LA RELAZIONE MATERNA
AFFETTIVA, CONSAPEVOLE E SPIRITUALE
Novacana 11 e 12
febbraio 2017
DALL’ATTACCAMENTO ALLA
AFFETTIVITÀ
DALL’AFFETTIVITÀ ALLA
CONSAPEVOLEZZA
DALLA CONSAPEVOLEZZA ALL’AMOR
SUBLIME
EVA
L’Eva mitondriale,
detta anche Eva africana, progenitrice della nostra specie e chiamata
mitocondriale per il corredo genetico presente nei mitocondri trasmessi, viene
datata con la tecnica dell’orologio molecolare fra i 99.000 e i 200.000 anni fa.
La sua comparsa sarebbe dunque antidiluviana (la glaciazione Wurm sarebbe
compresa tra i 110mila anni e i 20mila anni fa con il conseguente innalzamento
del livello degli oceani di
L’Eva mitocondriale ha
un significato molto più ampio di quello genetico perché investe la prima ed
indubitabile relazione interumana: quella tra madre e figlio. Tutte le altre
relazioni, la paternità, la fraternità, la parentela, ecc., sono espressioni
culturali ed implicano un precedente sviluppo della coscienza che consenta il
riconoscimento di tali relazioni. La relazione con la madre, invece, avviene
attraverso un rapporto che precede, e determina, lo sviluppo della coscienza
umana.
La datazione dello
sviluppo coscienziale della nostra specie è altamente problematico e può essere
avvenuto circa 40mila anni fa mentre lo sviluppo cognitivo è molto più antico
come mostrano reperti di utensili in pietra risalenti
all’Africa Pliocenica di 3.3
milioni di anni fa. La relazione indubitabile con la madre è la condizione
attraverso cui si sviluppa la coscienza, ovvero la sensazione della propria
esistenza come individui, ed avviene probabilmente nel paleolitico quando l’Eva
mitondriale scopre di amare il figlio anche dopo la fase dell’allattamento.
L’innesco dell'affettività
materna ha prodotto il conseguente sviluppo della coscienza del “tu” e dell’”io”
e un salto evolutivo senza precedenti.
Lo sguardo materno,
empatizzato dal cucciolo di essere umano, ha prodotto la proprietà fondamentale
della coscienza, quella di vedersi dall’esterno senza perdersi e cioè la
sensazione di esistere. L’affettività supera la simbiosi e va verso
l’autoriflessività perché consente la separazione senza l’angoscia. Lo sguardo
materno è la base sicura per il sé del cucciolo che, in assenza di tale contatto
affettivo, può inibire la sua futura consapevolezza manifestando in futuro
criticità emozionali evitanti o dipendenze o sensi di colpa dirompenti e
dissocianti.
L’assenza di
consapevolezza, qui intesa al suo primo livello come un semplice
automonitoraggio dei propri vissuti, è infatti tipica:
1)
degli adulti
chiusi, silenziosi ed introversi che non sanno fa percepire la loro presenza
agli altri, che non comprendono emozioni e sentimenti mostrandosi opachi a se
stessi ed agli altri e privi di manifestazioni affettive (attaccamento evitante
della madre).
2)
di
adulti dipendenti e ansiosi incapaci di percepire sazietà affettiva
e di reggere distacchi
prolungati, convinzione di non essere amabili ed incapacità di lasciarsi voler
bene (attaccamento imprevedibile, insicuro, ansioso e ambivalente).
3)
di adulti spaventati,
dissociati, paranoici o borderline che non hanno ricevuto chiari segnali di
accettazione e che manifestano confusione nei loro atteggiamenti perché non
sanno se sbagliano o dove sbagliano ed attribuiscono a se stessi la colpa di
essere sbagliati (attaccamento disorganizzato).
Tali condizioni peraltro sono sempre state
tipiche degli umani primitivi dell’antichità, ma anche della contemporaneità
indipendentemente dal sesso, etnia, cultura, istruzione, religione o classe
sociale. I principali residui primitivi generati dall’attaccamento insicuro sono
diffidenza, impeto d’ira, amor proprio, dispetto, indifferenza, estraniazione e
collusione, tratti di personalità che possono diventare psicopatologie se le
persone non diventano consapevoli dei loro copioni e li
superano attraverso un
riesame delle relazioni primitive che li hanno determinati.
L’attaccamento
insicuro fornito al cucciolo dal
caregiver inibisce lo sviluppo dell’affettività e l’estensione della
coscienza. Questo accade nelle madri o i
caregiver anaffettivi a seguito degli archetipi ambivalenti che sono stati
installati in loro: la supermamma, la
madre simbiotica, la madre complice, la madre innamorata incestuosa, la madre
dominante, la madre distaccata, la madre iperprotettiva, la madre rivale, ecc. a
seconda delle convinzioni, delle tradizioni e degli archetipi vigenti
nell’esercizio del potere domestico.
Tali madri o
caregiver non riescono a produrre un
attaccamento sicuro mediante quell’esplicita affettività che innesca un flusso
reciproco di riconoscimento e, oltre a generare riflessività relazionale,
espande le aree della coscienza.
La caratteristica
fondamentale dell’Eva africana è l’aver superato l’attaccamento biologico ed
aver sperimentato il flusso affettivo.
L'attaccamento
infatti non è un fenomeno esclusivamente umano ma interviene in tutti i processi
di allevamento da parte degli animali della loro prole in assenza di coscienza,
seppur in presenza di cognizione e di intenzionalità.
Il superamento
dell’attaccamento biologico mediante flusso affettivo funziona anche tra esseri
umani e specie animali e può non essere simbiotico. Il flusso affettivo che
muove dall’essere umano verso un animale determina in quest’ultimo una forma di
accumulazione dell’affettività ricevuta con conseguente
imprinting, bisogno della vicinanza
affettiva e preferenza per la figura di attaccamento su cui si fonda la
domesticazione e l’addestramento.
L’irradiazione affettiva ha dunque
un ruolo determinante nella nascita delle relazioni interumane e su di essa si
fondano tutte le tappe evolutive della nostra specie attraverso la “consegna del
testimone” al padre, ai fratelli, ai nonni, ai parenti. La
buona mela che Eva passa ad Adamo
rappresenta la condivisione del flusso affettivo della madre con il padre, i
fratelli e tutti i sistemi di relazione che riescono a godere di questa
proprietà.
Il passaggio del gusto
evolutivo dell’affettività interumana avviene attraverso lo sviluppo
dell’empatia ma si interrompe laddove l’egocentrismo evitante, dipendente o
strategico ne inibisca le potenzialità.
CORNELIA
Cornelia (189-110 avanti Cristo) fu madre di
dodici figli, ma gli unici che arrivarono alla maggiore età furono i due famosi
Tiberio e Gaio Gracco, e la loro sorella maggiore, Sempronia, moglie di Cornelio
Scipione Emiliano.
Cornelia è un emblema del passaggio
dall’affettività alla consapevolezza. Tra milioni di madri che giungono a tale
stadio la scegliamo come simbolo per tre motivi: 1) il fatto di scegliere di
esser madre e non figlia, 2) il valore attribuito ai figli, 3) l’insegnamento di
giustizia e libertà trasmesso a Tiberio e Caio.
1) Cornelia rifiuta di essere conosciuta come
figlia di un uomo importante ed eroico come Scipione l’Africano che sconfisse
Annibale e ripetutamente dichiara: “Fino a quando mi indicheranno come la figlia
di Scipione? Quando potrò chiamarmi la madre dei Gracchi?”. Con tale iscrizione
le verrà dedicata dai Romani del II° secolo avanti Cristo la prima statua di una
donna nel Foro con l’iscrizione “Madre dei Gracchi”.
2) Rimasta vedova ancora giovane rifiuta di
risposarsi nonostante le numerose proposte anche molto allettanti come quella di
Tolomeo VIII Evergete, re d’Egitto.
L’aneddoto centrale della sua storia resta la sua risposta a una matrona che
ostentava le sue pietre preziose: “Haec
ornamenta mea!” (ecco i miei gioielli!) mostrando i suoi figli Tiberio e
Gaio.
3) Il suo cenacolo famigliare nutre la filosofia
ellenistica che si presenta come una istanza politica di riforma sociale e
culturale. Siamo in una Roma feroce e primitiva, che non riesce a trasformarsi
in Stato attraverso riforme ugualitarie[2]
e che è percorsa di frequenti insurrezioni delle quali la più importante
avverrà, 60 anni dopo, ad opera di Spartaco.
Le caratteristiche di Cornelia ci fanno
individuare una relazione affettiva con i figli che si traduce in consapevolezza
educativa. La dimensione della consapevolezza è quella che conduce ad una
maternità guidata da valori.
L’evoluzione della coscienza verso la
consapevolezza guida l’affettività in senso cognitivo, emozionale e operativo
incanalandola nello spazio esistenziale e relazionale dell’essere umano.
La coscienza è infatti una tappa evolutiva
intermedia per sua stessa natura. La coscienza non può occupare tutto lo spazio
della mente, neanche quando siamo svegli, non interviene necessariamente nel
parlare, nello scrivere, nell’ascolto e nella lettura, non è nemmeno la sede
della ragione, anzi i pensieri più creativi fanno a meno della sua presenza.
"Noi siamo coscienti meno a lungo di quanto pensiamo, perché non possiamo
essere coscienti di quando non siamo coscienti”.[3]
L’evoluzione della coscienza verso la
consapevolezza apre gli orizzonti psichici e relazionali che servono per
osservare se stessi e per rappresentare il proprio mondo soggettivo che è a se
stante rispetto al mondo reale. La consapevolezza di
sé, del proprio corpo, delle proprie potenzialità e dell’essere persona
è una conquista molto recente dell’evoluzione umana.
La mente dell’uomo era bicamerale (così Jaynes
definisce l’uomo senza connessione tra emisfero destro e emisfero sinistro)
scissa in due parti: 1) nel flusso dell’accadere delle cose del mondo senza
autorappresentarsele; 2) nell’ascolto della sorprendente voce interna,
attribuita agli dei, che compariva simile ad un’allucinazione uditiva.
Sempre secondo J. Jaynes, l’uomo passa dalla
mente bicamerale[4]
alla consapevolezza nel secondo millennio a.C. con l’inizio dei commerci,
l’aumento della popolazione, l’avvento della scrittura, il caos migratorio ecc.,
che conduce allo sviluppo di nuove aree cerebrali che giungono al traguardo del
socratico “conosci te stesso”.
La maternità di Cornelia esprime tre valori tipici della consapevolezza:
l’indipendenza la responsabilità, e l’impegno per la giustizia connessi all’essere adulti nel mondo.
L’umiltà connessa al desiderio dell’uguaglianza tra uomini e al rispetto per le sofferenze dei più deboli. Inoltre la volontà di pace senza ipocrisie presentandosi trasparenti al mondo.
La fedeltà e la
generosità sono i valori connessi al
proprio ruolo personale
nel mondo.
- Il primo modo
di essere è l’adultità,
e cioè la condizione di libertà dalla dipendenza dai genitori. Per
essere madri consapevoli occorre aver riconosciuto dentro di sé la
voce della propria madre ed averne preso le distanze. Fino a che una
madre pensa a cosa penserebbe sua madre la commistione delle voci
interiori è deleteria giacché non vi è spazio per le proprie
decisioni autonome di maternità ma c’è solo obbedienza dipendente o
opposizione conflittuale.
Il comandamento
con cui si apre la seconda tavola della legge ebraica recita “Onora
il padre e la madre, perché si prolunghino i giorni nel paese che ti
da il Signore Dio tuo”. Onorare è il contrario dell’amore dipendente
dai genitori perché, semmai, invita i figli a far si che i genitori
siano orgogliosi dei figli. I figli diventano liberi ed adulti e si
occupano dei vecchi genitori che, con l'aiuto dei figli, possono
prolungare i loro giorni. Sono semmai i vecchi genitori a diventare
dipendenti dai figli e non il contrario se non si vuol cadere nella
manipolazione educativa che sgretola l’identità individuale o nella
genitorializzazione (diventare genitori dei propri genitori
senza essere transitati nella fase della consapevolezza della
propria individualità.
- Il secondo
criterio è l’esposizione
dei figli al mondo. Cornelia non si conforma a quello che dice la
gente, ovvero non cresce i suoi figli nell’ipocrisia di nascondere i
loro difetti e non cade nella trappola della rivalità tra madri su
chi ha i figli “che vanno meglio a scuola!”. Non si pone cioè il
problema di ben figurare nel suo contesto relazionale e di
presentare i suoi figli come emanazione di se stessa. Non ha bisogno
di conferme dalla società e dalle altre madri. Tiberio e Gaio sono i
suoi gioielli e li presenta esattamente per come sono, senza
abbellimenti e rappresentazioni. E’ consapevole di amarli e sa che
il suo amore li rende belli.
- Il terzo
criterio è quello di consentire il
ruolo personale dei figli
nel mondo anche se ciò li espone al rischio della morte. Cornelia
trasmette la cultura ellenistica ai figli in contrasto con la
primitività violenta del potere a Roma. Guarda i rapporti tra uomini
con gli occhi del futuro e rispetta la loro personale missione.
Questa consapevolezza educativa è l’assoluto contrario della
manipolazione, ovvero del costringere con messaggi impliciti ad
essere ciò che la madre vuole che i figli siano.
Cornelia vive un
amore consapevole verso i figli che si traduce nella presenza
affettiva (non li abbandona), non li opprime (facendoli bersaglio di
continue critiche) ma li accetta nella loro bellezza e, soprattutto,
non li manipola conducendoli la dove non scelgono di andare.
Queste tre dimensioni sono indispensabili per
poter evolvere dalla femminilità alla maternità (così come dalla mascolinità
alla paternità) e descrivono un atteggiamento materno in lotta contro gli
archetipi inconsci o trasmessi dalla cultura. Ove prevalgano gli archetipi si
impedisce ai figli di andare verso la realizzazione della propria vita e,
soprattutto, di costruire autonomamente l’identità collettiva della loro futura
famiglia.
Manca però a Cornelia, ed a tutte le madri in
crescita lungo la via della consapevolezza una visione della spiritualità
affettiva del rapporto con Dio.
L’immaginazione spirituale dell’uomo antico
costruiva divinità a somiglianza delle sue emozioni (l’amore, la fertilità, la
guerra, ecc.) e dei suoi archetipi ambivalenti che contenevano rappresentazioni
terribili ed incombenti di dei crudeli, punitivi e vendicativi nei confronti
dell’essere umano. Dei a cui offrire sacrifici affettivi anche estremi per
ingraziarseli come fece Abramo nel sacrificare Isacco fermandosi all’ultimo
momento con l’intuizione che Dio non poteva volere quel dolore straziante.
La consapevolezza ha a che fare con l’esperienza
dell’irradiazione affettiva divina mediante l’auto osservazione delle nostre
componenti spirituali. La consapevolezza conduce all’innesco della relazione con
Dio attraverso un vero e proprio esercizio spirituale volontario[5].
La transizione verso questa forma mentale di
consapevolezza nella relazione con Dio è ancora in corso. Non siamo più
sottomessi a oracoli, culti, medium, astrologi, possessioni, tarocchi, maghi,
sciamani, danzatori, ipnotismi, meditazioni, caste sacerdotali
ecc. Questi non sono altro che residui di una forma mentale primitiva da
cui stiamo evolvendo grazie ad una fanciulla di Nazareth di nome Maria diventata
mamma.
MARIA
Il salto evolutivo
avvenuto in Maria al momento del concepimento è molto più grande e misterioso
della mutazione indotta da Eva mitocondriale ed anche della razionalità
educativa e valoriale di Cornelia, poiché riguarda il legame tra psichismo e
dimensione spirituale.
Non mi sono mai posto
con attenta meditazione il problema della verginità di Maria perché l’analisi
razionale, svolta con onestà intellettuale, della predicazione di Gesù sulle
caratteristiche affettive e paterne di Dio mi ha da tempo dato risposte più che
convincenti sulla manifestazione del divino nell’uomo Gesù.
Ho sempre considerato
la verginità di Maria un elemento del tutto secondario proposto con insistenza
per ovvie ragioni di repressione sessuale. Che importanza ha di chi è
biologicamente figlio Gesù!, mi sono sempre detto. Ho sempre letto la dimensione
immacolata di Maria, nata senza il peccato originale, una condizione del tutto
marginale rispetto al suo ruolo gigantesco nella storia dell’umanità; ho infatti
sempre attribuito alla concezione di un Dio punitivo sia il peccato originale
(peraltro mai menzionato nel Vangeli) che la cacciata dell’uomo dal paradiso
terrestre. Il senso di colpa, specie se associato all’angoscia di morte, è un
buon meccanismo di controllo sulla vita degli esseri umani e, comunque, ha avuto
anche funzioni positive nel fermare la mano ai potenti ed ai prepotenti.
Alla luce
dell’evoluzione della coscienza e dello sviluppo della relazione con Dio la
vicenda di Maria di Nazareth mi appare oggi come la prima occasione nota nella
storia umana di trasformazione dell’affettività psicologica in sostanza di amore
spirituale.
Il processo di amore
di Maria per Dio è dapprima consistito nella accettazione e poi nella
disponibilità a ricevere: E’ molto più facile amare che lasciarsi amare
soprattutto quando ad amare è l’oceanica empatia di Dio.
Ho imparato cosa
significa accettazione nei momenti di maggior distacco da me stesso, ad esempio
quando una sensazione estatica vissuta in condizioni di
trance meditativa (con ritmi
cerebrali superBeta o Gamma o forse Lambda) mi sfuggiva di mano perché cercavo
di andare a verificare razionalmente se ciò che sentivo era davvero vero. Ma
anche quando mediante rilassamento entravo in ritmi theta o delta, per non
sentire i forti dolori del cancro ed ho progressivamente imparato che, nel
momento in cui riesci a non percepire il dolore, non devi commettere l’errore di
andare con la mente a verificare se davvero se ne è andato. Se lo cerchi, lo
trovi in tutta la sua acuzie!
Accettazione dunque è
uno stato di totale disponibilità verso aperture sensoriali diverse da quelle
quotidiane e sperimentate attraverso i cinque sensi.
Maria accetta una
relazione diretta con Dio totalmente nuova per l’umanità e conosce la felicità
su questa terra. Per questo la testimonia e la caldeggia. Ma oltre
all’accettazione accade la più importante mutazione evolutiva dell’umano che
prende in sé il divino: il concepimento.
Non siamo in grado di
individuare i meccanismi biologici con cui tale mutazione può essere avvenuta
senza il crossing-over cromosomico della
ricombinazione di due diverse eliche del DNA ma sappiamo con certezza che
questa mutazione può avvenire. Può essere
perniciosa quando le rotture del doppio filamento, a causa di agenti ossidanti,
alchilanti e radiazioni ad alta energia, come i raggi X e gli UV, producono
molecole cancerogene. Può essere evolutiva quando il DNA, alterato dall'azione
mutagena, si fa spazio nella fittissima rete cellulare altamente selettiva e
produce un organismo arricchito dalla mutazione.
Ancora una volta nella storia
umana è la maternità il luogo prescelto per la mutazione. Questa
relazione interumana originale e assolutamente indubitabile e inviolabile da
qualunque contaminazione culturale archetipica, si è presentata come il miglior
luogo di incontro possibile per la relazione con Dio.
Da questa lettura nel
linguaggio scientifico contemporaneo discendono tre considerazioni:
- L’insistenza della
tradizione sulla verginità di Maria non sarebbe legata ad un processo di
repressione sessuale e di obbligato candore della giovinetta che non “ha
conosciuto uomo”, ma tende a dichiarare la mutazione (come la possiamo chiamare
oggi) avvenuta in lei nel contatto empatico con Dio. Il fatto che tal
concepimento sia una straordinaria mutazione nella nostra specie viene
sottolineato dalla verginità di Maria,
accertata dall’ostetrica Salomé al parto[6].
Con ciò voglio affermare che tale concepimento divino sarebbe potuto avvenire
anche se lei non fosse stata vergine. E’ lo straordinario e incredibile
concepimento che trae sostegno dalla sua verginità e non la verginità in sé come
valore. Nella successiva generatività dei probabili fratelli di Gesù,
considerati fratellastri (figli di un precedente matrimonio di Giuseppe)
o cugini[7],
è verosimilmente impossibile che la ginecologica verginità di Maria sia
mantenuta.
- Non sono un teologo
ma l’interpretazione della frase in linguaggio occitano “Que soy era Inmaculada
Conception” che viene utilizzata a dimostrare quasi esclusivamente l’assenza del
peccato originale in Maria, non mi ha mai del tutto convinto perché, se così
fosse, la frase pronunciata sarebbe stata diversa e cioè “Io sono stata
concepita immacolata”. Mi sembra che il suo significato sia invece da intendersi
in modo molto più letterale: “Chi io sono è stata il concepimento immacolato”[8]. Ovvero: “La mia precipua caratteristica è stata quel concepimento che significa: Io sono la prova della possibilità dell’esistenza di un processo riproduttivo della vita, della affettività materna e dell’amore spirituale senza contaminazioni primitive”. In altre parole ancora: il fondamento precipuo della mia identità di persona sta nel fatto di aver concepito un figlio senza aver avuto un rapporto sessuale riproduttivo. E non perché nel rapporto sessuale ci sia qualcosa di male o di sbagliato anche se, purtroppo, la difficile comprensione del mio concepimento è stata funzionale per opprimere l'uomo con sensi di colpa repressivi. L'assenza di un rapporto sessuale testimonia lo straordinario contatto con la dimensione divina che ha determinato quell'incredibile concepimento. Dio ha donato all’Uomo l’Albero della Vita dando l’autorinnovamento e la totipotenza
delle cellule staminali di mio figlio Gesù, innescati per l’uscita della quiescenza delle cellule del mio ovocita attraverso la sostanza della relazione con lo Spirito Santo.
- La dimensione umana
della vita di Gesù si muove tra il momento della sua nascita e quello della sua
morte per crocefissione mentre la dimensione divina sta tra il momento del
concepimento e quello della sua resurrezione. L’apertura a questa visione
consente di comprendere la totale purificazione dagli archetipi in Maria, nel
concepimento di Gesù e in Gesù stesso. E questo pone in una luce diversa il
contatto tra il mondo della nostra quotidianità e la dimensione spirituale, li
rende prossimi se non contigui per chi si pone con accettazione verso l’empatia
con cui Dio comunica con noi. La maternità e la paternità di Dio nei confronti
dell’essere umano sono un’incessante comunicazione a cui riusciamo a prestare
ascolto solo occasionalmente. I momenti forti della vita aprono più facilmente
verso tale contatto e il più forte in assoluto è quello della generatività
materna della vita.
Il materno e la sua
indubitabilità è dunque la situazione che apre alla dimensione spirituale e che
richiede una riflessione innovativa a partire dall’attaccamento per passare
attraverso l’effettività e giungere alla spiritualità chiedendoci, in questa
prospettiva, quale sia il senso attuale della maternità, i suoi bisogni e i suoi
limiti.
Le tre dimensioni
della maternità umana e cioè l’attaccamento, l’affettività e la spiritualità
sono elementi di questa relazione da investigare in profondità al fine di
liberarli dalle ambivalenze primitive degli archetipi ed orientarle in senso
evolutivo per l’umanità.
Questo è l’oggetto del
24° Convegno Nazionale di Prepos presso la Comunità di Novacana l’11 e il 12
febbraio 2017.
La sede sarà a
Casanova di Sinistra nei pressi dell’Eremo della Madonna del Bocco, luogo dove
ad Angela Volpini, allora bambina di 7 anni apparve Maria in una sequenza di
ripetute visioni per 9 anni.
Vincenzo Masini
Per
ulteriori informazioni e
prenotazioni: prepos@prepos.it
[1]
Il dibattito tra gli antropologi circa le successive ondate
migratorie dell’Homo Erectus, Neanderthal, Cro-magnon e sapiens e le
sovrapposizioni contemporanee tra queste popolazione è controverso anche
in ragione delle datazioni contraddittorie dei reperti. Uno sguardo
semplificatorio sugli ultimi 40000 anni, data in cui è probabile la
prima comparsa di una razza umana a cui attribuire lo sviluppo
dell’affettività interumana prodotta dall’Eva mitocondriale, vede
un’industria litica diversificata appartenente sia agli uomini di
nearnderthal che ai cro-magnon e la comparsa dell’arte figurativa delle
pitture rupestri ma anche delle veneri steatopige. Tali statuine sono
rappresentazioni realistiche della femminilità dell'epoca che fanno
pensare ai primi interrogativi circa l’origine della vita e la
riproduzione della specie attraverso il corpo della femmina. La vita dei
cacciatori del paleolitico si farà da allora progressivamente più
stanziale attraverso l’allevamento e la prima agricoltura mentre l’idea
della riproduzione farà scoprire sia la maternità affettiva sia il ruolo
del maschio che, come intuito nel processo riproduttivo tra gli animali,
è fecondatore nel concepimento. L’Eva mitocondriale, ovvero la
portatrice della genetica presente nei mitocondri femminili, è il
simbolo più convincente di tale processo evolutivo. Bryan Sykes,
genetista dell’università di Oxford, nel suo libro del 2001 "The Seven
Daughters of Eve", scherza sull'uomo di Cro-Magnon che si sarebbe
accoppiato con sette tipi di donne figlie di Eva, a cui da un nome
diverso a seconda del loro DNA mitocondriale derivato da Eva africana:
Ursula (aplogruppo U) trovata in Siberia, Xenia (aplogruppo X), Tara (T)
e Helena (H) trovate in Europa nel paleolitico, e poi Katrine (K) e
Velda(V) evolutesi nel mesolito e infine Jasmine (J) venuta dal levante
nel neolitico. Esse danno origine ai principali aplogruppi mitocondriali
diffusi nelle popolazioni moderne.
[2]
Tiberio e poi Gaio occupano l’importante ruolo di Tribuni della Plebe,
magistrati che avevano progressivamente acquisito potere nei confronti
del Senato che rappresentava l’aristocrazia. Tiberio diventa artefice
della riforma agraria del
[3] J. Jaynes, “Il crollo della mente
bicamerale”, Adelphi pag. 40.
[4] Mente bicamerale che ben
rappresenta la scissioni interiore tra la propria voce e volontà ed i
condizionamenti emozionali ricavati dagli archetipi e dalla cultura in
cui quell’individuo è cresciuto.
[5]
“La prima annotazione è che con questo termine “esercizi
spirituali” si intende ogni modo di esaminare la coscienza, meditare,
contemplare, pregare vocalmente e mentalmente, e altre attività
spirituali, come si dirà più avanti. Come infatti il passeggiare, il
camminare e il correre sono esercizi corporali, così tutti i modi di
preparare e disporre l’anima a liberarsi da tutti gli affetti
disordinati e, una volta che se ne è liberata, a cercare e trovare la
volontà divina nell’organizzare la propria vita per la salvezza
dell’anima, si chiamano esercizi spirituali”. Esercizi spirituali di
Sant’Ignazio di Loyola, prima annotazione.
[6]
Nel protovangelo di Giacomo è raccontato l’episodio della levatrice
Salomé che dopo aver introdotto un dito nella vagina di Maria per
constatarne la verginità, riceve un’ustione nella mano che sarà guarita
nel successivo accudire Gesù. “Salome mise il suo dito nella natura di
lei, e mandò un grido, dicendo: "Guai alla mia iniquità e alla mia
incredulità, perché ho tentato il Dio vivo ed ecco che ora la mia mano
si stacca da me, bruciata". Protovangelo di Giacomo, 20,1.
[7] Giacomo, Giuseppe, Simone e
Giuda.
[8]
Il dogma dell'Immacolata Concezione, proclamato da papa Pio IX l'8
dicembre 1854, sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata
immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento
e non riguarderebbe il concepimento verginale di Gesù da parte di Maria.
Mi sembra estremamente interessante il fatto che nelle apparizioni di
Lourdes del 1858, 4 anni dopo il dogma di Pio IX, emerga con esplicita
dichiarazione la natura dell’essere lei stessa, Maria, l’oggetto di un
concepimento immacolato e cioè totalmente privo di ambivalenze
biologiche, psicologiche, archetipiche e culturali.