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Le personalità collettive dei gruppi di lavoro

 

                                                                  di Vincenzo Masini

 

Pubblicato su SOCIOLOGIA, n.2 , 2003

 

 

L’obiettivo di questo studio è presentare un possibile collegamento tra la soggettività individuale, che diventa collettiva nella rete di relazioni intragruppali, con la forma delle strutture di gruppo. Per raggiungere questo scopo, dopo aver messo a fuoco i problemi della teoria sociologica competenti ad affrontare la questione, vengono presentati alcuni link che collegano le personalità individuali alla “personalità collettiva” di gruppo (il clima gruppale) ed alla sua strutturazione funzionale nel contesto organizzativo in cui si colloca. Il tema delle personalità collettive è introdotto per poter comparare i singoli gruppi tra di loro nello specifico del loro contesto funzionale e culturale. Ben diverso è, infatti, il risultato di una analisi delle relazioni intersoggettive in una pattuglia militare piuttosto che in una azienda, in una comunità o in un gruppo di lavoro all’interno di un servizio sociale. L’oggetto specifico della analisi di questo studio è quello del gruppo di lavoro in strutture che erogano servizi.

 

La possibilità di cogliere le fluttuazioni nei gruppi mediante l’analisi qualitativa

 

Le relazioni interpersonali fra i diversi membri di una organizzazione o di un gruppo sono caratterizzate, per loro natura, da un complesso intreccio di dimensioni razionali e irrazionali, di obiettivi e interessi divergenti, di “giochi” complessi che non sono in realtà così tanto determinati dalle norme e dalle procedure formali. Solo in parte le regolazioni dipendono dalle posizioni e dai ruoli istituzionali, molto più spesso le posizioni di ruolo sono possibili solo se la molteplicità di accordi e di scambi tra persone consentono il funzionamento delle connessioni organizzative gestite sulla base delle attribuzioni di ruolo.

Non è sufficiente lo spazio lasciato alla personalità del singolo ed alle possibili antinomie con il suo ruolo per legare insieme soggettività e strutture, e ciò ha condotto ad allontanarsi dalla teoria strutturalista[1], per lasciare spazio ai processi di co-costruzione della realtà sociale. Lo strutturalismo ha condotto a concepire le organizzazioni, e i gruppi di lavoro, come strutture che vivono attraverso la suddivisione del lavoro, la gerarchizzazione del potere e la sostituibilità del personale e, pertanto, su costrutti di socializzazione secondaria che tendono a salvaguardarsi dalle relazioni dirette. La soggettività riemerge così solo nello studio dei movimenti (espressione che oggi è spesso sostituita da quella “soggetti collettivi” capaci di identità e di azione comune) o nella analisi del rapporto tra mondi della vita e sistema societario, tra System e Lebenswelt.

Lo studio della soggettività che si autorappresenta, si autocostruisce e si autocomprende[2].ha dato numerosi frutti per la sociologia nelle fasi in cui la teoria era provocata dalla necessità di risposte sui possibili esiti della trasformazione societaria. Esso, però, è meno utile quando si è appurato che gli esiti sono lo sviluppo, quasi senza fine, della differenziazione e della pluralizzazione dei mondi della vita, la sovrapposizione tra le culture, il polimorfismo delle istituzioni sociali (anche le più semplici come la famiglia), il rapporto squilibrato tra individuo e società.

Il principale risvolto metodologico della esigenza teorica della riscoperta del soggetto è la grande attenzione ai metodi di ricerca qualitativa che oggi dispongono di una solida giustificazione attraverso la combinazione tra metodologia centrata sulle storie di vita e grounded theory, [Cipriani, 1995], e della possibilità di diffondersi grazie alla luna di miele tra ricerca sociologica e sistemi di elaborazione di dati, diffusi e decentrati con i personal computer che consentono a molti ricercatori di gestire una grande quantità di informazioni.

 La grounded theory non abbandona mai, infatti, il suo carattere di provvisoria interpretazione dei dati. “La scelta della teoria grounded, cioè fondata, in quanto legata al terreno di ricerca ed ai dati che ne provengono…comporta uno stile di ricerca che ricorre a comparazioni costanti ed a sviluppi concettuali densi, riprendendo molto del pragmatismo americano di Dewey, Mead, Pierce” [Cipriani, 1995: 330].

Tale scelta metodologica offre la possibilità di interpretare i processi sociali nella complessità della loro differenziazione: comunicativa, di contatto interumano, empatizzato o, comunque, percepito attraverso la solidità della dimensione corporale, biologica, riproduttiva, ma anche nella  dimensione strutturale, economica o culturale. Non è un caso che aperture teoriche e di ricerca che descrivono la differenza culturale come un mosaico di unità circoscritte, prodotte dalla diversità di esperienze e biografie dei diversi membri delle collettività, vengano proprio dall’antropologia, che da tempo utilizza metodi qualitativi. Hannerz [2001], per esempio, descrive l’ interpenetrazione tra cosmopolita e locale come processi di realizzazione di identità specifiche non riconducibili ad un “tutto” se non nella comunanza di appartenenza all’umanità.

Un risvolto significativo per lo studio dei gruppi di lavoro con metodi qualitativi è prodotto dalla necessità di superare le tassonomie incentrate sulle grandezze dei gruppi, numero dei membri, frequenze di interazione e, comunanza di scopi che giustappongono le dimensioni del “primario” e del “secondario”, del ruolo e della personalità, del pubblico e del privato, della comunità e della società[3]. Anche nel gruppo più “secondario” come il posto di lavoro, c’è molto di primario. E non solo perché gli individui portano in esso “i problemi di casa”, comunicando diversamente a seconda degli umori o ripetendo consolidati copioni, a volte sociopatologici. Nel luogo di lavoro l’uomo è, sempre e comunque, un soggetto che ricompone ogni momento la sua storia personale; può ripetere i suoi copioni di comportamento o scegliere, e a volte riuscire, a modificare le sue azioni e migliorarsi. Il gruppo a cui partecipa è un organismo, che, in quanto tale, ha, esso stesso, la sua storia di vita ed il suo possibile equilibrio sociale a seconda delle pressioni interne ed esterne che subisce.

Le pressioni interne, esercitate dalle persone concrete esistenti nell’organizzazione, sono riemerse, dopo un secolo di sottostima, negli studi di management attraverso le “teorie della contingenza”. Il programma di studi e ricerche conosciuto come ContingencyTheory si è applicato, a partire dagli anni ’60, per trovare modelli teorici di interpretazione più veritieri rispetto alla teorie classiche dell’one best way tayloriano. Il percorso che conduce la Contingency Theory ad una riscoperta del soggetto umano e delle sue relazioni passa attraverso le diverse opzioni dei paradigmi adattativi “struttura–ambiente” formulati come: interazioni tra strategie, settori di riferimento e tecnologie [Perrow, 1974], tra strategie e stili di direzione [Tosi, 1974], tra organizzazioni e sub-sistemi [Lawrence, Lorsch, 1967]. Nello studio di tali rapporti adattativi compare il soggetto sottoforma di variabili interpersonali nei subsistemi organizzativi, i quali vengono descritti con modelli di adattamento multiplo di tipo solipstico.

Un esempio di descrizione non monotona (le variazioni dipendono da variabili multiple) di organizzazione è quella di Mintzberg [1991] che descrive sette tipi di configurazioni attraversate dalle esperienze relazionali tra le persone e influenzate dalle culture nelle quali vivono e con le quali interagiscono: organizzazioni direttive ed imprenditoriali (semplice, dirette e dipendenti dal capo), burocratiche (nel senso della ripetizione weberiana del processo, anche carismatico, innescato dal capo), decentrate e diversificate (sub unità relativamente autonome unificate in funzione dello scopo), professionali (corporazioni specialistiche), adhoccratiche (ovvero indirizzate all’innovativo raggiungimento di progetti-obiettivi), ideologiche (regolative intorno a principi unificatori) e politiche (ovvero strutture in cui gli individui che le compongono sono portatori di identità e di interessi divergenti intorno ai quali si innescano conflitti e si costruiscono mediazioni). Questi profili rappresentano una visione dell’organizzazione, dietro l’apparente immutabilità e determinismo dell’organizzazione piramidale o appiattita, come risultante degli intrecci di azioni umane non previste, non sempre programmabili, dotate di intenzionalità, e che hanno la caratteristica intrinseca di essere parziali, divergenti, unilaterali, conflittuali, invischiate, occasionali, ecc..

 

2 Le personalità individuali nel gruppo di lavoro

La ricerca sulle relazioni gruppali, in alcuni gruppi lavoro all’interno dei servizi della città di Roma, prende il via da un Seminario sulla Qualità delle prestazioni erogate da alcuni servizi. Tra i diversi indicatori della Qualità viene posto l’accento sulla analisi della qualità delle relazioni tra operatori, veicolo di una maggiore, o minore, corrispondenza del servizio alle aspettative ed ai bisogni degli utenti.

Al fine di analizzare le disposizioni individuali degli operatori verso i loro colleghi vengono somministrati due questionari. Il primo, centrato sugli atteggiamenti della persona verso di sé, verso gli altri e verso il mondo[4], il secondo centrato sulle quantità di relazioni amicali, di rifiuto, di stima, ecc. presenti all’interno di ciascun gruppo. I dati dei due questionari vengono poi correlati tra di loro al fine di scoprire se, e quanto, quell’insieme di personalità, da cui scaturiscono quell’insieme di relazioni, diano vita a modulazioni della personalità collettiva dei gruppi di lavoro aderenti alla interpretazione della realtà dei gruppi discussa con i diversi partecipanti.

Il primo questionario nasce dall’individuazione di alcuni tratti fondamentali nelle storie di vita [Masini, 2000] in 210 item e somministrati a 2122 soggetti. La caratteristica del questionario è quella di proporre espressioni che caratterizzano gli atteggiamenti senza costringere il compilatore a scegliere tra uno e l’altro ma, semplicemente a riconoscersi in tutti gli item in cui ritrova qualcosa del suo modo di essere.

Gli item[5] vengono poi sommati a grappoli a seconda che rientrino o meno in sette fattori, evidenziati come significativi dalla prima indagine e costantemente aggiornati di fronte a nuovi dati.

I dati raccolti sono stati elaborati convertendo i punteggi ottenuti dalla somma degli atteggiamenti individuali in “grafi” individuali e costruendo, con la media dei punteggi dei diversi membri, “grafi” di personalità collettiva. Il grafo è un grafico a radar con sette assi graduati dai punteggi delle singole disposizioni dei membri. In ordine esse sono: 1 la disposizione alla responsabilità, 2 all’intraprendenza, 3 all’indipendenza, 4 alla espressività, 5 alla tranquillità, 6 al sostegno, 7 all’attaccamento agli altri. La tabella successiva mostra i punteggi ottenuti da tre membri, di uno dei gruppi di lavoro analizzati, mentre la figura 1 mostra le linee dei tre grafi individuali e la media di gruppo.

 

TABELLA 1

Resp

Intrap

Indip

Espress

Tranq

Sosteg

Attacc

MEDIA

5,333333

8,333333

8,333333

7,333333

6

4,333333

4,666667

pdcf45

9

8

11

6

7

3

3

amf39

7

9

10

8

10

8

5

Smgf

0

8

4

8

1

2

6

 

Chiariamo l’ipotesi che sta alle spalle della scelta di un grafo a radar: tanto più le caratteristiche del gruppo sono bilanciate tra di loro, tanto più è potenzialmente equilibrato un gruppo, tanto più talune sono eccessivamente prevalenti sulle altre tanto più è probabile che si trasformino in difetti del gruppo ed in problemi di gestione diventando: 1 controllo oppressivo in luogo di responsabilità, 2 aggressività in luogo di impegno, 3 distacco squalificante al posto di libertà creativa, 4 volubilità al posto di espressività e ottimismo, 5 demotivazione al posto di convenzionalità rassicurante, 6 rassegnazione in luogo di sensibilità ai vissuti altrui e sostegno, 7 invischiamento al posto di attaccamento e senso di appartenenza al gruppo

I grafi sono risultati appropriatezza dei grafi, nella verifica della discussione collettiva con i diversi operatori dei gruppi di lavoro. Il test ha messo a fuoco alcune caratteristiche dei servizi che gli operatori avevano intuito ma non verbalizzato con chiarezza, dando luogo ad una importante conseguenza operativa: un counseling al gruppo finalizzato a riorientare alcune relazioni in senso congruente con l’equilibrio del sistema gruppo.

La comparazione tra i diversi grafi ha poi consentito di osservare gli andamenti delle potenzialità delle personalità collettive. Se, infatti, un gruppo è formato da persone intraprendenti è probabile che sia un gruppo, o motivato, o conflittuale, questa seconda caratteristica è determinata dalla qualità delle relazioni tra i membri del gruppo (oltre ché, ovviamente, dal contesto organizzativo, dalla struttura e dalla cultura). Dai primi dati è infatti possibile osservare le potenzialità di un gruppo ma non è possibile comprendere gli esiti reali, giacché dipendono concretamente dai rapporti che si instaurano tra i soggetti nella storia di vita del gruppo. I diversi grafi danno comunque una indicazione sul tipo di gruppo che possiamo probabilmente attenderci dall’incontro di quelle diverse personalità. La media degli atteggiamenti di personalità disegna le caratteristiche di un “gruppo potenziale”. Il grafo in questione è “predittivo”: tra quelle personalità è possibile attendersi una certa forma di gruppalità. Che aderenza ci può essere tra “grafo predittivo” e reali caratteristiche del gruppo? E’ possibile tentare di costruire un certo tipo di gruppo funzionale ad uno scopo attraverso la scelta di una miscela opportunamente dosata di personalità individuali? [6] Ad oggi il tema, centrale nella selezione del personale o nella sociologia militare, è solamente applicato alla leadership ed alle sue prerogative funzionali senza avanzare ipotesi previsionali sul possibile futuro relazioni interpersonali in un certo tipo di gruppo.

Il modo corretto di rispondere a questi interrogativi è domandarsi cosa succede tra di loro. E cioè quali tipi di relazioni mettano in atto reciprocamente. Il problema non è quello del necessario sconfinamento nell’ambito della psicologia sociale, che anzi fornisce mezzi potenti per lo studio delle relazioni, quanto quello della pressione culturale da parte del contesto.

Questo interrogativo sociologico non sembra di facile soluzione a meno che non si assuma una posizione radicale come quella di Alexander. “La cultura può essere concepita analiticamente come esistente fuori dalla mente individuale, ma il suo status superindividuale dipende da prestazioni mentali degli individui” [Alexander, 1990: 197]. Tale affermazione proposta dal più strutturalista dei sociologi contemporanei, continuatore riconosciuto della scuola di Parsons, conduce a vedere le norme, gli scopi, i mezzi e la cultura organizzativa nello specifico della azione sociale dei soggetti e, dunque, nelle relazioni tra di loro. Lo studio delle relazioni intragruppo e intergruppo contiene gli elementi determinanti la pressione del contesto. Da qualunque parte venga la pressione in termini reali e comunicativi, iconici, simbolici, ambientali il suo effetto è rintracciabile nella concreta relazionalità delle persone.

 

TABELLA 2

ASSI

1

2

3

4

5

6

7

 

ORGANIZZATO

MOTIVATO

INDIPENDENTE

OTTIMISTA

PACIFICO

SENSIBILE

UNITO

 

RIGIDO

AGITATO

DIVISO

SCANZONATO

DEMOTIVATO

RASSEGNATO

INVISCHIATO

ASLSS

15,7

16,9

14,2

12,3

12,9

13,2

14,8

COTR

13,8

15,5

13,0

13,5

16,5

14,0

13,8

GERTID

14,1

18,6

16,3

12,9

13,2

13,0

12,0

FLIN

13,7

15,8

12,0

11,5

18,6

13,1

15,3

MONTEQ

14,0

16,6

15,2

13,8

15,2

11,5

13,8

TANTEL

13,2

17,7

13,5

13,9

13,2

12,8

15,6

ROMA XX

9,9

11,3

8,5

7,6

8,5

9,4

8,9

SERT

12,0

18,8

18,8

16,5

13,5

9,8

10,5

 

 

 

Nella tabella 2 sono riportati i dati delle medie, nella figura 2, i grafi dei gruppi. (Le sigle dei diversi servizi hanno nomi fittizi).

La ricerca su questi otto servizi mostra significative differenze nella forma dei grafi di gruppo: gli operatori dei servizi analizzati hanno concordato sulle caratteristiche di maggiore, o minore, rigidità del loro gruppo, di motivazione o apatia e disaffezione al lavoro, di eccesso di individualismo o di forte rassegnazione per come i grafi li rappresentavano. Ma, se è vero che un gruppo non è la somma (o la media) degli individui che lo compongono, qual è il rapporto tra le personalità dei membri e la forma reale assunta dal gruppo? Lo studio di questo tipo di gruppi richiedeva, come già avvenuto per altri, utilizzando l’impianto teorico e strumentale già precedentemente sperimentato nell’analisi delle personalità collettive di comunità, e casa famiglia, [Masini, 1994] e di classe scolastica [Masini, 1995], l’analisi delle relazioni in atto tra i membri del gruppo.

La ricognizione attuata nei precedenti lavori prevedeva l’utilizzo di verifiche verbali mediante interviste, raccolta di materiale, anche visuale, analisi dei processi comunicativi e, al termine, discussione di gruppo per costruire la storia del gruppo e delle sue relazioni. Nel corso delle ricerche precedenti erano emerse alcune variabili ricorrenti e significative per individuare i connotati della personalità di gruppo: la quantità di relazionali amicali tra i membri, la quantità di antipatie, la quantità di persone con cui ciascuno aveva avuto contrasti, la quantità di persone di cui conosceva qualche famigliare, ecc..

Un test sulle relazioni era già stato applicato all’analisi di gruppi di lavoro in azienda. Il metodo di tal ricognizione qualitativa, attraverso la rilevazione di storie o l’investigazione sui contatti tra i membri del gruppo dopo il lavoro, sui loro legami interpersonali e parentali, sui contatti personali, di svago, di vacanza, telefonici, ecc, aveva dato buoni risultati. A questi dati si erano aggiunti l’analisi della presenza di sottogruppi di status, più o meno corrispondenti alle linee gerarchiche, il legame di solidarietà interno (verificabile attraverso episodi che avevano coinvolto qualche membro verso il quale si erano manifestate forme di affettività o di risentimento), la storia del nucleo storico del gruppo e la sua stabilità (serie storica dei membri in entrata ed in uscita dal gruppo), la memoria storica del gruppo (contati mantenuti con gli usciti), i motivi del cambiamento di collocazione o di funzioni (burn out o ricerca di promozione, o motivi personali o famigliari), i cambiamenti di leadership e le carriere, la disponibilità personale ai rimpiazzi, la comprensione del lavoro di ciascuno, la fiducia reciproca, ecc.

 

3 Le relazioni tra i membri

Tali dati sono, apparentemente, poco quantificabili e commensurabili tra di loro, a meno che non si costruisca qualche strumento in grado di “quantificare le diverse qualità”. Le discussioni in gruppo, ed i colloqui, avevano fornito significative ricorrenze che, una volta individuate, potevano essere una traccia per individuare alcuni temi determinanti per analizzare le differenze tra gruppi.

Il problema era, dunque, trasformare in dati quantitativi (numeri) il senso implicito di ogni tipo di relazione descritta dall’insieme dei diversi tratti.

Moreno ha aperto la strada per valutare sociometricamente le relazioni di gruppo ma, nel test per la raccolta dati di un sociodramma ci sono due gravi incompletezze: individuano un numero limitato di membri (3 scelte per gruppo) e un numero limitato di tipologie di relazioni (chi porteresti con te in un viaggio?, chi inviteresti ad una festa?, da ci ti faresti accompagnare per un compito impegnativo?)[7]. L’idea di sociabilità[8] che ne discende è limitata agli ambiti empatico-emozionali, o quelli dinamico-organizzativi. Questa dicotomia è, anch’essa, prodotta del modello strutturalista che ha condotto a pensare i processi gruppali, orientati dall’empatia o dalla dinamica, come a due soli modelli di relazioni ben distinti e polarizzati. Ma se ci soffermiamo ad analizzare la dimensione dinamica notiamo in essa la compresenza di controllo e conflitto, se invece analizziamo la dimensione empatica ed emozionale troviamo sia l’espressività che l’introversione, che l’affettività. E, se analizziamo quest’ultima, vediamo al suo interno la fusionalità amicale, tipica della compagnia di amici, l’attrazione erotico sessuale tipica della coppia, l’amor paterno e l’amor materno, che sono modulazioni della relazionalità assolutamente lontane tra di loro.

Tenendo fede all’obiettivo della misurazione era stato messo a punto un test originale sulla quantità delle relazioni intersoggettive “qualitative” ed i risultati erano stati buoni. Ove si chieda infatti a ciascuno degli 8 ipotetici membri di un gruppo: “Quante persone nel tuo gruppo consideri davvero amiche?” senza che gli intervistati debbano dichiarare chi siano i presunti amici, e si sommino le risposte, si ottiene un numero che dice molte cose sulla personalità di quel gruppo. Il numero massimo possibile delle relazioni sarà, ovviamente, 56 (7 x 8), nel qual caso la relazione di amicalità è assoluta. Quasi mai si perviene a tale dato: un gruppo davvero unito nell’amicizia dichiara il 50% delle relazioni (e più è alto in numero più la percentuale si abbassa perché si alza la “fronda” dei membri poco coinvolti nelle relazioni ma, comunque, “appartenenti” al gruppo e, dunque, funzionali all’unità). Ma se la somma delle risposte si aggira sul 25 % (un totale di 14 scelte di amicizia) significa che il gruppo è, probabilmente, formato da due sottogruppi di 3 persone più la “fronda” ((3 x 2) + ( 3 x 2) +2, ad esempio) e dunque che tal gruppo diviso può essere potenzialmente conflittuale ove i sottogruppi agiscano come coalizioni. Se poi il valore è ancora più basso, 1l 12 o 15 % (la somma è da 7 a 9 relazioni di amicizia) significa che il gruppo non vive sull’unità tra persone ma su un focus attrattore interno (gli interessi, i valori, la cultura, l’ideologia) e che può rischiare di perdere consistenza ove lo sfondo unificatore vada per qualche motivo in crisi.

Il metodo della analisi qualitativa delle relazioni richiedeva però lo sforzo di categorizzare la diversità relazionale al fine di individuare la quantità di ogni singola qualità relazionale. La giustificazione teorica per tale operazione è ampiamente garantita dalla teoria sociologica dei frame e dalla teoria psicologica della analisi conversazionale.

La tipizzazione all’interno dei frames (espressione con cui Goffman indica cornici entro le quali si attuano episodi ricorrenti significativi) che definisce reciprocamente gli attori (che metacomunicano la loro posizione up o down, come insegna la Scuola di Palo Alto) ha spinto la teoria della doppia contingenza di Mead (ego si comporta secondo le aspettative di alter e viceversa) al suo punto di massima maturità. La teoria dei frame viene corroborata dalla psicologia dell’azione comunicativa [Austin, 1962], dal quale Habermas deriva la sua teoria dell’agire comunicativo [Habermas, 1986] che porta la pragmatica comunicativa a diminuire l’importanza teorica del contesto: tutto è comunicazione. La messa a fuoco è spostata sull’intenzionalità soggettiva del comunicatore: la comunicazione [Searle, 2000] è centrata sul suo “contenuto proposizionale”, a cui corrisponde lo stato psicologico del parlante.

Il frame è dunque il concetto ideale per servire da contenitore allo studio della relazione anche se è assolutamente necessario moderare tale radicale esclusione del contesto.

Ridurre la relazione all’atto linguistico (l'intenzione di chi comunica) significa rendere il contesto sempre più teoricamente rarefatto assimilandolo ad una ripetizione tipizzata dei singoli atti linguistici. La tipizzazione diventa così il luogo in cui azione e percezione dell’azione si rispecchiano l'una nell'altra e le generalizzazioni tipologiche hanno vita nelle rappresentazioni mentali degli individui e nelle rappresentazioni sociali dei gruppi. E questo è un danno per la sociologia: la tipizzazione comunicativa e relazionale si spalmerà in tutto il Mitwelt e non sarà del tutto esclusa nemmeno nell’Umwelt poiché, anche nella relazione più intima come quella della coppia, i partners incarnano “un certo tipo di uomo o di donna” [Schutz, 1974]. Questo scivolamento della tipizzazione, pur nel suo polimorfismo, può ricondurre, dopo un giro vizioso, ad uno strutturalismo ancor più rigido e preconcetto[9].

Non bisogna dimentica che la tipizzazione è un intervento cognitivo sulla realtà da parte dell’attore sociale ed un intervento interpretativo e teorico del ricercatore che la investiga. La categorizzazione teorica della tipizzazione è sempre e solo produzione di idealtipi. E cioè un “ordine sistematico” dei tipi esattamente come è stato spiegato da Weber nei paragrafi iniziali di Economia e Società.

Weber propone il tipo puro razionale, il tipo legalitario (logico deduttivo), l’emozionale (intuitivo e improvvisatore) e il tradizionale (consuetudinario) e, se li avesse visti in relazione con altri all’interno di frame, avrebbe idealtipizzato, oltre alle tipizzazioni del soggetto anche le tipizzazioni delle sue relazioni come “idealtipi”.

Lo studio della “quantità della qualità” delle relazioni, è stato realizzato attraverso la costruzione di relazioni idealtipiche tra i precedenti idealtipi. E diverse personalità in contatto tra di loro manifestano una certa gamma di possibili modalazioni relazionali di affinità e di opposizione. Esse sono derivate dalle teorie di psicologia sociale che discutono l’accettazione, il rifiuto, il conformismo, la squalifica, la manipolazione, l’oppressione, l’istigazione, la motivazione e demotivazione, la dominanza, la subordinazione, l’integrazione, la complementarità, il riconoscimento, l’incontro, ecc. e, per misurare queste diverse grandezze sono state costruite alcune batterie di item relazionali, ad esempio:

Quanti sono i suoi colleghi che ritiene professionalmente più competenti di lei?

Di quanti dei suoi colleghi è stato a casa?

Quanti dei suoi colleghi sono riusciti a capirla fino in fondo?

Con quanti dei suoi colleghi ha litigato (almeno una volta ed anche molto tempo fa)?

Con quanti dei suoi colleghi non vorrebbe collaborare gomito a gomito?

Con quanti dei suoi colleghi lavora bene e volentieri?

Di quanti dei suoi colleghi conosce almeno un familiare?

Con quanti dei suoi colleghi si è incontrato qualche volta al di fuori dell’orario di lavoro?

Di quanti dei suoi colleghi ha il numero di telefono o telefonino?

Item di questo tipo, scelti da un paniere di atteggiamenti relazionali (ricavati dall’analisi delle storie di vita) che ne contiene circa un centinaio, servono a quantificare ben 14 relazioni di affinità o di opposizione che possono insorgere tra i membri del gruppo, precedentemente tipizzati in sette copioni[10]:

L’INSOFFERENZA si verifica quando le persone si oppongono con costrutti articolati di comportamento. Quanto più uno è, intenzionalmente, ordinato, preciso, metodico, ripetitivo, tanto più l’altro è, intenzionalmente, confusionario, vago, innovativo e creativo. L’insofferenza intercorre tra il soggetto responsabile e controllato e il creativo indipendente (1 e 3). L’insofferenza produce litigio.

La DELUSIONE si impianta stabilmente quando le persone avevano interpretato, illudendosi, il comportamento dell’altro in sintonia con le proprie aspettative. La delusione può manifestarsi improvvisamente, a seguito di un inganno, ma cresce lentamente in piccole esperienze quotidiane, poco percettibili. La relazione di delusione reciproca corre tra l’intraprendente e l’espressivo (2 e 4). La delusione conduce al risentimento espresso attraverso la calunnia o il tradimento.

Il LOGORAMENTO è frutto di rapporti superficiali con manifestazioni appariscenti ed estetizzanti. E’ una certa immagine, un tono sempre “sopra le righe”, che logora le persone costrette a dare risposte all’”altezza della situazione”, mai del tutto vere o del tutto chiare. Il logoramento si tipizza tra il creativo indipendente e l’apatico (3 e 5). La fuga dal logoramento si traduce nel tentativo di mantenersi indifferenti, ma l’accumulo conduce a manifestazioni di isteria

L’EVITAMENTO è precostituita indisponibilità alla relazione. I motivi psicologici dell’evitamento sono: inibizione, incapacità di stabilire rapporti, eccesso di sensibilità, bassa autostima ma anche senso di superiorità, megalomania o superbia. L’espressivo ed il rassegnato si evitano reciprocamente (4 e 6). L’evitamento preclude ogni possibilità di vita comune.

Il FASTIDIO nasce dalla reattività di rifiuto “a pelle” di gesti, modi di fare, odori, rumori, sapori, immagini emanati da qualche persona. Conduce a rassegnazione e sopportazione ed al tentativo di mettere in atto l’allontanamento dall’altro. Il soggetto con forti propensioni all’attaccamento (adesivo) e l’apatico provano reciproco fastidio (5 e 7). Il fastidio si manifesta in atti di vendetta: piccoli dispetti o vere e proprie violenze

L’INCOMPRENSIONE è l’incapacità di trovare il motivo del comportamento che l’altro mette in atto. Sebbene sia chiaro ed evidente ciò che l’altro fa, non si capisce perché lo faccia, come sia possibile che l’altro non capisca che ciò che fa non è quello che si deve fare in quella circostanza. Il confronto è sterile perché ciascuno pensa: “Possibile che non capisca che…?”. Aumenta così la necessità di osservazione e di controllo del comportamento altrui, con vere e proprie ossessioni e modelli di comportamento paranoici. Il rassegnato che il controllato vivono nella incomprensione reciproca (6 e 1).

C’è EQUIVOCO nei comportamenti delle persone quando le azioni non sono sinergiche ed orientate allo stesso fine o, se orientate allo stesso fine, sono svolte in modi e tempi diversi. L’intraprendente e l’adesivo (eccesso di attaccamento) equivocano sul significato dei loro comportamenti (7 e 2). L’equivoco rende impossibile l’intesa e conduce alla caduta della fiducia, alla diffidenza, al sospetto ed alla ripetuta attuazione di comportamenti che danneggiano se stessi e gli altri.

Il RICONOSCIMENTO porta a scoprire che gli altri vivono le stesse emozioni. Si insegna il riconoscimento attraverso espressioni del tipo: “ Ma lei non si è accorto che…” spiegando il motivo per cui una terza persona manifesta un certo comportamento. Il riconoscimento è l’antidoto dell’equivoco: si basa sulla comprensione delle aspirazioni, delle frustrazioni e delle difficoltà dell’altro. Il riconoscimento si tipizza tra il sensibile rassegnato e il creativo indipendente (3 e 6).

La DISPONIBILITA’ scaturisce dall’apertura verso l’altro che rende possibile un’azione positiva senza che ciò costi molta fatica. Spesso è valutata nell’intenzione più che nel risultato. Consente di superare l’insofferenza. La disponibilità nasce nell’incontro tra l’espressivo e l’adesivo (4 e 7).

La COMPLEMENTARITA’ nasce dalla consapevolezza che l’uno farà le cose che non possono essere fatte dall’altro. Si fonda sulla serena accettazione che gli altri stiano facendo esattamente ciò che c’é bisogno di fare perché è utile per tutti. Lo sfondo della complementarità è la tranquillità e il realismo ed è l’antidoto alla delusione perché non si fonda su aspettative fantastiche. La complementarità vige tra l’apatico e il controllato (1 e 5).

L’INCONTRO è l’antidoto del logoramento perché presuppone la assoluta diversità delle persone, compresa l’estraneità dei modelli mentali e degli schemi d’azione, ma le impegna nell’obiettivo di scoprire che le diversità sono una potenza a cui ciascuno può attingere. L’incontro produce unità. L’incontro avviene tra il sensibile rassegnato e l’intraprendente (2 e 5).

La DIALOGICITA’ è possibile quando ci siano “cose da dire” e ci sia un contesto in cui possono essere dette. Una relazione in cui si discute di ogni cosa, non si litiga perché, anche di fronte agli idee o alle opinioni più divergenti, sa che è possibile condurre a buon fine la discussione. E’ l’antidoto all’evitamento perché diminuisce le tensioni, supera le impressioni troppo superficiali o troppo appariscenti. La dialogicità intercorre tra il creativo e l’adesivo (3 e 7).

L’INTEGRAZIONE è la base per una buona organizzazione (e non il contrario). Vi è integrazione quando nessuno travalica o tradisce le aspettative che l’altro aveva riposto su di lui: il gioco delle parti, dei compiti, delle funzioni e dei ruoli è armonioso. L’integrazione è l’antidoto del fastidio perché rispetta l’identità di ciascuno e mette tutti nella “giusta distanza relazionale” reciproca. Si attua tra controllo ed espressione (1 e 4).

La MEDIAZIONE costruisce il “senso comune” perché modera gli eccessi e stimola le energie necessarie per raggiungere un obiettivo. E’ l’antidoto all’incomprensione perché negozia i significati e libera dal controllo reciproco. Produce accordo. E’ la relazione tipica tra intraprendente e apatico (2 e 5).

Ciascuna di queste relazioni richiederebbe una analisi approfondita ed una discussione sulla sua epistemologia e sulla sua connessione con i copioni personali. La discussione, sviluppata altrove [Masini, 2000], conduce ad una visione della rete di relazioni di opposizione e di affinità tra i membri non dicotomiche su un solo asse ma su ben 14. Se si vuole disporre di tutte le potenzialità del soggetto occorre estendere, fin dove può consentirlo la precisione linguistica, le sfumature qualitative e, contemporaneamente, individuare un sistema di computazione in grado di rendere confrontabili questi dati con altri precedenti. Il motivo per cui non compaiono espressione come “rifiuto” o “conflitto” nella terminologia delle relazioni di opposizione è perché la realtà del rifiuto è molto più complessa e articolata: è evitamento?, è incomprensione?, è fastidio? è insofferenza? (Nei primi due casi, ad esempio, può essere aprioristica e pregiudiziale, nei secondi due termini relazionali, no; con il primo e il terzo vocabolo si suggerisce una distanza interumana più fisico-corporea, col secondo e il quarto si prefigura un rapporto più cognitivo). Il “conflitto” non è una opposizione modellata sul coglimento del vissuto altri (una anti-patia) ma l’esito di un processo oppositivo. E non tutte le opposizioni conducono al conflitto. Non solo, certi conflitti verbali, le dispute, fanno parte di una specifica relazione di affinità, la relazione dialogica.

Come si fa a confrontare queste grandezze relazionali con i grafi precedenti? Attraverso alcuni calcoli. Se si osserva la relazione C, di insofferenza, tra 1 e 3, (quantificata, nel test somministrato, dal numero di membri del gruppo che dichiarano di non voler collaborare gomito a gomito con un certo numero di colleghi) è possibile risalire alla misura dei lati A e B del triangolo considerandolo isoscele. Tale misura diventa in punteggio sull’asse 1 (controllo) e sull’asse 3 (indipendenza). A quel punteggio occorre però sommare gli altri punteggi ottenuti facendo la medesima operazione su tutti e sette i triangoli possibili per le relazioni di opposizione.

 

 

 

 

 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
 

 

 
Lo stesso procedimento deve essere svolto per le relazioni di affinità che formano altri sette triangoli. Il sistema è solo apparentemente chiuso e schematico giacché è sempre possibile individuare modelli di azione e di copione intermedi tra i tipi indicati, o esterni allo schema, e riconcettualizzare il sistema di calcolo sulla base di altri dati interessanti per l’analisi. E’ arduo, comunque, pensare di rendere lo schema ancora più ricco e sfumato nelle sue dimensione relazionali. Sulla base di 14 relazioni è stato già molto impegnativo individuare i vocaboli corretti per esprimere, a partire da una particolare modulazione di una emozione, il nucleo fondante di un copione e, da questo, consentire al lettore di entrare, con una corretta messa a fuoco, nel significato di una specifica relazione, senza dover ricorrere a estenuanti disquisizioni ed ad una messe infinita di esempi.

 

4 Il confronto tra le disposizioni dei membri e le loro relazioni

La ricognizione delle relazioni di gruppo mostra l’effettivo stato del gruppo e può essere comparata con la media delle disposizioni dei singoli membri.

Dopo aver elaborato i dati delle relazioni, trasformandoli in punteggi sugli assi del grafo a radar, è possibile, attraverso i calcoli precedentemente illustrati, costruire due grafi, rispettivamente per le affinità e le opposizioni, ed un terzo che contiene la media tra i due valori.

 In figura 4 sono riportati i tre modelli di grafo e gli istogrammi che rappresentano la ampiezza delle relazioni.

La struttura dei collegamenti tra tipo di relazione e modello di grafo è rappresentata in figura 5, nella quale le relazioni sono tracciate come “linee di forza che “spingono” il grafo ad assumere maggiore o minore valenza verso una o l’altra forma di personalità collettiva.

 Il calcolo è effettuato con due operazioni di moderazione dei dati. La prima è quello di moltiplicare il numero per l’inverso della media di risposte a quel determinato item, la seconda è quella di sommare i valori delle relazioni e conteggiare quanto ciascuna relazione vale in percentuale rispetto alle altre. In tal modo appaiono con evidenza le simmetrie tra affinità ed opposizioni ed è, quindi, molto semplice valutare il rapporto tra di loro.

Il rapporto tra le diverse relazioni è illustrato nell’istogramma di figura 4 dove sono indicati i valori delle relazioni e la loro ampiezza.

Concettualmente il grafo delle affinità rappresenta i punti di forza positivi nel gruppo e cioè quei rapporti tra persone che “tengono insieme”, per solidarietà meccanica, il gruppo; il grafo delle opposizioni rappresenta, invece, i rapporti interpersonali che tendono a disgregare il gruppo. Il modello di conteggio adottato, che si basa sulla percentuale con cui ciascuna delle 14 relazioni agisce nell’insieme, assume che, se vi è un forte sbilanciamento nella grandezza di una o più relazioni, l’intero grafo presenta una forma squilibrata; infatti l’eccesso di una relazione positiva coinvolge nello sbilanciamento anche relazioni di tipo oppositivo. In altre parole l’armonia di un gruppo è data dalla moderazione dalla presenza equilibrata di tutte le caratteristiche che corrisponde, anche nella sua struttura matematica per il bilanciamento proporzionale degli assi, alla moderazione degli eccessi, anche degli eccessi di “familiarita”, ovvero di relazioni di disponibilità, dialogicità, riconoscimento, ecc., che, per senso comune, vengono considerate positive. In questo modello il limite all’intensità di un certo tipo di relazione è dato dalla categoria di gruppo sociale in cui quel particolare tipo di gruppo è inscritto. All’aumento di relazioni di disponibilità, ad esempio, corrisponde anche un aumento di invischiamento gruppale, con contemporaneo aumento di equivoci, cosa che in un gruppo di lavoro non può considerarsi positiva.

Un aumento della affettività e della amicalità interna ha invece una funzione positiva in una famiglia, nella quale i valori delle relazioni (ed, ovviamente, gli item che li vanno ad individuare) sono diversi. Per questo motivo i valori delle relazioni vengono “moderati” attraverso la loro moltiplicazione con la media dei valori ottenuta in tipologia di gruppi similari. (In questo momento di ricerca sono in nostro possesso medie valide per quanto riguarda le classi scolastiche, le comunità, i gruppi di lavoro, sono invece in elaborazione le medie che riguardano le famiglie ed i condomini).

Se si compara il grafo della media tra affinità & opposizioni della figura 4 con il grafo della media delle disposizioni nel gruppo di Montequadro in figura 2 (ricalcolando i valori in percentuale per consentire la stessa scala) si può osservare uno scarto tra potenzialità delle disposizioni dei membri e attuazione delle relazioni (Figura 6).

Le qualità di intraprendenza nelle disposizioni dei singoli membri appaiono molto più alte di quanto non si siano realizzate nel gruppo di lavoro all’interno del quale sono, invece, emersi atteggiamenti di maggior rassegnazione. Il gruppo di operatori ha confermato questa caratteristica e l’ha descritta come un esito di maggior concretezza che ha salvaguardato il loro lavoro dall’eccesso di irruenza e di intraprendenza che li avrebbe portati a commettere errori. La loro lettura sembra coincidere con le rispondenze dei dati specialmente se le si rendono più evidenti ponendo l’asse dei valori su base 10. Nel grafo a destra si osserva come la struttura delle relazioni rimanga abbastanza equilibrata mentre quella delle disposizioni è evidentemente scomposta in modo critico.

 

In figura 6 sono rappresentate le linee delle disposizioni e delle relazioni in altri due dei servizi analizzati. Tali linee sono particolarmente significative perché presentano un certo livello di tensione tra lo stato attuale dei rapporti e il modello latente di gruppo (e cioè le relazioni che vi sarebbero tra quelle persone se le relazioni potenziali non fossero imbrigliate nel gruppo di lavoro). Lo scarto tra le linee dei grafi misura la differenza tra relazioni “in potenza” e relazioni “in atto” e su di esso può fondarsi l’ipotesi di misurare la “dimensione adattativa”, teorizzata ma raramente analizzata compiutamente, fin dagli anni ‘50. [Parsons, Schils, Bales, 1953], del gruppo all’ambiente. La linea delle disposizioni rappresenterebbe il “modello latente” di gruppo nel senso inteso dalle precisazioni proposte da J. Klein [1956] su questo argomento.

 

5 Il modello latente e la personalità collettiva

Ma allora un varco per la soggettività dentro lo strutturalismo ci può essere? Pur se insufficiente esso è sicuramente rappresentato dal concetto di “modello latente” a cui lo strutturalismo perviene attraverso un ragionamento opposto (top down) rispetto a quello utilizzato fin qui (che è bottom up). Le perturbazioni dinamiche del gruppo vengono riconosciute come causa del mutamento e vengono addebitate all’espressione nel gruppo di nuove informazioni e conoscenze che producono “distacco” (nel senso poi teorizzato da Elias) dalla riproduzione della struttura di ruoli, oppure nascono per l’innesco di processi affettivi all’interno del gruppo o per l’insorgenza di pressioni e comandi che mettono “sotto sforzo” l’equilibrio gruppale.

“Quando l’articolazione di uno qualsiasi di questi aspetti (adattamento, decisione o espressività, nel modello di Bales,[Bales, 1951:51], n.d.a) non è più sufficiente, per qualsiasi motivo, a conservare o sostenere il flusso totale del processo in corso, oppure quando vi sia un movimento affettivo abbastanza forte, si ha una modificazione del flusso, o processo, cognitivo-affettivo-conativo, nel senso di un restauro o ulteriore sviluppo degli aspetti insufficienti, o dell’espressione dell’eccesso di affetti. Corretta quella deficienza, o tolto quell’eccesso, il processo si modifica per correggere un altro difetto o superare un’altra barriera che sia di ostacolo al suo fluire”[11].

I termini utilizzati da Bales “cognitivo”, “affettivo” e “conativo”[12] designano le forze relazionali che imprimono alle relazioni potenziali e latenti quel particolare tipi di forma al gruppo e lo conducono verso fasi adattative, di decisione o espressive . Quando una di queste “categorie di attività …tende al massimo…il gruppo percepisce il bisogno di passare ad una diversa categoria di interazione. Se il gruppo non si accorge della necessità di cambiare il tipo di interazione si trova di fronte al problema della sopravvivenza: con cui si deve intendere, o la sopravvivenza di quel gruppo particolare, o la sopravvivenza di quel tipo di gruppo” [Klein, 1956: 193].

Ma da dove vengono le perturbazioni conative, espressive o affettive nello specifico del gruppo di lavoro? Se ritorniamo alle risultanze più penetranti della Contengency Theory le attribuivano a variabili organizzative, variabili istituzionali, variabili sociali, variabili tecniche e variabili individuali. L’insieme di queste variabili veniva discusso in termini di “ambiente” o “contesto” raggruppando in un’unica specie tutte le variabili influenti sul comportamento organizzativo. Il termine è , con evidenza, generico ma si può accettare se distinguiamo la compresenza nel “luogo sociale” chiamato “contesto” di: 1) la soggettività degli attori, data dai copioni di personalità (inclusi interessi e valori), 2) le pressioni tendenti a conformare i soggetti al loro ruolo per dare al gruppo la struttura più idonea per il raggiungimento dei fini. Queste due dimensioni della gruppalità possono essere riportate, con maggiore o minore precisione, in ragione dei metodi per la raccolta di dati, rispettivamente sulla linea delle disposizioni e sulla linea delle relazioni della personalità collettiva.

Dopo aver discusso i limiti della dialettica primario/secondario, ruolo/personalità, empatia/dinamica senza destituire tali concetti ma rendendoli parte di una morfologia relazionale polimorfa ai fini della ricognizione qualitativa, si è dimostrato come sia possibile pervenire ad un modello di 14 relazioni, le quali non si escludono l’un l’altra ma convivono con diverse ampiezze correlate tra di loro. L’articolazione delle relazioni dà una forma singolare ad ogni gruppo; tal forma è però sovradeterminata dal contesto specifico di norme, rappresentazioni collettive ed autocomprensioni del significato del gruppo da parte dei suoi membri che scolpiscono l’identità singolare all’interno di una “identità tipologica di personalità collettiva”.

La riduzione teorica che si vuol proporre è che l’emersione del modello latente di soggettività stia nello scarto tra le linee delle disposizioni e quelle delle relazioni e che, su queste basi, si possa proporre un modello generale di ricerca su ogni tipo di gruppo purché si comprenda che la struttura di gruppo obbedisce a criteri posti su due diversi livelli epistemologici:

1° Livello: le formazioni gruppali codificate (ovvero definite nella loro storia come raggruppamenti con norme, fini e rappresentazione sociale condivisa) hanno strutture, funzioni, cornici di definizione e significato e privilegiano certi tipi di relazione interpersonale piuttosto che altre in ragione dei loro fini[13]. Queste formazioni hanno nomi di senso comune che esprimono la loro identità di funzioni (famiglia, squadra, pubblico, gruppo di lavoro, ecc.) la quale corrisponde ad uno stato emozionale originario condiviso che le contraddistingue.

2° Livello: all’interno delle tipologie di famiglia, pattuglia, gruppo di lavoro, ecc. c’è una ampia oscillazione di stili di relazione che modellano i gruppi nelle illimitate possibili sfumature di esistenza. Esistono tanti modi di essere famiglia, gruppo di lavoro ecc. nei quali si manifestano modulazioni relazionali diversamente orientate. Ed ecco che: “Quel padre è così autoritario che ha trasformato la sua famiglia in una caserma!”, “E’ un imprenditore così aperto e generoso che la sua azienda è una famiglia!”, ecc.

-         Nel 1° livello epistemologico si può collocare quell’ampio spazio di attributi la cui riduzione, in lessico corrente, designa le tipologie “pure” delle formazioni sociali[14]. La riflessione di Simmel sulla determinatezza quantitativa del gruppo è qui rovesciata in senso qualitativo. A designare la personalità collettiva del gruppo, nel senso della forma storicizzata che i modelli di gruppo hanno assunto, sono gli specifici fini a cui si è conformata la specifica struttura di relazioni tra i membri. All’interno degli idealtipi ci sono differenze quantitative nel numero dei membri del gruppo ma ciascun tipo manifesta al suo interno funzioni di controllo, di attivazione, di rappresentatività, di fusionalità, di indifferenza, di passività e di attaccamento[15]. In alcuni casi si utilizzano termini che designano il luogo o la struttura fisica dove le persone concrete si riuniscono per dar vita a tal tipo di formazione:

 

 

  1. organizzazione gruppo di lavoro bureau ufficio ordinamento costituzione carcere collegio
  2. squadra pattuglia plotone commando ciurma squadriglia esercito sindacato
  3. consiglio riunione concistoro conclave sinodo consulto commissione comitato forum assemblea adunanza
  4. coppia gruppo di amici comitiva compagnia meeting incontro festa concerto spettacolo
  5. crocchio capannello insieme assembramento folla agglomerazione aggregazione gente
  6. attori individuali diffusi pubblico seduta maggioranza silenziosa common people
  7. famiglia comunità parentela condominio sodalizio confraternita congregazione fraternità corte domestico ospedale ricovero associazione lega mutua unione società

61 espressioni linguistiche, tra le tante rintracciabili nel nostro lessico, che designano categorie di raggruppamenti sociali disposte, con beneficio di inventario, in sette tipi a seconda delle relazioni interpersonali presenti al loro interno[16]. Si può notare anche un percorso che lega questi termini, in un progressivo cambiamento di tipo logico con il cambiamento delle caratteristiche delle funzioni e dei rapporti conseguenti.

I termini presentati corrispondono agli orientamenti disposizionali delle personalità collettive che sono esercitati sottoforma di ruolo sociale prevalente di quel tipo di raggruppamento. Il ruolo sociale principale di un sistema tecnico di ruoli è il controllo, della famiglia è affiliativo, di una squadra è la competizione, di un Consiglio è “tener insieme nella differenziazione”, di una coppia è la fusionalità, di un “insieme” è l’assenza di legami, di un pubblico è la recettività[17]. Il successivo elenco mostra le propensioni emozionale delle personalità collettive con una lettura che vede al loro interno l’espressione di una emozione di base[18]:

1. Personalità collettiva tipologica di gruppo orientata al controllo versus oppressione. Il gruppo si unisce intorno alle norme, produce norme stabili. Nei suoi eccessi il gruppo è rigido e rallenta ogni cambiamento attraverso controllo e autocontrollo.

2. Personalità collettiva tipologica di gruppo di attivazione strumentale versus competizione e confliggenza. Il gruppo è energico ed intraprendente, portatore di grande motivazione. Nei suoi eccessi sfocia nella aggressività verso coloro che impediscono la realizzazione dei suoi obiettivi. Il punto di arrivo è il bisogno di nemici esterni per non spostare il conflitto al suo interno.

3. Personalità collettiva tipologica di differenziazione verus individualismo. Si tratta di raggruppamenti con poca unità interna. Ciascun membro tende a sottolineare la sua specifica identità e la garanzia della continuità del gruppo è data dalla cornice che lo contiene. Può essere una cornice “proiettata” dai membri poiché consente loro di “definirsi” sulla base di una appartenenza ad una élite. Oppure concertata socialmente ed istituzionalizzata come nei gruppi di rappresentanza elettorale dove i membri, pur essendo uniti dalla stessa condizione di eletti, sono portatori di identità e di interessi differenti.

4. Personalità collettiva tipologica di gruppo fusionale versus simbioticità. Il gruppo può essere una sola coppia o diventare molto numeroso. I membri sono alla ricerca di un contatto personale per rispondere al desiderio di provare le emozioni dell’occasionale fusionalità e dell’incorporazione.

5. Personalità collettiva tipologica centrata sull’apatia versus indifferenza. Si presenta come un insieme di persone con una struttura inesistente o debole. A seconda dei rapporti che si innescano può evolvere in diverse direzioni.

6. Personalità collettiva tipologica dissolvente versus sottomissione. Gruppi poco visibili, formati da soggetti con rapporti anche intensi ma non attivi per eccesso di inibizione o per scelta o per mancanza di iniziativa. Pur se maggioranze possono rimanere sempre silenziose e invisibili

7. Personalità collettiva tipologica affiliativa versus dipendenza. Richiede una forte adesione al gruppo e un processo di duraturo attaccamento. Il legame tra le persone tende alla dipendenza reciproca e consente poca differenziazione.

- Nel 2° livello epistemologico si collocano le risultanti tra le relazioni in atti e le disposizioni di personalità delle persone che compongono quel singolare gruppo sociale famigliare, di lavoro, ecc. Questo è il luogo dove è più appropriato il termine di personalità collettiva (al primo livello è preferibile il concetto di identità di gruppo (o sua differenziazione sistemica), giacché l’identità precede la coscienza e di essa si ottiene l’autocomprensione nella sua essenza di fenomeno al quale si è già inscritti nel momento della presa di coscienza da parte dei singoli della esplicitazione del loro ruolo sociale nella identità di gruppo). Le personalità collettive di questo secondo livello epistemologico sono l’oggetto della ricerca qualitativa tendente a descriverne le caratterizzazioni particolari e, attraverso esse, individuare sotto categorie che possano funzionare da modelli per lo studio della comunicazione e dell’azione. Ci si riferisce ai tanti modelli di tipologia famigliare, alle tante modulazioni delle classi scolastiche, e così via. La diagnosi sull’equilibrio di una singolare personalità collettiva porta riconoscere quali possibili correttivi introdurre nelle relazioni per condurre il gruppo a maggior armonia con beneficio di tutti i suoi membri. Le personalità collettive singolari sono infatti il luogo specifico della socioterapia.

La citazione della Klein (la sopravvivenza di quel gruppo particolare, o la sopravvivenza di quel tipo di gruppo) ha ora due contesti chiari a cui riferirsi. Infatti, a seconda del tipo di gruppo, la sua personalità collettiva “tipologica” presenta valori ben differenti. Se una pattuglia di assaltatori manifesta tratti di personalità collettiva configgente non fa altro che obbedire al suo compito, ben diverso se ciò accade in una famiglia, dove sono mediante più alti i valori dell’affiliazione, la quale ha valori medi più bassi in un gruppo di lavoro, che, invece, ha valori più elevati nell’asse del controllo, e così via. Il varco per la soggettività e per il costruzionismo all’interno della teoria dei sistemi sociali può essere praticato solo però laddove si tenga presente una non schematica riduzione della qualità delle soggettività e delle relazioni. In quest’ottica anche il concetto di frame non si presenta più come una nicchia e può arricchirsi di varie modulazioni nelle sequenze conversazionali: esso non è, infatti, equivalente in tutti i raggruppamenti ma esistono entro certi range dei frame al di sotto, o oltre i quali, la personalità collettiva si frantuma e il gruppo perde il suo significato, si contamina con relazioni improprie, modifica i suoi scopi o si scioglie. Solo un poderoso numero di dati per ciascuna tipologia di gruppo potrà consentire di individuare il break point della gruppalità specifica di ogni categoria e sottocategoria, per ora la tensione tra le linee conduce solo a capire lo stato effettivo e lo stato latente dei rapporti.

 

6 Grafi di personalità e storie di vita

L’occasione di analizzare un gruppo di lavoro, che denomineremo “ufficio”nei suoi diversi aspetti relazionali e di efficienza consente di applicare nella specificità di un gruppo gli strumenti di ricerca qualitativa e quantitativa descritti in precedenza sotto la dizione di analisi di “personalità collettiva”.

Il lavoro si è svolto in Roma, sotto la supervisione del Direttore dell’ufficio, allo scopo di individuare le strutture di relazione che rendevano critica l’efficienza e impedivano un buon svolgimento dell’attività del gruppo di lavoro.

Il servizio “ufficio” è composto da 8 persone, un altro membro, che ruota intorno al gruppo non ha accettato di partecipare alla ricerca-intervento estraniandosi dall’analisi e dal conseguente processo di formazione. In ragione del fatto che il servizio è pubblico ed in esso sono rispettati più che altrove i giusti diritti della persona, non è stato possibile operare nessun convincimento, anche il più aperto e dialogato, per far partecipare quest’ultimo soggetto all’intero processo.

Ciò ha costituito disturbo, non tanto sul piano dell’analisi, quanto su quello dell’intervento di armonizzazione delle relazioni nel gruppo.

L’”ufficio” è collocato al primo piano di un grosso edificio amministrativo di cui l’”ufficio” è parte, pur svolgendo le sue funzioni in modo autonomo: il suo lavoro amministrativo è però essenziale per il funzionamento di una buona parte dell’intera macchina organizzativa collocata nell’edificio. I membri del gruppo di lavoro occupano tre stanze: nella prima lavorano la responsabile del gruppo ed altri impiegati (uno dei quali svolge funzioni di accoglienza al pubblico), nella seconda lavorano tre persone ed in essa è ubicata la fotocopiatrice che ha una importante funzione nel lavoro complessivo, in una terza, in una scrivania a fianco di quella del Direttore, una terza impiegata.

La prima immagine ricavata è stata quella di una consistente quantità di lavoro svolto da questo personale e di una nutrita serie di problemi per la divisione dei carichi di lavoro. A questa visione si accompagnava quella di una distribuzione nello spazio dei diversi addetti, non razionale. Il dato più evidente era l’impossibilità di controllo, da parte del responsabile, sul lavoro svolto nelle altre due stanze, in ragione della non presenza fisica e dell’impossibilità di muoversi nello spazio per il particolare carico di lavoro assunto in prima persona dalla responsabile medesima.

Allo stesso modo appariva difficile anche la cooperazione. La mancanza di visibilità tra i diversi addetti sicuramente poteva favorire attribuzioni, non verificabili, circa il lavoro effettivamente svolto nelle altre stanze.

Dai colloqui e dalle storie, raccolte nel corso della analisi, emergevano descrizioni caratterizzate, come sempre nei gruppi di lavoro, da sfumature, messaggi interpersonali impliciti, “non detti”, comunicazioni strategiche, complicità in coalizioni, possibili squalifiche, ecc

Nonostante ciò il clima nei colloqui è sempre stato disteso e sereno ed ha consentito di conoscere in profondità i vari membri con aperture di conoscenza sulla loro storia personale e famigliare. L’intervento del formatore appariva come occasione di confronto su questioni generali della vita personale da non perdere e ciò ha consentito l’instaurarsi di una buona confidenza e l’esercizio di una attività di counseling richiesta con cordialità e, con altrettanta cordialità, esercitata.

Tale confidenzialità ha favorito la raccolta di dati sulle storie di vita e la somministrazione dei test sulla personalità e le disposizioni dei vari membri.

I dati di tali test sono raccolti in figura 7 dove vengono presentati i grafi, con a fianco alcuni tratti estremamente sintetici della storia di vita (raccolta in colloqui della durata di 1 ora e mezza ciascuno) e l’interpretazione delle linea del totale del grafo[19].

L’interpretazione del grafo di personalità e la storia di vita rendono piuttosto bene l’idea del comportamento dei diversi membri del gruppo e consentono di entrare nel loro mondo. Naturalmente i nomi sono inventati.


 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

Possiamo ora riunire i diversi grafi in un solo schema ed osservare la media delle disposizioni (il tratto grigio con maggior spessore di figura 8.). I valori sui singoli assi (calcolati sulla base delle percentuali di composizione dei grafi dei singoli) risultano:

14,30, sulla responsabilità e il controllo, 16,03 sull’intraprendenza e sull’aggressività, 13,05sulla indipendenza e creatività, 12,89 sull’asse dell’espressività, 13,83 sull’asse della tranquillità e della convenzionalità, 16,35 nella dimensione della sensibilità personale e del sostegno ad altri, 13,52 sull’attaccamento e sulla disposizione all’affettività.

I volti più alti sono sulla sensibilità e sul sostegno, seguiti da quelli sull’intraprendenza e la aggressività.

Scomponendo i dati nelle dimensioni delle affinità e delle opposizioni appaiono i sottografi di figura 9 che spiegano con chiarezza il fatto che la crisi possibile del gruppo (il gruppo latente) non è determinata dalla sensibilità o dalla motivazione (asse 6 e asse 2) quanto da elementi di rassegnazione (dunque parte dell’asse 6 e di scanzonatura e superficialità che non apparivano chiari nella lettura complessiva del grafo unificato). Vedremo in seguito come queste caratteristiche siano importanti per la comprensione del gruppo.

A conferma di questa importanza valga il conteggio delle relazioni prevedibili tra le persone che vedono con il più alto punteggio le possibilità oppositive di equivoco e incomprensione e le possibilità di trovare incontro e riconoscimento. L’equivoco tra questi soggetti potrebbe sorgere laddove qualcuno cerchi conferme affettive, e l’altro intenda la sua richiesta in termini di aiuto o vanteria professionale, l’incomprensione, che si apparenta al precedente equivoco, quando il silenzio e l’autocontrollo di qualcuno possa essere vissuto come critica implicita o atteggiamento di sufficienza o squalifica o calcolo delle proprie personali opportunità. I dati delle relazioni possibili sono contenuti nella successiva tabella delle disposizioni potenziali (gruppo latente) e rappresentano la media delle relazioni all’interno del gruppo.

 

INCONTRO

29,73527

INCOMPRENSIONE

28,15888

MEDIAZIONE

27,43938

EQUIVOCO

27,15513

RICONOSCIMENTO

27,02419

EVITAMENTO

26,88312

DELUSIONE

26,58868

COMPLEMENTARITA'

25,83838

INSOFFERENZA

25,12093

FASTIDIO

25,11629

INTEGRAZIONE

24,97794

LOGORAMENTO

24,68491

DIALOGICITA'

24,39497

DISPONIBILITA'

24,25119

 

 

 

 

 

 

Incrociando le relazioni tra i membri emerge la seguente tabella delle prevalenti affinità ed opposizioni:

 

INCROCI RELAZIONALI DI AFFINITA’ E OPPOSIZIONE TRA I MEMBRI DEL GRUPPO

 

Riccardo

Anna

Luisa

Franca

Sandra

Aldo

Sonia

Flavia

Riccardo

X

Opp

Opp

Opp

Aff

Aff

Aff

Opp

Anna

Opp

X

Aff

Aff

Aff

Opp

Opp

Aff

Luisa

Opp

Aff

X

Aff

Opp

Opp

Opp

Opp

Franca

Opp

Aff

Aff

X

Opp

Opp

Opp

Aff

Sandra

Aff

Aff

Opp

Opp

X

Aff

Aff

Opp

Aldo

Aff

Opp

Opp

Opp

Aff

X

Opp

Aff

Sonia

Aff

Opp

Opp

Opp

Aff

Opp

X

Opp

Flavia

Opp

Aff

Opp

Aff

Opp

Aff

Opp

X

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra queste vengono riportate quelle più significative

 

TIPI PREVALENTI DI RELAZIONI INTERSOGGETTIVE TRA I MEMBRI (valori più alti)

 

 

RICCARDO

ANNA

LUISA

FRANCA

SANDRA

ALDO

SONIA

FLAVIA

RICCARDO

X

Incom

Delus

Equiv

Incom

Compl

Compl

Integr

Delus

ANNA

Incom

Delus

X

Incontro

Incontro

Integr

Integr

Evitam

Evitam

Incont

LUISA

Equiv

Incontro

X

Dispon

Incontro

Incom

Fastid

Equiv

Delus

Equiv

FRANCA

Incom

Incontro

Integr

Dispon

Incontro

X

Incom

Evit

Logor

Evitam

Incont

SANDRA

Compl

Integr

Incom

Incom

Evit

X

Compl

Compl.

Insoff

Logor

ALDO

Compl

Evitam

Fastid

Logor

Compl.

X

Delus

Equiv

Mediaz

SONIA

Integr

Evitam

Equiv

Delus

Evitam

Compl.

Delus

Equiv

X

Equiv

Delus

FLAVIA

Delus

Incont

Equiv

Incont

Insof

Logor

Mediaz

Equiv

Delus

X

 

Dopo l’analisi dei grafi delle disposizioni si è somministrato il questionario sulle relazione intragruppali. Con tale strumento si è studiato quali fossero davvero le relazioni in atto e, successivamente, quale lo scarto tra gruppo reale e latente.

Dalle relazioni in atto compare, con evidenza, che non sono i soggetti portatori di impegno e di intraprendenza a costituire minaccia potenziale per la stabilità del gruppo.

Le relazioni di affinità legano bene tra di loro i membri motivati e costituiscono un importante collante per l’unità del gruppo. Il gruppo non lavora in modo sereno e pacifico e non riesce a massimizzare l’organizzazione del lavoro, pur essendoci una buona indipendenza delle persone tra di loro che potrebbe costituire la base per una dialogicità e per una disponibilità verso l’aiuto reciproco.

 

I problemi che scaturiscono dalla analisi delle opposizioni sono essenzialmente di due tipi: da un lato una spinta all’organizzazione ed alla divisione del lavoro viene vissuta come rigidità, dall’altro il processo denominato di “scanzonatura”, ovvero di deresponsabilizzazione, di superficialità, di pseudoallegria facilona funziona come un processo corrosivo nel gruppo e si salda alla demotivazione ed alla rassegnazione. Ciò significa che l’intervento di cambiamento deve mirare alla redistribuzione delle personalità nel gruppo cercando di ottenere il risultato di contenere le spinte corrosive attraverso la visibilità dei modi di fare e degli atteggiamenti dei singoli membri.

I valori delle singole relazioni confermano che, a fronte di un ottimo livello di incontro interpersonale e altrettanto buona dialogicità, vi è un elevato grado di invisibile fastidio e di incomprensione. L’equivoco possibile, presente nelle disposizioni, non è in atto e rimane latente ma si è incredibilmente compressa la capacità di mediazione all’interno del gruppo, il riconoscimento reciproco nelle attività di lavoro e la complementarità (che è la ragione per cui ciascuno fa il suo lavoro sapendo che anche l’altro produce senza la necessità, o il timore, di dover fare tutto da soli). Anche l’integrazione (che si fonda sulla capacità di dividere il lavoro) giunge a valori molti bassi. In quest’ottica la stessa valenza positiva della dialogicità può trasformarsi in processo di estenuante discussione che non conduce in nessun luogo e che non fa assumere alla struttura del gruppo nessuna forma stabile e precisa. La tabella successiva mostra l’importante schiacciamento di talune relazioni rispetto ad altre e l’effetto complessivo potrà essere visualizzato nei successivi grafi di personalità collettiva.

 

INCONTRO

31,70732

DIALOGICITA'

29,26829

FASTIDIO

16,07143

INCOMPRENSIONE

15,17857

DELUSIONE

15,17857

EVITAMENTO

15,17857

INSOFFERENZA

14,28571

LOGORAMENTO

13,39286

INTEGRAZIONE

12,19512

EQUIVOCO

10,71429

DISPONIBILITA'

8,536585

COMPLEMENTARITA'

8,536585

RICONOSCIMENTO

7,317073

MEDIAZIONE

2,439024

 

E’ adesso interessante osservare la comparazione tra personalità collettiva centrata sulle disposizioni e personalità collettiva centrata sulle relazioni in atto illustrate in figura 12.

 

Con l’asse su scala 10 gli scarti tra gruppo reale e gruppo potenziale sono molto più evidenti e riguardano molti aspetti della personalità collettiva. In primo luogo le relazioni tra i membri potrebbero essere decisamente molto più armoniche di quanto non siano. Complessivamente, infatti, il gruppo potenziale (latente) manifesta una miscela di personalità capaci di un buon grado di equilibrio. Nella realtà delle relazioni del gruppo questo non avviene e, nello specifico, non avviene proprio su due assi indispensabili ad un buon lavoro amministrativo: l’asse dell’organizzazione e della responsabilità e l’asse della tranquillità e della convenzionalità. Le relazioni in atto si sbilanciano pericolosamente nell’invischiamento dei sottogruppi, nella rassegnazione rispetto allo stato attuale del gruppo e nell’indipendenza che non è altro, probabilmente, che un progressivo chiamarsi fuori dal contesto da parte di molti.

La “terapia” di gruppo consigliabile è centrata essenzialmente sul far apparire le personalità dei singoli per quelle che esse sono, liberando i sottogruppi dagli invischiamenti. Potrebbe giovare a tutti la discussione franca all’interno di un gruppo di incontro o tentare di produrre occasioni conviviali nelle quali le persone potrebbero riconoscersi come persone ed aumentare la disponibilità reciproca. Il secondo intervento è quello di dare un altro assetto organizzativo mettendo le persone in condizione di vedersi nello svolgimento del lavoro e, al contempo, di esercitare controllo ed intervento organizzativo sulle attività dei singoli. La riorganizzazione dei locali potrebbe efficacemente funzionare se tutti i membri del gruppo fossero disposti in un unico grande locale con possibilità di scambio visivo. Ciò potrebbe prevenire anche situazioni di istigazione di qualcuno verso altri membri o altri sottogruppi.

 

7 La storia

Nella storia di vita del gruppo emergono alcuni episodi che confermano con forza la diagnosi fatta attraverso i test sulla personalità collettiva.

Dalle risultanze dei colloqui è emerso che SANDRA ha in corso un conflitto, che dura da anni, con FLAVIA. Quest’ultima si sente sola rispetto alla protezione da parte di altri membri del gruppo, specialmente per le squalifiche che sente da parte di RICCARDO (che saldamente appartiene al sottogruppo con LUISA, FRANCA, ANNA), ed ha alcune questioni aperte con SONIA, la quale è visibilmente istigata da SANDRA.

Per LUISA, la responsabile, è quasi impossibile decentrare il lavoro perché ha pochi contatti con l’altro sottogruppo formato da SANDRA, SONIA e ALDO. FRANCA potrebbe avere un ruolo importante nell’amalgamarsi del gruppo e potrebbe ricoprire un incarico di responsabilità ma si sottrae dall’intervento attivo per remore personali. ALDO si lascia istigare da SANDRA che utilizza i suoi risentimenti personali per la sua lotta contro FLAVIA. Un episodio è particolarmente significativo. FLAVIA sta ricevendo un ospite importante ed è insieme a lui ed al Direttore; nasce la necessità di fotocopiare alcuni documenti e FLAVIA approfitta dell’ingresso occasionale di ALDO nel suo ufficio per chiedergli di fare le fotocopie, ALDO si reca nel suo ufficio (che è anche quello di FLAVIA e SONIA). Al ritorno manifesta un forte risentimento che non esprime verbalmente a FLAVIA ma che trasmette a tutti i membri del gruppo: “FLAVIA non doveva trattarmi così perché io sono più anziano di lei e sono suo pari grado, non sono il suo fattorino.” FLAVIA non verrà messa al corrente del risentimento di ALDO che dopo un lungo periodo e, nel frattempo, si sentirà progressivamente minacciata da qualcosa che è successo nel gruppo e lei non sa cos’è.

Un secondo episodio di forte conflitto è significativo della condizione di organizzazione del gruppo. La Direzione delibera che alcuni fondi in esubero, accantonati da un altro capitolo di spese su una commessa alla quale hanno lavorato alcuni membri del gruppo, vengano distribuiti al personale di questi uffici. Le cifre non sono alte ma divengano il pretesto per far divampare il conflitto. Entra qui in gioco il personaggio che non ha partecipato alla ricerca e che, pur non avendo svolto nessun particolare ruolo nella commessa da cui provengono i fondi, chiede che i fondi siano distribuiti in modo egualitario a tutti i membri del gruppo perché “Così dice la delibera”. SANDRA sposa questa tesi e coinvolge FLAVIA, che pur rivale da sempre, sentendosi non protetta dal resto del gruppo (l’episodio delle fotocopie è significativo), si slancia con enfasi ed energia verso l’obiettivo: “I soldi debbono essere divisi egualitariamente!”. Il suo è un atteggiamento di risentimento psicologico, con parziale attrazione verso il denaro (è notorio quali contese nascano negli uffici anche di fronte a differenze minime di retribuzione). La mediazione intorno ad una divisione che percentualizzi in modo diverso la modalità di distribuzione della gratifica (70% a chi ha lavorato davvero nella commessa e 30 % a chi non ha lavorato direttamente) accende ulteriori dissidi perché, viene detto, non sono state date mansioni precisi e ordini di servizio espliciti ai membri del gruppo che si sarebbero poi occupati di tal lavoro. Il dibattito si infervora ulteriormente: “Allora occorre che vengano dati precisi ordini di servizio tutti i giorni e su tutti gli specifici lavori da effettuare perché qui c’è chi fa tutto e chi non fa niente!”. E ciò determina lo scoramento di LUISA nella concreta impossibilità di fronteggiare il carico di lavoro costituito dal redigere ordini di servizio in un gruppo di lavoro dove le attività sono estremamente interconnesse.

 

8 Conclusioni

La ricognizione attraverso il modello delle personalità collettive può consentire di misurare quanto accade nei gruppi attraverso la somministrazione di due test. Ciò che si ricava è simile a quanto viene raccolto percettivamente da parte di qualunque buon coordinatore di gruppo di lavoro.

Il grafo migliora però la percezione: spesso il coordinatore è talmente interno al gruppo che non riesce a distanziarsi sufficientemente e valutare appropriatamente quale sia lo stato di salute del gruppo.

La nostra ricerca ha studiato ed elaborato due serie di dati che sono andate a comporre le linee delle disposizioni latenti e quelle delle relazioni in atto: manca l’analisi della leadership, delle tecnologie utilizzate, del processo di organizzazione, delle culture e dei flussi comunicativi. Questi dati possono essere rintracciati mediante le tecniche degli analisti di organizzazione. Anche se occorre tener presente che il gruppo non vive in astratto ma nel concreto delle relazioni intragruppo ed intergruppo e che molte grandezze rilevate attraverso l’analisi delle disposizioni e delle relazioni contengono già dati sui mezzi, sui fini, sulla struttura organizzativa, sulla cultura e sulla leadership. E’ necessario riflettere se sia il caso di scorporare questi elementi dai due test e tracciare una terza linea sul grafo, nella quale disegnare gli indicatori più strutturali. Non è una scelta facile perché le rappresentazioni collettive che i membri hanno della struttura e del senso del gruppo derivano dalla cultura organizzativa strutturalista (l’unica in circolazione nel senso comune) ed obbediscono a proiezioni positive o negative in funzione della loro personalità e della loro soddisfazione nell’essere membri del gruppo. Si rischia così di ritornare alle due linee delle disposizioni e delle relazioni. Oppure, laddove si voglia definire il gruppo in termini di aderenza alle sue funzioni, attraverso i suoi scopi e le sue interdipendenze dal sistema in cui è contenuto, si rischia di ritornare ad un criterio centrato sulla struttura.

Il nostro lavoro mostra come l’analisi della qualità delle relazioni e dello stato di un gruppo possono essere valutati scientificamente e dimostra come la qualità relazionale di un gruppo sia misurabile in funzione dello scopo del gruppo. I due livelli epistemologici delle personalità collettive hanno una intima relazione tra di loro, a due vie: la struttura relazionale del gruppo può modellarsi in funzione delle personalità (ed è questo il caso di una buona organizzazione che sa mettere l’uomo giusto al posto giusto, potenziando le sue qualità in funzione degli obiettivi del gruppo); la struttura delle relazioni può modificare le personalità dei suoi membri (è il caso di tutte le strutture riabilitative, educative, comunitarie e di addestramento nelle quali, per condizionamento persuasivo, per sviluppo cognitivo o per dipendenza dall’appartenenza, le persone si conformano alle norme del gruppo per obbedienza, per crescita culturale o per condiscendenza).

Lo strumento costruito può essere utilizzato nelle analisi di qualità che si stanno diffondendo all’interno dei servizi o delle aziende. La finalità è quella di far emergere la qualità della relazione in rapporto con la mission del servizio; questione che in tempi di insoddisfazione del clienti, di burn out e di mobbing è, a dir poco, rilevante. Specialmente di fronte ad analisi di qualità posticce e costruite con benevolenza verso il committente. Che circolino studi di qualità sociorelazionale, firmate da ingegneri, capaci di mescolare la valutazione dell’ampiezza dei parcheggi con la qualità, “percepita” dagli operatori, del grado di soddisfazione del cliente raccolte, ambedue, su scale graduate a 5 scelte e trasferite su istogrammi tanto voluminosi quanto inutili, è una offesa alla ricerca sociale sull’organizzazione.

Questo si presenta come il risvolto fattuale nelle nostre contingenze temporali della ricerca presentata, necessariamente da migliorare, ma costruita allo scopo di dimostrare che si può “quantificare la qualità”.

 

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[1] Nella voce “Strutturalismo” di Epistemologia della tolleranza Costantino Cipolla scrive: “ Strutturalismo come epistemologia che tende impropriamente a deificare le componenti costitutive dei fenomeno sociali, che trasforma le azioni umane in prodotti derivati dagli impegni indispensabili del sistema sociale, che cancella o riduce a briciola la coscienza umana elevando la mente senza soggetto a governo non evitabile” [Cipolla, 1997: 2907].

[2] E’ interessante l’apparizione sulla scena della riflessione sociologica di un autore come Voegelin, amico di Parsons e di Shutz con i quali intrattenne una nutrita corrispondenza sui temi in questione. Voegelin, come ben descritto dal recente lavoro di Morandi, sostiene che “la partecipazione all’ordine sociale – che ogni membro della società trova già costituito – emerge come interrogazione sul “senso fondamentale” della realtà umana che egli partecipa” [Morandi, 2000: 81]. Tale interrogazione scaturisce dall’esperienza delle relazioni umane in cui l’uomo si trova già inscritto; le relazioni sono parte di un ordine simbolicamente rappresentato in esse che orienta l’agire sociale degli attori. L’interrogazione sul senso è già soggettività.

[3] Il concetto di gruppo, dice Gallino, in ossequio a tutta la tradizione sociologica da Cooley a Homans, a Sorokin, aGurvitch, indica “uno stadio associativo più avanzato della massa, della folla, del pubblico e però, anteriore rispetto agli stadi della associazione, dell’organizzazione e della istituzione” [Gallino l., Dizionario di sociologia, UTET, Torino, p. 326]. Al di là del fatto che il termine “gruppo” possa essere applicato ad ogni forma di raggruppamento sociale, la sola progressione quantitativa delle relazioni e delle interdipendenze non spiega le soglie tra gli stadi e non descrive la dimensione qualitativa delle relazioni e delle culture gruppali.

[4] Un test derivante dal Questionario di artigianato educativo, costruito per percorsi di orientamento mediante l’analisi delle disposizioni individuali

[5]           Memoria - reattivita' primaria - abilita' - coerenza interna - immagine di se' - rapporto con lo svolgimento degli eventi - rapporto con gli ambienti - rapporto con gli oggetti - rapporto con le istituzioni e il potere - contesti ordinari e quotidiani - rapporto con il lavoro - contesti non ordinari – progetti - rapporto con utensili, apparecchi e tecniche - rapporto con il cibo - movimento dell'emozione di base - relazioni strette - gruppo - nuove conoscenze - gli altri mi.. - io verso gli altri - fare per gli altri - gli altri mi considerano - capisco se...- scelgo le persone che..

 

[6] Le uniche esperienze di costruzione di gruppo con questo procedimento sono state effettuate in classi scolastiche negli istituti superiori.

[7] Un terzo limite del sociodramma è la dichiarazione che i membri debbono dare alle loro scelte che imprime una pressione distorcente sulle relazioni gruppali. Il fatto di essere scelti o rifiutati da un altro membro determina un forte cambiamento degli atteggiamenti verso la gruppalità in una fase in cui l’analisita di gruppo non ha ancora ultimato la sua indagine e non ha scoperto in quale direzioni sia più giusto orientare il gruppo.

[8] Per sociabilità si intende “la proprietà relazionale delle reti che costituiscono una forma associativa, in base alle quale esse sono capaci di generare determinati beni sociali” [Maccarini, 1996: 100].

 

[9] Valga per tutti l’esempio delle teorie dell’etichettamento: nate per comprendere la soggettività del percorso che conduce alla devianza, dopo aver analizzato il rinforzo a tal soggettività prodotto dall’etichettamento sociale, giungono ad ipotizzare un etichettamento sociale pregiudiziale sui soggetti provenienti da strati sociali poveri o da culture non integrate e concludono con una visione strutturale (di stratificazione sociale) della devianza. Scostandosi dall’originaria teorizzazione di Lemert sulla devianza secondaria (il rinforzo prodotto dalla rappresentazione sociale interiorizzata della devianza primaria), ben lungi dall’ipotesi di Maztda sulle fasi del processo di devianza, tutti comportamenti devianti diventano secondari già in Becker e, dopo di lui, la tipizzazione dei frame perde efficacia euristica per lo studio delle azioni soggettive.

[10] I sette copioni hanno infatti tra loro 42 (6 x 7) relazioni univoche e cioè 21 biunivoche, escludendo le 7 relazioni di ciascun tipo con i tipi adiacenti nel perimetro del grafo (che funzionano da rinforzo e conferma dei copioni per le somiglianze) restano 14 modelli di relazione.

[11] Bales, R., Parsons T., Schils E., (1952) Working Papers in the Theory of Action, The Free Press, Glencoe, citati in Klein

[12] Le linee di azione conativo, espressiva e affettiva, ove disposte sul grafo, agiscono settorialmente su gruppi di lati adiacenti e descrivono l’azione dei tre principali strumenti di lavoro sui gruppi: le tecniche del gruppo di lavoro, del gruppo di formazione e del gruppo di incontro.

Nella analisi dei gruppi non sembra però possibile ricondurre a sole tre dimensioni lo studio. Anche le sette proposte sembrano insufficienti per raccogliere la complessità di configurazioni organizzative e di stili di relazione interpersonale.

Il richiamo alle tre figure di Parsons e Bales è però importante ai fini dell’intervento pratico sui gruppi giacché, in linea di massima, le strutture di intervento poste in essere dai diversi tipi di leadership si riconducono a tali tre categorie ed a miscele tra le suddette. Nel modello delle p.c. la leadership è considerata solo nei suoi risvolti di funzionalità per l’adattamento del gruppo potenziale verso le caratteristiche della configurazione gruppale richiesta. Il leader, che ha la sua personalità computata tra le linee delle disposizioni, colloca il suo ruolo nello scarto tra le linee delle disposizioni e delle relazioni.

 

[13] Per comprendere l’ottica in cui porsi nello studio delle personalità collettive occorre l’atteggiamento del ricercatore che analizza ciascun gruppo con lo stesso atteggiamento di un marziano che, caduto sulla Terra, osservasse gruppi di 5, 6, 8, 10 persone e dovesse trovare i criteri per riconoscere in essi: una famiglia?, un insieme di persone che aspetta un autobus?, una pattuglia militare?, un gruppo di lavoro? una comitiva di amici? una giunta comunale? un consiglio di amministrazione?. Quali indicatori per capire il tipo di relazioni e la dinamica gruppale interna? E, nella fattispecie dell’analisi di personalità collettiva di un gruppo di lavoro, qualora quel marziano avesse scelto che quel gruppo è “un gruppo di lavoro”, come individuare le proprietà organizzative e relazionali di quello specifico gruppo in quel momento della sua storia. Quale il suo equilibrio interno? e quali caratteristiche mancano (o eccedono) in quel di gruppo e come fare per migliorarlo? deve essere più “famiglia-comunità”?, deve aumentare le relazioni amicali vivendo qualche momento come comitiva? deve aumentare la differenziazione interna perché tutti i membri hanno gli stessi atteggiamenti e impediscono la crescita? o, al contrario, deve mitigare la differenziazione per far crescere l’identità di gruppo, l’unità, la motivazione finalizzandosi al raggiungimento degli obiettivi prefissati?

[14] G. Simmel, discute della determinatezza quantitativa del gruppo proponendo una riflessione, senz’altro attuale, sulle grandezze numeriche che agiscono come forma di organizzazione. “A ogni numero determinato di elementi corrisponde, secondo lo scopo e il senso della loro unificazione, una forma sociologica, un’organizzazione, una stabilità, un rapporto del tutto con le parti ecc.. Poiché noi non possediamo un’espressione particolare per designare ognuno di questi stati sociologici infinitamente numerosi, anche quando esso è osservabile nel suo carattere, spesso non rimane altro da fare che concepirlo come composto da due stati, il primo che ci dice, per così dire, di più e l’altro di meno… Dove i concetti coniati per designare le unità sociali – come quelli di incontro e società, compagnia e esercito, cricca e partito, coppia e banda, seguito personale e scuola, gruppetto e assembramento di massa – non trovano un’applicazione sicura perché il materiale umano sembra essere troppo scarso per l’uno ed eccessivo per l’altro, esiste tuttavia una formazione sociologica altrettanto unitaria, altrettanto corrispondente in maniera specifica alla condizione numerica come in quei casi più netti. Soltanto la mancanza di un concetto particolare per queste innumerevoli sfumature ci costringe a designare le loro qualità come una mescolanza delle forme che corrispondono alle formazioni numericamente più esigue a quelle numericamente più cospicue” [Simmel, 1998: 66].

[15] Queste funzioni corrispondono alle propensione di azione connesse ai copioni di comportamento che gravitano sulle emozioni di base: paura, rabbia, distacco, piacere, apatia, vergogna, attaccamento. Le emozioni, a loro volta, sono miscele dei controlli valutativi dello stimolo studiati dalla neuropsicologia: arousal, attivazione e controllo che presentano una stimolante analogia con l’azione espressiva, di attaccamento e strumentale di Parsons.

[16] Può essere efficace leggere le analogie delle formazioni gruppali, indicate come luoghi oggettivati in cui prende forma la direzione dell’”andare verso” o del movimento psicologico che sta alle spalle della azione o dello “sforzo”, nella terminologia di Parsons, con la tabella di classificazione dei tipi di fusione e separazione delle componenti paradigmatiche (tabella 1 in Il Sistema Sociale di Parsons a pagina 94 dell’edizione citata). Nell’elenco si trovano le corrispondenze tra il mix dei processi di azione e le personalità collettive (PC) oggettivate nei raggruppamenti sociali in buona sintonia con le indicazioni di Parsons: 

1)       La separazione di interessi catetico-espressivi da attaccamenti e aspettative strumentali corrisponde alla PC6, il pubblico.

2)       La fusione di interessi catetico-espessivi in attaccamento diffuso corrisponde alla PC4, la coppia.

3)       Interesse catetico-espressivo da parte di una prestazione strumentale asimmetrica, può essere visto nella partecipazione individualizzata ad un contesto di tipo rappresentativo e corrisponde alla PC3, il consiglio.

4)       Fusione di attaccamento con prestazioni strumentali corrisponde alla PC7, la parentela.

5)       La separazione di prestazioni strumentali da orientamenti catetico-espressivi e di attaccamento, tipica dei ruoli tecnici, corrisponde ala PC1, l’ufficio.

6)       La fusione di funzioni strumentali con compensi specificamente appropriati corrispondente ai ruoli esecutivi o artigianali, corrisponde alla PC2, la squadra.

7)       La fusione di interessi espressi in attaccamento diffuso verso un oggetto culturale astratto, l’amore universale corrisponde alla PC5, ovvero ad un insieme senza legami relazionali specifici.

[17] Nella teorizzazione di Fichter [1957] ho ritrovato una tassonomia dei raggruppamenti sociali in forma organizzativa, economica, politica, ricreativa, educativa, religiosa, famigliare che, nel dettaglio della descrizione, ha numerosi punti di contatto con la proposta delle personalità collettive.

[18] E cioé: paura (che conduce al controllo), attivazione (che ha la sua radice della rabbia), distacco, piacere fusionale, quiete e vergogna (che è sensibilità recettiva passiva), attaccamento.

[19] Vale la pena di ricordare che ciascun grafo di personalità individuale si compone di 4 linee: una sul rapporto con gli altri, una sul rapporto con il mondo, una sul rapporto con sé e l’ultima che rappresenta la somma delle tre precedenti. La rappresentazione di tutte le linee e la descrizione degli elementi di cui sono indicatori è troppo complessa e fuorviante rispetto all’oggetto del lavoro e, dunque, non si è inclusa, rappresentando solo le linee del totale .