LO SVILUPPO DELLA RELAZIONE MATERNA
24° Convegno Nazionale
di Prepos
Novacana 11 e 12
febbraio 2017
DALL’ATTACCAMENTO ALLA AFFETTIVITÀ
DALL’AFFETTIVITÀ ALLA CONSAPEVOLEZZA
DALLA CONSAPEVOLEZZA ALL’AMOR SUBLIME
EVA
L’Eva mitondriale, detta anche Eva africana, progenitrice della nostra specie e
chiamata mitocondriale per il corredo genetico presente nei mitocondri
trasmessi, viene datata con la tecnica dell’orologio molecolare fra i 99.000 e i
200.000 anni fa. La sua comparsa sarebbe dunque antidiluviana (la glaciazione
Wurm sarebbe compresa tra i 110mila anni e i 20mila anni fa con il conseguente
innalzamento del livello degli oceani di
L’Eva mitocondriale ha un significato molto più ampio di quello genetico perché
investe la prima ed indubitabile relazione interumana: quella tra madre e
figlio. Tutte le altre relazioni, la paternità, la fraternità, la parentela,
ecc., sono espressioni culturali ed implicano un precedente sviluppo della
coscienza che consenta il riconoscimento di tali relazioni. La relazione con la
madre, invece, avviene attraverso un rapporto che precede, e determina, lo
sviluppo della coscienza umana.
La datazione dello sviluppo coscienziale della nostra specie è altamente
problematico e può essere avvenuto circa 40mila anni fa mentre lo sviluppo
cognitivo è molto più antico come mostrano reperti di utensili in pietra
risalenti all’Africa Pliocenica di 3.3 milioni di
anni fa. La relazione indubitabile con la madre è la condizione attraverso cui
si sviluppa la coscienza, ovvero la sensazione della propria esistenza come
individui, ed avviene probabilmente nel paleolitico quando l’Eva
mitondriale scopre di amare il figlio anche dopo la fase dell’allattamento.
L’innesco dell'affettività materna ha prodotto
il conseguente sviluppo della coscienza del “tu” e dell’”io” e un salto
evolutivo senza precedenti.
Lo sguardo materno, empatizzato dal cucciolo di essere umano, ha prodotto la
proprietà fondamentale della coscienza, quella di vedersi dall’esterno senza
perdersi e cioè la sensazione di esistere. L’affettività supera la simbiosi e va
verso l’autoriflessività perché consente la separazione senza l’angoscia. Lo
sguardo materno è la base sicura per il sé del cucciolo che, in assenza di tale
contatto affettivo, può inibire la sua futura consapevolezza manifestando in
futuro criticità emozionali evitanti o dipendenze o sensi di colpa dirompenti e
dissocianti.
L’assenza di consapevolezza, qui intesa al suo primo livello come un semplice
automonitoraggio dei propri vissuti, è infatti tipica:
1)
degli adulti chiusi, silenziosi ed introversi che non sanno fa percepire la loro
presenza agli altri, che non comprendono emozioni e sentimenti mostrandosi
opachi a se stessi ed agli altri e privi di manifestazioni affettive
(attaccamento evitante della madre).
2)
di adulti dipendenti e ansiosi incapaci
di percepire sazietà affettiva
e di reggere
distacchi prolungati, convinzione di non essere amabili ed incapacità di
lasciarsi voler bene (attaccamento imprevedibile, insicuro, ansioso e
ambivalente).
3)
di adulti spaventati, dissociati, paranoici o borderline che non hanno ricevuto
chiari segnali di accettazione e che manifestano confusione nei loro
atteggiamenti perché non sanno se sbagliano o dove sbagliano ed attribuiscono a
se stessi la colpa di essere sbagliati (attaccamento disorganizzato).
Tali condizioni peraltro sono sempre state tipiche degli umani primitivi
dell’antichità, ma anche della contemporaneità indipendentemente dal sesso,
etnia, cultura, istruzione, religione o classe sociale. I principali residui
primitivi generati dall’attaccamento insicuro sono
diffidenza, impeto d’ira, amor proprio, dispetto, indifferenza, estraniazione e
collusione, tratti di personalità che possono diventare psicopatologie se le
persone non diventano consapevoli dei loro copioni e li
superano attraverso un
riesame delle relazioni primitive che li hanno determinati.
L’attaccamento
insicuro fornito al cucciolo dal caregiver
inibisce lo sviluppo dell’affettività e l’estensione della coscienza. Questo
accade nelle madri o i caregiver
anaffettivi a seguito degli archetipi ambivalenti che sono stati installati in
loro: la
supermamma, la madre simbiotica, la madre complice,
la madre innamorata incestuosa, la madre dominante, la madre distaccata, la
madre iperprotettiva, la madre rivale, ecc. a seconda delle convinzioni, delle
tradizioni e degli archetipi vigenti
nell’esercizio del potere domestico.
Tali madri o caregiver non riescono a
produrre un attaccamento sicuro mediante quell’esplicita affettività che innesca
un flusso reciproco di riconoscimento e, oltre a generare riflessività
relazionale, espande le aree della coscienza.
La caratteristica fondamentale dell’Eva africana è l’aver superato
l’attaccamento biologico ed aver sperimentato il flusso affettivo.
L'attaccamento infatti non è un
fenomeno esclusivamente umano ma interviene in tutti i processi di allevamento
da parte degli animali della loro prole in assenza di coscienza, seppur in
presenza di cognizione e di intenzionalità.
Il superamento dell’attaccamento biologico mediante flusso affettivo funziona
anche tra esseri umani e specie animali e può non essere simbiotico. Il flusso
affettivo che muove dall’essere umano verso un animale determina in quest’ultimo
una forma di accumulazione dell’affettività ricevuta con conseguente
imprinting, bisogno della vicinanza
affettiva e preferenza per la figura di attaccamento su cui si fonda la
domesticazione e l’addestramento.
L’irradiazione affettiva ha dunque
un ruolo determinante nella nascita delle relazioni interumane e su di essa si
fondano tutte le tappe evolutive della nostra specie attraverso la “consegna del
testimone” al padre, ai fratelli, ai nonni, ai parenti. La
buona mela che Eva passa ad Adamo rappresenta la condivisione del
flusso affettivo della madre con il padre, i fratelli e tutti i sistemi di
relazione che riescono a godere di questa proprietà.
Il passaggio del gusto evolutivo dell’affettività interumana avviene attraverso
lo sviluppo dell’empatia ma si interrompe laddove l’egocentrismo evitante,
dipendente o strategico ne inibisca le potenzialità.
CORNELIA
Cornelia (189-110 avanti Cristo) fu madre di dodici figli, ma gli unici che
arrivarono alla maggiore età furono i due famosi Tiberio e Gaio Gracco, e la
loro sorella maggiore, Sempronia, moglie di Cornelio Scipione Emiliano.
Cornelia è un emblema del passaggio dall’affettività alla consapevolezza. Tra
milioni di madri che giungono a tale stadio la scegliamo come simbolo per tre
motivi: 1) il fatto di scegliere di esser madre e non figlia, 2) il valore
attribuito ai figli, 3) l’insegnamento di giustizia e libertà trasmesso a
Tiberio e Caio.
1) Cornelia rifiuta di essere conosciuta
come figlia di un uomo importante ed eroico come Scipione l’Africano che
sconfisse Annibale e ripetutamente dichiara: “Fino a quando mi indicheranno come
la figlia di Scipione? Quando potrò chiamarmi la madre dei Gracchi?”. Con tale
iscrizione le verrà dedicata dai Romani del II° secolo avanti Cristo la prima
statua di una donna nel Foro con l’iscrizione “Madre dei Gracchi”.
2) Rimasta vedova ancora giovane rifiuta di risposarsi nonostante le numerose
proposte anche molto allettanti come quella di
Tolomeo VIII Evergete, re d’Egitto. L’aneddoto centrale della sua storia
resta la sua risposta a una matrona che ostentava le sue pietre preziose:
“Haec ornamenta mea!” (ecco i
miei gioielli!) mostrando i suoi figli Tiberio e Gaio.
3) Il suo cenacolo famigliare nutre la filosofia ellenistica che si presenta
come una istanza politica di riforma sociale e culturale. Siamo in una Roma
feroce e primitiva, che non riesce a trasformarsi in Stato attraverso riforme
ugualitarie[2]
e che è percorsa di frequenti insurrezioni delle quali la più importante
avverrà, 60 anni dopo, ad opera di Spartaco.
Le caratteristiche di Cornelia ci fanno individuare una relazione affettiva con
i figli che si traduce in consapevolezza educativa. La dimensione della
consapevolezza è quella che conduce ad una maternità guidata da valori.
L’evoluzione della coscienza verso la consapevolezza guida l’affettività in
senso cognitivo, emozionale e operativo incanalandola nello spazio esistenziale
e relazionale dell’essere umano.
La coscienza è infatti una tappa evolutiva intermedia per sua stessa natura. La
coscienza non può occupare tutto lo spazio della mente, neanche quando siamo
svegli, non interviene necessariamente nel parlare, nello scrivere, nell’ascolto
e nella lettura, non è nemmeno la sede della ragione, anzi i pensieri più
creativi fanno a meno della sua presenza. “Noi siamo
coscienti meno a lungo di quanto
pensiamo, perché non possiamo essere coscienti di quando non siamo
coscienti”.[3]
L’evoluzione della coscienza verso la consapevolezza apre gli orizzonti psichici
e relazionali che servono per osservare se stessi e per rappresentare il proprio
mondo soggettivo che è a se stante rispetto al mondo reale. La consapevolezza di
sé, del proprio corpo, delle proprie potenzialità e dell’essere persona è una
conquista molto recente dell’evoluzione umana.
La mente dell’uomo era bicamerale (così Jaynes definisce l’uomo senza
connessione tra emisfero destro e emisfero sinistro) scissa in due parti: 1) nel
flusso dell’accadere delle cose del mondo senza autorappresentarsele; 2)
nell’ascolto della sorprendente voce interna, attribuita agli dei, che compariva
simile ad un’allucinazione uditiva.
Sempre secondo J. Jaynes, l’uomo passa dalla mente bicamerale[4] alla
consapevolezza nel secondo millennio a.C. con l’inizio dei commerci, l’aumento
della popolazione, l’avvento della scrittura, il caos migratorio ecc., che
conduce allo sviluppo di nuove aree cerebrali che giungono al traguardo del
socratico “conosci te stesso”.
La maternità di Cornelia esprime tre
valori tipici della consapevolezza.
- Il primo è l’adultità, e cioè la
condizione di libertà dalla dipendenza dai genitori. Per essere madri
consapevoli occorre aver riconosciuto dentro di sé la voce della propria madre
ed averne preso le distanze. Fino a che una madre pensa a cosa penserebbe sua
madre la commistione delle voci interiori è deleteria giacché non vi è spazio
per le proprie decisioni autonome di maternità ma c’è solo obbedienza dipendente
o opposizione conflittuale.
Il comandamento con cui si apre la
seconda tavola della legge ebraica recita “Onora il padre e la madre, perché si
prolunghino i giorni nel paese che ti da il Signore Dio tuo”. Onorare è il
contrario dell’amore dipendente dai genitori perché, semmai, invita i figli a
far si che i genitori siano orgogliosi dei figli. I figli diventano liberi ed
adulti e si occupano dei vecchi genitori che, con l'aiuto dei figli, possono
prolungare i loro giorni. Sono semmai i vecchi genitori a diventare dipendenti
dai figli e non il contrario se non si vuol cadere nella manipolazione educativa
che sgretola l’identità individuale o nella
genitorializzazione (diventare genitori dei propri genitori senza essere
transitati nella fase della consapevolezza della propria individualità.
- Il secondo valore è l’esposizione dei
figli al mondo. Cornelia non si conforma a quello che dice la gente, ovvero non
cresce i suoi figli nell’ipocrisia di nascondere i loro difetti e non cade nella
trappola della rivalità tra madri su chi ha i figli “che vanno meglio a
scuola!”. Non si pone cioè il problema di ben figurare nel suo contesto
relazionale e di presentare i suoi figli come emanazione di se stessa. Non ha
bisogno di conferme dalla società e dalle altre madri. Tiberio e Gaio sono i
suoi gioielli e li presenta esattamente per come sono, senza abbellimenti e
rappresentazioni. E’ consapevole di amarli e sa che il suo amore li rende belli.
- Il terzo valore è quello di consentire
il ruolo personale dei figli nel mondo anche se ciò li espone al rischio della
morte. Cornelia trasmette la cultura ellenistica ai figli in contrasto con la
primitività violenta del potere a Roma. Guarda i rapporti tra uomini con gli
occhi del futuro e rispetta la loro personale missione. Questa consapevolezza
educativa è l’assoluto contrario della manipolazione, ovvero del costringere con
messaggi impliciti ad essere ciò che la madre vuole che i figli siano.
Cornelia vive un amore consapevole verso
i figli che si traduce nella presenza affettiva (non li abbandona), non li
opprime (facendoli bersaglio di continue critiche) ma li accetta nella loro
bellezza e, soprattutto, non li manipola conducendoli la dove non scelgono di
andare.
Queste tre dimensioni sono indispensabili
per poter evolvere dalla femminilità alla maternità (così come dalla mascolinità
alla paternità) e descrivono un atteggiamento materno in lotta contro gli
archetipi inconsci o trasmessi dalla cultura. Ove prevalgano gli archetipi si
impedisce ai figli di andare verso la realizzazione della propria vita e,
soprattutto, di costruire autonomamente l’identità collettiva della loro futura
famiglia.
Manca però a Cornelia, ed a tutte le
madri in crescita lungo la via della consapevolezza una visione della
spiritualità affettiva del rapporto con Dio.
L’immaginazione spirituale dell’uomo
antico costruiva divinità a somiglianza delle sue emozioni (l’amore, la
fertilità, la guerra, ecc.) e dei suoi archetipi ambivalenti che contenevano
rappresentazioni terribili ed incombenti di dei crudeli, punitivi e vendicativi
nei confronti dell’essere umano. Dei a cui offrire sacrifici affettivi anche
estremi per ingraziarseli come fece Abramo nel sacrificare Isacco fermandosi
all’ultimo momento con l’intuizione che Dio non poteva volere quel dolore
straziante.
La consapevolezza ha a che fare con l’esperienza dell’irradiazione affettiva
divina mediante l’auto osservazione delle nostre componenti spirituali. La
consapevolezza conduce all’innesco della relazione con Dio attraverso un vero e
proprio esercizio spirituale volontario[5].
La transizione verso questa forma mentale di consapevolezza nella relazione con
Dio è ancora in corso. Non siamo più sottomessi a oracoli, culti, medium,
astrologi, possessioni, tarocchi, maghi, sciamani, danzatori, ipnotismi,
meditazioni, caste sacerdotali ecc.
Questi non sono altro che residui di una forma mentale primitiva da cui stiamo
evolvendo grazie ad una fanciulla di Nazareth di nome Maria diventata mamma.
MARIA
Il salto evolutivo avvenuto in Maria al momento del concepimento è molto più
grande e misterioso della mutazione indotta da Eva mitocondriale ed anche della
razionalità educativa e valoriale di Cornelia, poiché riguarda il legame tra
psichismo e dimensione spirituale.
Non mi sono mai posto con attenta meditazione il problema della verginità di
Maria perché l’analisi razionale, svolta con onestà intellettuale, della
predicazione di Gesù sulle caratteristiche affettive e paterne di Dio mi ha da
tempo dato risposte più che convincenti sulla manifestazione del divino
nell’uomo Gesù.
Ho sempre considerato la verginità di Maria un elemento del tutto secondario
proposto con insistenza per ovvie ragioni di repressione sessuale. Che
importanza ha di chi è biologicamente figlio Gesù!, mi sono sempre detto. Ho
sempre letto la dimensione immacolata di Maria, nata senza il peccato originale,
una condizione del tutto marginale rispetto al suo ruolo gigantesco nella storia
dell’umanità; ho infatti sempre attribuito alla concezione di un Dio punitivo
sia il peccato originale (peraltro mai menzionato nel Vangeli) che la cacciata
dell’uomo dal paradiso terrestre. Il senso di colpa, specie se associato
all’angoscia di morte, è un buon meccanismo di controllo sulla vita degli esseri
umani e, comunque, ha avuto anche funzioni positive nel fermare la mano ai
potenti ed ai prepotenti.
Alla luce dell’evoluzione della coscienza e dello sviluppo della relazione con
Dio la vicenda di Maria di Nazareth mi appare oggi come la prima occasione nota
nella storia umana di trasformazione dell’affettività psicologica in sostanza di
amore spirituale.
L'accettazione dell'oceanica empatia di Dio
Il processo di amore di Maria per Dio è dapprima consistito nella accettazione e
poi nella disponibilità a ricevere: E’ molto più facile amare che lasciarsi
amare soprattutto quando ad amare è l’oceanica empatia di Dio.
Ho imparato cosa significa accettazione nei momenti di maggior distacco da me
stesso, ad esempio quando una sensazione estatica vissuta in condizioni di
trance meditativa (con ritmi cerebrali
superBeta o Gamma o forse Lambda) mi sfuggiva di mano perché cercavo di andare a
verificare razionalmente se ciò che sentivo era davvero vero. Ma anche quando
mediante rilassamento entravo in ritmi theta o delta, per non sentire i forti
dolori del cancro ed ho progressivamente imparato che, nel momento in cui riesci
a non percepire il dolore, non devi commettere l’errore di andare con la mente a
verificare se davvero se ne è andato. Se lo cerchi, lo trovi in tutta la sua
acuzie!
Accettazione dunque è uno stato di totale disponibilità verso aperture
sensoriali diverse da quelle quotidiane e sperimentate attraverso i cinque
sensi.
Maria accetta una relazione diretta con Dio totalmente nuova per l’umanità e
conosce la felicità su questa terra. Per questo la testimonia e la caldeggia. Ma
oltre all’accettazione accade la più importante mutazione evolutiva dell’umano
che prende in sé il divino: il concepimento.
Non siamo in grado di individuare i meccanismi biologici con cui tale mutazione
può essere avvenuta senza il crossing-over cromosomico della ricombinazione di
due diverse eliche del DNA ma sappiamo con certezza che
questa mutazione può avvenire. Può essere
perniciosa quando le rotture del doppio filamento, a causa di agenti ossidanti,
alchilanti e radiazioni ad alta energia, come i raggi X e gli UV, producono
molecole cancerogene. Può essere evolutiva quando il DNA, alterato dall'azione
mutagena, si fa spazio nella fittissima rete cellulare altamente selettiva e
produce un organismo arricchito dalla mutazione.
Ancora una volta nella storia umana è la maternità il luogo prescelto per la
mutazione. Questa relazione interumana originale
e assolutamente indubitabile e inviolabile da qualunque contaminazione culturale
archetipica, si è presentata come il miglior luogo di incontro possibile per la
relazione con Dio.
Da questa lettura nel linguaggio scientifico contemporaneo discendono altre
considerazioni:
La verginità
L’insistenza della tradizione sulla verginità di Maria non sarebbe legata ad un
processo di repressione sessuale e di obbligato candore della giovinetta che non
“ha conosciuto uomo”, ma tende a dichiarare la mutazione (come la possiamo
chiamare oggi) avvenuta in lei nel contatto empatico con Dio. Il fatto che tal
concepimento sia una straordinaria mutazione nella nostra specie viene
sottolineato dalla verginità di Maria, accertata dall’ostetrica Salomé al parto[6].
Con ciò voglio affermare che tale concepimento divino sarebbe potuto avvenire
anche se lei non fosse stata vergine. E’ lo straordinario e incredibile
concepimento che trae sostegno dalla sua verginità e non la verginità in sé come
valore. Nella successiva generatività dei probabili fratelli di Gesù,
considerati fratellastri (figli di un precedente matrimonio di Giuseppe)
o cugini[7], è
verosimilmente impossibile che la ginecologica verginità di Maria si sia
mantenuta.
Il concepimento
Non sono un teologo ma l’interpretazione della frase in linguaggio occitano “Que
soy era Inmaculada Conception” che viene utilizzata a dimostrare quasi
esclusivamente l’assenza del peccato originale in Maria, non mi ha mai del tutto
convinto perché, se così fosse, la frase pronunciata sarebbe stata diversa e
cioè “Io sono stata concepita immacolata”. Mi sembra che il suo significato sia
invece da intendersi in modo molto più letterale: “Chi io sono è stata il
concepimento immacolato”. Ovvero: “La mia precipua caratteristica è stata quel
concepimento che significa: Io sono la prova della possibilità dell’esistenza di
un processo riproduttivo della vita, della affettività materna e dell’amore
spirituale senza contaminazioni primitive”. In altre parole ancora: il
fondamento precipuo della mia identità di persona sta nel fatto di aver
concepito un figlio senza aver avuto un rapporto sessuale riproduttivo. E non
perché nel rapporto sessuale ci sia qualcosa di male o di sbagliato anche se,
purtroppo, la difficile comprensione del mio concepimento è stata funzionale per
opprimere l'uomo con sensi di colpa repressivi. L'assenza di un rapporto
sessuale testimonia lo straordinario contatto con la dimensione divina che ha
determinato quell'incredibile concepimento. Con il concepimento di Gesù Dio ha
donato all’Uomo, attraverso Maria, l’Albero della Vita dando l’autorinnovamento
e la totipotenza delle cellule staminali di Gesù, innescati per l’uscita della
quiescenza delle cellule dell’ovocita di Maria attraverso la sostanza della
relazione con lo Spirito Santo.
Perché un’adolescente?
Perché è stata scelta una adolescente? Ho sempre dato per scontato questo
aspetto considerandolo un tratto culturale di quell’epoca ma, se mi interrogo
con maggior puntualità, debbo ammettere che un’età così tenera quasi mi
disturba. Dentro di me ho sempre avuto l’idea che se il concepimento più
straordinario della storia umana fosse avvenuto in una donna più matura e
formata, sarebbe apparso più “sensato”. Non tanto per una maggiore formazione
intellettuale, meno che mai culturale, di Maria, giacché la sua non è
certo una scelta intellettuale ma una apertura empatica totale
all’esistenzialità spirituale dell’essere nel mondo, quanto per la possibilità
di avere strumenti di adattamento maggiori alla realtà di Madre di Dio che le si
poneva dinnanzi. Se guardo le ragazze di sedici anni e penso a Maria mi si
stringe il cuore per un senso di protezione che non posso trattenere. Invece
devo prendere atto che semmai è Lei che può proteggere me. Di sicuro non io Lei.
Eppure Maria ha sedici anni quando la mutazione biologica del concepimento
avviene in un suo ovocita. E tale mutazione può avvenire probabilmente
proprio perché ha solo sedici anni. Cosa accade nel passaggio tra
adolescenza e giovinezza se non la conformazione a strategie di adattamento
tipiche del modello mentale dell’adulto. Maria ha scelto qualcosa di diverso
rispetto alle strategie di coping (come le chiamano gli psicologi) e non si è
“adattata”, anzi ha tenuto aperta quella porzione del mondo interiore che gli
adolescenti ancora possiedono prima che l’opera educativa degli adulti li
conformi (o li emargini) al mondo. C’è nella adolescenza la possibilità che il
pensiero magico dell’infanzia non si chiuda ma evolva verso la dimensione
spirituale ovvero che superi la soglia del senso di realtà fenomenica per
partecipare ad una sfera spirituale superiore, lasciando spazio al divino che
potenzialmente è presente in ogni essere umano.Se osservo gli adolescenti e ne
assorbo le caratteristiche e, spesso, la sofferenza vedo in loro una spazio
esistenziale aperto all’ignoto che va pian piano chiudendosi e incanalandosi nei
percorsi evolutivi “normali” che proponiamo ai giovani.
La nostra proposta di adulti nei loro confronti è retta dal buon senso, dal
sapere le difficoltà della vita e dal voler offrire maggiori garanzie possibili
ai giovani affinché si integrino nei sistemi di relazione di cui è fatto il
mondo. Noi adulti proponiamo agli adolescenti un mondo come realtà oggettiva e
concreta nel quale vigono modelli di pensiero, di azione e di emozione
strutturati sulla base o del pensiero magico e ritualista o del pensiero logico
e razionalista. Gli adolescenti spesso ci dicono che non li capiamo perché
sentono, vogliono e desiderano qualcosa in più. Noi riflettiamo sulla nostra
adolescenza e ricordiamo quel desiderio di qualcosa in più ma non riusciamo a
metterlo a fuoco e lo consideriamo un’aspettativa sognante ed ingenua rispetto a
ciò che abbiamo invece imparato sul funzionamento del mondo e delle cose. Ma
funziona davvero così bene il mondo? Forse che non hanno ragione gli adolescenti
a desiderare qualcosa di diverso e di migliore che noi ci affrettiamo a far
tacere come utopia irrealizzabile? E se Maria avesse accettato questa utopia
proprio perché adolescente? E proprio perché adolescente si fosse tutta intera
arresa all’amore di Dio per Lei? Noi consideriamo marginale il desiderio di quel
di più che ci mancherà per tutta la vita quasi fosse un corollario
dell’esistenza. E se invece la vera ragione e la vera risposta l’avesse data
quella adolescente di Nazareth da cui è dipeso il futuro del mondo?. Forse
dovremmo tentare di tornare adolescenti ad osservare quella soglia dimensionale
che ci è stato consigliato di evitare. Qualcuno la ha tenuto un po’ in conto
dentro di sé e la sente riemergere come nostalgia di un modo di essere e di
esistere ormai negato per la troppa strutturazione della nostra pseudo identità.
Maria sceglie qualcosa di diverso che può essere intravisto e intuito solo nella
adolescenza prima che i copioni subentrino con le loro ripetizioni strutturate
e, spesso, primitive. L’evoluzione vera era da un’altra parte ma non la abbiamo
colta e non la lasciamo cogliere alle generazioni che si susseguono nel tempo.
Come genitori vogliamo che i nostri figli abbiano copioni stabilizzati e siamo
inquieti quando i nostri figli non sono inseriti come tessere ordinate nel
mondo. Non credo che le potenzialità dell’umano che tranciamo siano in conflitto
con l’inserimento sociale o il comportamento corretto. Credo che sacrifichiamo
le potenzialità del divino ad un modello adattativo che ci sarebbe lo stesso ed
anzi sarebbe sicuramente migliore. Chi conosce gli adolescenti sa che in loro
c’è una potenzialità di scelta molto più ampia di quanto noi adulti possiamo
capire. Infatti non si sentono mai pienamente capiti dagli adulti e noi
attribuiamo a questo loro modo di pensare una connotazione di infantilismo.
Diciamo loro: “Anch’io sono stato giovane come te ed ho vissuto quel che vivi,
ti capisco, poi passa e si diventa grandi”. E se avessero ragione gli
adolescenti? Pur non sapendo dire ciò che sentono come possibilità e non
riuscendo ad esprimerlo perché lo abbiamo implicitamente negato a loro dopo
averlo negato a noi stessi? Cosa è accaduto nella nostra adolescenza che non
riusciamo a ricordare se non come fantasia di un’estasi non compiuta? Come siamo
diventati chi siamo, convinti di essere responsabilmente nel giusto e di
riprodurre con senso e con giustizia le cose del mondo che hanno davvero
significato? Ma siano proprio così sicuri che il mondo relazionale, economico,
politico ecc. che abbiamo costruito sia proprio il più giusto possibile?
La soglia e i meccanismi di coping
Maria ha attraversato quella soglia che noi abbiamo negato e in questo atto
adolescenziale ha incontrato il divino. Avremmo dovuto scegliere come ha scelto
Maria. Ciò che ha scelto di essere Maria. Spesso nella vita ci ritroviamo presso
quella soglia che compare come punto di passaggio in molte occasioni, a volte la
oltrepassiamo sempre senza rendercene pienamente conto perché il nostro modello
di pensiero è ormai totalmente conformato alle strategie di adattamento al
mondo. Non guardiamo quasi mai nell’altra direzione. Quando timidamente alziamo
lo sguardo verso tale dimensione siamo castrati da mille paure, dall’angoscia
che ci siano cose terribili e spaventose che il condizionamento sociale ci ha
fatto credere vere ed esistenti. Non vediamo ed abbiamo paura di vedere poiché
ci è stato detto che il varco sul divino è terribile e pericoloso, è un
misterium tremendum!
Non è vero! Non c’è paura ma pace ed accoglienza tra le braccia di Dio. Sono le
nostre strategie di coping a farci vedere la realtà in modo sbagliato. Tali
strategie compaiono quando il pensiero magico dell’infanzia si dissolve e sono
focalizzate sui problemi, o sulle emozioni, quando ci ritroviamo a dover
fronteggiare situazioni difficili, impreviste o preoccupanti. Quando cioè il
mondo degli adulti pone a ciascun essere umano la domanda adattativa centrale:
se vuoi essere di questo mondo devi accettare questi dolori, queste fatiche,
queste rinunce. Per questo gli adolescenti non vogliono diventare adulti e per
questo agli adolescenti non piacciono gli adulti. Fino a che vigeva nella loro
infanzia il pensiero magico con la legge della somiglianza (per cui due cose che
si rassomigliano superficialmente hanno in realtà una somiglianza sostanziale) e
la legge del contagio (per cui oggetti che sono stati in contatto tra di loro,
continuano ad influenzarsi reciprocamente anche a distanza), fortuna e destino
apparivano spiegabili giacché tutte le cose sono vive e unite tra di loro. Senza
confini tra una cosa e l’altra, tutto partecipa di tutto, l’uomo e il suo
ambiente sono uniti così indissolubilmente che il bambino non è capace di
distinguere tra fenomeni fisici e fenomeni psichici. La sua vita è tutta aperta,
egli sta vivendo dentro di sé. Il pensiero magico lentamente si dissolve in due
diverse direzioni: l’adattamento lo trasforma in visione scientifica del mondo,
la creatività invece potrebbe aprirlo al divino ed alle coincidenze. Questa
seconda via è impraticabile perché vietata da noi stessi a noi stessi e agli
altri. Al massimo può essere consentita una regressione primitiva al magico, in
specie se evocato con qualche oggettivo rituale da ripetersi con cura e
precisione. E guai a chi sbaglia!
Gesù di Nazareth
Il figlio di Maria ha in sé il bagaglio cromosomico che gli consente l’apertura
al divino. E non ha bisogno di rituali tanto da scegliere per offrirci
l’apertura al divino il gesto più semplice e banale: spezzare il pane! La sua
dimensione umana si muove tra il momento della sua nascita e quello della sua
morte per crocefissione, mentre la dimensione divina sta tra il momento del
concepimento e quello della sua resurrezione. L’apertura a questa visione
consente di comprendere la totale purificazione dagli archetipi in Maria, nel
concepimento di Gesù e in Gesù stesso. E questo pone in una luce diversa il
contatto tra il mondo della nostra quotidianità e la dimensione spirituale, li
rende prossimi se non contigui per chi si pone con accettazione verso l’empatia
con cui Dio comunica con noi. La maternità e la paternità di Dio nei confronti
dell’essere umano sono un’incessante comunicazione a cui riusciamo a prestare
ascolto solo occasionalmente. I momenti forti della vita aprono più facilmente
verso tale contatto e il più forte in assoluto è quello della generatività
materna della vita. Gesù ha una mamma adolescente che si propone con un
attaccamento sicuro, molto più sano delle proiezioni di una madre adulta con le
paure e le insicurezze generate dall’adattamento al mondo. Maria lo allatta e lo
nutre senza le proiezioni psicologiche “adulte” finalizzate al risultato di un
attaccamento o di una educazione. Gesù cresce amato con semplice naturalezza
adolescenziale aperta, anzi spalancata, verso il senso dell’esistenza divina.
L’amore di Maria verso Gesù è, di fatto, un amore trascendente, tutto oltre la
soglia della dimensione del terreno e del mondo. Questa relazione affettiva è
del tutto nuova sulla terra ed è meravigliosa. Ha lasciato un eco potentissimo
nella storia dell’uomo che è stato percepito da mistici, santi, poeti e pittori
che ne hanno raccolto le tracce e lo hanno fatto rimbalzare, generazione dopo
generazione, fino a noi trasmettendocene qualche nobile richiamo colto dalla
sensibilità di chi, per qualche attimo, è andato oltre la soglia dell’umano
sentire. Che poi è la via che Maria ci indica. Le sue apparizioni, spesso ai
bambini e agli adolescenti, confermano come solo chi non ha ancora chiuso la
soglia delle percezioni spirituali può vederLa e riconoscerLa. Dopo
l’adattamento e la chiusura egocentrica nell’umano è molto difficile riconoscere
il varco della porta sul divino. Lei l’ha ben aperta ma noi non riusciamo a
vederla. Forse proprio perché troppo aperta per essere accessibile quando si è
incastrati nelle difficoltà dolorose della condizione umana. Certo gli uomini si
rivolgono a Lei con la preghiera per ottenere un aiuto appoggiandosi a frammenti
residui di pensiero magico e di rituali ma, strutturati come siamo nel
razionalismo egoico, non riusciamo più ad aprirci verso il varco che ci ha
indicato. Per questo è indispensabile il viaggio nell’umano di suo figlio Gesù
che tocca, rigenerandole, tutte le esperienze dell’umano che gli uomini hanno
modo di vivere nel corso della loro vita. Gesù non ne trascura nessuna ed a
tutte risponde aprendo continue vie nuove all’amore di Dio verso l’essere umano.
Ma la maggior parte degli uomini non lo hanno riconosciuto, né capito, né
accettato perché siamo impediti dall’adattamento al mondo a guardare oltre la
soglia del mondo stesso. E dunque ci invita a tornare bambini per rinascere ed
investire quel “di più” che è il nostro desiderio di divino nella semplicità di
una accettazione innocente del privilegio che ci è stato concesso e di cui non
ci rendiamo ancora conto.
Vincenzo Masini
[1] Il dibattito tra gli antropologi circa le successive ondate migratorie dell’Homo Erectus, Neanderthal, Cro-magnon e sapiens e le sovrapposizioni contemporanee tra queste popolazione è controverso anche in ragione delle datazioni contraddittorie dei reperti. Uno sguardo semplificatorio sugli ultimi 40000 anni, data in cui è probabile la prima comparsa di una razza umana a cui attribuire lo sviluppo dell’affettività interumana prodotta dall’Eva mitocondriale, vede un’industria litica diversificata appartenente sia agli uomini di nearnderthal che ai cro-magnon e la comparsa dell’arte figurativa delle pitture rupestri ma anche delle veneri steatopige. Tali statuine sono rappresentazioni realistiche della femminilità dell'epoca che fanno pensare ai primi interrogativi circa l’origine della vita e la riproduzione della specie attraverso il corpo della femmina. La vita dei cacciatori del paleolitico si farà da allora progressivamente più stanziale attraverso l’allevamento e la prima agricoltura mentre l’idea della riproduzione farà scoprire sia la maternità affettiva sia il ruolo del maschio che, come intuito nel processo riproduttivo tra gli animali, è fecondatore nel concepimento. L’Eva mitocondriale, ovvero la portatrice della genetica presente nei mitocondri femminili, è il simbolo più convincente di tale processo evolutivo. Bryan Sykes, genetista dell’università di Oxford, nel suo libro del 2001 "The Seven Daughters of Eve", scherza sull'uomo di Cro-Magnon che si sarebbe accoppiato con sette tipi di donne figlie di Eva, a cui da un nome diverso a seconda del loro DNA mitocondriale derivato da Eva africana: Ursula (aplogruppo U) trovata in Siberia, Xenia (aplogruppo X), Tara (T) e Helena (H) trovate in Europa nel paleolitico, e poi Katrine (K) e Velda(V) evolutesi nel mesolito e infine Jasmine (J) venuta dal levante nel neolitico. Esse danno origine ai principali aplogruppi mitocondriali diffusi nelle popolazioni moderne.
[2]
Tiberio e poi Gaio occupano l’importante ruolo di Tribuni della Plebe,
magistrati che avevano progressivamente acquisito potere nei confronti
del Senato che rappresentava l’aristocrazia. Tiberio diventa artefice
della riforma agraria del
[3]
J. Jaynes, “Il crollo della mente bicamerale”, Adelphi pag. 40.
[4] Mente bicamerale che ben rappresenta la scissioni interiore tra la propria voce e volontà ed i condizionamenti emozionali ricavati dagli archetipi e dalla cultura in cui quell’individuo è cresciuto.
[5]
“La prima annotazione è che con questo termine “esercizi
spirituali” si intende ogni modo di esaminare la coscienza, meditare,
contemplare, pregare vocalmente e mentalmente, e altre attività
spirituali, come si dirà più avanti. Come infatti il passeggiare, il
camminare e il correre sono esercizi corporali, così tutti i modi di
preparare e disporre l’anima a liberarsi da tutti gli affetti
disordinati e, una volta che se ne è liberata, a cercare e trovare la
volontà divina nell’organizzare la propria vita per la salvezza
dell’anima, si chiamano esercizi spirituali”. Esercizi spirituali di
Sant’Ignazio di Loyola, prima annotazione.
[6]
Nel protovangelo di Giacomo è raccontato l’episodio della levatrice
Salomé che dopo aver introdotto un dito nella vagina di Maria per
constatarne la verginità, riceve un’ustione nella mano che sarà guarita
nel successivo accudire Gesù. “Salome mise il suo dito nella natura di
lei, e mandò un grido, dicendo: "Guai alla mia iniquità e alla mia
incredulità, perché ho tentato il Dio vivo ed ecco che ora la mia mano
si stacca da me, bruciata". Protovangelo di Giacomo, 20,1.
[7] Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda.
[8]
Il dogma dell'Immacolata Concezione, proclamato da papa Pio IX l'8
dicembre 1854, sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata
immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento
e non riguarderebbe il concepimento verginale di Gesù da parte di Maria.
Mi sembra estremamente interessante il fatto che nelle apparizioni di
Lourdes del 1858, 4 anni dopo il dogma di Pio IX, emerga con esplicita
dichiarazione la natura dell’essere lei stessa, Maria, l’oggetto di un
concepimento immacolato e cioè totalmente privo di ambivalenze
biologiche, psicologiche, archetipiche e culturali.