare e di trovare lavoro in un determinato contesto sociale, giusto o sbagliato che sia, migliore o peggiore), deve poi sapere chi è e in che posizione è situato rispetto ad essi, e deve infine sapere che posizione vuole raggiungere e che strada percorrere. In tutto questo deve, o magari può, supportarsi dell’utilizzo di alcuni strumenti utili a meglio acquisire queste consapevolezze. Negli scouts usavamo la bussola, o magari più romanticamente le stelle, nel lavoro di oggi usiamo un bilancio delle competenze o altri strumenti affini.

Il punto essenziale è che comunque nel momento in cui ci volgiamo orientare abbiamo bisogno di qualcosa (il faro delle navi, la luna, le stelle) o qualcuno (un amico, un fidanzato/a, un counselor) che ci offra non tanto una determinata direzione, ma un’idea da cui aprire una riflessione e una valutazione. O magari una provocazione che ci faccia porre dei dubbi.

Comunque, offrire qualcosa.

 

Il Counseling

Viviamo in una società aperta e ricca di stimoli e proposte, in cui l’individualismo è la filosofia condivisa ed in cui tutti quanti vogliono autodeterminarsi e far da soli, senza consigli e critiche. Come se il senso dell’individualismo e del concetto di libertà individuale a cui si rifà fosse questo. In realtà le persone più che far da sole ed autodeterminarsi sono sole. Questo crea una notevole dissonanza tra la libertà e la solitudine, aprendo la strada a tante forme di manipolazione e condizionamento sotterranee e latenti. Pertanto, finisce che molte persone hanno così bisogno di definire la propria identità (magari dopo un’adolescenza vissuta nelle oppressioni violente delle famiglie autoritarie o in quelle invischianti delle famiglie troppo affettuose) e parallelamente hanno così pochi spazi di decisionalità che, nei pochi un cui hanno libertà, ritengono indispensabile far da soli, anche se le questioni in gioco richiederebbero un sostegno. Magari il sostegno di un amico, di un fratello o di qualcun altro che ti regali la sua visione delle cose. Ma nessuno, nel complice rispetto al mostro sacro della libertà individuale, torva il coraggio e la generosità di darti un consiglio, soprattutto se non sarà qualcosa di scomodo o contro le idee dell’interessato. Già, perché invece a consolare e a confermare, a dar ragione anche sapendo di fare un danno all’amico, quasi tutti i grandi sono disponibili. Magari poi, pian piano, riusciamo anche ad insegnare ai nostri figli a fare come noi, perché Luigi ci resta male. E intanto Luigi continua a non concludere nulla nella sua vita. Però siamo tutti suoi amici e gli vogliamo bene.

Un Counselor, in sostanza, è un amico che si prende il coraggio di dirti anche che stai sbagliando. Con una sola differenza, che a volte lo fa confondere con lo psicoterapeuta: che lo farà con cognizione di causa, sulla base di conoscenze teoriche, pratiche ed esistenziali, mettendole al tuo servizio.

 

Orientamento, educazione e Counseling

Giocando un po’ con queste tre parole possiamo trovare il senso del nostro lavoro pur senza sottovalutare i significati delle singole espressioni.

Il progetto sviluppato presso il liceo di Sansepolcro si è posto l’obiettivo di costruire una mediazione tra questi tre ambiti. Orientare i ragazzi in maniera efficace verso lo sviluppo delle loro personali potenzialità, educare ad uno completo ed armonico sviluppo della personalità perché si possa esistenzialmente mediare gli eccessi dei nostri punti di forza, offrire Counseling e ascolto ai giovani adolescenti incontrati, cercando di dare verità e sostanza alle loro difficoltà ed risposte ai loro dubbi.

Contemporaneamente offrire agli insegnanti degli orientamenti didattici ed educativi, oltrechè risposte alle loro difficoltà e alle famiglie dei momenti di confronto e di riflessione per orientare al meglio le loro potenzialità educative e sostenerli nel difficile mestiere del genitore, reso sempre più disorientante e disorientato da una struttura sociale che tende a togliere qualsiasi punto di riferimento anche solo legato al buon senso nelle prassi educative.

Orientare, educare  fare Counseling non devono infatti essere viste come attività separate  e disconnesse ma come un continuum logico ed integrato dentro cui comprendere in maniera significativa il senso più ampio dell’incontro tra persone.

Orientare, come abbiamo precisato nel precedente paragrafo è offrire alternative, proposte, suggerimenti sui quali far perno per meglio comprendere noi stessi nelle varie fasi della vita; nell’ambito educativo poi il concetto di orientamento viene collegato all’ambito delle scelte scolastiche  e professionali. Ma se è ben evidente la valenza più ampia delle necessità di orientamento nella nostra esistenza, è ben chiaro che esso ha direttamente a che fare con l’educazione, che se ci pensiamo bene, è anch’essa un modo di proporre i nostri modelli di relazione nel rispetto delle altrui libertà. In effetti, per essere educatore (permissivo, autoritario, liberante o in tutte le altre prospettive in cui lo si possa vedere) è credo condivisibile la necessità di lasciarci incontrare e di offrire un punto di vista a qualcun altro. Per insegnarli a fare qualcosa, per aiutarlo a tirar fuori il meglio di sé, per correggerlo nei suoi errori o simili. Infine fare counseling è semplicemente una modo specifico di rispondere in maniera precisa a particolari problemi di orientamento o di educazione.